"Non ci sono più le mezze stagioni" - Proverbi e saggezza popolare Mercoledì 6 febbraio 2019 Dalle ore 10,00 alle 10,45 - spi cgil brianza

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"Non ci sono più le mezze stagioni" - Proverbi e saggezza popolare Mercoledì 6 febbraio 2019 Dalle ore 10,00 alle 10,45 - spi cgil brianza
Proverbi e saggezza popolare
“Non ci sono più le mezze stagioni”

        Mercoledì 6 febbraio 2019
        Dalle ore 10,00 alle 10,45

           Incotro con le RSA di:
  RSA Fondazione Luigi Porro di Barlassina
    RSA Anna e Guido Fossati di Monza
      RSA San Clemente di Villasanta
"Non ci sono più le mezze stagioni" - Proverbi e saggezza popolare Mercoledì 6 febbraio 2019 Dalle ore 10,00 alle 10,45 - spi cgil brianza
Proverbi e Modi di dire
    brianzoli e milanesi
Ricordo che nel mio "sussidiario" di scolaro (si chiamava così nell'Italia
degli anni Cinquanta il libro di lettura delle elementari) i modi di dire
abbondavano, disseminati tra le pagine come veri grani di saggezza a
scandire i testi che formavano il libro.
La città e la campagna erano allora realtà molto diverse, eppure veniva
dalle poche righe dei i modi di dire un profumo familiare di fuoco di legna,
un sapore fiabesco di paesaggi innevati che ci rassicurava sulla continuità
del tempo e delle stagioni, proprio come i modi di dire che esortava "a
San Giuseppe a tirar fuori lo scaldino (la bula) dal letto", perché la
primavera era imminente.
Invece, i ragazzi della civiltà urbana, ci accontentavamo, prima di
affrontare le gelide lenzuola dell'inverno, di stendere il pigiama sul
calorifero qualche minuto prima di coricarci.
Ma certo non era la stessa cosa dello scaldino.
Perché la forza dei modi di dire (proverbi) stava nella loro perenne adesione
alla natura, ai riti, alle tradizioni di un popolo che in quelle massime si
specchiava e si riconosceva. La vita era armonia, era certezza di poesia, e
ci rassicurava l'idea che il 21 marzo, giorno di San Benedetto, anche la
rondine ritrovasse il suo nido sotto il tetto.
Il sole e la pioggia non mancavano mai l'appuntamento col calendario, anche
se c'erano modi di dire enigmatici per noi ragazzi, come recitava il detto:
"Agosto, moglie mia non ti conosco", che gli adulti citavano ammiccando
furbescamente.
Feste religiose e usanze contadine si mescolavano puntualmente, e ogni
regione dettava in dialetto le proprie regole, come il ricordare ai braccianti
che "in giugno la falce andava stretta in pugno".
Rime e assonanze erano d'obbligo affinché i modi di dire (proverbi) si
depositassero facilmente nella memoria, e fossero adottati senza
discutere grazie al suo carattere imperioso, quasi fosse un comandamento
divino. E talmente indiscussa era la verità dei proverbi da essere assunta
"Non ci sono più le mezze stagioni" - Proverbi e saggezza popolare Mercoledì 6 febbraio 2019 Dalle ore 10,00 alle 10,45 - spi cgil brianza
ancora oggi nel paragone con il piacere del risparmio, tanto da aver creato
l'espressione "metter fieno in cascina" per significare l'atto di versare
soldi in banca.
I modi di dire insegnavano, senza volerlo, la storia e la geografia,
l'astronomia e la culinaria, le scienze naturali e la religione, la medicina e la
veterinaria, senza che si dovesse mai aprire un libro. Quei detti bastava
tramandarli, farli passare di bocca in bocca, sicuri che avrebbero dato i
loro frutti allo stesso modo in cui oggi si dice tra impiegati: "Val più la
pratica che la grammatica", per ironizzare sull'inutilità di certi studi ...
Ma soprattutto i proverbi insegnavano la concretezza, la filosofia
dell'agire e la supremazia del fare rispetto al dire. È certo, che scorrendo
i proverbi, sarà tentato di aggiungerne altri (entrati nel patrimonio
nazionale) di eguale esattezza meteorologica come l'infallibile "Rosso di
sera, bel tempo si spera", oppure "Cielo a pecorelle, acqua a catinelle".
Ma chi conosce il dialetto brianzolo/milanese apprezzerà il sapore
terri(aneo)gno di queste locuzioni, che conservano nel tempo il lessico di
un idioma genuino, quello della civiltà contadina, che i nostri avi hanno
custodito per secoli e che è stato tramandato fino ai giorni nostri.
Per questo i modi di dire (proverbi) evocano in modo così suggestivo i
colori e i sapori della vita di campagna, come fossero ricette di un'esistenza
felice e di un tempo irrecuperabile, al quale oggi non possiamo che pensare
con nostalgia.
Terra-cielo-tempo-stagioni
01   LA BIANCA BARBA DI SANT'ANTONI0
02   LA VIOLETTA DI SAN SEBASTIANO
03   LA LUCERTOLA DI SANT’AGNESE
04   BIVIO METEOROLOGICO
05   BREVE SOLLIEVO PER LA TERRA
06   TENERO AMORE
07   IL FUOCO SOTTO LE COPERTE
08   IL RITORNO DELLA RONDINE
09   VENTO BENEFICO
10   NEVE TARDIVA
11   RISVEGLIO DELLA VITA
12   DOLCE PIOGGERELLA
13   GELO NEL BARILE
14   FATICA INUTILE
15   ANCORA UN BIVIO METEOROLOGICO
16   CRISTO IN CIELO
17   LE MESSI
18   IL RACCOLTO
19   MATASSE DI NUVOLE
20   RAGGI MENZOGNERI
21   LE NOCI DI SANTA MADDALENA
22   PIOGGIA RISTORATRICE
23   SALUBRE FRESCURA
24   PIOGGIA CHE RINFRESCA
25   TRAMONTO RAPIDO
26   SETTE LUNE
27   ADDIO SPUNTINO
28   SUBDOLI PIACERI
29   ALLODOLE, ALLODOLE
30   PIOGGIA SINO A NATALE
31   L'ESTATE DI SAN MARTINO
32   NEL TEPORE DELLA STALLA
33   PROFUMO DI NEVE
34   SANTA LUCIA
35   CONTADINI, MA ANCHE “ASTRONOMI”
36   ACQUA 0VUNQUE
37   BUONA SEMINA
GENNAIO
1) La barba bianca di Sant’Antonio - (17 Gennaio)
• Per Sant'Antoni da la barba bianca, se manca 'I gias, la nev non
  manca.
• A Sant'Antonio dalla barba bianca se non c'è il ghiaccio la neve non
  manca.
Cade in pieno inverno la festa di Sant'Antonio Abate; il clima è inclemente,
sono giorni di grandi nevicate e di freddo pungente.
I paesi della pianura sono intorpiditi sotto un cielo plumbeo, grandi fiocchi
di neve volteggiano silenziosi nell'aria e si addormentano quieti a terra,
cucendo un bianco, accecante manto che trasforma cascine, siepi, fossi,
pioppi, strade in un fatato incanto, mentre una strana ma ripetitiva magia
ispira i pittori che abbozzano paesaggi di quiete senza uguali.
Se per qualche capriccio meteorologico manca la neve, è il ghiaccio che si
erge ad artista e ricamava (Giasiruo) finestre disadorne, rami irrigiditi,
pozzanghere ghiacciate, mentre sotto il portico e vicino alla stalla, spauriti
e affamati pettirossi, passerotti, tordi saltellano tremuli in cerca
disperata di cibo.

