G.M. ANGIOY E LA SARDA RIVOLUZIONE - GIUSEPPE SCIUTI, INGRESSO TRIONFALE DI GIOMMARIA ANGIOY A SASSARI SASSARI, PALAZZO DELLA PROVINCIA, SALONE ...

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G.M. angioy e LA SARDA RIVOLUZIONE
            Vincenzo Medde · Liceo “Alessandro Volta” · ghilarza

 Giuseppe Sciuti, Ingresso trionfale di Giommaria Angioy a Sassari
   Sassari, Palazzo della Provincia, Salone delle adunanze, 1878
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la sardegna in quattro tappe
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    1. Secoli xv-xviii. La Sardegna spagnola. Feudi e rappresentanza politica.
    2. 1720-. La Sardegna sabauda. Immobilismo e riforme.
    3. 1789-1799. La Rivoluzione francese. Uomini, idee, istituzioni.
    4. La Sarda rivoluzione
          1793 – La mobilitazione antifrancese. La Cinque domande.
          1794 – La cacciata dei Piemontesi. La controffensiva sabauda.
          1795 – Il separatismo sassarese. I moti antifeudali.
          1796 – L’iniziativa di G.M. Angioy. La sconfitta e la repressione.
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la sardegna aragonese e feudale
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    • Il 4 aprile 1297 il Papa Bonifacio VIII
      concedeva in feudo perpetuo il regno di
      Sardegna e Corsica al re Giacomo II re
      d’Aragona.
    • Subito dopo l’invasione e l’occupazione
      dell’isola, i re d’Aragona assegnarono
      in feudo ai nobili aragonesi, valenzani,
      maiorchini grandi estensioni di terre.
    • Sotto il comando dei feudatari iberici,
      insieme con le terre finirono anche i Sardi
      che le abitavano, ai quali con la forza
      furono imposti obbedienza, lavoro e tasse.
    • La concessione dei feudi. Atti, simboli e
      cerimonie

                                                    Giacomo ii
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la sardegna aragonese e feudale
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i tributi feudali – 1
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    Il feu, pagato in natura o in denaro, dal singolo       fosse stata più o meno produttiva; ciò che in certi
    vassallo, oppure dal villaggio che poi provvedeva       anni metteva in crisi quegli agricoltori che poco
    a ripartire l’intero tributo tra gli abitanti a         avevano ricavato dalla semina.
    seconda della capacità economica. In questo caso
                                                            I pastori proprietari di pecore, capre, vacche,
    i capifamiglia erano divisi in tre categorie “mayor,
                                                            maiali pagavano il deghino o erbatico, cioè
    mediana, infima”. Gli ecclesiastici, i cavalieri,
                                                            un certo numero di bestie per ogni branco di
    alcuni pubblici ufficiali, i capi della milizia, i
                                                            almeno dieci capi. I pastori, oltre al deghino, a
    famigliari dell’Inquisizione non pagavano il feu.
                                                            seconda delle tradizioni locali, dovevano anche
    La portÀdiga, che era l’obbligo di portare              altri tributi: per poter marchiare il bestiame, per
    con mezzi e spese proprie nei magazzini del             poter pascolare nei seminati dopo la mietitura,
    feudatario il grano, l’orzo, le fave, gli animali, la   per poter raccogliere le ghiande.
    legna, la paglia che i vassalli gli dovevano.
                                                            Il deghino e il llaor de corte non erano tributi
    La roadia, che comportava l’obbligo di lavorare         progressivi, pagati cioè in base a quanto si
    per un certo numero di giorni nelle terre del           possedeva; infatti chi seminava 4 ettari pagava
    feudatario.                                             quanto chi ne seminava 20, e nel Meilogu, ad
                                                            esempio, i pastori pagavano 8 pecore sia che ne
    Il llaor de corte o terratico, a carico degli
                                                            avessero 20 o che ne avessero 200.
    agricoltori, che dovevano al feudatario una
    parte del grano seminato. La quota dovuta era
    calcolata sul grano seminato, indipendentemente
    dal fatto che la semina, a seconda dell’annata,
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i tributi feudali – 2
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    Un altro tributo era l’incarica, una multa che              Questi erano i tributi più diffusi, ma il feudatario
    i villaggi dovevano pagare quando nel proprio               poteva, se ne aveva la forza, e quasi sempre
    territorio si verificavano furti, delitti, e il colpevole   l’aveva, imporre tasse a suo gradimento. I
    non veniva scoperto. I pastori, inoltre, dovevano           vassalli di Montemaggiore dovevano pagare al
    pagare la machizia, una multa per gli animali               duca dell’Asinara gli uppeddos de sos sorighes
    che danneggiavano i seminati; il nome deriva                (gli imbuti dei sorci), due imbuti di grano per
    dal fatto che, in certi casi, gli animali sorpresi nei      ogni starello pagato come llaor de corte per
    campi seminati potevano essere uccisi, macellati.           ricompensare il feudatario per la parte di grano
    L’incarica e la machizia diventarono nel tempo              mangiatogli dai topi; e il barone di Ossi esigeva
    dei tributi fissi, indipendenti dal fatto che si            dai suoi vassalli una carretta di grano come segno
    verificassero dei delitti o che i seminati fossero          di riconoscenza per essersi trasferito da Alghero a
    danneggiati.                                                Sassari, città più vicina a Ossi.
    I contadini possidenti quando vendevano un                  Altrettanto pesante era il gravame della decima,
    loro terreno dovevano pagare al feudatario un               riscossa dal clero tanto puntigliosamente che
    altro tributo, il laudèmio. La regalìa era                  a Bitti il parroco – come constatò il viceré des
    invece l’obbligo di utilizzare, pagando, i mulini e i       Hayes durante la visita al Regno che fece nel 1770
    forni del feudatario. In occasione di alcune feste          – negava il sacramento a chi, ritenendola non
    importanti come il Natale e la Pasqua, il signore           dovuta, rifiutava di pagare la decima sulle cipolle.
    pretendeva un altro dono, il presente.
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un feudatario: il duca dell’asinara
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                                       Piantando il pugnale sul suolo: «Siediti
                                       qui, anima di cane!», rispose un vassallo
                                       al duca dell’Asinara, don Antonio Manca,
                                       che, stanco per la caccia, gli aveva
                                       ordinato di piegarsi perché potesse
                                       sedersi sulla sua schiena.
    Antonio Manca, duca dell’Asinara
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la città sfrutta la campagna – 1
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    Sul lavoro dei contadini e
    dei pastori vivevano, oltre ai
    feudatari, agli ecclesiastici,
    alla corte anche le città della
    Sardegna. I contadini infatti
    erano obbligati a consegnare
    una parte consistente del grano
    che producevano a un prezzo
    di favore stabilito dal re. Così,
    Cagliari requisiva forzatamente
    il grano di 119 villaggi del Capo di
    sotto; Sassari il grano di 21 villaggi
    del Logudoro, della Romangia e
    dell’Anglona; Oristano il grano
    di 20 villaggi del Campidano, del
    Mandrolisai, del Marghine, della
    Parte Barigadu; Alghero il grano
    di 87 villaggi del Monteacuto, del
    Goceano, della Barbagia di Bitti.
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la città sfrutta la campagna – 2
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    Per di più, i contadini dovevano portare essi         obbligatorio non erano le sole angherie della città
    stessi, con i propri animali (buoi, cavalli,          nei confronti della campagna. Nel settore del
    muli, asini) e a proprie spese il grano in città,     commercio e dello scambio il comando cittadino
    impiegando per questo anche intere giornate di        era, se possibile, ancora più vessatorio e iniquo.
    cammino, tempo ovviamente tutto sottratto al          I contadini non potevano vendere i loro prodotti
    lavoro nei campi del villaggio.                       liberamente e al prezzo di mercato: dovevano
                                                          portarli in città, pesarli sulle bilance imposte dal
    Se poi, in occasione delle cattive annate, i
                                                          re, offrirli al prezzo imposto dalle autorità urbane;
    contadini non consegnavano il grano nella
                                                          e solo in città potevano comprare gli oggetti,
    quantità fissata, le città inviavano nelle campagne
                                                          gli attrezzi, i tessuti e le merci di cui avevano
    i loro agenti con l’incarico di sequestrare il
                                                          bisogno: nessuno poteva impiantare negozi e
    grano di cui avevano bisogno. In queste azioni di
                                                          rivendite, neppure temporanee, nei villaggi.
    sequestro i commissari delle città commettevano
                                                          Non potevano neppure comprare in città e poi
    molti abusi, lasciando i contadini talvolta senza
                                                          rivendere nei villaggi, perché il commercio poteva
    neppure il necessario per la semina l’anno
                                                          essere esercitato solo dai cittadini. Occorreva
    successivo. I villaggi allora chiedevano protezione
                                                          chiedere un permesso anche per impiantare
    al re, con risultati quasi sempre deludenti e, in
                                                          tende, baracche e bancarelle in occasione
    ogni caso, mai riparatori delle violenze e degli
                                                          delle feste e delle fiere paesane; e per avere il
    espropri subiti.
                                                          permesso a bisognava comunque pagare una
    Ma la requisizione forzata del grano e il lavoro      tassa.
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quanti erano i sardi?
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    Anno   Villaggi Fuochi   Abitanti    Ab/Kmq
    1485   369      26.263   100/120.000 4 c.
    1589   351     65.540    260/270.000 11 c.
    1627   357     77.406    310/320.000 13 c.
    1655   353     62.563    240/250.000 10 c.
    1678   356     74.822    300/310.000 13 c.
    1688   358     61.645    230.321     9,5
    1698   355     66.868    260.551     10,8
    1728   358     82.314    310.096     12,8
    1751   355     93.811    360.392     15,0
    1782                     436.000     18 c.
    1821                     462.000     19 c.
la Sardegna sabauda: 1720-1750-1790
10

