Lo Stato Italiano e la Santa Sede di fronte alla Chiesa di Nostra Signora di Loreto a Lisbona

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Lo Stato Italiano e la Santa Sede di fronte alla Chiesa di
              Nostra Signora di Loreto a Lisbona

                                                   Settimio Carmignani Caridi
                                                          Professore Aggregato
                                             Università di Roma “Tor Vergata”

(In corso di stampa in Estudos Italianos em Portugal, Instituto
Italiano de Cultura de Lisboa, Nova Série, n.13, 2018)

        Nell’anno 2000, di ritorno da un viaggio ufficiale in
Portogallo, l’allora Presidente della Corte costituzionale
italiana (e mio Maestro) Prof. Cesare Mirabelli, mi consegnò
copia di uno Statuto (approvato con scambio di note tra la
Repubblica Italiana e la Santa Sede nel 1951) relativo alla
“Chiesa di Nostra Signora di Loreto”, incaricandomi di
studiarne le peculiarità e di redigere un appunto.
        Quello fu il mio primo incontro con la Chiesa di Nostra
Signora di Loreto e con la Sua complicata storia giuridica che
mi si presentò a prima vista come un rompicapo (anche perché
all’epoca la dottrina1 non aveva dedicato particolari attenzioni
né a tale Chiesa né alle altre Chiese italiane all’estero)
mostrandomi una struttura statutaria del tutto atipica se
raffrontata con quella di tutti gli altri enti canonici, ecclesiastici
o vaticani con i quali mi ero fino ad allora misurato. Ma si sa, le
cose “atipiche” hanno la peculiarità di catturare la curiosità dei
ricercatori e questo mi ha portato a dedicare il tempo
disponibile, man mano che mi si presentava l’occasione, a
ricercare materiale, soprattutto nell’archivio del MAE (in anni
nei quali c’erano problemi che ostavano ad una ricerca presso
l’archivio della Chiesa Italiana di Lisbona), presentare alcuni
testi in congressi internazionali2 e intrattenere rapporti
1
  In dottrina, a quanto ci risulta, la Chiesa Italiana di Lisbona ha attirato l'attenzione solamente
di G. Catalano, che riguardo ad essa così si è espresso: "Lo Statuto della Chiesa Italiana Nostra
Signora di Loreto in Lisbona, che regola funzioni e attribuzioni della Giunta elettiva, che
amministra i beni della Chiesa e le rendite destinate alla beneficenza e assistenza, nonché della
Fabbriceria, che amministra le rendite specificatamente destinate alla manutenzione della
Chiesa e all'esercizio del culto, venne redatto dal nostro Ministero degli Affari Esteri e
trasmesso dall'Ambasciatore d'Italia presso la S. Sede al Segretario della S. Congregazione
per gli affari straordinari con lettera 14 luglio 1951, n. 751. Il Segretario di quella
Congregazione con lettera del 18 luglio 1951, n. 5139 significò che la S. Sede si trovava
d'accordo su tale testo. Sull'argomento vennero altresì scambiate altre due missive di pari data
per assicurare «che lo stesso spirito di comprensione delle esigenze religiose in relazione alle
prescrizioni canoniche che ha animato il Governo italiano nel corso della formulazione del
nuovo Statuto, informerà l'azione del Ministro italiano in Lisbona nell'espletare direttamente o
per mezzo di un suo rappresentante le funzioni di Presidente della Giunta e di membro della
Fabbriceria» (…)". Vedi in G. Catalano, Problematica giuridica dei concordati, Milano,
Giuffrè, 1963, p. 178, sub nota 18. Il Catalano conclude segnalando che "va sottolineata la
singolarità di tale accordo che non crea alcun collegamento tra l'ordinamento statale e
canonico, ma vale a regolare la situazione giuridica di enti sottoposti alla sovranità di un terzo
Stato", ibidem. In tempi recentissimi, poi, la Chiesa italiana di Lisbona viene citata in nota, per
giustificare considerazioni analoghe a quelle del Catalano sulla atipicità dell’accordo del 1951,
da Daniele Arru, La pratica concordataria posteriore agli accordi di Villa Madama, Nuova
edizione, Roma, La Sapienza, 2002, p. 240 sub n. 13.
2
  Settimio Carmignani Caridi, Le “Chiese italiane all’estero”: gli “Italiani all’estero” tra
impegno pastorale della Chiesa e tutela statale del patrimonio culturale e religioso dei
“nazionali”. Il caso della Chiesa Italiana di Nostra Signora di Loreto in Lisbona, in Système
juridique canonique et rapports entre les ordonnancements juridiques – Sistema giuridico

