Intervento di Tonino Armata sul dopo Elezioni Regionali

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Intervento di Tonino Armata sul dopo Elezioni Regionali
Intervento di Tonino Armata
sul dopo Elezioni Regionali
San Benedetto del Tronto – Riceviamo e pubblichiamo

“DOPO LE ELEZIONI REGIONALI DEL 20 – 21 SETTEMBRE, COSA FARE
DEL RIFORMISMO NELLE MARCHE?

Egregio Direttore

Come persona militante di lunga data che ha contribuito alla
nascita del Pd a San Benedetto del Tronto, nel leggere gli
interventi di Pompei e Benigni, sento il dovere di dare il mio
piccolo e modesto contributo.

Nella nostra regione c’è stata la scelta di gran parte degli
elettori di abbracciare i partiti delle promesse facili. Oltre
alle promesse di politiche sanitarie, sul voto ha pesato la
sfiducia (giustificata) verso i politici della coalizione di
centrosinistra

Se per più di trent’anni il “centrosinistra” non ha protetto i
lavoratori, seguendo l’idea fissa che si difende il lavoro e
non i posti di lavoro, la catastrofe elettorale prima o dopo
arriva. Comunque, non è il tempo delle fughe precipitose ma
quello della politica. Quando si perde, bisogna ragionare.

Partendo dal ragionamento dobbiamo constatare che chi ha vinto
e chi ha perso le elezioni politiche nelle Marche è fin troppo
chiaro e le percentuali sono sotto gli occhi di tutti, quindi
non partirei dai numeri per raccontare cosa questo voto
significhi. Preferisco partire da quella parte delle Marche
dove spesso le cose si riescono a leggere in maniera più
chiara, quella parte delle Marche che con meno intelligenza è
entrata in questa campagna elettorale e che con meno
intelligenza entra in tutte le campagne elettorali ormai da
moltissimo tempo. Quella parte delle Marche dove le forze
politiche amano dragare voti, a più non posso.

Partiamo dal Sud delle Marche che ci siamo abituati a
considerare feudo della destra e, allo stesso tempo, sede di
un forte consenso al Partito democratico retto da ras locali
che per decenni hanno assicurato migliaia di voti. E proprio
il Pd e le altre forze della coalizione di centrosinistra, in
queste elezioni regionali, hanno vissuto un’emorragia di
elettori confluiti in Lega e Fratelli d’Italia. Quest’ultimo,
con la promessa di rivoluzionare la politica sanitaria, ha
avuto un consenso molto alto proprio nelle provincie in cui,
non esistendo un’economia competitiva, l’unica speranza è la
politica della salute.

Il ragionamento avvenuto nelle Marche è questo: se il Pd mi ha
sempre proposto belle idee, apertura, giustizia, ma poi non è
mai riuscito a darmi nulla di tutto questo o ad avvicinarsi,
allora preferisco l’assenza di progetto morale, preferisco
ragionare rispetto a ciò che mi conviene adesso e che può non
convenirmi domani, preferisco un partito che è di destra,
destra, che non si pone questioni morali, che rivendica con
orgoglio la propria coerenza di antieuropeisti.

Fratelli d’Italia e Lega non hanno preso in giro gli elettori,
tutto era palese, tutto cambiava di giorno in giorno (un
flusso continuo di notizie orecchiate, story di Instagram,
post su Facebook e qualche Tweet) a seconda dei sondaggi.
Finanche i casi di cronaca nera (Ascoli Piceno docet) sono
stati utilizzati per fare comunicazione politica. E
paradossalmente questo ai marchigiani è piaciuto, la
possibilità di non avere obblighi morali, di poter essere
liberamente coerenti a seconda delle esigenze del momento.
Essere elettore di un partito progressista presuppone portare
sulle proprie spalle valori che nemmeno il partito per cui
voti segue più. E allora che senso ha? Perché vivere il
dissidio tra una coerenza autoimposta, e per cui bisogna
quotidianamente lottare, e la possibilità di essere
egoisticamente liberi?

Fratelli d’Italia agli elettori delle Marche non ha dato
alcuna soluzione su come riformare il sistema sanitario, o
come far partire davvero l’economia, se non banali ricette di
razionalizzazione delle spese e generiche promesse di lotta
alla corruzione. Ha dato però una cosa ben più grande
bersaglio da colpire: ha capitalizzato la frustrazione, non
chiedendo in cambio condotte di comportamento diverse, anzi,
supportando sintassi da haters e impiantando una politica
basata sulla percezione della realtà e non sulla realtà.

Ma alla rivendicazione della coerenza dei Fratelli d’Italia,
la Lega aggiunge un dettaglio che faremmo bene a non
trascurare, ovvero la libertà di essere anche cattivi. La Lega
di Salvini, che senza distinzione di età, sesso e provenienza
manderebbe via tutti gli immigrati, che ha sempre disprezzato
il Centro e Sud (sotto Bologna tutti terroni) e che ora si
presenta come leader di tutto il Paese, giurando sul Vangelo e
baciando il crocifisso, sembra aver detto: essere contrari
all’accoglienza, utilizzare un eloquio violento e apertamente
razzista non è in contraddizione con le radici cattoliche.