     • Spagna-Austria-Piemonte                          del clero si aggiungevano quelli dei quali
                                                        beneficiavano, per tradizione secolare,
     • Circa 300.000 abitanti; una regione
                                                        le città regie (Cagliari, Sassari, Oristano,
       pressoché spopolata, con una densità, nel
                                                        Bosa, Alghero, Castelaragonese, Iglesias).
       1728, di appena 12,87 ab. per kmq, con
       zone al suo interno, come i circondari di      • La classe dirigente – ormai
       Iglesias e di Tempio, nelle quali la densità     completamente spagnolizzata – non
       per abitante scendeva a 7,5 e a 5,30 per         era capace di esercitare un ruolo
       kmq. Cagliari, capitale del Regno, 16.294        politico e culturale autonomo, mentre
       abitanti, Sassari, capitale del Capo di          le classi subalterne si trovavano nella
       Sopra, 13.733.                                   impossibilità di esprimere una pressione
                                                        reale per un mutamento
     • Giurisdizione feudale e immunità
       ecclesiastiche, sottraevano alla possibilità   • I trattati di cessione imponevano la
       di intervento dello Stato i nove decimi          conservazione dei diritti, statuti, privilegi
       della proprietà terriera, rendendo perciò        esistenti. «Seguire in ogni cosa le tracce
       difficile un intervento riformatore nelle        che vi hanno lasciato li spagnoli».
       campagne. Ai privilegi dei feudatari e
nulla cambia 1720-1750
11

     • I Savoia ricevono di malavoglia la
       Sardegna.
     • Resistenze: nobili, clero, banditi.
     • Che nulla cambi.
     • Conoscere la situazione sarda.
     • Almeno limitare le resistenze.
     • Lotta al banditismo, diffuso soprattutto
       nel Logudoro e nella Gallura: «a chiunque
       vi cada nelle mani, anche se nobile, fategli
       tagliare la testa che esporrete nel luogo
       più appropriato per servire d’esempio»
       (marchese di Rivarolo).

                                                      Il marchese di Rivarolo
l’organizzazione del potere – 1
12

     La struttura politica e amministrativa           un intendente generale che rispondeva
     era quella esistente sotto il dominio            dei suoi atti direttamente a Torino, e, per
     precedente. Il viceré – Luogotenente             questo, spesso entrava in contrasto con il
     generale del Re e Capitano generale –,           viceré. A questi corpi, tutti di nomina regia,
     cioè capo sia dell’amministrazione civile e      e composti nella gran parte di funzionari
     giudiziaria, sia delle forze armate di terra e   originari dagli Stati di terraferma, si
     di mare, aveva accanto a sé un Segretario        aggiungevano in rappresentanza dei ceti
     di Stato, con personale addetto alla             dell’isola, gli Stamenti, espressione della
     segreteria, tutti, come il viceré, di nomina     nobiltà, del clero e delle città reali che si
     regia. II viceré era assistito, nel disbrigo     sarebbero dovuti congregare in Parlamento
     delle funzioni giudiziarie e negli uffici        (cortes) ogni dieci anni, ma che si riunirono
     politici, dalla Reale Udienza , costituita dai   soltanto nel 1793, quando i francesi
     giudici del massimo livello, sia nazionali,      cercarono di conquistare la Sardegna.
     sia piemontesi, anch’essi di nomina regia.
                                                      I rappresentanti dei feudatari, dei nobili, dei
     Tutti gli affari passavano attraverso le mani
                                                      cavalieri si riunivano nello S. militare; i ve-
     del reggente la Cancelleria di Stato, la cui
                                                      scovi, i superiori degli ordini religiosi, nello
     importanza era seconda soltanto a quella
                                                      S. ecclesiastico; i rappresentanti delle città
     del viceré.
                                                      reali (Cagliari, Sassari, Alghero, Castelarago-
     L’amministrazione finanziaria dipendeva da       nese, Oristano, Bosa, Iglesias) nello S. reale.
l’organizzazione del potere – 2
13