                                                 1
epistolari con chi (in primo luogo la Prof.ssa Nunziatella
Alessandrini) in Portogallo stava studiando da altra ottica
scientifica problematiche limitrofe.         Dato che sono un
ecclesiasticista, ad attirare la mia attenzione è stato soprattutto
il complesso rapporto che sulla Chiesa italiana di Lisbona sì è
sviluppato tra Santa Sede e Stato italiano.
Ma perché competenze rivendicate dallo Stato italiano e dalla
Santa Sede venivano ad intrecciarsi con la vita di una Chiesa di
Lisbona? La ragione va individuata nell’aggettivo “nazionale”
che qualifica tale Chiesa. Ma come la “Nazione” entra nelle
sfere di interesse delle suddette due Alte Parti? Se è abbastanza
evidente l’interesse che uno Stato nazionale ha a tutelare le
varie espressioni ed articolazioni della Nazione e di ciò che
(come l’espressione religiosa) fa parte del suo patrimonio,
nonché la permanenza stessa all’interno della cultura nazionale
dei propri cittadini emigrati, può apparire a prima vista meno
evidente quale sia l’interesse della Chiesa (e quindi della Santa
Sede), per la realtà sociale nota come “Nazione”.
        Un compianto canonista, il Vescovo svizzero Eugenio
Corecco, sosteneva che la pluralità etnico-linguistica si presenta
come un “dato” risalente alla volontà stessa del Creatore3.
        Se, quindi, la diversità entico-linguistica è un frutto
della volontà divina, essa ha conseguenze a livello di posizioni
soggettive tutelate dall’ordinamento canonico e sulle necessità
organizzative della Chiesa? Quale è il ruolo della appartenenza
nazionale nella vita della Chiesa, e che impatto – laddove si
vengano a creare “materie miste” - può avere questo nei
rapporti con lo Stato che di una determinata Nazione si fa
espressione?
        Per rifarsi al pensiero altrove espresso sempre da
Corecco, il diritto a che sia rispettata la diversità nazionale,
trovando la propria radice nella volontà divina, non sarebbe
tutelato solo da norma di diritto divino naturale (come per il
diritto statale), ma di “jus divinum positivium” con la
conseguenza “di esigere un’obbedienza [non solo] a livello

canonico e rapporti interordinamentali, Elie Raad (cur.), Beyrouth, Publications Université La
Sagesse, 2008, pp. 847-875; e Settimio Carmignani Caridi, Diritto divino, diversità nazionali e
diritto canonico, in Il Ius Divinum nella Vita della Chiesa - The Ius Divinum in the life of the
Church, Venezia, Marcianum Press, 2009, pp. 447-463
3
  “La diversità etnico-linguistica rientra, secondo l’insegnamento della Scrittura, nell’ordine
della creazione e della storia come realizzazione del piano di Dio” come ebbe modo di chiarire
Eugenio Corecco, secondo il quale “Appartiene perciò alla struttura della creazione stessa e
non può essere eliminata, essendo elemento costitutivo del Regno di Dio (…). A questa
struttura si oppone, infatti, agli albori della storia dell’umanità, il peccato emerso
nell’episodio della torre di Babele (Gn. 11,1-9). Il disegno prometeico di costruire un unico
popolo attorno ad una sola lingua e ad una sola cultura è sconfessato da Dio. Poiché un simile
progetto sociale e politico nega la libertà originale della persona umana di esprimersi secondo
una identità culturale e politica propria, gli uomini riuniti attorno alla torre di Babele non
riescono più a comprendersi”. Così Eugenio Corecco, Le migrazioni nell’orizzonte del Regno,
Relazione tenuta al Simposio ecclesiale sulle Migrazioni italiane “La pastorale etnica, oggi e in
prospettiva”, Roma 3-6 settembre 1985, in La Chiesa di fronte al problema delle migrazioni.
Raccolta di scritti ecclesiologici di Eugenio Corecco, supplemento redazionale di “Servizio
Migranti”, nr. 2 (marzo-aprile 1995), p. LII-LXIII, qui p. LII.

