O1 CASI STUDIO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA E ANALISI DEI BISOGNI APPROFONDITA - MIGREAT!
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O1 Casi Studio di Formazione professionale continua e analisi dei bisogni approfondita Il progetto “MiGreat”- n. 2016-1-IT01-KA202-005348 è finanziato col support della Commissione Europea. Il supporto della Commissione Europea a questa pubblicazione non implica il sostegno ai contenuti riportati, i quali riflettono esclusivamente il punto di vista degli autori. La Commissione non può essere ritenuta responsabile dell’uso fatto delle informazioni in essa contenute. Questo progetto ha ricevuto supporto finanziario dalla ch Foundation, finanziata dalla Confederazione Svizzera. Il contenuto riflette il punto di vista degli autori e la ch Foundation non è responsabile dell’uso fatto delle informazioni in essa contenute.
Migreat! Supporting Migrants into CVET – MiGreat! Per maggiori informazioni riguardo a questo report oppure al progetto, contatta: Kylene De Angelis Training 2000 Italy E-mail: training2000@training2000.it Data pubblicazione 20 Luglio 2017 Sito web del progetto: http://mi-great.eu Il presente progetto Erasmus+ - Partenariati strategici è stato finanziato dalla Commissione Europea. Numero progetto: 2016-1-IT01-KA202-005348 O1 CVET Case Study and extended Needs Analysis by MiGreat project team is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International License. 2
TABELLA DEI CONTENUTI INTRODUZIONE ............................................................................................................................. 4 CONTESTO LOCALE ........................................................................................................................ 6 Migranti e Rifugiati .................................................................................................................... 6 Settori target ........................................................................................................................... 17 Bisogni del mercato del lavoro del settore ............................................................................. 28 SCHEMI NAZIONALI ..................................................................................................................... 37 EDUCAZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA ................................................... 37 Accreditation of Prior Learning (Riconoscimento delle competenze pregresse).................... 47 Necessità di CVET e APL .......................................................................................................... 57 CONOSCENZA PREGRESSA DEI TEMI DI MiGreat! ....................................................................... 59 RACCOMANDAZIONI ................................................................................................................... 60 Accesso al CVET e APL per migranti e rifugiati ........................................................................ 60 Struttura formativa di MiGreat!: rilevanza ............................................................................. 62 ALLEGATO: BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................... 63 3
INTRODUZIONE Il presente report, parte del “Output 1 – Casi studio di formazione continua e analisi dei bisogni approfondita”, presenta le informazioni raccolte attraverso diverse attività di ricerca da parte dei partner di MiGreat!. Seguono le specificazioni metodologiche e le linee guida: Rappresentazione degli stakeholders: 120 organizzazioni/esperti Ricerca di settore: 120 questionari online Desktop research: 7 settori di attività Casi studio: 13 user personas Il documento identifica il bisogno delle agenzie del lavoro, delle organizzazioni di migranti e degli enti di formazione di valutare i bisogni dei migranti e dei rifugiati in termini di formazione professionale continua e di riconoscimento delle competenze pregresse nei paesi partner: Austria, Grecia, Italia, Svizzera, Svezia e Regno Unito. Le ricerche locali si sono concentrate su settori diversi in ciascun paese, in base allo sviluppo e alle dinamiche del mercato del lavoro: AT CH EL IT SE UK Agricoltura Edilizia Salute Commercio Servizi Tessile e Abbigliamento Turismo Per raggiungere questo obiettivo sono stati combinati due elementi chiave: è stata effettuata una ricerca desktop specifica per nazione, per raccogliere le informazioni più importanti sui contesti dei rifugiati e della migrazione nella nazione target, ma anche informazioni sul mercato del lavoro e sui rispettivi settori target di ogni nazione partner; Inoltre, i risultati del questionario online somministrato a rappresentanti della formazione continua, organizzazioni del settore, personale dell’amministrazione pubblica, esperti indipendenti e organizzazioni di migranti sono stati implementati nel report. Principalmente, si tratta di un input per un ulteriore sviluppo dei risultati di MiGreat! per quanto riguarda il miglioramento o l’adattamento alla formazione professionale e al riconoscimento delle competeze pregresse per la nazione specifica. Sono stati raccolti un totale di 104 questionari: 22 in Italia, 21 in Grecia, 20 in Austria, 20 in Svizzera, 15 in Svezia e 6 nel Regno Unito. 4
Nelle nazioni, non tutti i partecipanti lavorano nello stesso campo di competenza (vedi appendice). Questo fatto dà risultati molto rilevanti su ampie basi. Come mostra il grafico seguente, la maggior parte degli intervistati lavora in organizzazioni che offrono servizi ai migranti. Un’altra gran parte è costituita da attori attivi settore della formazione professionale. Type of participating organisations 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 VET provider Organisation providing services for migrants Independent professional/expert Public Administration or dependent bodies Sectoral organisation Austria Greece Italy Sweden Switzerland UK 5