2) La violetta di San Sebastiano - (20 Gennaio)
• A San Bastian la viuleta in man.
• A San Sebastiano la viola in mano.
Ho faticato a rintracciare sul calendario la data della ricorrenza di San
Sebastiano; pensando, infatti, alle viole ho iniziato l'indagine partendo da
marzo e fermandomi ai primi di febbraio e non volevo credere nemmeno a
mia moglie sicura della data della festa di Santa Agnese: 21 gennaio un
giorno dopo quella di San Sebastiano.
Due ricorrenze importanti per noi ragazzi d'allora che frequentavamo
assiduamente l'oratorio, seguiti nella nostra crescita adolescenziale dal
"signor" curato che organizzava, con entusiasmo giovanile, la festa di San
Sebastiano, patrono di noi ragazzi e l'indomani quella di Santa Agnese
protettrice delle ragazze.
Se il proverbio assicura che per questa data si possono trovare le prime
viole, magari nell'alveo delle rogge più riparate e ben esposte al sole, ci si
può credere anche perché il giorno successivo, Santa Agnese, si potranno
incontrare le prime lucertole lungo le siepi.

3) La lucertola di Sant’Agnese - (21 Gennaio)
• A Sant'Agnes, la luserta in la sces.
• A Santa Agnese puoi vedere la lucertola in mezzo la siepe.
Noi ragazzi ci eravamo divertiti, il giorno prima all'oratorio, gustando con
avidità bollenti frittelle, saporitissimi croccanti, soprattutto felici di
ritrovarci insieme per dei giochi anche in un periodo di cattiva stagione.
Oggi, Santa Agnese, tocca alle ragazze festeggiare la loro Santa Patrona;
lo fanno all'asilo, insieme alle Suore che si improvvisavano animatrici,
giocano con loro a palla mano, palla prigioniera, mangiano dolci, biscotti,
ciambelle, erano felici.
Il maltempo concede una tregua e così oltre a qualche nascosta e timida
viola, nella siepe che delimita l'orto si può intravedere l'immobile lucertola
con il capino alzato, teso verso i primi, insperati, timidi raggi di sole.
Momentanea illusione che tonifica il cuore e lo incoraggia nell'attesa della
ancor lontana primavera.

FEBBRAIO
4) Bivio Meteorologico (2 Febbraio)
• A la Madona de la Candelora, da l'inverno sem feura, ma se ‘l pieuv
  e tira ‘l vent nell'invernu sem dent.
• Alla Madonna della Candelora siamo fuori dall'inverno, ma se piove o tira
  vento l'inverno continua per altri quaranta giorni.
Si può considerare il 2 di febbraio, festa della Madonna della "Candelora",
un importante bivio meteorologico.
La data ricorda una ricorrenza religiosa molto sentita; nessuno mancava
alla celebrazione mattutina (in Chiesa per le sei, nonostante il buio e il gelo),
poiché il Parroco distribuiva ai fedeli, al termine della Messa, la candela
della Madonna. (da questa usanza il nome)
La candela, una volta rientrati a casa, era devotamente appeso a fianco del
letto e a questa luce benedetta si faceva ricorso, durante tutto l'anno,
indifferentemente sia per preservare i raccolti dalla grandine sia per
allontanare le malattie da se e dai propri cari.
Una volta avviata da buoni cristiani la giornata, i contadini prestavano
particolare attenzione all'evolversi del tempo durante l'arco del giorno,
considerato il 2 febbraio crocevia fra l'inverno e la primavera.
Qualora il tempo fosse stato clemente si poteva stimare di essere fuori
della brutta stagione, viceversa se pioveva o tirava vento bisognava
attendere almeno per altri Quaranta giorni le prime schiarite primaverili.