                                               2
etico solo intramondano, ma anche a livello del destino ultimo
e soprannaturale dell’uomo”4.
         La Chiesa, cioè, nel portare l’Annuncio cristiano
all’uomo concreto5, non potrà prescindere dalla rilevanza di
quel patrimonio culturale6 che lo sorregge e che è il tessuto
connettivo della Nazione7. Agendo in modo diverso
vanificherebbe la possibilità stessa di svolgere attività
missionaria8 efficace9 e violerebbe un vero e proprio diritto.
         Non va poi dimenticato che la Nazione, in questa ottica,
è una realtà umana, partecipe del dinamismo e della mobilità
degli uomini. Se questi ultimi si spostano da un luogo ad un
altro, non troncano il rapporto con la propria comunità di
origine, con le proprie radici, con la propria lingua e con la
propria cultura. Quando gruppi di uomini si spostano,
“emigrano”, in qualche modo anche la Nazione li segue, e ciò
non è privo di risvolti etici.
         Il Magistero papale ha inteso richiamare una pluralità di
“diritti” delle nazioni – perché no, anche di quelle “emigrate” o
della diaspora - riallacciandosi ad un dibattito teologico
risalente almeno al XV secolo10.
4
   Così in Eugenio Corecco, Il valore della norma canonica in rapporto alla salvezza.
Prolusione per il conferimento della laurea honoris causa – Università Cattolica di Lublino, 23
maggio 1994, in E. Corecco, Ius et Communio. Scritti di Diritto Canonico, a cura di Borgonovo
G. e Cattaneo A., vol. I., Facoltà Teologica di Lugano - Piemme, Lugano – Casale Monferrato,
1997, pp. 57-64, qui p. 63
5
  “Homo igitur, et quidam unus ac totus, cum corpore et anima, corde et conscientia, mente et
voluntate, totius nostrae explanationis cardo erit”, così il Concilio Ecumenico Vaticano II in
Gaudium et Spes, n. 3.
6
   E’ da ricordare quanto sottolineò Papa Paolo VI nella Esortazione Apostolica Evangelii
Nuntiandi del 1975, al n. 63: “Quaestio profecto haud parum prudentiae habet, cum
evangelizatio multum suae virtutis suaeque efficacitatis amittat, nisi rationem habeat populi, ad
quem reapse dirigitur, nisi eius lingua eiusque signibus et imaginibus utatur, nisi quaestionibus
respondeat, quas ipse ponit, nisi demum eius verum vivendi morem tangat et moveat”.
7
  E’ importante ricordare come alcune personalità eccezionali si dedicarono alla pastorale degli
italiani all’estero e segnalarono subito l’inscindibile rapporto tra azione pastorale efficace e
tutela dell’appartenenza nazionale. Così, ad esempio G.B. Scalabrini, Memoriale sulla
necessità di proteggere la nazionalità degli emigrati, [manoscritto] 1891, ora in
http://www.scalabrini.org/Scalabrini%20e%20le%20Migrazioni/memoriale.htm : “L’idea della
nazionalità è conforme ai bisogni dell’uomo, e non senza una potente ragione Dio divise gli
uomini in nazioni diverse, ed ai popoli e alle nazioni assegnò confini. Per il progresso morale e
materiale dell’umanità era necessaria cotesta divisione. La differenza del genio delle varie
stirpi, l’ammirabile varietà di tendenze, di aspirazioni, di affetti che distinguono un popolo
dall’altro contribuiscono a creare quel grande movimento intellettuale che fa progredire
l’umanità e soddisfa ai bisogni nuovi di tempi e di luoghi” ed anche, parlando del migrante
italiano e dei rischi di perdita della Fede: “Se egli conserva le tradizioni patrie, egli rimarrà
cattolico; se le perde si farà protestante, insensibilmente, nei paesi protestanti, massone o
indifferente nei paesi cattolici, molto più che purtroppo non mancheranno incentivi, anche da
parte di compatrioti traviati, per spingerlo all’apostasia”. Interessante (dal punto di vista
ecclesiasticistico) è quanto il Beato Scalabrini sottolinea sulla necessità di pace tra Patria e
Chiesa: “Per evitar tanto male conviene dunque allontanare ogni causa di conflitto, massime
permanente, fra Religione e Patria”.
8
  “Quicumque nempe alium populum aditurus est, magni aestimet eius patrimonium et linguas
et mores”, Ad Gentes divinitus, caput 4, n. 26
9
   “Haec fidelium congregatio, divitiis culturae propriae gentis praedita, in populo profunde
radicetur” Così il Concilio Ecumenico Vaticano II in Ad Gentes divinitus, caput 2, art. 3. Infatti
“Christifideles ex Gentibus cunctis in Ecclesia congregati, "neque regimine, neque sermone,
neque politicis vitae institutis a ceteris hominibus sunt distincti", ideoque in honesta
consuetudine vitae gentis suae Deo et Christo vivant; ut boni cives amorem Patriae vere et
efficaciter colant, alienae tamen stirpis contemptum et nationalismum exacerbatum vitent
omnino, amorem hominum universalem promoveant” ibid.
10
    Così, nel Suo messaggio in occasione del 50° anniversario dell’ONU, Giovanni Paolo II
ricordava: “In realtà il problema del pieno riconoscimento dei diritti dei popoli e delle nazioni
si è presentato ripetutamente alla coscienza dell'umanità, suscitando anche una notevole
riflessione etico-giuridica. Penso al dibattito svolto durante il Concilio di Costanza nel XV

