Iran, culture che si intrecciano

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Iran, culture che si intrecciano
di davideansari (Medie Superiori ) scritto il 14.03.14
Indossare uno zaino. Partire. Chi non desidera farlo? Scappare dalla nostra quotidianità. Un’arma
sola: la fame di conoscenza e di novità. Il mio desiderio è di visitare le nobili e antiche terre della
Persia,l’Iran odierna. Davide Massoud Ansari,il mio nome,ha origini nella terra dello Shah.
Guerre,disastri civili hanno sempre reso impossibile il viaggio verso il paese di mio padre :
Gholamreza Massoud Ansari. Conoscere le proprie radici,respirare la stessa aria dei propri
antenati. Sapere,ricordare,andare avanti. Tradizioni,religioni,colori,odori,sapori spingono
l’occidentale a volare verso l’oriente. Nell’immaginario collettivo di chi nasce a ovest,la vecchia
Persia evoca : i fasti dello Shah,le Mille e una notte,mercati,dove ancora si usa il
baratto,l’inebriante odore dei labirinti del SUK e delle spezie. Il mio interesse nel compiere questo
viaggio è un richiamo. Ho bisogno di conoscere come è cresciuto mio padre,di incontrare le sue
sorelle,sapere le loro storie e raccontare la mia. Le culture si intrecciano senza conflitto nella
dimensione familiare. Tutto ciò che so della mia famiglia di origini,mi arriva dal passato,attraverso
i racconti di mio padre,fuggito dall’Iran poco prima della rivoluzione Khomeinista, a causa delle
origini regali. Nel 1835,il mio trisavolo sposò la figlia dello Shah,iniziarono le persecuzioni.
Morirono in molti durante la rivoluzione. Secoli fa,dove ora il vento trascina la fine sabbia
asiatica,si ergevano enormi palazzi abitati dai miei familiari. Alcuni con il colpo di stato vennero
occupati dalla famiglia Pahlavi,altri requisiti dallo stato dopo la rivoluzione. Oggi sento che l’Italia è
la mia terra. Sono cresciuto qui. La mia casa. Ma se penso che nelle mie vene scorre lo stesso
sangue di chi si crogiolava negli harem,circondato da donne di rara bellezza e allo stesso tempo
prendeva decisioni sulle sorti di un impero sconfinato,allora la curiosità di vedere quei luoghi
diventa impellente. L’Iran oggettivamente è un paese pieno di contraddizioni: la spinta verso la
modernità ,bloccata dalla frenante presenza dell’Islam. Come in molti paesi arabi,non si permette
lo sviluppo delle libertà personali. È importante però, per capire un popolo,parlare della religione e
riconoscerne il ruolo che ricopre nella loro vita. Viaggiare apre la mente,aiuta a trasformare le
differenze di cultura in stimoli e in risorse. Ci sono luoghi e popoli che sembrano vivere in un’altra
epoca. L’Iran,penso sia uno di questi. A causa della situazione culturale,questo popolo rischia di
rimanere indietro da molti punti di vista,se non avrà la forza e il coraggio di superare i diffusi
fanatismi e le gravi limitazioni della libertà personali
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Quando una vacanza diventa un'esperienza
di laparisienne (Medie Superiori ) scritto il 02.02.14
Île de la Réunion. 2512 km² di Francia in mezzo all’Oceano Indiano. Ecco dove vorrei andare.
Perché non l’America? Perché non gli sviluppati paesi del Nord Europa oppure l’Asia? Tutti
abbiamo un’idea, più o meno stereotipata, ma pur sempre un’ idea, di quello che possiamo
trovare in questi luoghi e mille ragioni sensate per andarci: imparare una nuova lingua, realizzare il
“sogno americano”, fare esperienze in vista di un futuro lavoro… Io non ho nient’altro che la
curiosità: è solo una delle tante avventure che vorrei vivere, qualcosa di originale, di diverso, che
arricchisca me stessa in modo unico, con conoscenze che non si possono acquisire sui libri. È nei
posti più inaspettati che si rimane maggiormente sorpresi, è quando non si pensa a quanto si
sottovaluta un’esperienza che si impara di più.
Mare cristallino, candide spiagge di sabbia, paesaggi mozzafiato, insomma, le tipiche foto da
cartolina sono l’immagine più diffusa, se non l’unica, di La Réunion. Ma anni di viaggi per le più
sperdute isolette greche mi hanno insegnato che, dietro queste foto patinate, al di fuori dei
résorts, c’è sempre una realtà più autentica, quella di coloro che vivono lì, che non vi passano
soltanto le vacanze, ma che chiamano quel paradiso tropicale “casa”. È la curiosità di superare i
luoghi comuni, di vedere cosa vi è davvero dietro quel nome poetico e quell’immagine da dépliant
turistico, rompere ogni idealizzazione e vivere l’isola, a motivarmi. Certo, il fascino di quei
paesaggi, tanto diversi dai grigi skylines metropolitani, mi alletta, ma una meta turistica non si
esaurisce nel turismo e nella bellezza del luogo: è proprio nascondendo gli attributi del visitatore –
la macchina fotografica, lo zaino, l’aria da spettatore ammirato e il sorriso rilassato e vacanziero –
e considerando l’isola come un luogo in cui ci troviamo a vivere, non come un temporaneo hotel,
che si può conoscere davvero. È il lato autentico di La Réunion, la riunione di culture diverse, a
incuriosirmi, non importa se non sia un’esperienza da poter vantare in un colloquio lavorativo o se
possa apparire fine a se stessa. Il fine siamo noi stessi. Ogni desiderio folle val la pena di tentare di
esaudirlo e allora ogni esperienza, benché priva di un vero “perché”, ci apparirà ricca in modo
insospettabile.
