Nicola Lagioia stregato dal "No" di Atene - il manifesto

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Nicola Lagioia stregato dal "No" di Atene - il manifesto
Nicola Lagioia stregato dal «No» di Atene
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Nicola Lagioia, il vincitore del premio Strega con «La ferocia»: «Lo dedico al popolo greco.
Il referendum sullausterità di oggi non si svolge in condizioni normali.Un’Europa che
mette i valori al servizio della moneta, e non il contrario, fa semplicemente schifo. La
Grecia oggi è il banco di prova su cui si deciderà il futuro dellEuropa»

Atene, in corteo per il No alle politiche di austerità, @LaPresse/XinHua

Nicola Lagioia ha dedicato il premio Strega, vinto con il romanzo La ferocia (Einaudi), al popolo
greco. La dedica è passata sottotraccia all’indomani della serata a Villa Giulia a Roma. Lo scrittore
barese ci ritorna nel giorno in cui ad Atene si vota su un quesito decisivo per il futuro della Grecia e
dell’Europa: accettare, o meno, le politiche di austerità.
Nicola Lagioia stregato dal "No" di Atene - il manifesto
Nicola Lagioia, foto LaPresse

«La Grecia è entrata nellEuro in maniera disastrosa afferma Lagioia Mi riferisco ai conti truccati
dal governo con la complicità di Goldman Sachs, così risulta dalle inchieste di Bloomberg e del New
York Times. Da lì in poi, una serie di errori nel gestire la politica economica del paese. Dunque, ai
greci non si vogliono perdonare queste evidenti e gravi colpe. Né ridimensionare la giusta multa.
Peccato che nel 1945, oltre che i danni economici, Germania e Italia avevano da farsi perdonare
anche il nazismo, il fascismo, e i milioni di morti della guerra atroce in cui avevano trascinato il
mondo intero. È facile dimenticare se sai come farlo».

Merkel e i poteri europei hanno trasformato la consultazione greca sulle politiche
dell’austerità in un referendum sull’Euro. Cosa ne pensa?
Quando la Merkel dice che senza Euro non cè Europa pronuncia una bestemmia, forse persino a sua
insaputa. Non basta discendere da Goethe per saper padroneggiare una lingua. È semmai lesatto
contrario. Senza Europa non cè Euro. Fondare un paese o un continente su una moneta prima
ancora che su unidea politica per quanto larga, su una cultura, su uno spirito di fondo, un modello di
convivenza davvero condiviso, è assoluta follia. Non cè democratico che possa in buona fede pensare
il contrario. E non cè cristiano (la Merkel è credente) che non sputi figurativamente sul Vangelo
anteponendo le ragioni di Mammona a quelle di una possibile emergenza umanitaria. Seguo Scalfari
quando parla di Stati Uniti dEuropa. Sarebbe bella una vera casa comune. Però il percorso avrebbe
dovuto essere lopposto rispetto a quello che è successo. Innanzitutto unidea condivisa di democrazia
e comunità, quindi leconomia al servizio di queste. È lidea delluna che genera laltra, non il contrario.
Altrimenti ci ritroviamo tutti insieme in un nuovo gabinetto del dottor Caligari.

È legittimo pensare che questa ferocia sia il risvolto di quella descritta nel romanzo nei
rapporti sociali e familiari?
Certo. La ferocia è un romanzo, non un saggio di economia politica. Ma quello che ci accade intorno,
il contesto, determina a un certo punto anche i nostri comportamenti nella vita privata. È nei
momenti di crisi che la tentazione dello stato di natura, vale a dire la legge della giungla, bussa alla
porta di tutti noi. A pancia vuota si ragiona male, dicevano sia George Orwell che George Eliot. E
parlare alle pance vuote della gente sta diventando in Europa una pericolosa abitudine.

Matteo Nucci su minima&moralia ha smontato il racconto di file ai bancomat e panico tra i
turisti. Perché in una parte della stampa italiana ha prevalso invece questa narrazione?
Perché si scrive per sentito dire. Perché nessuno va più nei posti a verificare le cose. Alcuni per la
verità ci vanno ancora. Matteo Nucci ci va ancora. Francesca Borri non ha neanche bisogno di
andarci perché è già sempre lì dove succedono le cose. A Baghdad come in Siria.