                                                3
Così, se il “presupposto degli altri diritti di una nazione
è certamente il suo diritto all'esistenza”, ciò implica
naturalmente, “per ogni nazione, anche il diritto alla propria
lingua e cultura” e quindi il “diritto di modellare la propria
vita secondo le proprie tradizioni”11
         La necessità di rispettare tali diritti può provocare
problemi nella organizzazione della Chiesa, e storicamente ha
prodotto talvolta conflitti12 e persino dolorose lacerazioni13, ma
contemporaneamente può portare ad adottare strumenti
giuridici che consentano la coesistenza nell’unità della Chiesa
cattolica delle peculiarità nazionali e linguistiche dei fedeli14.
         E’ noto lo sforzo di elaborazione che la Chiesa ha posto
in essere di fronte all’enorme sviluppo del fenomeno migratorio
dall’Europa verificatosi nei secoli XIX e XX15 che vide – tra
l’altro - il coinvolgimento di milioni di italiani16, sforzo che ha

secolo, quando i rappresentanti dell'Accademia di Cracovia, capeggiati da Pawel Wlodkowic,
difesero coraggiosamente il diritto all'esistenza ed all'autonomia di certe popolazioni europee.
Anche più nota è la riflessione avviata, in quella medesima epoca, dall'Università di
Salamanca nei confronti dei popoli del nuovo mondo. Nel nostro secolo, poi, come non
ricordare la parola profetica del mio predecessore Benedetto XV, che nel corso della prima
guerra mondiale ricordava a tutti che "le nazioni non muoiono", e invitava "a ponderare con
serena coscienza i diritti e le giuste aspirazioni dei popoli" (Ai popoli ora belligeranti ed ai
loro capi, 28 luglio 1915)?”. Messaggio di Giovanni Paolo II all'Assemblea Generale delle
Nazioni       Unite     per     la     celebrazione       del      50°     di     fondazione,      in
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1995/october/documents/hf_jp-
ii_spe_05101995_address-to-uno_it.html
11
   Sempre in Messaggio di Giovanni Paolo II all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per
la           celebrazione           del            50°          di           fondazione,           in
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1995/october/documents/hf_jp-
ii_spe_05101995_address-to-uno_it.html
12
    Ciò soprattutto quando non si presta attenzione al problema acutamente avvertito da E.
Corecco per il quale “L’identità culturale di una minoranza come quella dei protagonisti delle
migrazioni (…) deve essere salvata ad ogni costo. Ma deve essere una identità culturale che
nasce dal modo di vivere e di incarnare la fede in un determinato ambiente culturale, non
l’identità culturale alla cui radice ci sono solo elementi antropologici, nazionali, o socio-
politici, che per loro natura sono solo particolaristici e, di conseguenza, inevitabilmente
alternativi ad altre culture”. Così in Eugenio Corecco, Chiesa locale e partecipazione nelle
migrazioni, in La Chiesa di fronte al problema delle migrazioni. Raccolta di scritti
ecclesiologici di Eugenio Corecco, supplemento redazionale di “Servizio Migranti”, nr. 2
(marzo-aprile 1995), pp. VI-XIV, qui p. X.
13
   Un esempio doloroso di tali problemi può essere visto nella crisi della emigrazione polacca in
Nord America, dove le incomprensioni tra immigrati polacchi e clero di origine irlandese o
tedesca, la inascoltata richiesta di veder utilizzato il Polacco nella catechesi e nel culto,
favorirono il verificarsi di un vero e proprio scisma e la nascita della Chiesa Nazionale
Cattolica Polacca. Per una sintetica ricostruzione delle vicende di tale Chiesa, vedi Massimo
Introvigne, Le nuove religioni, Milano, SUGARCO, 1989, pp. 211-212. Tale Chiesa ha anche
promosso il sorgere negli U.S.A. di altre chiese “etniche” indipendenti (italiana, ungherese,
lituana e portoricana).
14
   Per una meditazione sul rapporto tra la pluralità di culture e l’unità della Chiesa, vedi Arturo
Cattaneo, Migrazioni e multiculturalità, in ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE AMICI DI
EUGENIO CORECCO, VESCOVO DI LUGANO. Per una convivenza tra i popoli.
Migrazioni e multiculturalità (Atti del Congresso Internazionale in memoria di S.E. Mons.
Eugenio Corecco svoltosi a Lugano dal 28 febbraio al 2 marzo 2002, a cura di Gian Piero
Milano e Ernesto William Volontè), Siena, Catagalli, 2003, pp. 135-146.
15
   Per una raccolta dei documenti, pastorali e normativi, emessi dalla Santa Sede tra il 1883 ed
il 1983, vedi PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA PASTORALE DELLE MIGRAZIONI E
DEL TURISMO, Chiesa e mobilità umana. Documenti della Santa Sede dal 1883 al 1983, a
cura di G. Tassello e L. Favero; introduzioni di G. Rosoli e V. De Paolis, Roma, Centro Studi
Emigrazione, 1985.
16
   “Los italianos, en algunos paìses (…) fueron mayoria immigratoria, como en Argentina.
También en Brasil y Venezuela fueron abundantes. Esta colectividad suscitò una especial
preocupaciòn en la Iglesia », così in A.D. Busso, La organizaciòn eclesiàstica de los
immigrates latinos y orientales en America Latina, in in AA.VV. Territorialità e personalità
nel diritto canonico ed ecclesiastico. Il diritto canonico di fronte al terzo millennio. Atti dell’XI
Congresso Internazionale di Diritto Canonico e del XV Congresso Internazionale della Società