5) Breve sollievo per la terra - (5 Febbraio)
• A Sant'Agada la tera la fiada.
• A Sant'Agata la terra ritorna a respirare.
Gli inverni brianzoli sono particolarmente inclementi: prima le nebbie
d'ottobre e novembre che rend(eva)ono impraticabili le strade, isolano le
cascine e i paesi, arrivando a piegare gradualmente l'umore degli uomini,
degli animali e delle cose; poi il gelo di dicembre e gennaio che stringe in
una morsa di ghiaccio i fossi, i rovi, le zolle. I campi incolti, sono un duro
zoccolo gelato!
Per Sant'Agata, però, il clima concede piccoli e timidi segnali di disgelo e
la terra subito ne approfitta, "fiada", (Prende fiato - respira - Rinasce) ed
è difficile tradurre correttamente questo vocabolo dialettale; forse la
traduzione letterale più precisa è questa: la terra riprende fiato, come
uscisse da un letargo, da un coma, tira un respiro di sollievo, torna a dare
segni di vita, sapendo però che l'inverno sarà ancora lungo e rigido.

6) Tenero amore - (14 Febbraio)
• A San Valentin 'l gias deslengua.
• A San Valentino il ghiaccio si fa tenero.
San Valentino, è diventata la festa degli innamorati, e una ricorrenza
recente, una celebrazione moderna, consumistica.
Per i nostri contadini era solo una data di riferimento, annunciava loro
semplicemente che la morsa del ghiaccio si allentava. Ricordate il secchio
d'acqua, dimenticato fuori casa, trasformato durante la gelida notte in un
cubo di ghiaccio grande quanto il recipiente che lo conteneva?
San Valentino “deslenguava” scioglieva queste rigide durezze proprio come
fa con il cuore degli innamorati.

MARZO
7) Il fuoco sotto le coperte - (19 Marzo)
• A San Giusep feura al feuch dal let.
• Per San Giuseppe fuori lo scaldino dal letto.
Che bello, nelle sere d'inverno, salire in gran fretta nella gelida stanza
del piano di sopra, infilarsi nel letto dopo aver tolto, da sotto le coperte,
con le dovute precauzioni, prima la "muniga" (letteralmente suora, ovvero
un impianto che teneva lontano lo scaldino dalle coperte, evitando che tutto
andasse a fuoco) e poi le braci oramai ricoperte da candida cenere!
Sotto le coperte ci attendeva il tepore privilegiato, fasciante, creato dal
braciere, amico servizievole che ci preparava una notte materna.
Tradizione voleva che a San Giuseppe, prima festa campestre,
anticipatrice della primavera, s'interrompesse questa abitudine.

8) Il ritorno della rondine - (21 Marzo)
A San Benedett, la rundin suta al tecc.
Per San Benedetto la rondine sotto il tetto.
Il mese che seguirà, aprile, sarà fatato, ci regalerà il pesco in fiore, le
prime verdi foglioline nell'orto, la Pasqua di Resurrezione, brezze
primaverili che arrossiranno le gote a giovani impazienti e desiderosi di
conoscere la vita.
Marzo invece e incostante, volubile, alterna a un giorno tiepido e sereno
un altro ventoso, freddo e piovoso.
Quando però vi accorgerete che la rondine è tornata a riprendere il suo
posto sotto il tetto, ad abitare di nuovo il nido che aveva lasciato intatto
nell'angolo della trave, potrete aprire il cuore perché la stagione
dell'amore è vicina.
Vedrete allora la rondine tracciare voli armoniosi nel cielo sovrastante il
vostro camino.
9) Vento benefico - (Non c’è un giorno preciso)
• Marz pien da vent, poca paia e tantu furment.
• Marzo ventoso, poca paglia e tanto frumento.
Il buon raccolto è frutto di molti fattori favorevoli: la fatica del
contadino, la bontà della terra e delle sementi, ma certamente chi la fa da
padrone è il tempo; il clima determina a volte irrimediabilmente
l'abbondanza o meno del raccolto.
L'impertinente, scapestrato vento di marzo garantirà ricche messi di
grano, infatti il suo soffio prepotente e giovanile asciugherà la terra
fradicia, rallenterà la crescita dello stelo, riservando le giuste risorse della
natura all'estiva, rigogliosa, generosa spiga.

10) Neve tardiva - (Non c’è un giorno preciso)
• Nev marsulina, la dura da la sira a la matina.
• La neve di marzo dura dalla sera alla mattina.
Marzo, - lo abbiamo capito - è un mese veramente capace di tutto, anche
di sorprenderci con una inattesa nevicata. Svanirà ai primi raggi del sole.
Molti proverbi definiscono questo mese "figlio di una baldracca" (Bagai de
la logia) a causa proprio della sua instabilità, delle sue brusche e repentine
alternanze di tempo: la pioggia, poi il vento, infine la neve e ancora il sereno.
Ci vuole pazienza, è il mese che anticipa la primavera, stagione della
giovinezza con la quale condivide le stesse caratteristiche d'irrequietezza.
              20 marzo 2019 – Equinozio di primavera
  Alle 21h 58m T.U. (Tempo Universale o tempo civile di Greenwich)
                       Per l’Italia alle 22,58
                      Buona primavera a tutti

APRILE
11) Risveglio della vita
Ad april fiurisan anca i manich di badìi.
Ad aprile fioriscono anche i manici dei badili.
Aprile è un mese languido, generoso, profumato, carico di promesse: ogni
pianta, fiore presenta il proprio particolarissimo bocciolo che esploderà
nella fragranza e nel colore il mese successivo.
A lato del giardino l'orto segnala che sotto le zolle c'è fermento; fa
capolino la tenerissima pianta del pisello; s'intravedono le sue tenui e
tenere foglie; si affaccia il fagiolo, gli spinaci; le insalate crescono a vista
d'occhio alla carezza calda del sole e i rapanelli, come visi di monelli,
sembrano addirittura pronti a volare. Una quotidiana e fresca pioggerella
dona ad ogni pianta energia e ristoro.
Proprio questa felicissima combinazione di sole e pioggia conferma, ed è
evidente, che in queste speciali condizioni meteorologiche non c'è limite
alla vita nuova e persino un manico di badile, fusto di legno rinsecchito, se
piantato nella terra, in aprile, rischia di ritornare a vivere.

