Mare, temperature e biodiversità: ecco i cambiamenti climatici in atto nell'analisi di Arpal - IVG.it

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Mare, temperature e biodiversità: ecco i cambiamenti climatici in atto nell'analisi di Arpal - IVG.it
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      Mare, temperature e biodiversità: ecco i cambiamenti
      climatici in atto nell’analisi di Arpal
      Sabato 22 giugno 2019

      Liguria. Clima, temperature, mare e biodiversità: cosa dobbiamo aspettarci nel futuro
      e soprattutto come sarà questa estate 2019? Domande che abbiamo rivolto agli esperti e
      tecnici di Arpal, con un focus sui cambiamenti climatici in atto che viviamo
      quotidianamente, con conseguenze e ripercussioni a vari livelli: è opportuno riflettere e
      capire tutti gli indicatori.

      Iniziamo dalla Climatologia, con l’analisi realizzata da Luca Rusca e Luca Onorato,
      climatologi Centro Meteo Arpal: “A causa del maggio più freddo che ha interessato il
      Mediterraneo centrale e l’Italia la temperatura del mare di inizio giugno è risultata di circa
      20°C, con un’anomalia negativa di circa – 2 °C rispetto alla media climatologica. Con
      l’avvio dell’estate meteorologica la prima parte di giugno è condizionata da una rimonta
      anticiclonica caratterizzata da apporti di aria sub tropicale nord africana che sono evidenti
      dalla rianalisi della pressione geopotenziale del NOAA – National Oceanic and Atmospheric
      Administration – (si evidenzia il dominio anticiclonico che ostacola l’avanzata della
      depressione sul Nord-Ovest Europa, che ha comportato una serie di richiami caldi dal nord
      Africa verso la Scandinavia): infatti si osservano richiami caldo umidi di origine sub
      tropicale lungo i meridiani, legati a una rimonta anticiclonica ben estesa dal Mediterraneo
      centrale verso il nord-Est Europa”.

      [FOTO ID=560481]

      “Nel corso del 2019 con l’inizio dell’estate meteorologica dal 1 giugno si è osservato un
      incremento termico significativo sul genovese e savonese che dall’inizio dell’anno a oggi
      ha comportato il 10 e 14 giugno record caratterizzati da temeperature massime tra 31°C e

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      32.5°C. Analizzando le temperature massime del giugno 2019 su un periodo che va dal
      2013 al 2019 si osserva come sul genovese i valori si collochino rispettivamente al 5°posto
      a Genova e oltre a Savona. I massimi di giugno evidenziano come il giugno 2019 (inizio
      dell’estate meteorologica) attualmente sia caratterizzato da record caldi che si collocano
      dopo il 2014, 2015 e 2017, presentando un’anomalia termica positiva di circa + 8°C
      (rispetto alla climatologia del periodo 1981-2010)” aggiungono i climatologi Arpal.

      “L’analisi pluviometrica è caratterizzata da un’anomalia negativa con scarse precipitazioni
      (sotto l’atteso) sulla Liguria con valori di pioggia che nelle ultime due settimane di questo
      mese non hanno mai superato i 10 mm (giornalieri) in nessuna delle 4 Province
      (quantitativi scarsi), mostrando dopo un maggio abbastanza piovoso, una drastica
      riduzione delle precipitazione con l’inizio della stagione calda (questi dati sono
      evidenziabili QUI).

      [FOTO ID=560484]

      “Ma questa tendenza verso la siccità può essere estrapolata anche dall’anomalia della
      precipitazione giornaliera, che mostra valori negativi tra -1 mm e -3 mm sulla Liguria (più
      elevati sul Levante ligure e la vicina Toscana dove spiccano cromatismi verdi)”
      concludono.

      Ora veniamo alla parte riguardante il nostro Mar Ligure: Arpal svolge controlli sui 376
      tratti di costa ligure in cui è consentita la balneazione almeno una volta al mese: svolge le
      analisi da aprile a settembre, alla ricerca di escherichia coli ed enterococchi, microbi che
      vivono nella pancia delle persone e determinano la conformità alla normativa vigente. A
      giugno è iniziato anche il monitoraggio dell’alga Ostreopsis ovata, al momento
      sporadicamente presente con pochissimi esemplari.

      Ma non solo: la sua attività consente una analisi scientifica sull’ambiente marino. “E’
      cambiata la composizione di fitoplancton nel corso degli anni, sia in termini di abbondanza
      sia di gruppi di specie presenti. Il fitoplancton è facilmente soggetto a variazioni
      dipendenti da diverse variabili ambientali (es. temperatura, pH, nutrienti, sostanze
      inquinanti, microplastiche che fungono da “vettori”) e, essendo la base delle catene
      trofiche, è un importante indicatore della salute dei nostri mari, anche nell’ottica dei
      cambiamenti climatici in atto” afferma Valentina Giussani – tecnico Arpal del Centro del
      mare.

      “Con l’aumentare della temperatura degli oceani (es. tropicalizzazione del Mediterraneo),
      potrebbero arrivare specie non indigene o proliferare specie considerate finora rare,
      capaci a volte di alterare l’equilibrio di un habitat” conclude.