                                                 4
visto una compiuta sistematizzazione giuridica, prima con la
Exsul Familia17 del 1952 di Pio XII, poi – a seguito di quanto
stabilito da Concilio Ecumenico Vaticano II nel n. 18 del
Decreto Christus Dominus18 - con la Pastoralis migratorum
cura19, del 1969 di Papa Paolo VI20, la conseguente Istruzione
del medesimo anno della Sacra Congregazione per i Vescovi
Nemo est21, infine con l’istruzione del 3 Maggio 2004 Erga
migrantes caritas Christi22, e con il contemporaneo progressivo
spostamento della responsabilità relativa alla cura pastorale dei
migranti, in origine tutta incentrata sull’azione della Santa Sede
ed oggi ampiamente posta in capo ad ogni Chiesa locale23 con

per il Diritto delle Chiese Orientali, Budapest 2-7 Settembre 2001, a cura di Péter Erdö e Péter
Szabò, Szent Isvàn Tàrsulat, Budapest, 2002, pp. 356-391, qui p. 383.
17
   Constitutio Apostolica de spirituali emigrantium cura “Exsul Familia”, 1 agosto 1952, in
A.A.S.44 (1952), pp. 649-704 ed in PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA PASTORALE
DELLE MIGRAZIONI E DEL TURISMO, Chiesa e mobilità umana. Documenti della Santa
Sede dal 1883 al 1983, cit., pp. 316-354.
18
   Sulla genesi del n. 18 del Decreto Christus Dominus, vedi Miguel Ángel Ortiz, La “especial
solicitud por algunos grupos de fieles”. El. n. 18 del Decreto “Christus Dominus” y la pastoral
del la movilidad humana, in AA. VV. Territorialità e personalità nel diritto canonico ed
ecclesiastico. Il diritto canonico di fronte al terzo millennio. Atti dell’XI Congresso
Internazionale di Diritto Canonico e del XV Congresso Internazionale della Società per il
Diritto delle Chiese Orientali, Budapest 2-7 Settembre 2001, a cura di Péter Erdö e Péter Szabò,
Szent Isvàn Tàrsulat, Budapest, 2002, pp.137-155.
19
   Litterae Apostolicae motu proprio datae “Pastralis migratorum cura”, 15 agosto 1969, in
A.A.S. 61 (1969), pp. 601-603, in PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA PASTORALE
DELLE MIGRAZIONI E DEL TURISMO, Chiesa e mobilità umana. Documenti della Santa
Sede dal 1883 al 1983, cit., pp. 598-600, ed in Ench. Vat., vol. 3, pp. 896-901.
20
   Sullo sviluppo del magistero ecclesiale e della normativa canonica relativi alla cura pastorale
dei migranti e sull’attuale quadro normativo molto è stato scritto. Tra i tanti, vedi, innanzi tutto
i contributi di Eugenio Corecco, raccolti in La Chiesa di fronte al problema delle migrazioni.
Raccolta di scritti ecclesiologici di Eugenio Corecco, supplemento redazionale di Servizio
Migranti, nr. 2 (marzo-aprile 1995). Sul pensiero di Corecco relativo a questa materia, v.
Ernesto William Volontè, L'emigrazione nella comunione ecclesiale. la riflessione di mons.