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Eritrea: un paese ancora da scoprire
di charlieftwiap (Medie Superiori ) scritto il 02.02.14
Spesso navigo con la mente nella libreria della mia vita.
Ciò che trovo di più prezioso all’interno di questa meravigliosa biblioteca è un volume dorato,
riposto con ordine nello scaffale dei miei progetti per il futuro.
Le sue pagine ancora candide, verranno riempite da esperienze uniche.
Ripiene di sapori, ambienti e colori africani: conterranno al loro interno ogni attimo che
trascorrerò in Eritrea.
Un paese trascurato dal mondo in cui vivo, ma per me assai affascinante.
Colonia italiana , è stata a lungo sede di uno sviluppo economico favorito dal nostro paese e
tutt’ora presenta un’importante scuola italiana nella capitale. Nonostante ciò risulta sovente
ignota l’esistenza di questa nazione nella realtà a noi contemporanea.
Infisse nella mia mente le cruente immagini del conflitto in corso per mantenere l’indipendenza
politica.
Nella mia memoria filmati di paesaggi aridi e misteriosi, forse parzialmente elaborati dalla mia
fantasia.
Incuriosita dai fondali ricchi di corallo ritratti in ogni cartolina e dalle numerose specie di animali
che i libri di biologia dichiarano essere tipici di un ambiente così torrido.
Incantata dai particolari oggetti decorati a mano che ho scorto qua e là in alcuni negozi etnici.
Sì: è il mio sogno.
Consapevole dela difficile situazione politica che sta vivendo l’Eritrea, ben informata dell’elevato
tasso di mortalità e di povertà attualmente riscontrato in questo luogo, attendo con ansia il
momento in cui le ruote di un aereo sfioreranno la pista di atterraggio di Asmara mentre io,
affacciata al finestrino, potrò provare la gioia di realizzare un sogno.
Una stessa domanda mi viene posta ogni qual volta io riveli questo mio desiderio: perché?
Perché è straziante notare ogni mattina l’assenza dell’Eritrea nella cartina geografica appesa sulla
parete della mia classe (arriva solo fino all’Egitto).
Perché vorrei mettermi alla prova e vorrei dimostrare a me stessa che sarei capace di valorizzare,
di fronte agli occhi sbarrati di un mondo così cieco, le potenzialità di un paese così sottovalutato.
Perché mi piacerebbe poter aiutare tutti quei bambini, abbandonati dalle famiglie nelle strade,
tutte quelle famiglie, abbandonate dal mondo nel terrore provocato da un governo dispotico.
Semplicemente per lasciarmi sedurre dalle meraviglie del Mar Rosso e per poter ammirare gli
animali nascosti tra le dune desertiche.
Perché vorrei dimostrare ad ogni singolo abitante di ciascuno dei più sperduti villaggi che qualcuno
di noi, conquistatori del porto di Massaua, ancora ricorda l’antico legame che ci unisce.
Insomma, per rendermi portavoce di un paese di cui, purtroppo, ignoriamo ogni peculiarità.
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I colori del Venezuela
di gemini222 (Medie Superiori ) scritto il 02.02.14
Dall’altra parte del mondo. In un altro emisfero. Oltreoceano. Eppure il Venezuela a volte non mi
sembra così lontano. Sono cresciuta con i racconti di un’amica per metà venezuelana ed ho
imparato a conoscere ed apprezzare giorno dopo giorno quel Paese così distante da cui proveniva
sua madre. Ora non sono più una bimba e non mi basta più immaginare come sia vivere a Caracas,
cosa significhi svegliarsi e vedere il sole splendere quasi tutto l’anno. Percepisco dentro di me la
sensazione di potermi ambientare molto facilmente in un luogo dove le persone sono per natura
estroverse e sorridenti. Il Venezuela è un Paese in via di sviluppo che offre opportunità di studio e
di lavoro, oltre a infinite ricchezze culturali. Bisogna andare oltre ai luoghi comuni per apprezzare
davvero una nazione latinoamericana: il Venezuela non è solo mare, musica e danze; Caracas non
è solo criminalità. Durante il viaggio che presto spero di poter compiere in questo Stato,
sicuramente vorrei dedicare del tempo alla visita del Teatro Municipale di Caracas. L’edificio è
emblematico della cultura venezuelana: è colorato, vivace e dall’aspetto fortemente dinamico
grazie alle vetrate dipinte. In una struttura che prepotentemente chiede all’occhio di essere notata
all’interno del panorama cittadino, così giocosa, si esibisce l’Orchestra Municipale della capitale.
