Monica Vitti nella vita privata: riservatezza ed eleganza
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Monica Vitti nella vita privata: riservatezza ed eleganza La Vitti privata Sul lato strettamente privato, la vita della Vitti, è stata molto “tradizionale”, più che delle altre dive dell’epoca e tutto ciò la avvicinava ancora di più alla base del popolo, che in questo caso è il pubblico. Ha avuto tre lunghe e importanti storie d’amore: la prima con il regista Michelangelo Antonioni, poi con il direttore della fotografia Carlo Di Palma; e infine con il fotografo di scena e regista Roberto Russo, che ha sposato il 28 settembre 2000, in Campidoglio, dopo 27 anni di fidanzamento. Fu anche molto copertinata, perché più che bella era estremamente popolare e in fondo piaceva proprio per questa semplicità “acqua e sapone”, sia al pubblico femminile che a quello maschile. Si racconta infatti, che fosse una persona molto semplice e disponibile, anche sul set, e anche in fatto di gusti culinari, amava i prodotti semplici, della terra: minestroni, zuppe, insomma piatti della tradizione. Raccontiamo infine, della Vitti, una curiosità della quale è stata protagonista alla fine degli anni ’80. Ci troviamo precisamente nel 1988, quando il prestigioso quotidiano francese “Le Monde” commise una clamorosa gaffe nei suoi confronti, pubblicando in prima pagina la notizia della sua morte, “avvenuta per suicidio con barbiturici”. L’attrice, con grande eleganza e senso dell’umorismo, si limitò a smentire la notizia, ringraziando i responsabili della gaffe per averle allungato la vita. M o n i c a V i t t i i n s i e me al regista Michelangelo Antonioni. La Vitti, è stata per parecchio tempo lontana dalle scene, praticamente fino alla recente morte. Infatti negli ultimi venti anni non è mai più apparsa in pubblico. Purtroppo la malattia degenerativa della quale soffriva, non gli ha più dato la possibilità di poter ancora affascinarci con i suoi modi gentili e con la sua bellezza. Rimangono però i suoi film e la sua “unicità”, che la rendono, senza dubbio la più grande attrice di commedia della storia del cinema italiano. Una eredità non facile, che
in tante hanno raccolto, ognuna con il proprio diverso talento. Potremmo nominare attrici “moderne” di grande talento, come Margherita Buy, Paola Cortellesi o Anna Foglietta. Attrici “italianissime”, capaci di incarnare l’essenza della donna italiana, con i propri pregi e i propri vizi, esattamente come lo fece la Vitti, che rimane indelebilmente un punto di riferimento fondamentale per chiunque si approcci nella recitazione cinematografica, soprattutto nell’ambito della commedia. In ultimo, omaggiando Monica Vitti, volgiamo un attimo lo sguardo sul rapporto con due colleghe, con le quali l’attrice si è trovata particolarmente a proprio agio, sia in ambito privato che professionale. Monica Vitti e il rapporto con Mariangela Melato e Claudia Cardinale Grandissime nel loro mestiere di attrici, regine della commedia italiana anni ’70, Mariangela Melato e Monica Vitti hanno incarnato un modello femminile diverso da quelli allora imperanti, con maggiorate più o meno formose e sensuali alle quali, spesso, bastava solo mostrarsi. Le due attrici hanno invece unito sensualità ed eleganza, dramma e commedia insieme espresse innanzitutto da volti particolari, spigolosi, espressivi e da fisici slanciati e snelli, poco o nulla imponenti. Per non parlare della voce, altro tratto in comune, profonde e decisamente uniche, capaci di esprimere ogni sfumatura emozionale. Entrambe riservate e anti-dive per eccellenza, non amavano la mondanità, ma non per questo erano meno amate dal pubblico. Entrambe, e qui continua ancora la similitudine tra le due attrici-amiche, provenivano dal teatro, ed erano arrivate al cinema per tappe. Le loro interpretazioni restano memorabili, come le tipologie femminili che hanno incarnato. Muse preferite di tutti i maggiori cineasti italiani degli anni ’70, nella vita di tutti i giorni sono sempre state un po’ fuori dalle righe, rispetto al look. Sempre molto naturali, dal fisico slanciato e asciutto, hanno imposto per prime un nuovo modello di bellezza, più consono a quella che è la realtà della donna italiana. Diventando poi esse stesse, con il tempo e grazie al fascino unico e conturbante, icone e punti di riferimento per schiere di attrici che hanno seguito le loro orme, e che verranno dopo di loro. Abbiamo fatto un confronto tra la Melato e la Vitti, proprio perchè le due attrici erano molto unite nella vita privata, tanto da sentirsi giornalmente, quando non era possibile vedersi. Rimane, per entrambe, come desumibile da alcune interviste, il rammarico di non aver mai lavorato insieme, magari in un bel film di coppia tutto al femminile.