Alberto Asor Rosa sostiene che lintellettuale abbia rinunciato al conflitto e oggi fa lo
storyteller del potere. Come può la letteratura, di cui lei afferma il valore, recuperare un
ruolo in questo conflitto?
Asor Rosa lo ringrazio per avermi candidato al Premio Strega insieme a Concita De Gregorio.
Entrambi mi hanno molto incoraggiato e si sono molto spesi per la causa de La ferocia. Nel delirio di
questi giorni, non sono riuscito a dirgli grazie in modo adeguato, e allora lo faccio qui pubblicamente.
Venendo alla domanda, Asor tocca un punto importante. Lo storytelling è una perversione dellarte
letteraria prestata al potere. È laffabulazione come parente nobile della paraculaggine. Insomma, è
la vecchissima arte di vendere fumo. È tutto scritto in un vecchio racconto di Thomas Mann, Mario e
il mago, basta leggerlo. La letteratura deve raccontare storie, non scatenare rivoluzioni che di solito
riguardano solo il conto in banca dello storyteller di turno. Può anche accadere che lo faccia, ma non
è questa la sua missione principale. Prenda il paese letterariamente e artisticamente più avanzato
del mondo tra le due guerre. Avevano tra i migliori scrittori, tra i migliori artisti, tra i migliori poeti,
tra i migliori filosofi, tra i migliori uomini di cinema. Era la Germania di Weimar. Ma non è che La
montagna incantata di Thomas Mann arresta lavanzata del Terzo Reich. E tuttavia è anche grazie a
libri come La montagna incantata, le poesie di Celan, le parabole di Kafka, le testimonianze di Levi,
se noi siamo in grado di riconoscerci ancora come esseri umani nonostante i veri e propri disastri
della specie che ci lasciamo dietro per essere fatti come siamo: dei legni storti. Per non essere lo
storyteller del potere bisogna scrivere libri che non parlino la lingua mainstream, quella del potere:
semplice, lineare, piacionica per dirla alla Proietti. Il suo obiettivo è la persuasione. Guardatevi dai
tribuni che puntano alla persuasione anche quando dicono anzi, a maggior ragione di combattere
un qualche potere. Ascoltate piuttosto la loro lingua: quella è davvero rivelatoria. Se parli la lingua
del tuo nemico, sei già lui. Gli scrittori sono rivoluzionari in questo senso. Poi, quegli stessi scrittori,
possono anche impegnarsi politicamente in modo attivo. Ma politica e letteratura seguono strategie
linguistiche e retoriche molto diverse tra loro.

Per Goffredo Fofi gli intellettuali sono tornati a fare i lacché della borghesia e invoca il
ritorno alla disobbedienza civile. È una strada praticabile?
Sì, questa è la strada giusta. Consiglio di leggere il pamphlet di Fofi sull’Elogio della disobbedienza
civile (Nottetempo). Si legge in due ore. Mi sembra fondamentale per esempio la parte dove spiega
come la disobbedienza civile può fare a meno della nonviolenza, mentre al contrario la nonviolenza
non può fare a meno della disobbedienza civile. Altrimenti si trasforma in raduni collettivi dove la
sostanza è poca e scialba, o in bizzarri percorsi di autoperfezionamento vicini alla New Age. O al
massimo diventa il sentimento mimetico a buon mercato: «Siamo tutti Greci», come ieri eravamo
«tutti Charlie» e laltro ieri aquilani o tarantini. È un aspetto del narcisismo di massa da cui la cultura
progressista italiana di questi anni non è affatto immune. Quel che rivendica Fofi è il conflitto. Senza
il quale, tanto per dirne una, staremmo ancora allo Statuto Albertino.
Al referendum greco di oggi voterebbe «Sì» o «No» all’austerità?
Questa del referendum è una questione spinosa e complicata. È giusto scaricare sul popolo greco
una decisione per prendere la quale la maggior parte dei chiamati in causa non ha gli strumenti non
li avrei neanche io, se riguardasse lItalia per capire da che parte stare? No, in una situazione
normale non sarebbe assolutamente giusto. Ma questa non è una situazione normale. E il
referendum per me ha un significato che va molto oltre il piano letterale, sia per il testo che per i
destinatari. Da una parte è rivolto alla Troika cioè Juncker, Draghi e Lagarde e il suo significato è:
volete fare un passo in avanti prima del 5 luglio? Dallaltro, domanda al popolo in che tipo di Europa
si riconosce. A me unEuropa fondata su una moneta, mettere i valori al servizio della moneta, e non
il contrario, come pensa intimamente la Merkel lo sappia o meno a livello conscio fa semplicemente
schifo. Veniamo a casa nostra. Renzi dice alla Merkel, ostentando una forza che temo non abbia:
«Risolviamo il problema della Grecia – cioè lasciamoli morire di fame, aggiungo io – e poi capiamo
che tipo di politica economica dare al continente». Ma anche qui, suggerirei amichevolmente a Renzi
di invertire i termini del ragionamento. La Grecia è il banco di prova su cui si deciderà la futura
politica economica del continente. Sono anche io per gli Stati Uniti dEuropa. Nel nome di Goethe e
di Gobetti, però, non delle creature di Murnau.

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