Eugenio Corecco, Vescovo di Lugano, in ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE AMICI DI
EUGENIO CORECCO, VESCOVO DI LUGANO. Per una convivenza tra i popoli.
Migrazioni e multiculturalità (Atti del Congresso Internazionale in memoria di S.E. Mons.
Eugenio Corecco svoltosi a Lugano dal 28 febbraio al 2 marzo 2002, a cura di Gian Piero
Milano e Ernesto William Volontè), Siena, Catagalli, 2003, pp. 147-161.
Sulla pastorale dei migranti vedi poi Antonio Perotti, Assistence pastorale des migrantes, in
Monitor Ecclesiasticus, 1970, pp. 46-60, Velasio De Paolis, The pastoral care of migrants in
the teaching and in the directives of the Church, in AA.VV., Migrations, Vatican City, 1985,
pp. 11 ss., Velasio De Paolis, Aspetti canonici del Magistero della S. Sede sulla mobilità
umana, in PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA PASTORALE DELLE MIGRAZIONI E
DEL TURISMO, Chiesa e mobilità umana. Documenti della Santa Sede dal 1883 al 1983, cit.,
pp. XXXI-XLIX; Gianni Trevisan, La cura pastorale dei migranti, in Quaderni di diritto
ecclesiale, 1989, Quad. 2, pp. 158 ss.; nonché plurimi contributi al precedente Congresso
internazionale di diritto canonico Territorialità e personalità nel diritto canonico ed
ecclesiastico. Il diritto canonico di fronte al Terzo Millennio, Budapest 2-7 settembre 2001, i
cui atti sono raccolti e pubblicati nell’omonimo volume curato da Péter Erdö e Péter Szabò ed
edito a Budapest nel 2002 da Szent Istvàn Tarsulat.
21
    SACRA CONGREGATIO PRO EPISCOPIS, Instructio “Nemo est” de pastolari
migratorum cura, 22 agosto 1969, in A.A.S., 61 (1969), pp. 614-643, in PONTIFICIA
COMMISSIONE PER LA PASTORALE DELLE MIGRAZIONI E DEL TURISMO, Chiesa e
mobilità umana. Documenti della Santa Sede dal 1883 al 1983, cit., pp. 601-631, ed in Ench.
Vat., vol. 3, pp. 900-961.
22

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/migrants/documents/rc_pc_migrants_d
oc_20040514_erga-migrantes-caritas-christi_it.html
23
     Vedi Arturo Cattaneo, Migrazioni e multiculturalità, in ASSOCIAZIONE
INTERNAZIONALE AMICI DI EUGENIO CORECCO, VESCOVO DI LUGANO. Per una
convivenza tra i popoli. Migrazioni e multiculturalità (Atti del Congresso Internazionale in
memoria di S.E. Mons. Eugenio Corecco svoltosi a Lugano dal 28 febbraio al 2 marzo 2002, a
cura di Gian Piero Milano e Ernesto William Volontè), Siena, Catagalli, 2003, pp. 135-146, qui
p. 137: “Il Vaticano II, con la rivalutazione della Chiesa locale, ha favorito un cambiamento
nel modo di impostare la pastorale dei migranti. Si è passati da una situazione in cui
primeggiava l’iniziativa della Santa Sede [nota 9: Soprattutto per mezzo della S.