12) Dolce pioggerellina
April al gha trenta di, e se pieuves per trentun, al fa ma a nisun.
Aprile ha trenta giorni, ma se piovesse per trentuno non farebbe male a
nessuno.
La caratteristica climatica del mese: le precipitazioni sono quasi
quotidiane e sempre ad aprile scoppiano i primi temporali: bisbetici,
rumorosi irrequieti come dei ragazzi, ma per nulla pericolosi per i raccolti.
L'acqua, poi, è benefica per tutte le coltivazioni, la campagna beve con
sorsi misurati e la trattiene nelle falde con cura, come si conviene a un bene
prezioso al quale si farà ricorso durante la lunga e torrida stagione estiva.
Stupendi i cieli: d'azzurro, proprio come i disegni che i bambini
tratteggiano con i pastelli Giotto.

13) Gelo nel barile
Brina d’april impienis el barìi.
Il gelo d'aprile riempie il barile.
Certamente è un fenomeno insolito, ma può capitare che, anche a
primavera inoltrata, un capriccio atmosferico possa far ritornare le
temperature invernali e magari anche la neve.
Il contadino cerca di interpretare a chi può giovare questo freddo
inopportuno e la risposta non tarda ad arrivare: la brina di aprile farà bene
alla vite che posticiperà le prime gemme ed eviterà così malattie successive
a solo beneficio dei grappoli futuri che saranno ancora più succosi.
Sembra un proverbio improbabile per le campagne brianzole; va invece
ricordato che sino agli anni trenta la coltura della vite era largamente
diffusa anche da noi, (pincianel) i contadini sistemavano filari lungo gli
argini dei campi arativi, utilizzando quali pali di sostegno gli alberi i “muron”
(gelso, che era utilizzato per delimitare i confini delle proprietà), o
impiantavano pergole nell'orto e pergolati davanti alle cascine.
La vendemmia era essa stessa una ricchezza, a tal punto che negli atti
notarili di compravendita si distingueva il campo solo arativo dal terreno
"arativo-vitato".

MAGGIO
14) Fatica innutile
Laüra tant su poca tera.
Faticare tanto per poca terra.
Sono gli arruffoni che finiscono la loro giornata stravolti e con scarsi
risultati!
Ci cascavano anche i contadini che pure avevano il vantaggio oggettivo di
svolgere un lavoro cadenzato e pilotato dal mutare delle stagioni.
Alcuni di loro riuscivano ugualmente a complicarsi la vita effettuando
anzitempo, spesso per frenesia, lavori nei campi che gli agenti atmosferici,
non favorevoli in quel momento, avrebbero successivamente vanificato.
Più in generale il lavorare molto e raccogliere poco è tipico d'individui che
non hanno un loro equilibrio, un proprio baricentro e che continuano a ...
fare, senza ... pensare.

15) Ancora un bivio meteorologico (30 maggio 2019)
Se 'l pieuv el di de l'Ascenza, per quaranta di sem minga sensa.
Se piove il giorno dell'Ascensione, continuerà per altri quaranta giorni.
La festività dell'Ascensione, una volta era una ricorrenza religiosa
celebrata con gran risalto, non ha una precisa collocazione nel calendario in
quanto si celebra 40 giorni dopo la Pasqua che, com'è noto, non cade mai
allo stesso giorno.
Resta difficile, quindi, pensare ad una previsione meteorologica basata su
una data incerta; c'è da credere, invece, che il senso religioso prevalga e
che gli eventi che accadono in questo giorno in cui si celebra la salita al cielo
di Cristo, acquistino un significato speciale.
Va sottolineato poi il carattere simbolico del numero che viene riproposto:
il 40, come i 40 giorni di minaccia di pioggia, che rimandano ai 40 anni che
gli Ebrei trascorsero nel deserto o ai 40 giorni di digiuno di Gesù nel
deserto e ovviamente ai 40 giorni ininterrotti di diluvio universale.
Quindi, se il maltempo turba la salita al cielo di Cristo Signore, il clima
resterà perturbato per almeno altri 40 giorni.