     I tre stamenti riuniti formavano il Parlamen-     burocratiche esistenti a Cagliari.
     to che si riuniva ogni dieci anni, in genere
                                                       Le sette città reali si amministravano
     a Cagliari, presieduto dal viceré. Ogni sta-
                                                       secondo gli statuti tradizionali – in verità
     mento aveva un presidente, chiamato prima
                                                       non molto dissimili l’uno all’altro – con
     voce, che aveva il compito di organizzare le
                                                       una certa autonomia rispetto al potere
     riunioni, coordinare i lavori, tenere i rappor-
                                                       viceregio, ma anche con una certa
     ti con il viceré e con gli altri stamenti.
                                                       dipendenza che diventò assoluta con la
     A Sassari, che era la capitale del Capo di        riforma del 1771; le «ville», all’interno del
     sopra, esisteva una struttura burocratica         feudo, avevano una struttura burocratica,
     analoga, sia pure a un livello inferiore e        certo elementare, ma non per questo meno
     dipendente: un Governatore, una Real              vessatoria, alle dirette dipendenze del
     Governazione – con funzioni simili a              feudatario, nella maggiore parte dei casi
     quelle della Reale Udienza – e il duplicato,      rappresentato in loco da un podatario di sua
     con funzioni più limitate, delle strutture        fiducia.
il tempo delle riforme 1750-1790
14

     • limitazione dei privilegi ecclesiastici, del diritto d’asilo, delle
       immunità ecclesiastiche
     • riordino dell’amministrazione della giustizia, codificazione
       definizione delle procedure, riqualificazione professionale
       degli operatori del settore
     • servizio postale più efficiente sia per i collegamenti con gli
       Stati di terraferma, sia per quelli all’interno dell’isola
     • lavori pubblici e opere di bonifica
     • divieto d’uso dello spagnolo nel parlare e negli atti pubblici,
       incarico a un gruppo di sacerdoti d’insegnare la lingua
       italiana
     • restaurazione, nel 1764, dell’Università di Cagliari e nel 1765
       di quella di Sassari e invio in Sardegna di docenti altamenti
       qualificati.
     • una nuova regolamentazione dell’ospedale di Cagliari, di
       Sassari, di Oristano, di Alghero, di Bosa, di Ozieri
     • riordino e regolamentazione dei Monti frumentari e dei
       Monti nummari                                                         G.B. Lorenzo Bogino
il tempo delle riforme
15

     • Istituzione dei consigli comunitativi.
     • Progetti per dividere fra i sudditi le terre
       comunali.
     • Riscattare le terre feudali per venderle ai
       privati.
     • Campagne di informazione e istruzione
       agraria.
     • Campagne per favorire il miglioramento
       delle specie e dell’allevamento: selezione
       e alimentazione del bestiame, mungitura,
       tosatura, preparazione delle lane, difesa
       degli ovini dalle malattie.
     • Popolamento di zone disabitate.
un’occasione mancata
16

     «L’introduzione di una nuova lingua e la         trarre, cioè, dall’esperienza e dalla cultura
     diffusione di una nuova cultura creavano         del popolo dal quale proveniva quegli
     le premesse per una nuova formazione             elementi di concretezza senza i quali una
     culturale della classe dirigente e per la sua    cultura e una classe dirigente sembrano
     progressiva piemontesizzazione. Porre la         sempre stranieri anche nella loro patria.
     questione che i piemontesi (come poi gli         Questo d’altra parte era l’obiettivo che il
     italiani) hanno privato i sardi della loro       governo sabaudo si era proposto, e che,
     lingua non ha in realtà nessun senso.            nella sostanza, riusciva anche a perseguire.
     L’operazione compiuta fu un’altra: a una         E infatti, quando negli anni tempestosi
     classe dirigente che parlava, scriveva,          della rivoluzione questa classe dirigente
     pensava in spagnolo si impose di pensare,        fu costretta ad assumersi responsabilità
     parlare, scrivere in italiano. Le grandi masse   decisive, il suo fallimento fu completo:
     popolari non hanno in realtà cessato mai di      indecisa tra un municipalismo senza respiro
     parlare nella loro lingua, cioè il sardo.        e un attaccamento alla corona senza
                                                      prospettive, non ebbe il coraggio di mettersi
     La classe dirigente sarda, così come si era
                                                      alla testa dell’ondata rivoluzionaria che
     spagnolizzata, ora si italianizzava senza mai
                                                      veniva dalle campagne». G. Sotgiu
     essere riuscita a sardizzarsi, a riuscire a
le rivolte contadine degli anni ottanta
17

     Nel 1789 a Solanas la popolazione cacciò         Uri, ad Ossi, a insorgere furono i Consigli
     via i soldati e Donigala si schierò accanto ai   comunitativi; a Sennori e a Sorso i vassalli
     contadini della «villa» vicina. La repressione   ricorsero alle armi per impedire che
     fu immediata e dura e i capi del movimento,      venissero compilati gli elenchi di coloro che
     Vincenzo Muscas, Giovanni Marras e Luigi         dovevano pagare il llaor de corte.
     Ligia, pagarono con lunghi anni di carcere la
                                                      Questi ed altri episodi testimoniano che il
     loro disobbedienza.
                                                      regime feudale era ormai entrato in una
     Ma la repressione non servì a frenare la         contraddizione non più tollerabile con
     protesta. Il parroco di Thiesi – feudo del       le esigenze dei contadini, così da dover
     tristemente noto duca dell’Asinara don           ricorrere all’impiego della forza per non
     Antonio Manca – si mise alla testa di una        essere travolto.
     clamorosa protesta popolare; ad Ittiri, a
la rivoluzione francese 1789…
18

       maggio 1789 Stati Generali
       giugno 1789 Assemblea Nazionale
        luglio 1789 Assemblea Costituente
                     4 agosto    Abolizione del regime feudale
                     26 agosto   Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino

        ottobre 1791 Assemblea Legislativa
         aprile 1792 Dichiarazione di guerra all’Austria
                     Abolizione della monarchia e
     settembre 1792
                     istituzione della repubblica
                     Napoleone in Italia contro austriaci e piemontesi.
         aprile 1796
                     Istituzione delle repubbliche:
       gennaio 1799
                     Cisalpina, Romana, Partenopea
quattro anni
19

            «Grandi eventi non vi corrisposero gli uomini».
              Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Milano, Mursia, 1971, p. 820

            La mobilitazione antifrancese.
     1793   Le Cinque domande.