Nonostante il paragone sia molto azzardato, immaginate come sarebbe strano associare
l’esibizione di un orchestra popolare al Teatro alla Scala di Milano. In Venezuela funziona così:
allegria e serietà convivono pacificamente, mentre in Italia questo tipo di accostamenti pare
stridere troppo rispetto al contesto europeo. Ancora mi sorprendo quando discuto con persone
che associano automaticamente la Repubblica Venezuelana ad una nazione arretrata, addirittura
inferiore. L’Università Centrale di Caracas vanta un’aula magna dall’architettura spettacolare,
frutto della sintesi di vari concetti artistici. Il soffitto, che consiste in pannelli tra loro non livellati,
richiama la sovrapposizione delle nuvole che si stagliano nel meraviglioso cielo venezuelano.Gli
abitanti della città, i caraqueños, si incontrano all’interno di parchi e giardini naturali modellati
sulle tradizioni botaniche di tutto il mondo. Vorrei trovare le parole adatte, gli aggettivi più
appropriati per poter descrivere con efficacia quanta curiosità mescolata ad affetto io provi per il
Venezuela. Vorrei essere una brava disegnatrice per replicare i colori accesi di questa nazione
piena di vitalità e per rendere giustizia alle sue mille sfumature, che spero di cogliere presto con i
miei stessi occhi.
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Talvolta la povertà affascina
di soldatojane (Medie Superiori ) scritto il 02.02.14
Quante volte ci sarà capitato di dire o sentire dire: “Adesso basta, lascio tutto e parto! Non ne
posso più di stare qui”. Parto per dove? Chissà qual è per ognuno quell’angolo della terra a cui
allude quando è scoraggiato dalla vita, che a volte appare come un foglio grigio monocromo e in
cui nulla più è capace di stupirci . Chissà qual è questa meta tanto immaginata quanto desiderata:
forse non sappiamo neanche quale sia il paese che più si addica alla nostra personalità o al nostro
progetto di vita, però ognuno si porta nel cuore il desiderio di visitare o di stare in un altro angolo
del globo terrestre anche solo per curiosità, nata dall’aver visto una foto o aver sentito un
racconto che ha destato la propria attenzione.
Nella scelta della meta di un viaggio c’è sempre una parte di noi stessi che pare riconoscersi in quel
poco di cui è a conoscenza riguardo a quel paese.
Io ho il desiderio di riuscire a spogliarmi da tutto ciò che ho di superfluo, di liberare le mie mani da
quello che ora sembra il mio “tutto” per accogliere un altro “tutto”, più soddisfacente, più
autentico.Talvolta qui risulta difficile resistere a tutti i bisogni indotti a cui potrei fare a meno e
percorrere una via alternativa allo stile di vita comune.
Dunque opterei per quel paese per il quale i termini ”povertà” e “ricchezza” non possono fare a
meno di coesistere. Avrete pensato all’Africa immagino: risponde alla descrizione. Ma io stavo
pensando al Sud America: vorrei fare un salto alla favela di Rio, quella di Varginha. Le favelas sono
l’altra faccia del Brasile o forse l’unica vera, quella dallo spirito più “caliente” e più popolare,
nonostante siano la grande dimostrazione di quanto possano essere inique le decisioni politiche
dell’uomo. Mi hanno affascinato le parole del Papa in visita a Rio, cariche di speranza per questa
terra: “…la vera ricchezza non sta nelle cose, ma nel cuore”.
Sembrerà troppo audace, ma vorrei anch’io sorbire il gusto di quella povertà affannata, trovarmi la
sera a condividere l’unica pentola di fagioli con molte persone sotto la stessa baracca di fango e
molte altre cose che ho solo sentito dire, ma di cui forse neanche riuscirei a sopportarne il disagio
avendone solo sentito parlare. Vorrei ascoltare le loro storie che forse non hanno nulla da
invidiare alle nostre quanto a coraggio. Voglio vedere i volti di quella gente che combatte ogni
giorno per sopravvivere e che nonostante tutto riesce a sorridere (loro tratto caratteristico a detta
di tutti) e alla fine riuscire a trovare il giusto mezzo per affrontare la mia vita e sapere chi sono.