GIUGNO
16) Cristo in cielo (2 giugno 2019)
Al di de l'Ascensa anca i pasarit fan penitenza.
Nel giorno dell'Ascensione, anche gli uccelli fanno penitenza.
Nelle festività importanti, arrivava in paese il "Predicatore" che aveva il
compito di scuotere le coscienze dei peccatori con dei sermoni infuocati,
per poi purificare le loro anime con la confessione; predicava dal pulpito e
per seguire la sua predica bisognava stare naso all'insù, capo reclinato
all'indietro e sguardo elevato al cielo.
Così trovò i fedeli il Missionario che venne per la festa dell'Ascensione a
commentare l'ascesa al cielo di nostro Signore Gesù Cristo, che andava
definitivamente a sedersi alla destra del Padre: e la fantasia, sollecitata
dalle calorose e colorite parole del prete, non si fa fatica a fotografare
esattamente in quella posizione quell’attimo solenne.
Il figlio di Dio lasciava questa valle di lacrime e saliva al cielo, unici
spettatori autorizzati a fargli ala, e onorare il Redentore in questo viaggio,
erano gli Angeli e i Santi chiamati uno ad uno nella predica. Uomini, animali,
nubi e venti dovevano stare immobili, estasiati così come gli abituali
frequentatori dei cieli, gli uccelli, che in quegli attimi rimanevano
accovacciati e silenziosi nel loro nido, non preoccupandosi nemmeno di
procurarsi del cibo.
Il proverbio sottolinea la maestosità e la santità di questa festa; in questo
giorno anche passeri, merli, tordi, usignoli, rondini, tortore facevano
penitenza in onore e a gloria di Cristo.

17) Le Messi (il raccolto)
A Giugn la ranza 'n pogn.
Giugno la falce in pugno.
Evviva! È arrivato il tempo del raccolto: dopo tanto lavoro, grandi timori,
incertezze meteorologiche ecco, finalmente mature, le bionde spighe di
grano. La fase del raccolto sarà impegnativa, lunga, faticosa, ma, a questo
punto, nessuno si tirerà indietro.
Oggi il raccolto avviene con mietitrebbiatrici che in brevissimo tempo
svolgono il lavoro che impegnava, falce in pugno, per settimane, decine e
decine d'uomini che si disponevano uno dietro l'altro, falciavano, legavano
e allineavano grossi covoni di spighe di grano caricate poi sui carri e
riportate in cascina per la trebbiatura.
Trebbiare era un momento di festa e l'operazione coinvolgeva donne e
bambini e per tutti, dopo la gran fatica, merenda con pane, salame e vino.
Alla fine i sacchi di frumento allineati sotto il portico rassicuravano
economicamente la famiglia che poteva guardare con una certa fiducia al
futuro.

18) Il raccolto
In giugn, slarga la man e strinc al pugn.
A giugno allarga la mano e stringi il pugno.
Aprire, allargare il più possibile il palmo della mano per poter afferrare
il maggior numero di spighe e serrare forte il pugno attorno al manico della
falce per recidere, con colpo sicuro, i secchi e dorati steli di paglia del
grano, dall'alba al tramonto, per giorni e giorni.
Sono i gesti tipici e ripetitivi del contadino impegnato nei dorati campi di
frumento. Si tratta di un procedimento ben diverso dall'attuale e, assieme
al taglio del maggengo, [Con il termine maggengo si indica l’attività di
pascolo o fienagione che si svolge durante il mese di maggio] è anche uno
dei lavori più impegnativi di tutto l'anno.
La mano sembra anche simbolicamente aperta per ricevere il giusto
guadagno e il pugno chiuso a protezione del gruzzolo ricavato che deve
essere ben utilizzato per soddisfare, durante tutto l'anno, i pressanti
bisogni famigliari.

19) Matasse di nuvole
Quant al ciel al fa la lana, al pieuv na setimana.
Se il cielo diventa come una matassa di lana, pioverà per una settimana.
Le nubi arrivano da lontano, adagio, candide, ovattate, avanzano
lentamente e poi si fermano davanti a barriere invisibili, misteriosi ostacoli
le trattengono e le gonfiano, poi superano l'intralcio e riprendono il loro
cammino conquistando un altro pezzo di cielo e di sereno.
Si radunano di nuovo, sostano pigramente aggrappate alla torre
campanaria e verso sera, dopo essersi riposate, sono padrone assolute della
volta celeste.
Anche la giornata è stata pigra, scrutando l'orizzonte, prima di rientrare
per cena, ognuno sa cosa l'aspetta: da quello strato gonfio di nubi scenderà
per parecchi giorni una insistente e noiosa pioggerellina che intralcerà non
poco i lavori nei campi.

LUGLIO
20) Raggi menzonieri
Quand ‘l sùl ‘l turna indrè, gh'è l'aqua suta i pee.
Se il sale si volta indietro c'è l'acqua ai piedi.
Vi ricordate quando in certe giornate grigie, piovose di primavera o
d'estate, improvvisamente, verso sera, vi sono schiarite improvvise e
sembra quasi che inizi un nuovo giorno?
Bene diffidare di queste manifestazioni climatiche, perché l'unica cosa
che ci si può aspettare è il ritorno copioso della pioggia.
Queste pause, però, luminose, infuocate, ridestano il villaggio, che
alacremente, intensamente, vive questi brevi istanti quasi volesse
realizzare, in così poco tempo, ciò che non gli è stato possibile fare durante
la giornata.
21) Le noci di Santa Maddalena - (22 Luglio)
Per Santa Maria Maddalena la nus le piena.
Per Santa Maddalena la noce e matura.
Le piante di noci erano un tempo più numerose d'oggi e la loro posizione
negli orti del paese era, a noi bambini, ben nota e con una certa periodicità
ricevevano nostre furtive visite.
Rubare noci era più affascinante che sottrarre albicocche, mele o prugne.
Purtroppo, non conoscendo il proverbio che indica con precisione quando e
il momento della raccolta di questo frutto, arrivavamo sempre anzitempo
sul luogo del delitto.
Difficilmente trovavamo qualche frutto a terra: l'abilita allora era quella
di lanciare sassi, bastoni, zoccoli e altri oggetti verso il grande albero; il
risultato di queste spedizioni era per lo più fallimentare: pochissime noci
abbattute, verdi e immangiabili, qualche zoccolo sulla testa e a volte gli
scapaccioni prima del proprietario che ci sorprendeva naso all'aria e poi
quelli dei nostri genitori ai quali, complice il verde indelebile delle nostre
mani, era impossibile negare il misfatto.
La morale quindi e questa: bisogna aspettare fine luglio per raccogliere le
noci e, per gustarle, meglio passare dal fruttivendolo.