CONTESTO LOCALE Migranti e Rifugiati AUSTRIA Al primo gennaio 2017, 8.773.686 persone vivono in Austria, 1.342.758 dei quali sono cittadini stranieri.1 La percentuale di stranieri è quindi il 15,3% della popolazione totale e corrisponde ad un incremento del 75,084% comparato all’inizio del 2016. Quasi la metà di tutti i cittadini non austriaci viene da nazioni dell’Unione Europea. Attualmente i tedeschi (181.660) rappresentano il gruppo più consistente di stranieri in Austria, prima dei rumeni (92.095) e dei croati (73.328). Insieme alle nazioni seguenti, si ha la lista delle prime 10 nazionalità con maggiore popolazione in Austria: Ungheria (70.676), Polonia (60.065), Afghanistan (45.284), Syria (41.637), Slovacchia (38.099), Bulgaria (24.942) e Iran (13.903).2 Nel lungo periodo, ogni quarta persona vivente in Austria nascerà all’estero. Secondo le statistiche, la percentuale di persone nate all’estero della popolazione austriaca sarà del 24% nel 2040 e del 26% nel 2080.3 Attualmente l’Austria sta affrontando un problema di disoccupazione; quindi, i migranti con le migliori qualifiche hanno le migliori opportunità sul mercato del lavoro. Di solito i migranti dell’Unione Europea e dello spazio Schengen hanno un livello di qualifica uguale agli austriaci, mentre i migranti provenienti dalla Turchia, dall’ex Jugoslavia e dall’est Europa mostrano un alto livello di formazione professionale. Focalizzandosi sul tasso occupazionale tra le persone senza cittadinanza austriaca, non c’è un incremento significativo (63,1%) comparato al 2015, nonostante ci sia invece per quanto riguarda il numero totale degli occupati non austriaci (+45.000). I migranti turchi raggiungono cifre più scarse: tra i 25 e i 44 anni, il 63% lavora in media, dopo i 45 anni il tasso di occupazione diminuisce drasticamente dal 52% al 21% (55 a 64 anni). I migranti provenienti dall’ex Jugoslavia hanno un tasso di occupazione più alto del 77% in media (da 25 a 55 anni) e diminuisce dal 77% al 31% nella fascia di età da 55 a 64 anni. Rispetto ai migranti di tutte le altre nazioni (tasso di occupazione dal 63% al 48% per la fascia di età 55-64 anni), i turchi (21%) e i migranti provenienti dall'ex Jugoslavia (31%) mostrano il più basso tasso di occupazione a questa età.4 La media del reddito annuale netto degli austriaci nel 2014 era di 24.186 € paragonato ai 19.143 € dei migranti. I migranti turchi e quelli provenienti dagli altri stati fuori dall’Unione Europea percepiscono il reddito più basso – il loro reddito annuale è di solo 17.927 € in media. Il tasso 1 Statistik Austria (2017a) 2 Statistik Austria (2017a) 3 Statistik Austria (2016a) 4 Statistik Austria (2016a) 6
dei cittadini austriaci a rischio povertà è del 15% - il tasso della popolazione a rischio di esclusione sociale è del 3%. I migranti turchi mostrano lo stesso tasso di rischio povertà dei migranti europei/EER/svizzeri con il 37%; i migranti provenienti da nazioni terze raggiungono il 44% e gli altri stati il 62%.5 Nel 2015, 615.683 migranti hanno lavorato in Austria – la maggior parte di loro a Vienna con 194.641 persone, seguite dalla bassa Austria (88.523) e dall’alta Austria (83.859). Secondo le stime del Ministero degli Affari Sociali, circa 5.000 giovani lasciano il sistema di educazione e formazione in Austria, ogni anno, senza un diploma che vada oltre la scuola dell’obbligo. Il servizio del Ministero Sociale e del Ministero degli Affari Sociali (SMS) e il servizio dell’impiego pubblico (AMS) hanno sviluppato un piano di supporto per i giovani senza prospettive di conseguire gli studi. Il Piano d’Azione Nazionale è stato implementato nel 2010 e copre le seguenti aree: lingua ed educazione; lavoro ed occupazione; norme e valori; salute e tematiche sociali; dialogo interculturale; sport e tempo libero; stile di vita e la dimensione regionale dell’integrazione. Per tutte le sette aree, sono stati creati programmi diversi. Il finanziamento dei corsi di tedesco (i quali sono obbligatori per tutti gli immigrati), la consulenza didattica e la promozione dell’educazione sono parte dell’accordo di integrazione che ogni immigrato deve firmare quando vuole stabilirsi in Austria. L’integrazione delle persone immigrate nel mondo del lavoro è promossa attraverso misure di qualificazione orientate ai gruppi target, formazione e perfezionamento, nonché offerte di informazione e consulenza. GRECIA La Grecia ha dovuto ospitare un gran numero di immigrati durante gli anni ’90, principalmente a causa del collasso dei regimi socialisti nell’est Europa. La maggior parte degli immigrati viene da Albania, Bulgaria e Romania, seguiti da alcuni immigrati provenienti dalle nazioni africane e asiatiche; questo trend è proseguito con un ritmo altrettanto elevato durante gli anni 2000. Secondo il censimento del 2011, la popolazione di immigrati in Grecia era composta da 912.000 persone, la quale costituisce l’8.4% della popolazione totale della nazione, paragonata al 7% nel 2016. Le principali nazioni di origine di questi immigrati sono Albania (52,7%), Bulgaria (8,3%), Romania (5,1%) e Pakistan (3,7%), mentre l’11,9% di queste persone viene da nazioni incerte o non hanno una cittadinanza specifica. Riguardo al genere, gli uomini costituiscono il 54,5% e le donne il 45,5% della popolazione di immigrati. Tuttavia, dati più recenti indicano che questa differenza è piuttosto diminuita. Riguardo il livello di istruzione, gli immigrati tendono ad avere un livello basso, in quanto la maggior parte di loro (circa 86%) ha conseguito solo la licenza elementare o media7. Secondo gli 5 Statistik Austria (2016a) 6 Hellenic Statistical Authority (2011) 7 Hellenic Statistical Authority (2014c) 7
studi del Lianos (2007), la maggior parte delle donne immigrate (85%) ha completato il livello d’istruzione secondario e in media le donne immigrate hanno un background educativo maggiore (62%) rispetto agli uomini (38%). Esiste una discrepanza considerevole tra il livello d’istruzione delle donne e i tipi di lavoro che svolgono. La crisi economica ha principalmente colpito quei settori dell’economia greca dove la più larga porzione di lavoratori immigrati sono assunti, specialmente il settore delle costruzioni, in cui l’occupazione è schizzata alle stelle dal 20088. Oltretutto, il tasso di occupazione degli immigrati è molto più alto di quello della popolazione locale, in quanto loro sono al 31,7% paragonato al 24,5% nel 20159. In totale, l’incremento dell’occupazione e la crisi profonda in specifici settori di lavoro hanno imposto oneri sproporzionati alle famiglie immigrate. Gli uomini immigrati sono per la maggioranza disoccupati e le donne tendono a lavorare nei servizi di cura alle famiglie (colf e badanti), spesso senza contratto di assunzione e polizza assicurativa. Le conseguenze della crisi economica, le condizioni precarie del lavoro e il drastico aumento del tasso di disoccupazione hanno portato alla diminuzione del numero di migranti in Grecia dal 200910. Il declino apparente del numero di migranti dopo il 2009-2010 tuttavia, è stato compensato dal largo numero di rifugiati e clandestini che è arrivato in Grecia nel corso del 2015 e durante i primi mesi del 201611. Infatti, la crisi dei rifugiati ha cambiato il panorama della migrazione in Grecia, nel 2015, quando un numero accresciuto di rifugiati ed immigrati ha iniziato a muoversi verso l’Unione Europea, attraverso il mar Mediterraneo o l’Europa sud- orientale, principalmente