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sogni di ghiaccio
di muffin2 (Medie Superiori ) scritto il 02.02.14
Chiudi gli occhi, immagina. Un colore: bianco. Una sensazione: freddo, brividi, libertà. Un odore:
fresco. Un rumore: fruscii, ogni tanto un boato. Apri gli occhi. Hai davanti a te una distesa di neve e
ghiaccio sterminata, senti solo il rumore della slitta sotto i tuoi piedi, ogni tanto una crepa nel
ghiaccio, il respiro affannato di otto cani, i tuoi compagni di viaggio. Se sei fortunato puoi vedere
un orso solitario, il signore dei ghiacci, o una mamma orsa con due batuffoli di pelo bianco al
seguito. Le mani, anche sotto il doppio strato di guanti, si stanno raffreddando. Al naso e agli
zigomi, ormai bordeaux e congelati, non ci pensi più: sei troppo impegnato a guardare il
paesaggio; magari ti sembrerà tutto uguale, ma non è così. E’ in continua evoluzione. Sei su una
nave, guardi un enorme ghiacciaio davanti a te: senti uno sfrigolio leggero, pochi secondi dopo il
rumore diventa più forte, fino a culminare in un boato nel momento in cui una montagna bianca si
tuffa nell’oceano dando vita ad un iceberg. Una grande onda sembra travolgerti, E’ il fenomeno
dell’ “iceberg calling”. E’ ormai sera, vieni ospitato in un villaggio di inuit. Mangi pesce intorno al
fuoco, in un igloo o in una tenda coperta di pelli. Decidi di sfidare un’ultima volta il freddo: esci. Ne
vale la pena, davanti a te uno spettacolo unico: l’aurora boreale. Sei in Alaska. Terra selvaggia e
inospitale, 49° Paese degli Stati Uniti d’America dal 1959, fin troppo sfruttata per le sue ricchezze
del sottosuolo e per il commercio di pelli, unica per la bellezza dei paesaggi e per la sua fauna.
Perché vorrei andare in Alaska? Certo, potrà sembrare un motivo banale e infantile, ma tutto
nasce nell’epoca delle videocassette. “Balto” era il mio film preferito da bambina, l’incubo dei miei
genitori che erano obbligati a guardarlo quasi tutti i giorni, ovviamente prontissimi a mandare
avanti il nastro un attimo prima della scena dell’orso di cui avevo paura. Balto, un Siberian Husky,
contribuì realmente nel 1925 a trasportare, per parte dei mille chilometri che separano Nome da
Nenana, l’antitossina necessaria per curare un’epidemia di difterite. Quando arrivò nella cittadina
di Nome con la medicina diventò un eroe. I cani da slitta erano l’unica speranza per i malati, infatti,
allora come in parte anche oggi, i centri abitati dell’Alaska sono isolati e difficilmente raggiungibili.
Prima o poi il mio sogno diventerà realtà: cappello da guidatore in testa, piedi ben saldi sulla slitta,
una carezza di incoraggiamento ai miei cani, sarò pronta per gridare “Mush” e partire per
l’avventura.
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La bellezza è negli occhi di chi guarda
di corda (Medie Superiori ) scritto il 13.02.14
Smetti di pensare a ciò che hai lasciato a casa, per favore. Dimentica il telefono sul tavolo, la
macchina fotografica nella tasca esterna dello zaino. Finiscila di contare i chilometri percorsi, che
non serve a niente. Prendi la guida, quella che hai comprato nell’edicola del centro. Ora gettala nel
cestino. L’ora del turista è finita. Adesso bisogna iniziare a vivere. Scendere in strada, ecco cosa
devi fare. Senza preoccuparti della tua meta. Il tuo vero viaggio inizia adesso. Guarda intorno a te.
Sei deluso? Ti aspettavi kimono, ombrellini rossi e ventagli ad ogni angolo? Avrai del tempo anche
per quelli, niente paura. Fidati, lasciati guidare.
E finalmente eccomi qui, sono arrivata, Kyoto. Una delle poche città scampate alla seconda guerra
mondiale, racchiude in sé tutta la cultura giapponese. Con le lanterne colorate, il famoso tè verde
i giardini. Dà una sensazione di pace camminare in un classico giardino giapponese. Immersi nella
natura, come un ritorno alle origini. Pura illusione. Nessuno ha idea di quanto lavoro ci sia dietro,
nulla è lasciato al caso. Ogni pianta sta esattamente al suo posto, ogni ramo, ogni petalo. Perfetto.
E tu, appena vi metti piede, entri a far parte della perfezione. E ti senti bene. Certamente il luogo
adatto per liberare la mente, in cui rifugiarsi dopo una giornata no.
Ma se alla natura preferiamo la vita mondana, non c’è che da raggiungere la stazione. Una delle
più grandi e delle più trafficate. Impossibile salire su un treno e non immedesimarsi in un piccolo
impiegato giapponese. Con la sua valigetta in mano, che non vede l’ora di tornare a casa e poter
togliersi la giacca, farsi un bagno caldo e mangiare riso insieme alla sua famiglia.
Famiglia. Bella parola, davvero. Ma quaggiù le cose non sono così semplici. Il nostro amico
giapponese desidererebbe tanto tornare a casa, abbracciare suo figlio. Però non può. Il suo lavoro
è scandito da ritmi serratissimi, a cui non può trasgredire. Qui la vita è frenetica da morire. Non è
tutta rose e fiori come ci lasciano immaginare gli animi alla televisione. Qui si corre.