            La cacciata dei piemontesi.
     1794   La controffensiva dei piemontesi.

            Il separatismo sassarese.
     1795   I moti antifeudali.

            L’iniziativa di G.M. Angioy.
     1796   La sconfitta di Angioy e la repressione.
l’invasione francese
20

     Nel 1793 ci fu l’invasione dei francesi. I motivi  dopo aver sbarcato il grosso dell’esercito nel
     che spingevano la Francia : a) provocare un        tratto della spiaggia di Quartu chiamato Margine
     indebolimento di Vittorio Amedeo III per           Rosso (13 e 14 febbraio); dopo confusi ed infelici
     distoglierlo dall’alleanza con gli austriaci; b) lacombattimenti contro le truppe sarde formate
     conquista di un territorio considerato ricco, e chenella gran parte di «miliziani», i soldati francesi
     poteva costituire una nuova base per la flotta nel nella notte tra il 15 e il 16 febbraio furono costretti
     Mediterraneo, in un momento in cui il possesso     precipitosamente e reimbarcarsi. La flotta
     della Corsica era poco sicuro.                     comandata dall’ammiraglio Truguet abbandonò
                                                        definitivamente le acque del porto di Cagliari
     I francesi erano in possesso di informazioni
                                                        il 22 febbraio e il 20 e il 25 marzo una flotta
     superficiali, che dipingevano l’isola come più
                                                        spagnola liberò definitivamente anche S. Antioco
     ricca e gli abitanti più sensibili alla propaganda
                                                        e Carloforte dove erano rimasti presidi francesi.
     rivoluzionaria di quanto non fosse in realtà.
                                                        In analogo insuccesso si risolse il contemporaneo
     Favorevoli a questa spedizione erano anche alcuni
                                                        tentativo – al quale partecipò anche Napoleone
     ambienti corsi, a cui interessava intensificare i
                                                        Bonaparte – di occupare l’isola della Maddalena.
     rapporti commerciali fra le due isole. (Scaraffia,
                                                        In questo modo nello spazio di poche settimane
     719)
                                                        ebbe termine una spedizione militare che era
     Dopo aver occupato l’isola di S. Pietro (8 gennaio stata mal preparata e fu mal condotta. Il Manno
     1793) e pochi giorni dopo S. Antioco; dopo aver    poté scrivere che «la Francia possente invase
     inutilmente bombardato Cagliari (28 gennaio);      la Sardegna, la Sardegna fiacca volle e seppe
                                                        resistere».
l’invasione francese
21

              Gioacchino Corte, Il bombardamento
              francese di Cagliari del 1793.
              Tra le nuvole, S. Efisio, protettore della città.
la resistenza dei sardi
22

     Il viceré Balbiano non fa nulla per difendere l’Isola
     Si preoccupano invece nobiltà e clero, e si organizzano in una serie
     di riunioni stamentarie allargate a elementi borghesi e popolari.
     Emergono figure-guida come l’avvocato Gerolamo Pitzolo e il
     notaio-popolano Vincenzo Sulis.
     Intensa campagna di propaganda contro i francesi: nemici di Dio,
     violentatori di donne, assassini di sacerdoti.
     Raccolta di risorse, di fondi, di uomini per la difesa:
     • l’arcivescovo di Cagliari, monsignor Melano, mette a disposizione
       12 mila scudi e gli argenti personali e della cattedrale
     • il vescovo di Alghero e monsignor della Torre a Sassari offrono
       grandi quantità di grano
     • il capitolo di Sassari 10 mila scudi
     • don Bartolomeo Simon tutte le sue vacche
     Venne così reclutato un vero e proprio esercito
     nazionale di 30 mila uomini                                            Vincenzo Sulis
implicazioni dell’iniziativa del clero e della nobiltà
23

     L’iniziativa della nobiltà e del clero si        Il contrasto tra gli stamenti e il viceré, tra la
     sviluppò in tre direzioni:                       dirigenza piemontese e quella sarda apriva
                                                      il problema del ruolo degli stamenti nella
     • fare della guerra contro i francesi una
                                                      direzione politica del regno.
       guerra di religione
                                                      Consapevolezza che le prove di coraggio e di
     • sostituire l’assenza di iniziativa
                                                      sacrificio offerte dalla popolazione aprivano
       dell’esercito regolare organizzando un
                                                      nuovi spazi di autonomia e potevano
       esercito nazionale guidato da capi anche
                                                      consentire alla classe dirigente sarda di
       popolani
                                                      recuperare quel potere politico del quale
     • ripristinare attività e ruolo degli stamenti   era stata privata nel corso di settant’anni di
       contro la loro emarginazione da parte dei      governo piemontese.
       piemontesi
                                                      La guerra di religione si arricchiva in questo
                                                      modo di nuovi contenuti ideali e diventava
                                                      anche guerra nazionale per la difesa della
                                                      patria minacciata. (Sotgiu, 143)
le cinque domande
24

                                1. Ripristino della consuetudine, interrotta da quasi un secolo, di
     Forti del successo            convocare solennemente ogni dieci anni il Parlamento per la
     antifrancese, gli             trattazione degli affari generali dell’Isola, per la conferma del
     stamenti e gli uomini         «donativo» e per la richiesta di grazie e privilegi.
     che avevano guidato la
     resistenza continuano      2. Conferma di tutti gli antichi privilegi sanciti dalle leggi
     a riunirsi e a discutere      fondamentali del Regno e in gran parte caduti in desuetudine.
     anche di problemi
     che andavano oltre         3. Attribuzione esclusiva ad elementi isolani di tutti gli impieghi
     le competenze degli           civili e militari (fatta eccezione per la carica di viceré) e delle
     stamenti stessi.              cattedre vescovili e arcivescovili.
     Si arrivò così alla        4. Creazione a Torino di uno speciale ministero per la trattazione
     formulazione di una           delle questioni sarde.
     petizione in cinque
     punti.                     5. Istituzione a Cagliari di un Consiglio di Stato per i controlli di
                                   legittimità, anche relativamente all’operato del viceré, che
                                   prima erano riservati agli organi del governo centrale.
ambasciatori a torino
25

     Tra luglio e settembre 1793 arrivano a Torino i delegati degli stamenti che avrebbero
     dovuto illustrare al sovrano le cinque richieste.