22) Pioggia ristoratrice - (26 Luglio)
S'a pieuv a Sant'Ana, tanta mana.
Se piove il giorno di Sant'Anna, è tanta manna.
Fine luglio, l'estate fa sentire tutto il suo vigore, il caldo si fa pesante e
anche la campagna incomincia a soffrire l'arsura estiva: il granoturco, in
particolar modo, attende sitibondo (che ha molta sete) un'abbondante
pioggia ristoratrice. Se ciò avviene a Sant'Anna è beneaugurante, di più,
una grazia divina, proprio perché l'acqua ristoratrice arriva nel momento
più propizio.
Tradizione religiosa vuole anche che Sant'Anna, madre della Vergine,
allorquando andò in sposa a San Gioacchino, ebbe in dote, quale bene
prezioso, proprio la pioggia, motivo per cui quella che cade nel giorno della
Santa si reputa essere pioggia benedetta, una vera "manna dal cielo".
AGOSTO
23) Salubre frescura
L'aria fresca da la matina l'è na meza medisina.
L'aria fresca della mattina e quasi una medicina.
L'Ave Maria è da poco suonata, è un agosto torrido, afoso, il lavoro da
fare oggi nei campi sarà molto e faticoso.
Anche questa mattina il contadino si è alzato di buon'ora, ha consumato
una scodella tiepida di latte e, prima di iniziare un'altra dura giornata, si
attarda in cascina: un'occhiata al cielo per intuire se qualche nube
rinfrescherà il giorno, qualche pensiero, una visita ai pomodori nell'orto che
stanno maturando e grandi, profondi respiri.
A quest'ora, sono le cinque, il clima è tutt'altro che estivo; l'aria è
frizzante e benefica e un leggero banco di nebbia ozia ancora sui prati.
Sono brevi istanti che rinfrancano il fisico e lo spirito, un "pater-ave-
gloria" recitato insieme alla moglie. E un altro giorno del Signore può
cominciare.

24) Pioggia che rinfresca
I prim gut d’agust rinfrescan al bosc.
Le prime piogge d'agosto rinfrescano il bosco.
L'acqua d'agosto, con quei tuoni continuati, quei borbottii che
accompagnano le precipitazioni sino a sera inoltrata, e ben diversa dal
temporale ristoratore della festa di Sant'Anna.
Se allora ai lampi, ai tuoni, agli scrosci era seguito un rassicurante rosso
di sera, nel nostro caso l'acquazzone, anziché esaurirsi in breve tempo,
continuerà con una timida ma insistente pioggerella che durerà la notte e
ininterrottamente il giorno seguente.
Ritorna poi il sereno, ma non porterà più con se la calura estiva.

25) Tramonto rapido
Agost: giù al su le fosch.
Agosto, appena cala il sole e subito buio.
Caratteristica specifica dell'estate, oltre al caldo, è la luce.
Il buio tarda a venire, consentendo così ai contadini di protrarre il lavoro
nei campi fino a tarda sera.
In questa stagione ci si corica tardi. Seduti fuori all'aperto, su una
seggiola impagliata o sul gradino di casa, si attende che arrivi la notte e che
l'aria rinfreschi.
Con il mese di agosto si avverte un'inversione di tendenza e proprio la
minor durata della luce indica che la stagione estiva sta per finire.

SETTEMBRE
26) Sette lune
La luna settembrina set lun la induina.
La luna settembrina sette lune indovina.
Anticamente il tempo si misurava osservando e annotando le fasi lunari;
proprio per questa i contadini hanno sempre guardato con particolare
attenzione alla luna e nelle fasi decisive della semina cercano di indovinare
se l'astro era propizio.
La luna di settembre, inoltre, sembra acquisti un'importanza particolare;
si ritiene, infatti, che per sette lune successive il tempo sarà simile a quello
che si potrà osservare in quel periodo.
Siamo anche a cavallo di stagione, l'estate cede il passo all'autunno e sarà
ancora proprio la luna settembrina a decidere se regalarci, prima
dell'inverno, una stagione dolce o inclemente.

27) Addio spuntino - (29 Settembre)
San Michel, la merenda in cel.
A San Michele la merenda vola in cielo.
I 29 settembre é il giorno di San Michele.
Stiamo quindi entrando in pieno autunno, le giornate si accorciano
sensibilmente e, un tempo, l'inizio dell'anno scolastico era alle porte; due
giorni dopo infatti i "remigini", grembiule nero e grande fiocco bianco,
prendevano posto su mastodontici banchi di legno, attenti e intimoriti
dall'autorità della signora Maestra.
Il buio arriva presto e l'ora di cena viene sensibilmente anticipata; a tavola
si va ora verso le 18, cosicché non c'è più tempo, tra compiti, gioco
pomeridiano e la cena, di inserire la pausa piacevole e ristoratrice della
merenda.
"Volano" così in cielo robusti panini spalmati con burro e zucchero,
dolcissime ciambelle, nutrienti zabaglioni e profumate mele e la mamma non
compera più nemmeno il cioccolatino da 10 lire con le figurine di Bartali e
Coppi.