M a r i a n g e l a M e a l a t o e Monica Vitti. Film di coppia, che la Vitti ebbe modo di sperimentare, negli anni ’70 si rivelò anche al fianco dell’amica e collega Claudia Cardinale, con la quale, a dire la verità, ci furono alcuni screzi su quel set, che era il set della pellicola Qui comincia l’avventura (1975). Un inusuale film di coppia tutto al femminile, una specie di pre-Thelma & Louise, vagamente ispirato anche a La stangata con Paul Newman. Una trama on the road in cui non mancano emozioni e ritmo e nel quale la splendida accoppiata, diretta con mano sagace dal regista Carlo Di Palma, rende perfettamente. Il film, rischia spessissimo di virare sul drammatico, infatti se si mantiene sempre sulla soglia della commedia divertente, ma dal fondo amaro, lo si deve senza dubbio alle due divine che incantano in bellezza e affiatamento. Una pellicola strana, insolita, sui generis, a tratti metacinematografica, che merita ben più di una semplice visione. Rispetto reciproco e un pizzico di rivalità, questo era il rapporto che univa la Cardinale alla Vitti, ben diverso da quello sopra citato tra la Melato e la Vitti stessa. Entrambe comunque, hanno sempre ricordato molto volentieri l’esperienza comune nel film di Carlo Di Palma. Se vi siete persi la prima parte di questo articolo lo trovate qui. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del
marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Addio a Lina Wertmüller: modello di emancipazione femminile La figura di Lina Wertmüller si lega indissolubilmente agli anni ’70, che la elevano come prima donna della storia a conquistare una nomination agli Oscar, come migliore regista, poi assegnatole alla carriera nel vicino 2020. Da qui ha inizio il mito di Lina Wertmüller, che diventa un modello di emancipazione femminile, tra i più incisivi del mondo. Perché dimostra che le donne possono ambire anche ai ruoli apicali, in barba alla società maschilista, imperante nel ‘900. Dicevamo, che il suo stile del tutto “personale”, si afferma nei laboriosi e non facili anni ’70, quando la regista stringe un sodalizio artistico molto rilevante con Giancarlo Giannini, giovane attore di grande prestanza fisica e presenza scenica impeccabile, erede dichiarato di Marcello Mastroianni. Quando i due decidono di proseguire la loro carriera artistica insieme, Giannini aveva già interpretato per Scola e al fianco di Mastroianni Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca; mentre la Wertmüller veniva da alcuni film-esperimenti con Manfredi (Questa volta parliamo di uomini) e dal notevolissimo ma fiacco esordio de I basilischi. Con l’unione delle loro valenze artistiche entrambi arrivano al grosso successo internazionale: dal 1972 al 1975 escono in sala quattro film del tandem Wertmüller-Giannini, a cui si aggiunge Mariangela Melato, la quale manca solo in quello del ’75. Mimì metallurgico ferito nell’onore(1972), Film d’amore e d’anarchia(1973), Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto(1974) e Pasqualino Settebellezze (1975), fanno conquistare fama e notorietà al terzetto. La Wertmuller ha modo finalmente di esprimere il suo stile personale e particolarissimo fatto di toni grotteschi, stravaganti, racconti macchinosi e abbondanti.