      Gerolamo Pitzolo
                                                     delegati dello stamento militare
      Domenico Simon

      Antonio Sircana
                                                     delegati dello stamento reale
      Giuseppe Ramasso

      Michele Aymerich, vescovo di Ales
                                                     delegati dello stamento ecclesiastico
      Pietro Maria Sisternes, canonico
«ambasciatori senza parola, messaggeri senza risposta»
26

     Il re Vittorio Amedeo iii riceve i delegati sardi
     solo tre mesi dopo il loro arrivo (dicembre 1793),
     dà risposte evasive, affida l’esame delle cinque
     domande ad una commissione che però non
     vorrà mai sentire le delegazione stamentaria,
     alcuni mesi dopo (aprile 1794) comunica il
     sostanziale rifiuto della petizione al viceré e non
     alla delegazione, ordina che gli stamenti siano
     sciolti.
     Ambasciatori senza parola, messaggeri senza
     risposta, come dirà Giuseppe Manno nella sua
     Storia moderna della Sardegna.
     I funzionari piemontesi assunsero nei confronti
     dei sardi (chiamati molenti) un atteggiamento
     ancor più sprezzante al punto da canticchiare per
     dileggio versi di questa fatta: Tirilì, tirilì, crepino
     i Sardi, noi Piemontesi restiamo qui; tirilì, tirilà,
     crepino i Sardi, noi Piemontesi restiamo qua.             Vittorio Amedeo iii
l’assalto al castello e la cacciata dei piemontesi
27

     28 aprile 1794: vengono arrestati e poi          «L’isola fu così liberata, con molta facilità, dai
     rinchiusi nella torre di San Pancrazio gli       suoi dominatori: dall’esigua consistenza del
     avvocati Vincenzo Cabras e Bernardo              nucleo degli occupanti piemontesi possiamo
                                                      dedurre che la colonizzazione piemontese era
     Pintor ritenuti i capi di una congiura
                                                      riuscita perfettamente, fino a quel momento.
     antipiemontese preparata dai nobili              Il dominio era stato esercitato, più che con la
     cittadini d’accordo con i capi dei gremi e con   forza militare, con una rapida alleanza con le
     i sindaci di tre quartieri: Stampace, Marina,    élites sarde e attraverso una politica culturale
     Villanova.                                       che, attraverso le università, era riuscita a
                                                      sostituire lo stile di vita spagnolesco con un
     Rivolta popolare nei quartieri di Stampace,      rigore e un senso del dovere che trovavano
     Marina, Villanova. Bruciate le porte,            immediata rispondenza nel carattere dei sardi».
     i rivoltosi penetrano nel Castello e             (L. Scaraffia, 724)
     conquistano il palazzo del viceré
     La Reale Udienza, con la partecipazione dei
     soli membri sardi, decide lo “scommiato”
     dei piemontesi.
     7 maggio 1794: 514 piemontesi, viceré
     compreso, vengono espulsi dalla Sardegna.
un governo di sardi moderati
28

     Il 28 aprile 1794 la Reale Udienza, operante con      protestano immutabile fedeltà».
     i soli giudici sardi, prendeva in mano le redini
                                                           I responsabili sardi al governo agivano con molta
     del governo della Sardegna e realizzava la prima
                                                           prudenza poiché non volevano creare rotture
     esperienza di governo autonomo dei sardi.
                                                           definitive con Torino, con il rischio di attirarsi
     In appoggio alla Reale Udienza, che esercitava        l’intervento della flotta inglese e spagnola che
     per dettato costituzionale i poteri di governo        incrociavano nel Mediterraneo. L’autorità del
     in assenza del viceré, gli stamenti si proposero      re era sempre messa in primo piano. «Sventola
     anzitutto di rassicurare il governo piemontese        intanto su queste mura la bandiera reale, e si
     della valenza moderata dell’insurrezione              replicano per ogni dove incessantemente le
     cagliaritana, all’insegna di un moderato              voci viva il re, viva Vittorio Amedeo, di cui non
     riformismo patriottico entro cui la maggioranza       vi ha chi non voglia morire suddito fedele: voci
     della classe dirigente sarda intendeva mantenere      che altamente si fecero sentire sin dall’inizio
     la “Sarda rivoluzione”. Manifestazione pubblica       dell’emozione». Così paradossalmente, si
     di tale orientamento fu il Manifesto giustificativo   conclude la narrazione della cacciata dei
     dell’emozione popolare del 28 aprile. (L. Carta)      piemontesi inviata dagli stamenti a Torino. (L.
                                                           Scaraffia, 725)
     «I sardi – conclude il Manifesto giustificativo –
     non han mancato per nulla a quei sacri doveri che     Il 6 settembre 1794, bene accolto, giunse a
     li stringono a S.M. il Re Vittorio Amedeo iii cui     Cagliari il nuovo viceré, marchese Filippo Vivalda.
divide et impera
29

     Dividere lo schieramento politico sardo con           terne proposte dalla Reale Udienza,
     l’assegnazione di cariche ad alcuni degli uomini      venivano ricoperti quattro punti chiave
     che erano stati tra i protagonisti dei fatti del 28   dell’amministrazione del Regno con uomini
     aprile: Gerolamo Pitzolo (Intendente generale);       di fiducia della dinastia, ma diversamente
     marchese Gavino Paliaccio della Planargia             apprezzati in Sardegna. Era chiara perciò la
     (Generale delle Armi), Antioco Santuccio              volontà di Torino di riaffermare la propria
     (Governatore di Sassari); avv. Gavino Cocco           assoluta autorità, e di disattendere le esigenze
     (Reggente la Reale Cancelleria).                      che erano venute emergendo nel corso degli
                                                           avvenimenti che avevano portato ai fatti del 28
     Così, con una prassi contraria alle tradizioni,
                                                           aprile.
     perché la nomina doveva avvenire su

                             Gavino Paliaccio                 Antioco Santuccio
divide et impera: la strategia ha successo
30

     Fenomeno nuovo, all’interno del movimento,          Planargia la reazione, Pitzolo lo statu quo». Il
     che pur nella diversità di alcune posizioni aveva   che in altre parole voleva dire che all’interno di
     un atteggiamento unitario, si manifestavano i       uno schieramento che in momenti importanti
     primi segni di differenziazione che tendevano       e di responsabilità decisive si era comportato
     a spostarne una parte su posizioni più radicali.    in modo unitario si andavano delineando
     Francesco Sulis, nella Storia dei moti liberali     atteggiamenti e comportamenti differenziati
     dell’isola di Sardegna, personalizza queste         che testimoniavano ormai la presenza di tre
     divisioni: «Angioy significa il progresso,          diverse tendenze.