Credo che la vera bellezza di questo paese sia proprio questa. È scoprire il Giappone diverso da
quello che ti avevano mostrato i tuoi fumetti. Capire che le luci colorate di notte, gli abiti
tradizionali, i fiori curati alle finestre, sono solo una parte di questo mondo, ai nostri occhi tanto
lontano. Realizzare finalmente che in quell’arcipelago di 6852 isole non troveremo i nostri idoli dai
capelli colorati, occhi enormi, nasi perfetti. Una porta si è chiusa, quella della fantasia, ma un’altra
si è spalancata davanti ai nostri occhi. E io non vedo l’ora di attraversarla.
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Armonia del Sol Levante
di delcarmine (Medie Superiori ) scritto il 14.03.14
Miti e storie antiche, leggende di eroi e samurai.
Particolari gesti e sottili differenze, anche impercettibili, nel modo di esprimersi e di relazionarsi
con gli altri.
Il reciproco e profondo rispetto, le rigide regole di comportamento e l’attaccamento morboso alle
tradizioni e alle usanze degli antenati.
Una cultura affascinante.
Preziosa, rara e delicata, come un fiore di loto.
E’ equilibrio, è saggezza, è novità e futuro; è tradizione e autocontrollo; è storia e fantasia.
Cela in sé l’unione degli opposti. E’ il mistico Giappone.
Dietro ogni simbolo, un significato; dietro ogni immagine, una storia.
Ha un alone di mistero, e una stretta connessione con ciò che è stato, e con gli spiriti, le credenze, i
miti.
Una tra le molte particolarità è il senso di pudore generale, e la ricerca dell’armonia interiore, fa
apparire tutto ancora più bello e inestimabile, come i baci rubati che si scambiano gli innamorati.
E’ mal visto ed è irrispettoso fare ciò in pubblico.
Ma la terra dei fiori di ciliegio e delle geishe ospita tanto altro da vedere: è anche la patria della
tecnologia e delle grandi metropoli, della gioventù ribelle e delle festività.
Ogni piccola sfaccettatura e peculiarità di questo posto è arrivata a me con un mezzo blando e
poco affidabile. La televisione.
Ho ugualmente accolto a braccia aperte queste nuove conoscenze e ogni brandello di sapere in più
era prezioso.
Ciò ha sollecitato la mia fantasia, catturato la mia curiosità.
Piccole figure animate che involontariamente affascinano e catturano.
I ragazzi giapponesi inoltre sono molto appassionati di cartoni e fumetti, e spesso vengono svolti
feste, raduni e molto altro, diventando parte della quotidianità.
Un altro elemento accattivante, soprattutto per noi giovani.
Il Giappone è una commistione di elementi assai diversi tra loro, ma che nell’insieme formano una
miscela affascinante, ricca, meravigliosa.
Un equilibrio in pratica perfetto, tra passato e presente, nonché futuro.
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Sinergia tra medicina orientale e occidentale
di marte9 (Medie Superiori ) scritto il 29.01.14
Nella vita di ognuno di noi arriva un momento in cui si ha voglia di crearsi un futuro proprio, una
propria vita, seguire le proprie inclinazioni.
Quando arriverà per me questo momento, con la mia valigia carica delle mie esperienze e della
mia laurea in medicina, partirò per la Cina.
La Cina è il paese che fin da bambino ha sempre destato interesse e curiosità in me; forse
dapprima era un interesse spontaneo, non dovuto a nessun motivo particolare, ma via via che è
passato il tempo, approfondendo la storia e la cultura di questo paese, quel primo interesse è
diventato vera passione.
La cosa che mi attrae di più della Cina è la cultura popolare delle sue genti, tramandata da
generazione in generazione ormai da millenni; soprattutto è di mio grande interesse l’ambito
medico-curativo della cultura cinese in quanto è in comune con il mio più grande sogno,
frequentare medicina.
Nel “ dialogo dell’Imperatore Giallo”, il libro di maggior importanza per la medicina tradizionale
cinese i termini usati per descrivere il corpo sono gli stessi che vengono usati per descrivere
l’impero, infatti nella cultura cinese il corpo viene inteso come un universo in miniatura, regolato
dalla burocrazia; da qui la sostanziale differenza tra medicina orientale e occidentale.
Secondo le antiche credenze nel corpo umano si trovano cinque organi cavi e altrettanti pieni che
collaborano tra loro per formare un insieme energetico che comprende anche la sfera psichica
dell’individuo.
L’alimentazione è molto importante ai fini della medicina cinese poiché ogni prodotto proveniente
dalla terra ha specifiche proprietà legate al colore, al sapore e alla provenienza. Per esempio ad un
uomo propenso a soffrire il caldo o l’insonnia ( che tendenzialmente portano a pensare al fuoco)
verranno prescritti dal curatore alimenti che posseggono una natura fredda che placheranno il
fuoco dell’individuo.