attraverso la Grecia e l’Italia, per chiedere asilo nelle nazioni del nord Europa e dell’Europa centrale. Nel 2015, sono arrivati 856.723 rifugiati, mentre nel 2014 il numero ammonta a 41.038. Nel 2016, sono arrivati in Grecia 173.450 rifugiati. A febbraio 2017 il numero di queste persone è stato di 2.842. La maggior parte viene dalla Turchia e raggiungono le coste delle isole Lesvos, Chios, Castellorizo, Samos, Kos, Leros e Tilos. Secondo i dati delle statistiche più recenti, il 39,8% dei rifugiati che arrivano in Grecia vengono dalla Siria, il 9,6% dall’Iraq, il 7,1% dall’Afghanistan e il 6,6% dal Pakistan, mentre il 35,5% viene da altre nazioni. Riguardo i rifugiati recentemente arrivati, il 42,1% erano uomini, il 21,1% erano donne e il rimanente 36,8% era costituito da bambini.12 I rifugiati considerano la Grecia come una meta di passaggio e non come destinazione finale. Anche se i rifugiati hanno un’opinione positiva della Grecia (77,6%), solo lo 0,4% di loro vorrebbe rimanere in Grecia, mentre il 68% vuole andare in Germania, il 5,8% in Svezia, il 4,5% nel Regno Unito, il 4,1% in Francia e il 3,4% in Olanda.13 La chiusura dei confini, così come le misure restrittive messe in atto contro l’entrata dei rifugiati in paesi quali Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia e Austria, hanno avuto come conseguenza 8 OECD (2013) 9 Eurostat (2016e) 10 Anagnostou and Gemi (2015) 11 Anagnostou (2016) 12 UNHCR (2017) 13 Association of Greek Regions and Kapa Research (2016) 8
l’intrappolamento di migliaia di rifugiati in Grecia. Più di 46.000 rifugiati sono rimasti bloccati in Grecia14. A causa di ciò, molti di questi hanno fatto richiesta d’asilo in questa nazione. Secondo i dati statistici del Servizio Greco d’Asilo, le richieste d’asilo totali, da 9.432 nel 2014, sono arrivate a 13.195 nel 2015, sono salite a 51.091 nel 2016, mentre hanno raggiunto il numero di 6.346 dal primo mese del 2017. Secondo il decreto presidenziale 141/2013, i beneficiari della protezione internazionale sono autorizzati ad esercitare attività dipendente o autonoma; inoltre, possono partecipare ad opportunità educative per adulti relative all’assunzione, alla formazione professionale, inclusi corsi di formazione di aggiornamento delle competenze, esperienze pratiche di lavoro e servizi di consulenza finanziati dai centri per l’impiego, a condizioni equivalenti a quelle dei cittadini greci. Inoltre, l’accesso al sistema educativo e ai programmi di perfezionamento o di rieducazione è permesso agli adulti a cui è concesso lo stato di protezione internazionale a condizioni equivalenti a quelle dei cittadini provenienti da nazioni terze legalmente residenti in Grecia. Anche se ci sono molte misure e disposizioni concernenti l’integrazione dei rifugiati, in pratica non sono applicabili. Le difficili condizioni finanziarie della Grecia rendono l’integrazione ancora più difficile, specialmente le assunzioni, le quali possono condurre al lavoro in nero con severe ripercussioni sul rispetto dei diritti sociali di base. Inoltre, vi sono degli ostacoli relativamente all’iscrizione dei beneficiari di protezione internazionale nei programmi di formazione professionale.15 ITALIA In Italia, l’immigrazione è diventata rilevante, specialmente dopo la crisi globale iniziata nel 2007. Ad oggi, circa 5,2 milioni della popolazione globale è costituita da stranieri, il gruppo etnico più consistente è quello dei rumeni (1,1 millioni), albanesi (467.000), marocchini (437.000), cinesi (271.000), e ucraini (230.000).16 La popolazione straniera che vive in Italia ha un livello di istruzione simile a quello degli italiani: il 39,4% degli italiani e il 38,9% degli stranieri ha completato le scuole superiori; il 12,5% degli italiani e il 10,2% degli stranieri ha una laurea. Ciò nonostante, gli stranieri stanno fronteggiando molte difficoltà ad accedere al mondo del lavoro, a ottenere lavori qualificati e a sviluppare la loro carriera. Esistono diseguaglianze rilevanti nei livelli di reddito e nelle condizioni pratiche di vita. Negli ultimi anni, l’aspetto più tragico della migrazione, in Italia, è stato il fenomeno degli sbarchi illegali e l’accoglienza dei nuovi arrivati. Secondo il Ministero degli Affari Interni, il numero dei rifugiati ha raggiunto un nuovo record nel 2016: 181.436 arrivi, quasi il triplo paragonato al 2011. Tra il primo gennaio e il 31 marzo 2017, un totale di 24.292 refugiati hanno raggiunto le coste italiane. Si tratta di un incremento del 29% paragonato agli sbarchi nello stesso periodo del 2016 (18.777). I migranti che sbarcano in Italia provengono principalmente dalla Guinea, Nigeria, 14 Amnesty International (2016) 15 Greek Council for Refugees (2016) 16 Istat (2016) 9
Bangladesh e dalla Costa D’Avorio. Una vasta maggioranza di persone è ospitata in centri di accoglienza temporanei di larga scala. A marzo 2017, 1.416 persone sono state sistemate in quattro centri di accoglienza operativi, mentre 137.855 persone (78%) sono state ospitate in strutture temporanee, e 13.385 (8%) in centri di accoglienza di prima linea. Oltretutto, 23.867 persone (13%) sono state sistemate in strutture di accoglienza di seconda linea. Nel 2016, sono state archiviate 123.000 richieste d’asilo, un incremento significativo paragonato al 2015, quando sono state presentate 84.000 richieste. La maggior parte dei nuovi arrivati sono ragazzi africani (quasi i due terzi dei migranti vengono dall’africa occidentale) sbarcati dalla Libia. Oltre l’80% dei migranti sono maschi. L’età media è di 27 anni e il 90% sono sotto i 30 anni. Il 60% dei rifugiati sono musulmani (quasi tutti sunniti), mentre i cristiani rappresentano circa il 38%. Tra i cristiani, i più numerosi sono i cattolici (34%), seguiti dagli ortodossi (20%) e i protestanti (14%). Il rimanente 32% si considera genericamente cristiano senza una chiesa specifica. In generale, hanno carenze di istruzione scolastica, ma parlano diverse lingue. Il livello d’istruzione dei nuovi arrivati in Italia è abbastanza basso, con una media di sette anni e mezzo di istruzione completata. Il 10% di quelli intervistati sono analfabeti, mentre il 20% non ha completato il ciclo scolastico. Solo il 16% ha un diploma di scuola superiore, e il 3% ha una laurea. Le donne tendono ad essere meno istruite degli uomini, di cui quasi il 90% non ha completato il livello di scuola primaria di secondo grado. Gli africani orientali, tuttavia, sembrano essere considerevolmente più istruiti degli altri migranti, di cui il 41% degli eritrei ha completato le scuole superiori. Nel complesso, la maggior parte di queste persone parla due o più lingue. La maggior parte parla almeno una lingua europea (il 60% parla inglese, il 23% francese e l’11% italiano). Il 20% parla anche arabo. Tuttavia, il maggior numero di migranti impara solo l’italiano dopo aver passato un po’ di tempo in Italia. Questo avviene lentamente – dopo quattro anni nel paese, metà dei migranti riesce a parlare la lingua. Imparare l’italiano in modo da essere in grado di trovare un lavoro in Italia è una delle preoccupazioni più citate per i migranti. La maggior parte di essi non lavora in Italia. E quando lo fanno, lavorano in nero. Solo il 2% dei migranti nei centri di accoglienza italiani dice di essere attualmente ingaggiato. Tuttavia, la maggioranza dei richiedenti asilo in questi centri non sono consapevoli di essere legalmente autorizzati a lavorare in Italia con il loro permesso di soggiorno temporaneo. D’altro canto, più di un terzo dei migranti che vive in insediamenti informali hanno un’occupazione. Più tempo i migranti passano in Italia, più alta è la probabilità che loro parlino italiano e trovino un lavoro. Infatti, più della metà dei migranti che sono stati in Italia per tre o più anni hanno un lavoro, spesso nell’agricoltura, giardinaggio o presso le aziende di costruzione. È più probabile che vengano assunti gli uomini rispetto alle donne (17% e 6%). In più, è più probabile che lavorino i migranti di età più elevata. Oltre un quinto degli intervistati sui 30 anni o più lavora in Italia, paragonato al 5% tra quelli sui 18-21 anni. I migranti trovano lavoro principalmente attraverso le reti personali (amici e membri familiari). Tuttavia, questi lavori tendono ad essere in nero, dato che circa il 90% dei migranti lavora senza contratto. Quasi tutti, nei centri di accoglienza, vogliono lavorare e sono disposti a svolgere lavori poco qualificati. La 10
maggior parte dei migranti lamenta principalmente l’impossibilità di accedere al mercato italiano del lavoro fuori da questi centri e la complessiva assenza di opportunità di impiego. Alcuni migranti hanno avviato una loro piccola attività dentro i centri di accoglienza, ma non è ritenuto un lavoro stabile. La maggioranza dei migranti pianifica di partecipare ad alcuni corsi di formazione continua. Molti sono interessati a partecipare a lezioni di italiano; altri vorrebbero tornare a scuola, frequentare corsi di formazione professionale e iscriversi anche all’università. L’aumento degli sbarchi e l’allerta sociale che questo fenomeno provoca tra la popolazione italiana, hanno spinto il Governo a stabilire una nuova policy nel 2017 basata su: “Accoglienza diffusa” (SPRAR – Servizio Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati): l’accoglienza nelle piccole strutture con non più di una dozzina di persone (adesso i rifugiati sono ospitati in centri enormi e sovraffollati con centinaia di persone); Occupazione omogenea dei rifugiati nei lavori socialmente utili di cui beneficiano le comunità locali, istituzioni e scuole; Tempi più brevi per la valutazione delle richieste d’asilo; Accordi con le nazioni di provenienza, in modo da preparare l’emigrazione legale e consapevole o evitare flussi migratori grazie all’impiego di strategie di sviluppo umano ed economico SVEZIA Dal Medioevo, la Svezia ha avuto un’immigrazione significativa – i tedeschi, che hanno sviluppato il commercio, e i valloni che hanno contribuito allo sviluppo della produzione di ferro. Ci fu anche una grande emigrazione, dalla Svezia agli Stati Uniti tra il 1867 e il 1920, quando fino al 30% della popolazione è emigrata. Dopo la seconda guerra mondiale, l’immigrazione è aumentata per vari motivi. Molti sono fuggiti dalla Germania e dai paesi baltici. Durante gli anni ’60 è stata stabilita una politica di invito al lavoro dell’immigrazione dalla Finlandia, Sud Europa e Turchia, in modo da ricoprire i posti di lavoro nel periodo di boom delle industrie. Negli anni ’70, questa nazione ha sviluppato un sistema di immigrazione regolamentato riservato all’immigrazione della forza lavoro. Tuttavia, i rifugiati, soprattutto quelli provenienti dal Cile e altri luoghi di conflitto, hanno preso i posti degli immigrati invitati, i quali sono arrivati con i flussi migratori dei periodo precedenti. Durante gli anni ’80, hanno prevalso i richiedenti asilo (Medio Oriente, Corno d’Africa e Turchia). Negli anni ’90 sono arrivati prevalentemente rifugiati provenienti dall’ex Jugoslavia – 84.000 richiedenti asilo in Svezia nel 1992. Fin dalla sua adesione all'UE nel 1995 e successivamente nel 1997, viene applicato l'accordo di Schengen alla Svezia. Il seguente maggior cambiamento si è verificato nell’arco temporale tra il 2011 e il 2015 in correlazione alla “Primavera Araba” e l’immigrazione ha raggiunto il picco nel 2015 quando in 134.000 hanno fatto richiesta d’asilo in Svezia. I confini svedesi erano aperti. “Aprite i vostri cuori”, ha detto il Primo Ministro Reinfeldt. Ciò ha causato una quasi rottura dei servizi per i migranti e dal 2016 sono stati istituiti i controlli alle frontiere. La Svezia è tornata al livello minimo all'interno dell'UE in materia di immigrazione. Il Governo ha sentito che la situazione era 11
diventata insostenibile e che gli altri paesi dell’EU non condividevano il “carico”. Sono state introdotte nuove leggi nel 2016. Il parlamento svedese ha preso delle decisioni su diversi cambiamenti legislativi che riguardano i richiedenti asilo e coloro che richiedono un permesso di soggiorno per trasferirsi da un parente in Svezia. Da giugno, la persona che ha presentato richiesta di asilo e gli è stata rifiutata o è stata espulsa non ha più diritto all'alloggio e al soggiorno dal Consiglio per la migrazione svedese. (Migrationsverket). La Svezia è una nazione con circa 10 milioni di abitanti in totale. Secondo le statistiche svedesi, nel 2014 il 21,5% della popolazione è nata all’estero o entrambi i genitori sono nati all’estero (cioè più di 2 milioni di abitanti). A Malmö nel 2014, il 41,7% dei residenti sono migranti (Gothenburg 31,7%, Stoccolma 31,1%). Ci sono molte discussioni nel paese che riguardano tematiche quali il successo dell’integrazione, l’integrazione e l’impiego di tutti gli abitanti, limitazioni e dinieghi. A giugno 2015 è entrata in vigore la legge temporanea sulle restrizioni della possibilità di ottenere un permesso di soggiorno in Svezia. La legge stabilisce i requisiti di mantenimento dei permessi di soggiorno come condizione in due casi, in parte sull'immigrazione familiare, e in parte perché i permessi di soggiorno permanenti possono essere assegnati se la persona percepisce un reddito da un impiego o da un’attività. In Svezia, il 64% dei residenti stranieri è impiegato, paragonato al 62% in media nell’EU. Le cifre si basano sulle statistiche dell’Eurostat