               Angioy                              Planargia                            pitzolo
pitzolo e planargia alla testa della reazione
31

     Tentativo di colpo di Stato “realista” promosso, con la connivenza del governo di Torino,
     dal generale delle armi, Gavino Paliaccio e dall’intendente generale Gerolamo Pitzolo.
     (Mattone, 219)
     Planargia e Pitzolo adottano provvedimenti repressivi e progettano di eliminare gli
     oppositori.
     Gli stamenti chiedono la rimozione di Planargia e Pitzolo
     Pitzolo il 6 luglio 1795, Planargia il 22 vengono trucidati dalla folla.
sassari tra reazione e secessione
32

     A Sassari, dove dominava incontrastata             proclamano l’inobbedienza agli ordini
     la casta dei baroni, la responsabilità degli       del governo del viceré (ritenuto succube
     eccidi cagliaritani fu attribuita al partito che   dei riformatori) e l’insurrezione del Capo
     già veniva qualificato come «giacobino».           settentrionale.
     Nella capitale del distretto settentrionale
                                                        il 10 agosto una circolare viceregia invitava
     era venuto a mano a mano creandosi uno
     stato d’animo non solo di ostilità verso gli       sindaci e consigli comunitativi delle ville
     Stamenti, ma anche di insofferenza per il          infeudate a denunciare le esazioni indebite
     predominio che Cagliari esercitava in tutti        dei feudatari affinché il governo viceregio
     i campi come sede del governo. Sassari             potesse rendere giustizia.
     divenne così la roccaforte del legittimismo        Vittorio Amedeo III, per consiglio del conte
     monarchico e delle forze feudali, giacché          Galli, invia al governatore Santuccio un
     la maggior parte della nobiltà cagliaritana,       R. Biglietto con l’ordine di sospendere
     coinvolta nei noti sommovimenti, sembrava          in Sassari e nel distretto del Logudoro
     propendere verso posizioni democratiche.           l’esecuzione di qualsiasi Pregone o altro
     Luglio-agosto 1795. A Sassari feudatari,           provvedimento viceregio che fosse
     clero, esponenti del Consiglio civico              giudicato contrario all’ordine e alla giustizia.
il logudoro dei moti antifeudali
33

                     Le condizioni miserevoli dei vassalli, la
                     prepotenza dei feudatari, gli interventi dei
                     commissari inviati da Cagliari per far applicare
                     la circolare del 10 agosto, la propaganda di
                     personaggi di idee giacobine quali Gioacchino
                     Mundula e Gavino Fadda, l’azione di alcuni preti
                     rivoluzionari come i parroci di Torralba (Francesco
                     Sanna Corda) e di Semestene (Francesco Muroni)
                     alimentano le rivendicazioni e i movimenti
                     antifeudali soprattutto nel Logudoro: a Thiesi,
                     Semestene, Bessude, Bonorva, Torralba,
                     Pozzomaggiore, Ozieri, Ittiri, Uri i vassalli si
                     ribellano e, talvolta armati, assaltano, devastano,
                     saccheggiano palazzi e magazzini baronali.
                     Strumenti di unione e di concordia tra comuni (il
                     primo quello tra Thiesi, Cheremule, Bessude il 24
                     nov.): atti notarili con cui i comuni di uno stesso
                     feudo dichiarano di non riconoscere più l’autorità
                     del feudatario e di voler riscattare i carichi feudali
                     tramite indennizzo. Una via legale, non cruenta
                     all’abbattimento del feudalesimo.
diritti usurpati
34

     Meda innanti de sos feudos
     Existiana sas Biddas,
     E issas fini pobiddas
     De saltos e bidatones

     Comente a bois Barones
     Sa cosa anzena passàda?
     Cuddu chi bos l’hat donada
     No bos la podiat dare.

     No est cosa presumibile
     Chi voluntariamente
     Appat sa povera zente
     Cedidu a tale derettu;

     Su titulu ergo est infettu
     De s’infeudassione,
     Ei sas Biddas rexone
     Tenene de l’impugnare.             Aligi Sassu, I moti angioiani, 1962
la presa di sassari
35

     Verso la fine di dicembre del 1795 tutto          popolazione restò indifferente all’assedio, e
     il Logudoro poteva dirsi in armi. In ogni         anzi sembrò divertirsi a quella contesa tra
     villaggio schiere di vassalli, a piedi o a        baroni e vassalli. Vi fu qualche scaramuccia
     cavallo, armati alla bella meglio ma senza        tra assediati e assedianti; finalmente il
     veri capi che li sapessero guidare, si            governatore diede l’ordine della resa e
     tenevano pronti a muovere contro Sassari,         accettò le condizioni imposte dal Cilocco e
     la roccaforte della feudalità. La marcia verso    dal Mundula: arresto e traduzione a Cagliari
     il capoluogo fu iniziata dai villici di Bonorva   dello stesso Santuccio e dell’arcivescovo
     e di Semèstene che il parroco Muroni aveva        Della Torre, riconoscimento dell’autorità
     chiamato a raccolta. Via via che gli insorti      viceregia e nuovo governo della città con
     si avvicinavano alla città, centinaia di altri    elementi «democratici».
     vassalli delle «ville» vicine si univano a
                                                       I feudatari nel frattempo erano fuggiti chi in
     quella turba incomposta ed esaltata. Il 28
                                                       Corsica, chi nella penisola. Le bande armate
     dicembre Sassari fu circondata da tre o
                                                       dei vassalli logudoresi, apparentemente
     quattromila armati.
                                                       soddisfatte, rientrarono nelle rispettive
     Il governatore Santuccio rafforzò le              «ville», tranne una piccola schiera che
     difese della città chiamando dai dintorni         avrebbe accompagnato a Cagliari il Cilocco e
     alcune compagnie di «miliziani», ma la            il Mundula con i due illustri prigionieri.
i moti antifeudali: che fare?
36