                                                 5
la collaborazione tra Conferenze episcopali nazionali24 dei
Paesi di emigrazione e di immigrazione25.
         Meno nota26 è la pluralità di soluzioni adottate “prima”
della grande esplosione del fenomeno migratorio, quando la
presenza di “colonie” straniere era comunque un dato stabile e
“fisiologico”.
         Al riguardo possiamo partire da quanto venne stabilito
dal Concilio Lateranense IV27, dell’anno 1215 “Quoniam in
plerisque partibus intra eandem civitatem atque dioecesim
permixti sunt populi diversarum linguarum habentes sub una
fide varios ritus et mores districte praecipimus ut pontifices
huiusmodi civitatum sive dioecesum provideant viros idoneos
qui secundum diversitates rituum et linguarum divina officia
illis celebrent et ecclesiastica sacramenta ministrent instruendo
eos verbo pariter et exemplo”.
         Quindi, almeno a partire dal 121528, con il Concilio
Lateranense IV, la Chiesa aveva dovuto fare i conti con le
imprescindibili necessità dettate dalla presenza in una chiesa
locale di colonie di fedeli appartenenti ad una “natio” diversa29.
Così nell’introduzione storica alla Exsul Familia, ad esempio,
si ricordano tutte le strutture “nazionali” che i Romani
Pontefici – anche prima del 1215 - avevano nei secoli creato
per l’assistenza spirituale e materiale dei gruppi di pellegrini30
provenienti dalle più diverse contrade dell’Orbe cattolico31.

Congregazione Concistoriale] alla situazione odierna in cui l’accento è posto sulla
responsabilità di ogni Chiesa locale”.
24
   In relazione all’impatto di quanto previsto nel n. 18 del Decreto Christus Dominus e della
successiva riforma in materia di pastorale dei migranti sulle competenze delle Conferenze
episcopali, ed in relazione all’opera di stimolo riservata alla Santa Sede , vedi Giorgio
Feliciani, Le conferenze episcopali, Bologna, il Mulino, 1974, p. 537.
25
    Vedi al riguardo quanto argomentato da Juan Ignacio Arrieta, Fattori territoriali e personali
di aggregazione ecclesiale, in AA.VV. Territorialità e personalità nel diritto canonico ed
ecclesiastico. Il diritto canonico di fronte al terzo millennio. Atti dell’XI Congresso
Internazionale di Diritto Canonico e del XV Congresso Internazionale della Società per il
Diritto delle Chiese Orientali, Budapest 2-7 Settembre 2001, a cura di P. ErdÖ e P. Szabò,
Szent Isvàn Tàrsulat, Budapest, 2002, pp. 393-425, qui pp. 409-410
26
   Infatti, di solito non si parla delle storiche chiese nazionali in contesti di studio sulla cura
pastorale dell’emigrazione. Vedi ad esempio Piergiorgio Saviola, Strutture classiche e
rinnovate nella pastorale migratoria: unità nella pluralità, in Pontificio Consiglio della
Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Strutture di pastorale migratoria. Quaderni
universitari. Commenti all’Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi (IV parte), 2008, Città
del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, pp. 125-141.
27
    Così Concilium Lateranense IV, Constitutio 9 “De diversis ritibus in eadem fide”, in
Conciliorm Oecumenicorum Decreta, editio III, Bologna, Istituto per le scienze religiose, p.
239.
28
    Forse non è un caso che le “Chiese italiane” delle quali abbiamo notizie siano tutte
successive al Concilio Lateranense IV.
29
   Per una ricostruzione della genesi del canone Quondam in plerusque, vedi Pier Virginio
Aimone, Paroisse territoriale et paroisse personelle: une contribution historique sur la
paroisse et une analyse sur la situation juridique des paroisses canoniques en Suisse, in
AA.VV. Territorialità e personalità nel diritto canonico ed ecclesiastico. Il diritto canonico di
fronte al terzo millennio. Atti dell’XI Congresso Internazionale di Diritto Canonico e del XV
Congresso Internazionale della Società per il Diritto delle Chiese Orientali, Budapest 2-7
Settembre 2001, a cura di Péter Erdö e Péter Szabò, Szent Isvàn Tàrsulat, Budapest, 2002,
pp.573-591, spec. pp. 575-582
30
   “Pauca etiam addere volumus de adsidua cura praestita a piis sodalitatibus ubique christiani
Orbis ac potissimum alma in Urbe, medio uti aiunt decurrente aevo, in peregrinorum
commodum provide erectis; unde et innumera hospitia, xenodochia, ecclesiae et
confraternitates nationales esorta sunt, quorum plura adhuc exstant vestigia. Inter illa
specialiter notatu dignae sunt scholae peregrinorum, Saxonum, Langobardorum, Frane.orum
et Frisonum, quae iam saeculo octavo ad Vaticanum prope sepulchrum B. Petri Apostolorum
Principis constitutae fuerunt ad subveniendum advenis, qui ex regionibus transalpinis Romana