dal 2015. Tuttavia, agli stranieri serve più tempo per trovare lavoro in Svezia, paragonato alle altre nazione dell’EU. La Svezia ha anche il più grande gap nel tasso occupazionale del 14% in tutta Europa che riguarda nativi e stranieri. SWITZERLAND “Alla fine del 19° secolo la Svizzera è cambiata da terra di migrant a terra di immigrati. I rifugiati politici hanno richiesto asilo qui nonostante l’economia reclutasse stranieri per il mercato del lavoro svizzero. L’immigrazione ha avuto effetti significativi sull’economia e la vita sociale in Svizzera.”17 Questa è la prospettiva storica della Confederazione Svizzera sulla tematica dell’immigrazione. La Svizzera è cambiata molto anche nel ventesimo secolo in materia di migrazione. Dopo la seconda Guerra mondiale, ci fu un grande incremento del numero di persone che le aziende assumevano dall’Italia e da altre nazioni vicine. La ragione di questo incremento stava nel tentativo di contrastare le carenze nel mercato del lavoro, e l’idea iniziale era di “prestare” i lavoratori ospiti che sarebbero tornati alla loro nazione d’origine dopo un po’. Il commercio e l’industria dipendevano da questi lavoratori. Ciò nonostante, allo stesso tempo c’era la preoccupazione per cui i salari bassi pagati ai lavoratori ospiti potessero mettere sotto 17 https://www.bar.admin.ch/bar/en/home/research/searching/topics/auf-den-spuren-von-aus--und- einwanderern/einwandererland-schweiz.html 12
pressione i lavoratori svizzeri. Per questo motivo, la normativa degli stranieri è diventata centrale in Svizzera iniziando dalla metà del ventesimo secolo. Oggigiorno, la migrazione è ancora una caratteristica peculiare della Svizzera, insieme agli stretti regolamenti promulgati dal Ministro dell’Economia. In tutto, gli stranieri maschi sono leggermente di più rispetto alle femmine in Svizzera, rappresentati da 1.086.100 (53%) e 962.500 (47%). In generale si può affermare che i migranti sono più giovani dei cittadini svizzeri: 416.500 hanno meno di 20 anni (20%), 162.000 hanno oltre 64 anni (8%), e 1,5 milioni di persone hanno un’età adatta all’impiego (tra i 20 e i 64 anni - 71,8%). La classe di età più rappresentata tra la popolazione straniera è quella tra i 25 e i 49 anni, in cui l’età media è di 37 anni contro l’età media degli svizzeri che è di 44 anni. Alla fine del 2015, quasi il 25% degli stranieri che vivono in Svizzera erano residenti in maniera permanente. Questa proporzione è il risultato dei diversi flussi migratori, di una policy di naturalizzazione molto restrittiva, un alto tasso di nascite e un basso tasso di mortalità tra la popolazione straniera. La maggior parte degli stranieri che vive in maniera permanente in Svizzera viene dall’Europa. Il 66% di loro sono originari da nazioni membri dell’UE/AELS: Italia, Germania, Portogallo e Francia. I cittadini provenienti da queste nazioni rappresentano i tre quarti della comunità. Gli italiani sono il gruppo più numeroso (311.700), seguiti dai tedeschi (300.700), portoghesi (267.500) e francesi (123.000). La parte rimanente della popolazione straniera viene da altri paesi europei e da paesi non membri dell’UE/AELS, dove le nazioni più rappresentate sono Kosovo, Serbia e Turchia. La comunità più grande di non-europei viene dall’Asia con 27.700 persone dallo Sri Lanka, 17.100 dalla Cina e 13.100 indiani; dal sud America con 19.700 brasiliani; e dall’Africa con 24.900 eritrei. Secondo le più recenti statistiche federali, alla fine del 2016, 2.029.527 stranieri vivevano in Svizzera; un incremento di quasi il 2% rispetto al 2015. I due terzi di questa popolazione è originario dalle nazioni dell’UE/AELS (69%), e il rimanente 31% viene da altre nazioni. Anche se nel 2016 abbiamo registrato un aumento della popolazione straniera, le nazioni principali di provenienza rimangono le stesse. È stato notato un cambiamento riguardo i richiedenti asilo. Le principali nazioni di origine erano l’Eritrea, Afghanistan, Siria, Somalia, Sri Lanka e Iraq. Tra queste, circa in 6.000 hanno ottenuto il diritto d’asilo. Nel 2016, 100.217 migranti venivano in Svizzera dalle nazioni dell’UE-28/AELS, i due terzi dei quali in cerca di lavoro. Per settant’anni, il lavoro resta la ragione principale della migrazione in Svizzera. I cittadini migranti dai paesi dell’UE-17/AELS lavorano per la maggiore nel settore dei servizi (80%). Il 18% della popolazione residente in maniera permanente che viene dalle vecchie nazioni dell’UE è impiegata nel settore industriale-manifatturiero e il 2% nel settore agricolo. La situazione della popolazione attiva proveniente dai paesi dell’UE-85 è simile: circa il 74% dell’immigrazione è impiegato nel settore dei servizi e il 18% nel settore industriale- manifatturiero. Tuttavia, in confronto alla popolazione di immigrati provenienti dall’area UE- 17/AELS, una percentuale più alta di persone (8%) ha trovato lavoro nel settore agricolo. Riguardo i cittadini bulgari e rumeni che ricevono un salario (UE-2) la maggior parte lavora nel 13
settore dei servizi (74%), mentre circa il 17% lavora nel settore industriale e retail e il 9% nel settore agricolo. Nel 2014, il livello dei salari della forza lavoro straniera è rimasto più basso di quello dei cittadini svizzeri. C’è una differenza del 13,1% in favore della forza lavoro svizzera. Questi numeri non ci permettono di parlare di una disparità di stipendio: da una parte, la forza lavoro straniera è più giovane in media, e dall’altra parte ci sono grandi differenze tra svizzeri e stranieri dal punto di vista dell’istruzione così come dai settori economici in cui vengono assunti. Tra il 2010 e il 2014, la media del livello di paga dei lavoratori stranieri è aumentato del 4%, mentre quella dei lavoratori svizzeri è aumentata del 3,5%. Storicamente, gli stranieri venivano in svizzera per ragioni di lavoro. Questi migranti che avevano difficoltà durante le loro carriere sono stati totalmente supportati e formati dalle istituzioni esistenti, come ad esempio i sindacati. Quello che emerge dai dati consultati è che, tuttavia, i migranti lavoratori vengono pagati meno e sembra che abbiano un livello d’istruzione più basso. Noi non sappiamo se questo sia dovuto alla mancanza di riconoscimento delle loro abilità pregresse, o come sembra dalle fonti ufficiali, se sia piuttosto il caso in cui i cittadini svizzeri evitino di fare alcuni lavori per cui loro sono stati eccessivamente educati. Oggigiorno, la tematica del riconoscimento delle competenze pregresse per questo genere di migranti non è quindi così rilevante. Qualcosa è cambiato in riferimento ai flussi migratori di massa, così come è stato durante gli anni ’80 con migranti che arrivavano dall’ex Jugoslavia, e oggi con