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      Ora passiamo all’analisi sulle biodiversità in relazione ai cambiamenti climatici: si stanno
      consolidando, infatti, trasformazioni nel mar Mediterraneo, sia in termini di specie
      presenti, sia di funzionalità degli ecosistemi.

      “Gli effetti direttamente percepibili si vedono soprattutto nel mare, dove la
      tropicalizzazione in corso ha generato un surriscaldamento delle acque, con la comparsa
      nel Mar Ligure di specie alloctone, la cui presenza alle nostre latitudini fino a qualche
      anno fa era impensabile – sottolinea Daniela Caracciolo, tecnico Arpal ufficio biodiversità -.
      Secondo lo studio “Climate change and interconnected risks to sustainable development in
      the Mediterranean”, pubblicato su Nature Climate Change nell’ottobre del 2018, le
      temperature medie annuali nel bacino del Mediterraneo sono attualmente circa 1,4° C al
      di sopra del livello preindustriale, 0,4° C in più rispetto alla scala globale. Così sempre più
      specie non native, che entrano dallo Stretto di Gibilterra o dal Canale di Suez, si adattano
      al nuovo ambiente e si moltiplicano velocemente. E’ il caso del barracuda, che oggi è
      presente addirittura con una specie autoctona, il barracuda mediterraneo appunto,
      ampiamente diffuso nei fondali antistanti il Promontorio di Portofino, ma anche di specie
      potenzialmente molto pericolose per l’uomo, come il pesce palla, la cubo-medusa, il pesce
      scorpione. La presenza delle specie aliene è molto più ampia di quanto possiamo
      immaginare, alla fine dello scorso anno, un progetto di monitoraggio messo in piedi dai
      ricercatori di Enea, dell’università di Pavia e dello Smithsonian Environmental Research
      Center (SERC), ha evidenziato la presenza di piccoli organismi originari delle Galapagos,
      mini crostacei giapponesi e plancton originario del sud-est asiatico, in abbondante quantità
      nel Golfo della Spezia”.

      E ancora: “Anche sulla terraferma l’espansione delle specie aliene invasive è una delle
      principali cause del declino della biodiversità autoctona. E anche qui, il cambiamento
      climatico, seppure non con una relazione causa-effetto così diretta come avviene in
      ambiente marino, ha un ruolo importante nel determinare la proliferazione delle cosiddette
      IAS (Invasive Alien Species). Basta infatti che si verifichi uno stato di sofferenza negli
      habitat con minori capacità di resilienza, per generare le condizioni ottimali allo sviluppo
      delle specie aliene invasive, caratterizzate da una grande adattabilità e da tassi di
      riproduzione molto elevati, per creare danni ingenti al nostro patrimonio naturale. Gli
      esempi sono moltissimi, per restare in casa nostra si può citare il parrocchetto dal collare
      (Psittacula krameri), che si sta espandendo rapidamente, entrando in competizione con le
      comunità ornitiche presenti alla foce dell’Entella e con i pipistrelli che nidificano nelle

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      cavità degli alberi, oltre a determinare, in alcune aree del centro urbano genovese,
      problemi di sicurezza per il rischio di scivolamento legato alla quantità di guano che si
      deposita a terra. Tra i vegetali un buon esempio è rappresentato dal genere Senecio, che
      comprende un gruppo di piante altamente invasive che si possono osservare con
      appariscenti fioriture nel periodo estivo in corrispondenza di zone ruderali, aree di
      margine, specialmente di aree agricole, incolti, greti, aree urbane. Queste entità, oltre a
      sostituirsi rapidamente alla flora locale, contengono in molti casi alcaloidi altamente
      tossici per mammiferi ed api, anche in piccole quantità, come per esempio il senecione
      sudafricano (Senecio inequidens) ed il senecione angolato (Senecio angulatus)”.

      “In generale, però, gli ambienti più fragili sono rappresentati dalle zone umide, che
      risentono direttamente della diminuzione delle piogge e dell’aumento della temperatura, e
      tra le specie più a rischio, a livello mondiale, vi sono gli anfibi che, per vari motivi, vedono
      la rarefazione delle aree necessarie alla riproduzione. Occorre prendere coscienza del
      fatto che il problema della scomparsa di molte specie animali e vegetali per cause umane è
      una delle emergenze della nostra epoca. L’attuale ritmo di estinzione di queste specie è
      considerato da 100 a 1.000 volte superiore a quello registrato in epoca pre-umana, tanto
      che gli scienziati parlano di sesta estinzione di massa. Le cause principali di questo
      fenomeno sono l’eccessivo sfruttamento delle risorse, anche di tipo illegale (caccia, pesca,
      commercio), la distruzione e la frammentazione degli habitat (agricoltura intensiva,
      infrastrutture, ecc.), l’introduzione di specie aliene invasive. E se continuiamo su questa
      strada, il cambiamento climatico non farà altro che aumentare gli effetti negativi in atto,
      accelerando il tasso di distruzione della nostra preziosa biodiversità” conclude l’esperta di
      Arpal.

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