G i a n c a r l o G i a n n i n i , L ina Wertmüller e Mariangela Melato. Per quanto riguarda la coppia Melato-Giannini, anche per loro questo sodalizio vuol dire, al di là del successo, consapevolezza dei propri mezzi. I due diventano una coppia-feticcio: lui è l’uomo tutto d’un pezzo che incarna il cliché del meridionale machista; lei, con dei tratti molto particolari che calamitano lo sguardo degli spettatori, è la ragazza che non può resistere al suo fascino. Sono anche la rappresentazione di un altro tema ricorrente nella filmografia della regista, quello del conflitto di classe, esasperato e reso grottesco. Molto significativi sono i film del periodo per la regista dai “titoli chilometrici”, perché le hanno dato modo di impossessarsi con disinvoltura di situazioni e gag collaudate ormai da tre lustri di cinema satirico all’italiana; ma lei le ha arricchite con un’aggressiva profusione di sguaiataggini e indecenze, perché il suo in larga parte è stato un successo di scandalo. La Wertmuller arrivò al grosso successo non servendosi mai, di nessuno dei tradizionali specialisti del genere brillante, andando invece coraggiosamente a cercare nuovi talenti da valorizzare: nel caso di Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, arrivando a creare due star. Il cinema della Wertmüller è caratterizzato da una attenzione quasi maniacale per i particolari e da un barocchismo che si traduce in titoli densi di ironia e di lunghezza proverbiale, rimasti nell’immaginario comune. La stessa regista, scherzava su questa curiosa scelta: “Il sogno di tutti i distributori è di avere dei film con una sola parola perché la possano scrivere più grande; ad un certo punto mi è venuta – grazie a quel tanto di “scugnizzo” che c’è in me – la voglia di scherzare col pubblico e di proporgli dei titoli talmente lunghi che nessuno se li potesse ricordare”. Analizziamo velocemente i quattro film del sodalizio artistico. Se i primi due si inseriscono in filoni e situazioni già collaudate, quello della satira dei costumi sessuali e dei tabù linguistico-sessuali nazionali; gli ultimi due rappresentano quella maturazione artistica, che infatti porterà la coppia ad Hollywood. Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto è ritenuto il più fortunato, ma anche il migliore dei film della Wertmuller, dove prende in giro la classe dei nuovi ricchi, ignoranti e
presuntuosi. E lo fa servendosi, ancora una volta di Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, ricca e antipatica la prima, rude marinaio comunista il secondo, che si ritrovano su un’isola deserta quando il gommone guidato dal marinaio va alla deriva. Quì l’uomo si prende la sua rivincita e seduce con successo la donna, ma l’arrivo dei salvatori, dopo parecchi giorni, riporta la situazione alla normalità. Il grande successo internazionale di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, proietta il successivo film Pasqualino Settebellezze alle massime vette hollywoodiane. Il film ottiene quattro nomination agli Oscar nel 1977, tra cui quello alla Miglior regia (la prima volta in assoluto per una donna) e al miglior attore protagonista per Giancarlo Giannini. Il film è ambientato negli anni ’30 e racconta la storia di un ragazzo napoletano, bello, compiaciuto, con tutta la vita davanti, che commette un omicidio per salvare l’onore della sorella (all’epoca non era considerato un reato): per la dinamica con cui viene compiuto, non viene considerato un delitto d’onore quindi Pasqualino viene arrestato e portato in un manicomio criminale. Costretto ad arruolarsi nella spedizione in Russia, riesce a disertare ma viene poi rinchiuso in un campo di concentramento. Tornerà a casa profondamente cambiato e disilluso. La pellicola è un’opera violenta, nichilista e inquietante che “giustifica il male insinuando la comoda convinzione che nulla avrebbe cambiato le cose”(sia nel campo di concentramento che nella Napoli corrotta e disperata della Liberazione) e cancella ogni riferimento morale per esaltare solo le primordiali esigenze del corpo, ovvero fame e sesso. L i n a W e r t m ü l l e r . Il sodalizio artistico tra Giannini, la Melato e la Wertmüller, rappresenta una delle vette collaborative più interessanti e qualitativamente di livello del nostro cinema. I film del sodalizio artistico arricchiscono la storia del cinema italiano e mondiale di capolavori satirici di spessore, segnandone un’epoca e, nel caso particolare della Wertmuller aprendo la strada ad altre registe donne, prima di allora ruolo quasi tabù per il gentil sesso. E siccome siamo qui per rendere omaggio ad una grande regista che ha fatto la storia del cinema italiano, scomparsa in questo uggioso dicembre del 2021, vogliamo nominare almeno altri tre film, realizzati tra gli anni ’80 e gli anni ’90, decenni nei quali forse, la sua azione diventa meno incisiva, meno graffiante, con poche eccezioni, che andiamo ora ad analizzare.