Anche nelle Marche Il 20-21 settembre ha vinto il malessere,
non ha vinto la speranza e non ha vinto la voglia di un futuro
migliore. Il 20-21 settembre ha vinto l’idea di Regione
chiusa, di Regione con confini alti e invalicabili,
invalicabili per gli esseri umani ma non per i capitali
criminali.

Il 20-21 settembre ha vinto l’euroscetticismo, e ha perso
l’idea di un’Europa unita e fiera dei suoi diritti, che
l’avevano resa il posto migliore in cui vivere. Il 20-21
settembre ha vinto una strana forma di nichilismo che,
proclamando la propria libertà da ogni coerenza, diventa
libertà di essere cattivi.
Ma quale era l’alternativa? Questa volta non c’era. Lega e
Fratelli d’Italia hanno vinto perché dall’altra parte c’era
poco. Proprio poco.

Il Pd ha perso nelle Marche perché ha bruciato migliaia di
voti dalle europee 2014, alle elezioni nazionale del 2018,
cedendone alcuni migliaia a M5S e al centrodestra. Cos’ha
saputo opporre alla flattax e all’istanza securitaria che ha
fatto volare la destra e al reddito di cittadinanza e
all’emergenza legalitaria che ha fatto esplodere il M5S? Puoi
proporre i pochi spiccioli del Reddito di inclusione a tanti
di poveri? Puoi smerciare le garanzie del Jobs Act a tanti
giovani precari?

La lista delle domande è infinita. Fino ad arrivare a quelle
cruciali: cosa deve essere il “centrosinistra” in questa
regione smarrita, come può predicare la faccia buona della
globalizzazione senza abdicare alla protezione, proporre una
buona politica culturale (dimenticandosi dei minori e degli
adolescenti), lottare contro le disuguaglianze senza
rinunciare al merito, combattere i populismi senza erigersi a
oligarchia. Se questa è la priorità, un minuto dopo arriva la
responsabilità, che si declina in due modi. In primo luogo c’è
la leadership. È chiaro che quella renziana è ormai esaurita.

Ma è altrettanto chiaro che scaricare le coscienze e le colpe
sul candidato presidente Mangialardi è pura vigliaccheria.
Il 20-21 settembre non è caduto solo Mangialardi, che ha
trasformato la speranza in una gigantesca delusione. Con lui
ha fallito tutta una intera classe dirigente. Ora è giusto
guardare avanti con la scelta del nuovo segretario regionale,
quelli provinciali e quelli comunali eletti dal popolo delle
primarie.

E però, il Pd nelle Marche, anche quando viene malamente
sconfitto rappresenta una buona fetta di tutto l’elettorato
marchigiano, può ancora costruire attorno a se un partito
riformista moderno. Le europee del 2014, col PD al 41 per
cento, non era l’apoteosi, le politiche del 2018 e le elezioni
regionali perse, non sono la fine di tutto. I frangenti
elettorali non sono il giudizio di dio.

È arrivato il tempo di cambiare passo e leadership. Azzerare i
dirigenti, i quali, hanno portato il partito nelle Marche ai
minimi storici. Poiché la sinistra scissionista della
barzelletta a due cifre è scomparsa dai radar, chi può guidare
questa fase? Il Pd: anche se Fratelli d’Italia e Lega hanno
avuto dalla sua un consenso da prima forza nelle Marche.

Il Pd, questo Pd, può ancora proporre un percorso riformista
alle Marche e all’Italia. Però deve fare il Pd. Partito a
vocazione maggioritaria e uscire dal perenne congresso col
quale affronta ogni momento elettorale. I pezzi di società con
cui dialogare ci sono. E non sono pochi. E sono i temi
(diritti civili da completare, cultura/cultura dell’infanzia e
dell’adolescenza, giovani, lavoro, scuola, assistenza
sanitaria moderna di prossimità con meno ticket e assistenza
sociale – soprattutto per gli anziani) su cui ricominciare un
dialogo, che però deve essere con i marchigiani, non con i
capi correnti (i cacicchi) perennemente in lotta fra di loro.

Nel frattempo il Pd dovrebbe evitare di perdersi in manovre
interne e in partite di piccolo cabotaggio, ma sforzarsi di
affrontare un dibattito alto e alla luce del sole. La
chiarezza e la trasparenza sono la migliore delle medicine per
una sconfitta come quella del 20-21 settembre, serviranno come
base per provare a ricostruire.

Per concludere dico: aderisco con convinzione ancora al Pd;
se, attraverso i suoi rappresentanti, mi racconta chi siamo,
da dove veniamo e naturalmente dove vogliamo andare come
collettività unificata dallo stesso sistema di valori. C’è un
aforisma di Mahler, un’immagine potente, che penso riguardi
quello di cui stiamo parlando: «La tradizione è custodire il
fuoco, non adorare le ceneri».”

Con tanta cordialità

Tonino Armata

29 settembre 2020

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