OTTOBRE
28) Subdoli piaceri
Sùl de veder, aria de fesura porta l'òm a la sepoltura.
Il sole riflesso dai vetri, lo spiffero d'aria di una fessura portano presto
alla sepoltura.
Difficile da accettare questo suggerimento, soprattutto durante la
torrida estate quando seduti tra porta e finestra si gode di un'arietta
rinfrescante quanta infida.
Lo stesso vale per le fredde giornate invernali allorquando ci si crogiola,
come lucertole, al riparo di una finestra, appisolandosi magari alla carezza
di quel tepore innaturale.
Il risultato di questi piaceri fuori stagione è nel migliore dei casi torcicollo
o un fastidioso raffreddore che, se si trasformava in bronchite, poteva
procurare guai seri, difficili da superare con le scarse cure mediche allora
disponibili.

29) Allodole, allodole - (15 ottobre)
A Santa Teresa, lodol a distesa.
Per Santa Teresa, allodole a distesa.
Sino agli anni quaranta/cinquanta, il cacciatore era una figura che
s'inseriva di diritto nella cornice agreste: fucile a doppia canna (la dupieta)
a tracolla, attorniato da cani scodinzolanti e inquieti, per lo più solitario,
trascorreva giorni interi, dall'alba al tramonto, nei campi, inseguendo un
improbabile fagiano o una lepre, instaurando con la selvaggina una battaglia
di spostamenti e di posizioni che spesso perdeva.
Se vittorioso, il suo rientro in paese era trionfale; anche i cani sentivano
l'eccitazione della vittoria e il cacciatore, visibilmente soddisfatto, si
avviava verso casa appagato dagli sguardi lanciati alla cintola, da dove
pendeva un fagiano o una pernice o un'allodola, o al carniere da dove sbucava
ai due lati, testa e coda, della lepre.
La selvaggina catturata sarebbe poi finita all'osteria per una rara e
festosa cena tra amici.
Nel tempo della caccia, il cielo era spesso attraversato da stormi d'uccelli
che migravano verso terre più calde e nella seconda meta d'ottobre,
appunto intorno al giorno di Santa Teresa, il passaggio delle allodole era
maestoso e il loro numero gonfiava smisuratamente il cielo.

30) pioggia sino a Natale - (16 Ottobre)
Se fa bel a San Gal, fa bel fin a Natal!.
Se c'é bel tempo a San Gallo, dura sino a Natale.
Le previsioni del tempo, alle quali oggi affidiamo molte nostre decisioni,
allora non c'erano, e anche la televisione, fortunatamente, era fuori dalla
nostra porta e persino dalle nostre serate.
I contadini avevano però bisogno di fare le loro considerazioni sul tempo,
per decidere se anticipare o ritardare la semina, e avevano capito che il
clima, nelle sue manifestazioni generali, era ciclico, ripetitivo.
Ecco allora che, con attenzione, si annotano fenomeni e tendenze: se il
tempo volgeva al brutto a San Gallo, meta d'ottobre, c'era da credere che
l'autunno sarebbe stato molto piovoso e sarebbe migliorato solo verso la
fine di dicembre; viceversa, se fosse stato sereno in quel giorno, il bel
tempo era assicurato fino a Natale.
Se pioveva c’era un grande rischio per la semina; molti chicchi potevano
marcire confermando il detto che sotto la neve c'è pane, ma sotto l'acqua
c’è fame.

NOVEMBRE
31) L’estate di San Martino - (11 novembre)
L'està da San Marten al dura tre di e un cicinen.
L’estate di San Martino dura tre giorni e un pochino.
Martino, Vescovo di Tours, vissuto tra il 1316 o 1317 (incerta la data di
nascita) è morto ne 1397, fu il fondatore del monachesimo occidentale;
ufficiale dell'esercito romano, si convertì, si battezzo e si ritiro in un
eremo nell'isola di Gallinara (di fronte ad Albenga).
Sino a noi è arrivato il suo nobile gesto: incontrando un povero infreddolito
ai bordi del sentiero, non esitò a tagliare in due il suo prezioso e caldo
mantello.
Un gesto semplice ma carico d'amore, e d'attenzione verso chi sta peggio.
Con quel pacifico colpo di spada il Santo interruppe anche l'incedere
dell'inverno regalandoci così una breve stagione intermedia chiamata
appunto “l’estate di San Martino": una pausa clemente, mite, simbolica che
serve a riscaldare i cuori e a fortificarli davanti all'incedere del gelo della
stagione e forse anche degli animi.
Tradizionalmente durante questi giorni si aprono le botti per il primo
assaggio del vino nuovo, che solitamente viene abbinato alle prime castagne.
Questa tradizione è celebrata anche in una famosa poesia di Giosuè
Carducci intitolata appunto “San Martino”.

32) Nel tepore della stalla - (25 Novembre)
A Santa Catrina la vaca in casina.
Per Santa Caterina ricovera la mucca in cascina
Dopo il raccolto del maggengo che aveva riempito il fienile di foraggio per
l'inverno, i prati consentivano ancora tagli d'erba fresca sino ai primi di
ottobre; dopo questo periodo era inutile utilizzare la falce: l'erba che
riusciva ancora a spuntare restava bassa e a ciuffi.
Era proprio allora che i contadini portavano al pascola le mucche ed era
uno spettacolo insolito, sereno, armonioso vedere queste mandrie
attraversare il paese dopo la mungitura mattutina e rientrare solo a sera
dopo aver pascolato e ... concimato il prato.
Ho il privilegio di aver assistito a questi esodi che sono rimasti solari nella
mia memoria, come le tinte dei dipinti di Fattori.
Quest'insolito, agreste spettacolo terminava a Santa Caterina quando il
peggioramento delle condizioni atmosferiche suggeriva ai contadini di
tenere, da quel momento, le bestie al riparo, nel tepore “profumato” delle
stalle.
33) Profumo di neve - (25 Novembre)
A Santa Catrina, o nev o brina.
Per Santa Caterina o neve o brina.
Il contadino sente istintivamente l'arrivo della cattiva stagione: fiuta
nell'aria i primi fiocchi di neve, distingue i venti, coglie i repentini sbalzi di
temperatura.
Queste caratteristiche meteorologiche sono tipiche degli ultimi giorni di
novembre. Inutile e dannoso tergiversare, illudersi che mezza giornata di
bel tempo indichi un protrarsi di un clima favorevole.
Molto meglio, come abbiamo raccontato prima, portare le bestie in cascina,
riparare quindi cose e animali dal gelo dell'inverno che é proprio li dietro
l'angolo.