     Quattro correnti per quattro possibili           4. sostenitori dell’89 francese (Cilloco,
     soluzioni:                                          Mundula): soluzione “militare”: il 28
                                                         dicembre 1795 Sassari viene assediata
     1. conservatori: difendere il sistema feudale
                                                         ed espugnata da un esercito contadino
        così come era stato costruito nei secoli;
                                                         guidato da Cilloco e Mundula, che
     2. riformatori moderati (E.L. Pintor,               arrestano il governatore Santuccio e
        Cabras, Sulis, feudalità illuminata,             l’arcivescovo della Torre.
        governo viceregio): autonomia politico-
        amministrativa e limiti agli aspetti più
        odiosi del sistema feudale;                   (I contadini provenivano dai villaggi
                                                      obbligati all’insierro da parte della città:
     3. riformatori radicali (G.M. Angioy):
                                                      la rivolta esprimeva il rancore verso la
        abbattimento del sistema feudale tramite
                                                      città per il suo secolare sfruttamento della
        gli strumenti di unione; coniugare legalità
                                                      campagna. (L. Scaraffia, 743)
        e rivoluzione;
la marcia di g.m. angioy
37

     A maggioranza, gli stamenti chiedono           B. Non sufficientemente provata da
     al viceré che Angioy venga inviato come        documenti risulta la tesi di quegli autori
     alternos nel sassarese per affrontare          che hanno visto nell’Angioy un «giacobino»
     la ribellione dei vassalli e dei consigli      legato ideologicamente alla rivoluzione
     comunitativi.                                  francese e determinato a proclamare a
                                                    tutti i costi la Repubblica sarda sotto la
     Angioy parte il 13 febbraio 1796 e dopo una
                                                    protezione della Francia rivoluzionaria. [C.
     marcia di 16 giorni entra in Sassari accolto
                                                    Sole, 239]
     con grandi feste.
                                                    Così il 29 maggio 1796 [G. Sotgiu, 206 ]
     A. Durante il viaggio matura il proposito
                                                    lascia Sassari per marciare su Cagliari.
     di saldare la lotta sociale per abolire
     il feudalesimo con la lotta politica per
     conquistare alla nazione sarda l’autonomia
     repubblicana [G. Sotgiu, 206 ].
g.m. angioy al governo di sassari
38

     Il governo dell’alternos durò poco più di        uffici dell’Insinuazione a garanzia della loro
     tre mesi e riscosse all’inizio il gradimento     legalità. Ciò prova il carattere legittimista
     e l’approvazione del viceré. L’Angioy cercò      dell’azione rivendicativa delle «ville». La
     anzitutto di mettere un po’ d’ordine nella       lealtà verso il sovrano era esplicitamente
     civica amministrazione istituendo le milizie     dichiarata in ogni atto federativo.
     urbane, curando il vettovagliamento della        Ma per l’alternos riuscì difficile contenere in
     città e dando l’avvio a qualche opera            termini pacifici un così grande rivolgimento.
     pubblica per alleviare la disoccupazione.        Violenze ed abusi furono commessi dai
     In realtà la necessità di fondo era per          suoi seguaci, e i feudatari, profondamente
     l’Angioy quella di rendere giustizia ai vassalli colpiti nei loro interessi, ebbero numerose
     senza compromettere l’ordine costituito. Al opportunità per far giungere al viceré le loro
     riscatto dei feudi e all’abolizione dei relativi rimostranze. A Cagliari si cominciò a vedere
     gravami si doveva giungere attraverso le vie con sospetto l’azione dell’Angioy in favore
     legali. In breve tempo quasi tutte le ville del dei vassalli. Il credito da lui goduto presso
     Logudoro e dell’Anglona si unirono in una        la popolazione cittadina e nelle campagne
                                                      dava ombra a quanti temevano il pericolo di
     sorta di federazione per meglio sostenere
                                                      una nuova secessione del Logudoro.
     la lotta comune. Gli «atti di unione», rogati
     davanti a un notaio, furono depositati negli (C. Sole)
g.m. angioy rimane isolato
39

     Alla fine l’Angioy si rese conto di essere       marciare su Cagliari alla testa dei vassalli
     rimasto isolato. Gli amici e sostenitori di      logudoresi ed ottenere dal viceré l’esplicito
     un tempo, passati a posizioni moderate           riconoscimento dei loro diritti.
     – Sisternes, Cabras, Pintor, Sulis si erano
                                                      Il 29 maggio 1796 Angioy inizia la marcia
     alleati con le forze feudali più conservatrici
                                                      verso Cagliari alla testa di contadini e
     e con l’alto clero –, lo osteggiavano
                                                      principales decisi ad imporre con la forza
     apertamente e facevano di tutto per
                                                      l’abolizione del feudalesimo.
     comprometterlo agli occhi del viceré e del
     governo di Torino.                               A Macomer forte opposizione di nobili e
                                                      pastori contro le truppe angioiane.
     Gli restava la tenace ma piccola schiera
     dei seguaci sassaresi: con questi fidi e con     Angioy raggiunge Oristano, dove l’iniziale
     l’incoraggiamento dei Consigli comunitativi      buona accoglienza si muta in aperta
     delle «ville» pensò allora di compiere una       opposizione quando le bande angioiane si
     manifestazione di forza per capovolgere          danno alle violenze e al saccheggio, per poi
     nella capitale la situazione in suo favore:      disperdersi e lasciare isolato il loro capo.
la fine della “sarda rivoluzione”
40

     L’8 giugno 1796 Angioy viene esonerato dall’incarico di alternos e
     messo al bando.
     Il 9 giugno, aiutato dal Sulis, E.L. Pintor uscì da Cagliari alla testa
     della cavalleria di Sestu, Serramanna, Guasila, Samassi, Sanluri,
     Selargius, Serdiana, Villamar, Uras, con cannoni e milizie, deciso a
     stroncare definitivamente il moto angioiano.
     Il 10 giugno gli stamenti deliberano una taglia a favore di chi
     avesse portato a Cagliari la testa di Angioy oramai dichiarato
     fuorilegge.
     Nell’Angioy era maturata ormai la certezza che l’impresa
     rivoluzionaria era fallita, e che fosse perciò inutile provocare un
     ulteriore spargimento di sangue. Da qui, il giorno 13, la decisione di
     rientrare a Sassari; la sosta a Thiesi il giorno 14; l’arrivo il giorno 15,
     accolto ancora una volta festosamente, perché i bandi del viceré
     non erano stati ancora pubblicati, la partenza il giorno 16 da Porto
     Torres per un viaggio senza ritorno, che attraverso la Corsica,
     Livorno, Genova e il Piemonte lo doveva portare a Parigi dove morì
     esule nel 1808.                                                               G.M. Angioy
una sarda feroce reazione
41