Dopo il 1978 de Fatto di sangue tra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici, con Sophia Loren, Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini, la regista ci mette ben cinque anni per trovare un progetto valido e tornare dietro la macchina da presa. Lo fa con una graffiante e sottovalutata allegoria politica, talmente scomoda, che per girarla, la Wertmüller dovette aspettare due anni. La sceneggiatura era infatti già pronta dal 1981 e si sa, quando si parla di politica in Italia, bisogna avere mille occhi. Finalmente il film ottiene le obbligatorie autorizzazioni e potè realizzarsi. Parliamo di Scherzo del destino dietro l’angolo in agguato come un brigante da strada, con un cast di primissimo ordine, in parte riciclato dal secondo capitolo di Amici miei: ci sono infatti Ugo Tognazzi, Gastone Moschin, Renzo Montagnani, Piera Degli Esposti ed una giovanissima Valeria Golino.
P a o l o V i l l a g g i o e L i n a W e r t m ü l l e r . Il trio di Amici miei, funziona alla grande, con Montagnani (il migliore del gruppo), che interpreta uno spiritosissimo funzionario della Digos imbrigliato in una storia decisamente ingarbugliata, con il ministro Moschin intrappolato dentro un’auto ministeriale inceppata, ferma davanti la casa del suo più ostracizzato politico, l’onorevole Tognazzi. Da quì la trama si dipana mettendo in scena situazioni bizzarre e divertenti, che prende in giro la politica, non risparmiando colpi bassi all’uno o all’altro schieramento politico. Quasi nove anni dopo Lina Wertmüller torna ad esprimersi ai livelli delle origini. Sublime appare infatti Io speriamo che me la cavo (1992), affresco sul disagio economico del Sud, tratto
dall’omonimo bestseller di Marcello D’Orta che raccoglie temi scolastici di una terza elementare di Arzano (Napoli). La figura del maestro, assente nel libro, diviene, sullo schermo, il filtro attraverso il quale i piccoli esprimono la loro visione del mondo, e la realtà di degrado in cui vivono. Il Maestro è ovviamente Paolo Villaggio, che dona al professore tratti di incredibile e straziante comicità amara, sguardi, gestualità e tonalità di voce estremamente diversi dai film a cui eravamo abituati. E’ la rivincita dell’Attore sulla Maschera, ed è la storia di un film struggente e di un sodalizio artistico tra Villaggio e la Wertmüller, rimasto nella memoria collettiva, tanto che la pellicola è il secondo incasso della stagione dietro Puerto Escondido, di Gabriele Salvatores. Merita un accenno, infine, l’ultimo film importante della regista, dal solito titolo chilometrico, ovvero Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica (1996), che ripropone, in chiave moderna, le sue famose coppie mal assortite. Qui a creare situazioni comiche e cortocircuiti sociali sono Tullio Solenghi e Veronica Pivetti, con un efficace Gene Gnocchi sullo sfondo. L i n a W e r t m ü l l e r q u a n d o h a ricevuto la stella della Walk of fame di Hollywood. 23 film da regista, 10 da sceneggiatrice e in aggiunta numerosi lavori televisivi, tra cui Il giornalino di Gian Burrasca: diamo giusto qualche numero per affermare, se mai ce ne fosse bisogno, la valenza che Lina ha avuto nello spettacolo italiano del ‘900. Possiamo anche continuare aggiungendo 3 nominations agli Oscar, un Oscar alla carriera, un David di Donatello alla carriera, un Globo d’oro alla carriera e due Premi di primo livello all’importante Festival di Locarno. Non c’è bisogno di aggiungere null’altro, se non che la Wertmüller rimarrà in eterno come simbolo
della forza e della tenacia delle donne, in grado di emergere e di primeggiare, in un mondo ahimè e ahinoi, ancora troppo maschilista. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter
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