Nonostante all’apparenza noi disponiamo di attrezzature medico-scientifiche maggiormente
all’avanguardia, è ovvio che vi sono lacune da colmare. Alcune delle quali, probabilmente con
l’aiuto di antiche medicine.
Ecco, vorrei costruire un nuovo modello di salute e cura delle malattie in grado di far cooperare la
sapienza medica della tradizione cinese con la scienza medica occidentale. Vorrei attuare una
cooperazione fra i due diversi approcci alla medicina, con la finalità di esplorare concrete
opportunità per curare malattie con la sapienza millenaria di medicine ben più collaudate della
nostra.
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PROFUMO D'ORIENTE
di fresha (Medie Superiori ) scritto il 02.02.14
Pier Paolo Pasolini, nel suo “Corpo e luoghi” diceva: “Lo Yemen, architettonicamente, è il paese
più bello del mondo. Sana’a, la capitale, è una Venezia selvaggia sulla polvere senza san Marco e
senza la Giudecca, una città-forma, la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma
nell’incompatibile disegno… è uno dei miei sogni”. Lo Yemen è anche uno dei miei sogni.
La prima volta che sentii parlare dello Yemen, fu il racconto di un viaggio fatto da una coppia di
amici di famiglia. Rimasi affascinata dalla descrizione del mare e delle città strette tra labirinti di
stradine polverose e fantastiche. Mi chiedevo se il deserto fosse davvero una distesa interminabile
di polvere dorata, così ampia ed estesa da sembrare quasi senza via d’uscita. Ero piccola, e forse
anche i racconti delle “Mille e una notte” contribuivano ad aumentare la mia attrazione per i paesi
arabi. Principesse, fughe d’amore, magia, notti fredde e stellate, questo è stato da sempre il mio
sogno orientale.
Profumo di libertà. Lo Yemen profuma di libertà, di leggerezza, di bellezza, di semplicità. Ma la
libertà che mi trasmette non è quella tanto reclamata al giorno d’oggi. E’ qualcosa di più forte. E’ il
voler crescere, dimostrare a me stessa di essere capace di confrontarmi con una cultura non
europea, totalmente diversa da quella in cui sto crescendo. Non è un banale “Vorrei andare in
vacanza nello Yemen”, no. Vorrei conoscere davvero questo luogo così nascosto e incontaminato,
vorrei vivere la realtà dei villaggi yemeniti, scoprire le bellezze naturalistiche così atipiche rispetto
agli ambienti europei e soprattutto, capire le particolarità della cultura musulmana. Vorrei poter
raccontare a mia volta queste esperienze e riuscire ad aprire le menti di noi occidentali al
multiculturalismo.
Potrebbe essere pericoloso? Certo che sì. Ma il desiderio vince la mia paura.
La storia dello Yemen nacque con le prime civiltà stanziate lungo il Mar Rosso e si sviluppò nei
secoli, formandosi e costruendosi secondo gli stili e le tradizioni dei paesi arabi. Una sorta di paese
“padre”, culla e protettore di culture millenarie, segreti e storie di uomini che lì hanno costruito la
propria vita superando le difficoltà. Sono difficoltà ancora presenti, soprattutto nell’economia: la
maggior parte dei cittadini, lavoratori modesti, viene soffocata da una ristrettissima élite dirigente.
Il mio sogno è quello di conoscere questa realtà, indagarla a fondo, studiarla, e magari imparare
qualcosa dal popolo yemenita, che nella sua semplicità e diversità, potrà insegnarmi a guardare e
vivere la vita in un modo genuino e semplice.
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Il Nord
di homer.tlc.06 (Medie Superiori ) scritto il 03.02.14
Sono un ragazzo dall’anima mediterranea, passionale, vivo nel disordine, amo la comunicazione
fine a se stessa, il calcio, la pastasciutta.
Mi piacerebbe fare un viaggio nel nord Europa, il nord dell’ordine e della pulizia, il nord della
calma e della pace, il nord dove lo spreco non esiste, dove tutto ha una sua precisa collocazione.
Mi piacerebbe star seduto sul terrazzo di una locanda con una bevanda calda in mano ad
ammirare il prestigioso sole di mezzanotte finlandese, mi piacerebbe farmi trainare sulla neve da
una slitta di husky, di notte, mentre sopra di me risplende, tra l’intenso bagliore delle stelle,
l’aurora boreale. Vorrei visitare Stoccolma e i suoi luoghi colti, camminare per le strade dove le più
grandi menti contemporanee hanno camminato orgogliosi prima di ritirare l’ambito Nobel. Poi
raggiungerei l’Islanda, terra di vulcani, e cercherei la pace nelle sue risorgive termali perdendomi
con lo sguardo nell’immensità delle sue praterie.