     Dopo il fallimento della marcia dell’Angioy   agli arrestati, per le numerose sentenze
     su Cagliari e la sua fuga nella penisola,     di morte e per l’orrenda «esemplarità»
     si scatenò in tutti i distretti coinvolti     con cui le condanne dovevano essere
     nella sollevazione antifeudale la più         eseguite: sfilata del condannato, a piedi o
     feroce reazione. A carico di quanti si        a dorso d’asino, attraverso le vie cittadine
     erano manifestamente compromessi              dalla prigione al luogo dell’esecuzione;
     e in contumacia a carico dei latitanti e      impiccagione; decapitazione del cadavere
     dei fuorusciti furono istruiti dei processi   ed esposizione della testa mozza al
     sommari, conclusisi con severissime           ludibrio della plebe entro una gabbia di
     condanne.                                     ferro; squartamento del misero corpo ed
                                                   affissione dei brandelli di carne alle porte
     Il giudice don Giuseppe Valentino, membro
                                                   della città; infine abbruciamento dei resti e
     della Reale Udienza, inviato a Sassari
                                                   spargimento delle ceneri ai quattro venti!
     dal viceré a capo di una Commissione
     straordinaria di alti magistrati, si rese     [C. Sole, 246]
     tristamente famoso per le torture inflitte
vincitori e sconfitti
42

            nuova classe dirigente tutta sarda

     patrioti moderati        Reale Udienza               baroni                   viceré

                                    sconfiggono e schiacciano

       vassalli, contadini, villaggi, consigli comunitativi, patrioti radicali e repubblicani
opzioni costituzionali dei moderati sardi
43

     Rivendicazioni sarde                            Altre opzioni costituzionali contemporanee
     Nazione come aggregato di ordini privilegiati   Nazione come popolo
     Rappresentanza per ordini                       Suffragio universale o censitario
     Mantenimento dei privilegi di ceto              Uguaglianza
     Monarchia piemontese limitata da magistrature e Sovranità nazionale e repubblicana
     rappresentanze sarde
     Sistema di proprietà feudale                    Sistema di proprietà borghese
     Rispetto di leggi e consuetudini dell’epoca     Nuovi principi costituzionali americani e francesi
     spagnola
conclusioni – 1
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                                      «I vantaggi ottenuti da questi moti
                                      furono quasi nulli: il regio diploma
                                      del giugno 1796, che aderiva
                                      finalmente alle domande inviate
                                      dagli stamenti dopo la vittoria
                                      sui francesi, non fu mai attuato.
                                      Nel 1799, infatti, in seguito alla
                                      sconfitta con la Francia, arrivò
                                      Carlo Emanuele iv nell’isola,
                                      con un seguito di funzionari
                                      piemontesi che occuparono
                                      tutti gli impieghi disponibili,
                                      e fu aumentato il peso delle
                                      contribuzioni».
                                      L. Scaraffia, 740.

     Carlo Emanuele iv
ingresso a cagliari di carlo emanuele iv
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conclusioni – 2
46

     «Il movimento angioiano era stato il tentativo più organicamente e consapevolmente
     condotto di dare alla nazione sarda un suo originale e autonomo modo di collocarsi nella
     realtà europea; la sua sconfitta segnò l’accettazione della subordinazione dell’isola, la
     fine di ogni aspirazione nazionalista da parte della sua classe dirigente. L’iniziativa politica
     passò dalle mani della classe dirigente sarda e delle masse popolari a quelle della dinastia
     sabauda, della classe dirigente piemontese. Non più un movimento riformatore che
     partiva, come nei patti di federazione, dalle esigenze vive della comunità; ma, come e più
     che nel passato, un’azione di governo dall’alto i cui ritmi seguivano necessariamente tempi
     diversi da quelli necessari allo sviluppo dell’isola, e i cui modi di intervento non potevano
     che ignorare le condizioni reali nelle quali le disposizioni di legge erano chiamate ad
     operare. In questo caso lo sviluppo dell’isola venne ritardato di quasi cinquanta anni, con
     conseguenze che la Sardegna non ha ancora finito di pagare». G. Sotgiu, 212.
conclusioni – 3
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     «Se Angioy fosse ritornato in Sardegna col perdono del re, vi avrebbe trovato la nobiltà
     feudale più tracotante che mai, la borghesia cittadina, sia quella mercantile sia quella
     professionale e impiegatizia, sempre ossequiente verso i potenti, il basso popolo
     eternamente disposto ad applaudire al vincitore di turno, e le masse rurali, per la cui
     redenzione aveva sacrificato tutto, carriera, affetti e beni, ancora atterrite dalle feroci
     rappresaglie governative». C. Sole, 260
     «Dopo gli anni mirabili della lotta contro l’assolutismo sabaudo e della sollevazione
     antifeudale, la Sardegna era ormai piombata, con grande anticipo sul resto dell’Europa,
     nella lunga notte della Restaurazione». L. Carta, 67.
Bibliografia
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     Carlino Sole, La Sardegna sabauda nel Settecento, Sassari, Chiarella, 1984.

     Girolamo Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda, Bari-Roma, Laterza, 1984.

     Lucetta Scaraffia, La Sardegna sabauda, in J, Day, B. Anatra, L. Scaraffia, La Sardegna medivale e moderna, Torino, Utet, 1984.

     Luciano Carta, La «Sarda Rivoluzione» (1793-1796), in M. Brigaglia, A. Mastino, G.G. Ortu, Storia della Sardegna, 4, Bari-Roma, Laterza, 2002.

     Antonello Mattone, Piero Sanna, Settecento sardo e cultura europea. Lumi, società, istituzioni nella crisi dell’Antico Regime, Milano, Franco
         Angeli, 2007.

     Alberto Boscolo, Premessa a Il feudalesimo in Sardegna, Cagliari, Editrice Sarda Fossataro, 1967.

     Ugo Guido Mondolfo, Il regime giuridico del feudo in Sardegna in Il feudalesimo in Sardegna, Cagliari, Editrice Sarda Fossataro, 1967.

     Giuseppe Serri, La penuria d’uomini, in La società sarda in età spagnola, vol. 2, Musumeci Editore, 1993

     Carlo Livi, La popolazione della Sardegna nel periodo aragonese in “Archivio storico sardo”, XXXIV, fasc. II, 1984.

     Antonello Mattone, Le istituzioni e le forme di governo in Storia dei sardi e della Sardegna. L’età moderna, vol. III, Milano, Jaca Book, 1989.

     Antonello Mattone, La città e la società urbana in Storia dei sardi e della Sardegna. L’età moderna, vol. III, Milano, Jaca Book, 1989.

     Antonello Mattone Il feudo e la comunità di villaggio in Storia dei sardi e della Sardegna. L’età moderna, vol. III, Milano, Jaca Book, 1989.

     Raimondo Pinna, Atlante dei feudi in Sardegna, Cagliari, Condaghes, 1999.
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