i richiedenti asilo, rifugiati e africani con permesso di soggiorno temporaneo. L’integrazione di questi migranti nel mercato del lavoro sembra avere maggiore priorità adesso. UNITED KINGDOM I migranti lavoratori sono, in media, leggermente più giovani dei lavoratori nati in UK. Circa il 35% dei lavoratori stranieri avevano un’età tra i 25 e i 35 anni nel 2015, mentre solo il 23% dei lavoratori inglesi avevano quell’età. Tuttavia, un’alta percentuale di lavoratori inglesi rientra nel gruppo demografico dei più giovani (tra i 16 e i 24 anni) e dei più anziani (tra i 46 e i 55 anni e i 56 e i 64 anni) nella forza lavoro. Dal 1993, il tasso di occupazione dei migranti è stato più basso di quello degli individui inglesi. Negli anni recenti, la differenza tra il tasso di occupazione dei migranti e quello degli inglesi è stata ristretta per gli uomini, ma è rimasta costante per le donne. In media, tra il 1993 e il 2015 il tasso di disoccupazione delle persone straniere in Bretagna è stato più alto rispetto a quello degli inglesi. I migranti maschi sono raggruppati in due categorie occupazionali meno pagate (occupazioni elementari e di elaborazione) e in una delle categorie occupazionali più pagate (professionisti), le migranti femmine sono più raggruppate in lavori professionali (per esempio infermiere, professioni di ingegneria, telecomunicazioni e tecnologia, e professioni sanitarie), elementari (per esempio assistenti di pulizia, cucina e catering) e badanti. 14
Dalla fine degli anni ’90, la media del salario orario dei migranti ha superato quella dei lavoratori residenti inglesi. I tassi di occupazione variano tra le nazioni di origine: i migranti dall’area A818 hanno un tasso occupazionale più elevato. Nel 2015 il tasso di occupazione dei lavoratori maschi dell’area A8 (91%), A2 (89%), Oceania (87%), India (84%), Pakistan (80%), e Bangladesh (79%) erano più elevati di quelli degli inglesi (78%). I lavoratori maschi provenienti dall’area EU-14 hanno un tasso di occupazione simile a quello degli inglesi (78%). Per contro, i migranti che vengono dalle nazioni asiatiche hanno un tasso di occupazione significativamente più basso di quello degli inglesi. Ci sono molte differenze per quanto riguarda le donne. Solo le lavoratrici femmine provenienti dall’Oceania, dalle aree A8 e EU-14 hanno un tasso di occupazione più alto delle donne inglesi (rispettivamente 79%, 78% e 74%). Il tasso di occupazione femminile delle lavoratrici del Bangladesh e del Pakistan è circa un terzo di quello delle lavoratrici inglesi. Il tasso di disoccupazione misura la quota della popolazione economicamente attiva che è disoccupata. La popolazione economicamente attiva include tutte le persone che sono impiegate (per esempio dipendenti o lavoratori autonomi) e disoccupate (per esempio senza lavoro, ma attualmente disponibili e coloro che sono in cerca di un impiego). Dal 1993, i tassi di disoccupazione dei lavoratori stranieri e inglesi avevano seguito tendenze simili, in diminuzione fino al 2001, in crescita alla fine del 2010, e in diminuzione dal 2013. Negli ultimi anni, il tasso di disoccupazione dei maschi stranieri è uguale a quello dei maschi inglesi. Al contrario, le donne inglesi hanno un tasso di disoccupazione più basso rispetto alle donne straniere. Ci può essere una mancata corrispondenza tra un titolo educativo dell’individuo e il livello di abilità richiesto per il lavoro in UK. Gruppi specifici di lavoratori stranieri (per esempio i migranti venuti di recente dall’area A8) sono noti per essere frequentemente assunti in lavori che non corrispondono con la loro istruzione e le loro abilità. Nel 2015 grandi quote di uomini stranieri sono stati assunti in occupazioni professionali (per esempio professioni informatiche e professioni sanitarie) e nei due tipi di occupazioni meno pagate: elementari (per esempio assistenti alla pulizia, cucina e catering) e impieghi di produzione (per esempio conducenti, operai nella produzione di cibo, bevande e tabacco), paragonato agli uomini inglesi. Circa il 30% dei lavoratori stranieri sono impiegati in occupazioni elementari e di produzione paragonato al 20% dei corrispondenti inglesi. Le differenze nei profili occupazionali tra le donne straniere e quelle inglesi sono ampiamente simili a quelle degli uomini. Una più grande quota di migranti donne ricopre ruoli professionali e occupazioni elementari e di produzione. Circa il 29% delle migranti donne ricopre il ruolo di infermiera e ostetrica. Paragonata ai corrispondenti inglesi, la forza lavoro straniera è diventata più istruita. Secondo l’età in cui gli individui hanno completato il ciclo educatico, tra il 1993 e il 2015 c’è stato un miglioramento nel conseguimento degli studi sia per i lavoratori stranieri che per quelli inglesi. Tuttavia, gli stranieri hanno mostrato un conseguimento di studi più elevato rispetto ai corrispondenti inglesi durante questo periodo, con l’aumento graduale di questo gap. I lavoratori stranieri arrivati di recente si sono rivelati più istruiti rispetto sia ai lavoratori inglesi 18 Le nazioni dell’area A8 sono un gruppo di 8 delle 10 nazioni che sono entrate nell’Unione Europea durante il suo ampliamento nel 2004 15
che a tutti gli altri migranti. Nel 2015, circa il 10% dei lavoratori stranieri arrivati di recente ha completato gli studi fino a 16 anni, paragonato al 17% di tutti i lavoratori stranieri, e quasi il 42% degli uomini inglesi. Nel 2015, quasi uno su due migranti arrivati di recente era nella categoria educativa più elevata paragonato all’uno su quattro dei lavoratori inglesi. 16
Settori target AUSTRIA: COMMERCIO AL DETTAGLIO E TURISMO I lavoratori occupati non migranti sono maggiormente attivi nella prodzuzione di beni (13%), commercio al dettaglio (11%), assistenza sanitaria (8%) e edilizia (6%). I settori più importanti in cui i migranti lavorano sono la produzione di beni (16%) e il commercio al dettaglio (15%) seguiti da alloggi e gastronomia (turismo, 11%). Tuttavia, ci sono chiare differenze tra le generazioni di migranti: per esempio, i migranti di prima generazione lavorano principalmente nella produzione (16%), commercio al dettaglio (14%), turismo (12%) e costruzioni (11%), mentre i migranti di seconda generazione sono principalmente impiegati nel commercio al dettaglio (21%) e nella produzione (18%); ma meno frequentemente nell’edilizia (8%) o nel turismo (5%).19 TURISMO L’industria del turismo gioca un ruolo importante nell’economia austriaca con riguardo alle prestazioni economiche, all'integrazione economica esterna e al mercato del lavoro austriaco. Complessivamente (in termine di valore aggiunto diretto o indiretto) il settore del turismo austriaco nel 2011 