Vagherei per i grandi boschi della Norvegia scoprendo alci e aquile, orsi e salmoni che emergono
saltando dai fiumi, gelidi, che scorrono in quelle terre incantate. Mi specchierei su un grande lago,
sentendomi nuovo e forte, ammirando sullo sfondo le imponenti e candide montagne riflesse
nell’acqua.
Mi fermerei a sedere, come un poeta romantico, sui frastagliati fiordi, dove il mare sbatte con
violenza e senza pietà come il cervo, che vedo da distante, che picchia con le sue mastodontiche
corna contro una albero per far scendere i suoi deliziosi frutti, maturati alla perfezione in quell’aria
limpida sfruttando i tenui raggi solari che con il loro leggero bagliore, nella bella stagione, rendono
fiabesco quell’incontaminato verde.
Insomma, il nord Europa è un territorio spettacolare e per certi versi inesplorato, ricco di storie e
cultura, ma non vi si trova solo un’incontaminata natura, si trova un uomo capace di vivere in
simbiosi con la natura, che sin dai tempi più remoti vive nel suo rispetto, capace di sfruttarla per
produrre grandi opere ma senza farle danno alcuno.
Vorrei visitare qui posti ed entrare in quella mentalità, così diversa da quella alla quale sono
abituato, dispersiva, irrequieta che tende a trascurare e sprecare ciò che di meraviglioso il nostro
paese offre e diventare una persona riflessiva e rispettosa.
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LA MIA INDIA
di menta99 (Medie Superiori ) scritto il 06.02.14
Non possiamo scegliere dove nascere ma possiamo immaginare come sarebbe la nostra vita in un
altro posto. Se potessi decidere io dove vivere, sceglierei l’India. Fin da piccola immaginavo l’India
come un Paese sempre in festa e in allegria. E ancora oggi lo immagino così perchè nella mia
mente ci sono ancora le fantasie di me, bambina, che rimanevo affascinata dalle storie che mi
venivano raccontate. Immagino le case color mattone bruciate dal sole e i panorami che si
possono osservare dai loro terrazzi. Provo a immaginare l’odore profondo delle spezie che
caratterizza ogni via e i grandi mercati che si allestiscono nelle piazze. Ho sempre visto l’India
come un paese colorato proprio per gli abiti che si indossano. I vestiti risaltano grazie ai loro colori
sgargianti e alle loro decorazioni. Ma ciò che mi ha sempre attirata della cultura indiana è la danza
caratterizzata da coreografie piene di vita accompagnate da musiche particolari. Le vere
protagoniste sono le danzatrici dotate di un’incredibile scioltezza e grazia. Una parte di me vuole
ancora immaginare l’India con gli occhi di quella bambina che ascoltava le storie, ma crescendo ho
capito che l’India è un Paese con molte problematiche. E’ sovrappopolato e per questo motivo
gran parte della popolazione vive in povertà. La società è suddivisa in caste e i più poveri vengono
emarginati e non hanno opportunità di riscattarsi. Molti bambini muoiono di fame a causa di
malattie,malnutrizione e scarsità di igiene. I matrimoni vengono combinati dalle famiglie e le
donne non hanno possibilità di scegliere il loro futuro e molte volte vengono anche maltrattate.
Tutti questi aspetti negativi mettono in dubbio il perchè io abbia scelto proprio l’India come paese
alternativo in cui vivere. Quando iniziai a seguire i notiziari al posto dei cartoni animati,
nonostante fossi ancora relativamente piccola,iniziai a scoprire tutto quello che accadeva nel
mondo che mi circondava. Credevo che quando sarei diventata adulta avrei potuto cambiare le
cose e le situazioni critiche dei paesi come l’India. Ho sempre avuto le idee chiare su quello che
sarebbe stato il mio futuro. Vorrei diventare una pediatra e se ne avrò la possibilità andrò in India
per salvare quegli stessi bambini che muoiono di fame e che invece dovrebbero avere una vita
spensierata come tutti gli altri bambini del mondo. Si dice che le persone indossano sempre una
maschera e, ora che sono cresciuta, credo che anche l’India ne indossi una: le danze, le spezie, i
vestiti colorati sono come una maschera per nascondere all’apparenza tutti i problemi di cui
risente.
Concorso Repubblica

Costa d’Avorio
di repubblicaluca (Medie Superiori ) scritto il 16.02.14
Leggendo ‘365 jours pour réfléchir à notre Terre’ del fotografo Yann Arthus-Bertrand la mente non
può smettere di viaggiare, volando dalle calde acque della Nuova Caledonia, agli affascinanti
paesaggi londinesi, dalle incredibili infrastrutture giapponesi alle trivellazioni idriche rurali della
Costa d’Avorio; qui la mente rallenta e medita. Povertà, fame, siccità, disperazione, sfruttamento:
possono mai rappresentare un’attrazione? Ebbene sì.