DICEMBRE
34) Santa Lucia - (13 Dicembre)
Santa Lucia el di pusè curt che ghe sia.
Il giorno di Santa Lucia e il giorno più corto che ci sia.

Santa Lucia, vergine e martire vissuta tra il 280 e il 304, subì il martirio
sotto l'imperatore Diocleziano; condannata dal perfido arconte
(proconsole) di Siracusa Pascasio, è venerata dagli adulti per la sua indomita
e limpida fede è invocata a protezione della vista e del fuoco.
Dai bambini di alcune province lombarde (Bergamo e Brescia, Sondrio) è,
a dir poco, adorata perché nella notte tra il 12 e il 13 Dicembre attraversa
tutti i paesi con il suo inseparabile e docile asinello, portando i doni.
Lunga però è l'attesa, interminabili le ore; l'alba non arriva mai.
La notte di Santa Lucia è la più lunga che ci sia (non è proprio vero) anche
perché, a metà dicembre, le giornate sono brevi, fa buio presto la sera e fa
luce tardi la mattina: sono le giornate più uggiose di tutto l'anno ed è forse
per questo motivo che Santa Lucia ha deciso di portare un po di luce per
incoraggiare gli uomini a vincere le tenebre.

35) Contadini, ma anche “astronomi”
Quand la luna la fa curuna, la nev la sa muntuna.
Quando la luna ha la corona, si prevede una abbondante nevicata.
Di nuovo le previsioni del tempo, sono affidate all’osservazione del cielo
cosa che oggi non sappiamo più fare. Osservare il cielo è uno spettacolo che
si replica senza interruzione da parecchie migliaia di anni, e che ha il solo
torto d'esser finito anche sui libri di scuola dove spesso persino le cose più
straordinarie diventano noiose. Eppure, come faceva notare il filosofo
latino Seneca, se le stelle, anziché brillare continuamente sopra le nostre
teste, fossero visibili solo da un particolare luogo del pianeta, tutti
vorrebbero andarci per assistere allo spettacolo.
Ma, un pò per abitudine ed un pò perché il cielo lo guardiamo sempre meno,
lentamente ci siamo dimenticati non solo degli effetti speciali, ma persino
degli attori che tutte le notti raccontano storie più avvincenti di qualsiasi
favola.
Le immagini formate da pianeti, stelle nuvole non esistono: sono il risultato
di un equivoco prospettico che porta a considerare come facenti parte di
uno stesso gruppo, quindi di un unico «disegno», corpi celesti che nella
realtà sono spesso distanti gli uni dagli altri, ma casualmente brillano nella
stessa zona di cielo; e la prospettiva completa l'inganno.
Per chiarire come l'occhio umano si inventa queste false immagini,
chiamate asterismi, si può ricordare la classica foto-souvenir del turista
che a Pisa stende il braccio e, ponendosi nella giusta posizione, sembra
sorreggere la Torre pendente con la mano: i due soggetti, la torre e la mano,
pur così diversi e distanti tra loro, una volta sistemati sulla stessa
traiettoria creano l'illusione di trovarsi alla stessa distanza di chi osserva,
ossia di far parte della stessa scena. Il nostro occhio cade nel medesimo
equivoco guardando il cielo. E, data la nostra istintiva tendenza al
riconoscimento di strutture, cioè a vedere immagini familiari anche dove
non ci sono affatto - come nella forma delle nuvole o nelle macchie di
umidità su un muro - in tutte le epoche gli uomini hanno visto in cielo quello
che volevano, finendo per imprimersi nella mente che a determinate
immagini corrispondeva una determinata situazione meteorologica.

VALGONO PER TUTTE LE STAGIONI
36) Acqua ovunque
Cun la sapa e cui badìi, se fa andà l'aqua su i campanìi.
Con la zappa e con i badili si manda l'acqua fin sui campanili.
Impara l'arte e mettila da parte.
Mi è capitato di vedere nei campi di granoturco o di maggengo i contadini
intenti a far arrivare ovunque l'acqua irrigua in campi a volte non livellati:
veri artisti che, armati appunto di zappa e di badile, riescono a far fare
all'acqua il percorso da loro desiderato.
Che l'acqua potesse arrivare anche sui campanili l'ho verificato in
Valtellina, in un'azienda agrituristica, ho visto appunto con la stessa tecnica
irrigare ripidissimi pendii.

37) Buona semina
Cumè ta sumenat, te regoat.
Come semini raccogli.
Come semini, così raccogli!
Non facciamoci trarre in inganno dalla massima che certamente non si
limita a porre l'accento sul rapporto tra semina e raccolto nei campi, ma
suggerisce una morale senza scorciatoie.
Sul campo della vita ognuno raccoglierà ciò che avrà saputo seminare,
coltivare, curare, custodire.
Seminiamo bene!
Centinaia di fiori in primavera,
                        la brezza fresca d'estate,
                             la luna in autunno,
                            la neve in inverno.
Se non occupi la tua mente in inutili cose, ogni stagione è per te una buona
stagione.

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