rappresenta 24,11 miliardi di €. Il settore ha potenziale per i lavoratori interessati – nonostante l’occupazione arrivi all’apice ad aprile e novembre, il settore ha bisogno di forza lavoro abilitata. La carenza di personale altamente qualificato, soprattuto in Tirolo, risulta per esempio in meno ore/giorni di apertura per i ristoranti, meno opzioni per i turisti e alla fine poca creazione di valore. Nel 2015, 43.152 (21,1%) persone erano impiegate nel settore del turismo a Vienna, seguiti dal Tirolo (19,6%) e Salisburgo (13%). La quantità totale della forza lavoro turistica in Austria nel 2015 era di 204.984 – il tasso di occupazione era del 17,1% o di 56.894 unità in cerca di lavoro.20 Il problema principale per gli impiegati del settore del turismo è la carenza di mezzi di sostentamento poiché il 56% riesce a fatica a permettersi condizioni di vita minime e il 22% non può vivere con il reddito percepito secondo l’indice del clima lavorativo. Il settore turistico austriaco sta affrontando una carenza di forza lavoro qualificata dovuta al fatto che la maggior parte degli austriaci lascia il settore quando raggiunge i 30 anni di età e le aziende non riescono a trovare apprendisti. Complessivamente, il turismo soffre di cattiva reputazione, paghe basse, turni di lavoro o turni al fine settimana, il difficile equilibrio tra la famiglia e il lavoro, così come l’insicurezza del lavoro per le persone che hanno 50 anni o più. Riguardo l’apprendistato, l’industria del turismo e dell’ospitalità è tra i dieci settori che utilizzano 19 Statistik Austria (2016a) 20 AMS (2015) 17
questo tipo di contratto in Austria. C’è ancora un problema di paghe basse nel settore del turismo e dell’ospitalità paragonato alle altre industrie. Le previsioni per il 2020+ per il settore turistico sostengono che ci sarà un incremento di nuovi concetti di cibo e un aumento nella densità dei ristoranti nei centri delle città. Nelle aree rurali, è previsto il fallimento dei ristoranti tradizionali e locali. A causa dei cambiamenti nel settore alcune nuove professioni emergeranno, così come l’esperto del turismo della salute, l’esperto del turismo digitale o l’esperto in turismo e sostenibilità. COMMERCIO AL DETTAGLIO Il settore del commercio al dettaglio in Austria include attualmente 107.159 aziende e ha 485.377 impiegati totali all’anno in media – 133.355 lavoratori manuali, 399.372 impiegati e 15.055 apprendisti nel 2016. Il settore è caratterizzato da molti lavori part-time e molte impiegate donne rispetto agli altri settori. Per questo motivo, la città di Vienna ha iniziato un progetto pilota in modo da rendere il settore del commercio al dettaglio appetibile anche per gli apprendisti maschi. I centri commerciali Hofer e Lidl tendono a scegliere più apprendisti maschi che femmine per i loro punti vendita dal 2016. Nei centri delle città e nei centri commerciali è necessario nuovo personale mentre nelle aree rural i piccoli negozi locali chiudono e non ci sono più opportunità lavorative. Le previsioni per il settore del commercio al dettaglio danno l’impressione che ci sia la tendenza di costruire centri commerciali più grandi e di favorire i negozi online. Questo porterà ad un crescente fallimento dei negozi locali e al bisogno di adeguare il modello di business alle circostanze, ciò significa che le combinazioni di commercio al dettaglio tradizionale e online sarà un fattore chiave per il successo. Nuove professioni emergeranno dai cambiamenti strutturali future: esperti che combinano il commercio al dettaglio tradizionale e la vendita online saranno necessari così come esperti della logistica della vendita al dettaglio e esperti/analisti dei dati delle vendite. GRECIA: SALUTE E TURISMO TURISMO Secondo l’Eurostat21, il PIL della Grecia è diminuito lo scorso anno, a causa della forte crisi finanziaria. Il PIL pro capite nel 2016 era stimato in €16.300, abbastanza al di sotto dei €29.000 delle nazioni dell’EU-28 e dei €31.600 dell’area Euro (19 nazioni). Il settore del turismo in Grecia è uno dei settori economici principali della nazione. Secondo il consiglio mondiale del viaggio e del turismo22, viaggio e turismo attualmente danno un serio contributo al PIL Greco, all’occupazione, all’export e agli investimenti, con previsioni positive per il 2026. 21 Eurostat (2017a) 22 World Travel and Tourism Council (2016) 18
Second il “Piano direttivo della Strategia di Sviluppo Nazionale 2014-2020 per il Settore Turistico” del Ministero del Turismo Greco, il contributo del turismo al PIL Greco può ancora essere migliorato. Miglioramenti particolari potrebbero essere anche fatti riguardo l’estensione della stagione turistica, la fornitura di nuovi tipi e servizi, l’aumento dell’intensità del turismo (tot di visitatori per 1000 abitanti residenti). Merita di essere menzionato che il contributo diretto del turismo all’occupazione è più alto in Grecia che nelle nazioni concorrenti (Turchia, Malta, Cipro), così come il suo potenziale per la creazione di nuovi posti di lavoro, sottolineando l’aumentata produttività del settore. Uno studio della Fondazione per la Ricerca Economica e Industriale - ΙΟΒΕ (Ίδρυμα Οικονομικών και Βιομηχανικών Ερευνών)23 ha identificato che il turismo contribuisce al 5% circa del reddito pubblico totale che viene dalla tassazione indiretta, questo è collegato ad un ampio spettro di attività dell’economia, ma con serie differenze tra le regioni geografiche della nazione, principalmente in termini di fatturato e pernottamenti. Questo risultato prova il potenziale per un ulteriore sviluppo del turismo attraverso la creazione di nuovi prodotti e servizi. Inoltre, secondo “La Pianificazione Strategica per il Turismo 2021” sviluppata dalla Confederazione Greca del Turismo, ci si aspetta che nei prossimi otto/dieci anni, il turismo diventerà il settore chiave di sviluppo dell’economia greca, con il suo contributo al PIL Greco che supera i 45 miliardi di €, mentre il numero di impiegati nel settore sarà più di un milione. Quindi, si pianifica lo sviluppo di un portfolio di sei prodotti forti e differenziati, così come una serie di prodotti specializzati e complementari, accompagnati all’aumento degli investimenti relativi alle infrastrutture. Le sei categorie di prodotti sono: Sole e Mare Turismo Nautico Pausa Cittadina Turismo Medico Cultura/Religione Incontri, Incentivi, Conferenze, Esibizioni Queste principali categorie di prodotto sono integrate dalle categorie “agro turismo”, “eco turismo” e turismo gastronomico. SALUTE Secondo l’Autorità Statistica Ellenica24, la condizione di salute delle persone che vivono in Grecia è abbastanza buona, con il 24% di loro che hanno problemi di salute cronici nel 2015. Nel 2014, la Grecia aveva 2,6 ospedali, 423,8 letti25 and 99,2 farmacie per 100.000 abitanti. C’erano anche 6,3 medici per 1.000 abitanti. Secondo l’Eurostat26, le spese sanitarie in Grecia nel 2014 erano stimate in € 14,711 Millioni (l’8,29% del PIL, € 1.350,65 per abitante) con il 58% di questo 23 ΙΟΒΕ (2012) 24 Hellenic Statistical Authority (2016a) 25 Secondo Eurostat, i posti letti pubblici erano il doppio dei posti letti degli ospedali privati 26 Eurostat (2016b) 19