Si parte alla ricerca non solo di un Paese, ma dell’acqua, del cibo, della vita, laddove non ci sono
grattacieli da vedere ma trivellazioni idrauliche rurali nella regione di Bouna. Marrone, arancio e
giallo, colori naturali dominano i campi enormi in cui si scava alla ricerca del trasparente. Uomini e
donne sono lì per fare qualcosa di apparentemente scontato: bere. Lo scavare nella terra è
metafora dello scavare dentro di sé, in un luogo dove non c’è posto per la vanità, dove si combatte
per la sopravvivenza e provare la gioia di esser riusciti a superare la forza dell’ostile natura e della
crudele umanità. Se la domanda di senso circa l’esistenza attraversi le menti delle povere genti
non è dato sapere a nessuno, ma certamente l’atterraggio su una pista circondata dal ‘nulla’ e il
‘nulla’ all’orizzonte provocano un forte senso di sgomento in qualsiasi occidentale alla scoperta di
una terra in cui ad avere valore è un sorriso. Nulla è sofisticato, nulla è superfluo, ciò che c’è è
genuino; le donne preparano semplici piatti a base di riso, uomini e bambini faticano dall’alba al
tramonto, esposti a temperature elevatissime pur di non tornare a casa senza un contenitore
pieno d’acqua. Non esistono grandi aziende, non c’è un grande mercato, tutto è basato
sull’autoconsumo, la feroce lotta tra gli uomini è ancora sconosciuta in questa terra. Si apprezzano
la semplicità, la spontaneità e la naturalezza di tutto ciò da cui si è circondati e ci si interroga su
come la vita possa essere possibile in tali condizioni, ma la realtà non è ingannevole e, per quanto
si possa cercare di convincere se stessi di non rappresentare degrado e corruzione, non si riesce a
chiudere gli occhi davanti ad essa.
Il viaggio diventa il simbolo di un percorso attraverso la storia dell’umanità e dei suoi valori,
arrivando ad un bivio in cui ci sono grandi cose apparentemente belle e cose dalla trasparente
genuinità; non si sa quale strada prendere, preferire o semplicemente in quale identificarsi. La
guida sarà tale viaggio nel cuore dell’Africa.
Concorso Repubblica

Riso fritto, al curry o alla soia?
di talete (Medie Superiori ) scritto il 26.02.14
La storia del mondo è piena di popoli che emigrano, persone che, per le cause più disparate, che
vanno da quelle economiche a quelle lavorative, dalla ricerca della propria essenza alla necessità
di trovare una pace, hanno abbandonato la loro patria, la loro casa, la loro famiglia, partendo per
un paese ignoto. Arrivata alla soglia della maturità, a trovarmi di fronte alla realtà della fuga dei
cervelli, mi chiedo: “Per quale ragione me ne andrei? Per quale paese sarei disposta a tutto ciò?”
La risposta è chiara, lampante. La Malesia. Ci sono cose, della nostra cultura, di quella occidentale,
che non ho mai sopportato: la convinzione radicata che lo straniero sia negativo, che la religione
sia causa di guerra, che per impaurire i bambini si debba dire:” Se non fai il bravo viene l’uomo
nero e ti porta via!” Perchè proprio nero? Perchè non diciamo l’uomo grigio? Il grigio è un colore
altrettanto triste e negativo! Perchè non facciamo arrivare un fantomatico uomo “brutto”? E’
risaputo che ai bambini le persone poco carine non piacciano! Così mi sono innamorata del luogo
dove lo straniero non esiste. Dove cercare di convincere un bambino che un diverso credo è fonte
di guerra, è impossibile: perchè il suo migliore amico, la sua compagna di banco, dovrebbero
volere una guerra? Dove minacciarlo con :” Viene l’uomo nero!” è una frase insensata! Che
problema c’è se arriva il suo vicino di casa o la sua maestra? Esiste un posto al mondo dove i
Cattolici festeggiano il Capodanno cinese nei tempi buddhisti. Dove i Mussulmani durante l’Hari
Raya trovano ospitalità nelle case cinesi. Dove in una casa Indu non manca mai il cibo che la
religione musulmana impone di mangiare. Un paese delle meraviglie dove il motto è Satu
Malaysia: una Malesia. Esiste un posto nel mondo dove puoi restare per sempre un bambino, un
eterno Peter Pan, che cammina scalzo per le strade, che mangia con le mani, che beve da una
cannuccia infilata in un sacchetto di plastica, senza che nessuno ti dica niente, che nessuno ti
guardi male. In meno di quindici minuti puoi attraversare strade deserte come quelle del Texas,
ritrovarti in una foresta al centro di una città attiva e con uno skyline simile a quello di Londra, per
poi arrivare, in pochi minuti, a spiagge che ti tolgono il fiato. La Malesia è l’insieme di tre culture
totalmente diverse tra loro, che riescono a convivere insieme. E’ il panorama del mondo racchiuso
in pochi chilometri quadrati. E’ l’unico paese della Terra dove, se lasci una finestra aperta, al posto
di un ragno, o al massimo un geco, al tuo ritorno, puoi trovare una scimmia che salta sul tuo letto!
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