distribuito alle cure terapeutiche e riabilitative. Per quanto concerne gli schemi dei finanziamenti, quasi il 60% proveniva dal governo e da regimi di finanziamento dell'assistenza sanitaria contributiva obbligatoria.27 L’Eurostat rivela anche informazioni dettagliate sul settore dell’occupazione in Grecia.28 Nel 2014, i dottori impiegati negli ospedali erano stimati in 24.577, gli infermieri e le ostetriche in 22.444, gli infermieri associati in 15.398, e gli assistenti sanitari in 6.389. In generale, 96.909 persone sono state assunte negli ospedali nel 2014. Sfortunatamente, la forte crisi finanziaria ha anche colpito l’occupazione dello staff medico in Grecia, portando 68.807 medici e 17.595 infermieri a migrare in un altro paese.29 ITALIA: AGRICOLTURA, COSTRUZIONI E INDUSTRIA TESSILE AGRICOLTURA Le attività agricole occupano circa il 40% del territorio italiano con coltivazioni di diversi tipi: cereali, colture orticole, colture legnose, prati e foraggi. Negli ultimi 5 anni, il valore dell’agricoltura italiana è aumentato annualmente dal 3 al 5%, mentre il PIL è rimasto statico, crescendo di circa l’1% l’anno. Nello stesso periodo, l’esportazione agricola italiana è cresciuta del 5%. Ci sono 77 prodotti agricoli per cui l’Italia è tra i tre principali esporatori nel mondo; per 23 di questi prodotti (pasta, pomodori, aceto, olio, fagioli, etc.) l’Italia detiene la maggior parte del commercio mondiale. A differenza degli altri settori, il valore crescente del settore ha avuto effetti benefici anche sull’occupazione, con una crescita annuale di circa dal 3 al 4% negli ultimi 5 anni. Sfortunatamente, solo una piccola parte della popolazione che lavora può beneficiarne. In effetti, in Italia solo il 5,5% della forza lavoro totale è impiegata nel settore agricolo. È ovvio che l’occupazione nell’agricoltura è più estesa nel sud Italia e nelle due isole principali, Sicilia e Sardegna che nelle regioni a nord della nazione. Le buone condizioni del settore agricolo hanno effetti sulle scelte di orientamento professionale: iniziando dal 2013 c’è un incremento di persone iscritte al dipartimento di Agraria dell’Università (+40%) e crescenti sforzi per ri-coltivare le terre che sono state abbandonate da decenni. Un'altra pietra miliare sorprendente è la supremazia italiana nella produzione biologica. Nessuno Stato europeo ha produttori quanto l’Italia (43.852 fabbriche, il 17% di tutta l’Europa). L’Italia è sesta nel mondo per quanto riguarda l'area di terra con produzione biologica e l'area è in aumento di 70.000 ettari all'anno. Ultimamente, l’agricoltura italiana mostra una tendenza di crescita quantitativa e sviluppo qualitativo. Questo porta effetti differenti sui bisogni e le prospettive dell’occupazione: da un 27 Eurostat (2016a) 28 Eurostat (2016c) 29 Eurostat (2016d) 20
lato, c’è un bisogno di forza lavoro poco qualificata per i lavori stagionali, dall’altro lato c’è un bisogno di persone più qualificata per la gestione delle coltivazioni intensive e di alta qualità. EDILIZIA Il settore dell’edilizia ha 549.846 imprese attive30 e oltre 1,4 milioni di persone impiegate (il 9,1% della forza lavoro totale). Le aziende edilizie contano oltre 800.000 lavoratori (il 7,8% della forza lavoro totale). Nel settore dell’edilizia, ci sono in media 2,6 dipendenti per azienda, meno della media nazionale di 3,7 dipendenti. La tendenza economica del settore dell’edilizia è collegato all’economia italiana in quanto il 38,2% è composto da aziende artigiane. Questo è un fattore critico che impedisce una solida ripresa dell'economia italiana nel suo complesso. Dal 2008 al secondo quarto del 2016, i posti di lavoro si erano ridotti del 25,4% (496.100 impiegati). 349.300 lavoratori dipendenti e 146.800 lavoratori indipendenti sono stati colpiti da questa riduzione. I fattori che hanno determinato la crisi sono il declino della domanda e la carenza di flussi di denaro nelle aziende. La crisi degli investimenti e del lavoro nel settore dell’edilizia richiede più capacità di innovazione e tecnologie moderne, nelle seguenti aree31: nuove soluzioni edilizie che permettano di risparmiare energia e la certificazione energetica degli edifici; nuovi materiali di costruzione con basso impatto ambientale e alta efficienza energetica; nuovi materiali e tecniche anti-sismici; e nuove soluzioni di pianificazione per le “case popolari”, sempre più richieste dalle pubbliche amministrazione. Interventi di formazione per aggiornare la conoscenza e le abilità sono fondamentali per migliorare la competitività delle aziende e garantire l’innovazione in sostenibilità, risparmio energetico e aree di efficienza energetica, che non sono più mercato di nicchia ma parte di tutti gli obblighi nelle nuove costruzioni edili. Le tre aree in cui la maggior parte dei bisogni sono stati indicati sono il management (project management, marketing, cooperazione, etc.), produzione (lettura e interpretazione del piano, aggiornamento delle competenze tecnico-professionali, etc.) e competenze trasversali (aggiornamento delle regole di sicurezza, gestione dello spreco, etc.). TESSILE Il settore tessile e della moda rappresenta un settore strategico per i brand del “Made in Italy”. Da un punto di vista economico, è uno dei settori dell’economia più importanti. I numeri sono: 52,4 miliardi in produzione (nel 2015), 402.700 dipendenti e un bilancio commerciale di 8,5 miliardi. Il settore è per tradizione secondo nella creazione di surplus nel bilancio commerciale dopo il settore meccanico. Dal 2000 il settore ha fronteggiato la fase più difficile della storia. Il numero di dipendenti nel settore si è ridotto da 900.000 nel 2000 a 600.000 nel 2015, rivelando una costante riduzione delle azienda pari all’1,1% all’anno. Malgrado le condizioni instabili del mercato, il tasso di occupazione è stato leggermente positivo nel 2016 (+0,6%). Le aziende italiane sono ancora competitive poiche l’offerta soddisfa il bisogno di alta qualità del mercato di nicchia. L’offerta italiana è rivolta ai mercati tradizionali in Europa, Russia, Stati 30 ISTAT (2013) 31 SUB-PIANO FORMATIVO C - EDILIZIA E COSTRUZIONI REGIONE: FRIULI VENEZIA GIULIA 21
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