                                                6
Allo stesso modo si crearono strutture “nazionali” nelle
principali capitali europee dove erano presenti colonie stabili di
stranieri.
        In questo quadro, una grande rilevanza e notorietà ha
l’esperienza francese, che vede chiese francesi presenti
pressoché in tutto il mondo32.
        Indubbiamente meno nota è l’esperienza italiana, legata
ad alcune chiese “nazionali” nate in grandi capitali europee già
secoli prima dell’affermazione dello Stato nazionale (come la
Chiesa di Nostra Signora di Loreto33, a Lisbona, o la
Minoritenkirche di Vienna), ovvero nate in tempi più recenti –
ed in vario modo “promosse” dallo Stato nazionale - come la
Chiesa di S. Antonio in Pera (“Sent Antuan”) a Istanbul o la
Chiesa del SS. Redentore a Budapest.
        Già dal XIII Secolo (secondo le tradizioni) ovvero nei
secoli successivi (secondo le fonti certe individuate) in alcune
metropoli europee gruppi di mercanti, artisti, professionisti ed
ecclesiastici provenienti dalla penisola italiana cercarono di
garantirsi, mediante la creazione di luoghi di culto “nazionali”,
una cura pastorale coerente alla propria cultura ed espressa
nella propria lingua e, allo scopo, si organizzassero in
Confraternite34 o istituti similari35.

peregrinabantur limina Apostolorum visitaturi. Hisce in scholis, propria ecclesia
coemeterioque instructis, sacerdotes et clerici praedictarum nationum alebantur, ut curam
materialem et spiritualem gererent suorum civium praesertim infirmorum et pauperum. Iis
vero, insequentibus saeculis, alia addita sunt monasteria adnexaque peregrinorum hospitia
Aethiopum scilicet seu Abissinorum, Hungarorum et Armenorum. Quae omnia feliciter redolent
verba Apostoli Pauli conclamantis: « ... necessitatibus sanctorum communicantes,
hospitalitatem sectantes»”, Constitutio Apostolica de spirituali emigrantium cura “Exsul
Familia”, Titulus I, in A.A.S., XXXXIV, 1952, pp. 649-704. Ora anche in
http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/apost_constitutions/documents/hf_p-
xii_apc_19520801_exsul-familia_lt.html .
31
   Sulle Chiese Nazionali a Roma vedi, per quanto riguarda le Chiese “Italiane” – ossia riferite
agli Stati preunitari – Oreste Ferdinando Tencajoli, Le Chiese Nazionali italiane in Roma,
Roma, Desclée, 1928. Sulle altre Chiese nazionali vedi AA.VV. (a cura di Carlo Sabatini), Le
Chiese Nazionali a Roma, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1979.
32
    Al riguardo, vedi Jean-Paul Betengne, Le statut juridique des pieux établissements français
de Madrid, in L’année canonique, 2005, pp. 195-226, ed ancor di più la tesi di dottorato del
medesimo Autore: Jean-Paul Betengne, Le statut juridique de la fondation Saint-Louis des
Français de Madrid, difesa nel 2004 presso l’Institut Catholique de Paris. Per profili storici
relativi a San Luigi dei Francesi a Roma, vedi Sebastiano Roberto, San Luigi dei Francesi. La
fabbrica di una chiesa nazionale nella Roma del ‘500, Roma, Cangemi, 2005.
33
   Vedi al riguardo quanto ho comunicato in occasione del XII Congresso internazionale di
Diritto Canonico con Settimio Carmignani Caridi, Le “Chiese italiane all’estero”: gli “Italiani
all’estero” tra impegno pastorale della Chiesa e tutela statale del patrimonio culturale e
religioso dei “nazionali”. Il caso della Chiesa Italiana di Nostra Signora di Loreto in Lisbona,
in Système juridique canonique et rapports entre les ordonnancements juridiques – Sistema
giuridico canonico e rapporti interordinamentali, Elie Raad (cur.), Beyrouth, Publications
Université La Sagesse, 2008, pp. 847-875.
34
   Sulle Confraternite nazionali presenti a Roma e sul trattamento “di favore” loro riservato
dallo Stato unitario nelle ultime decadi del XIX secolo, vedi Domenico Schiappoli, Manuale di
diritto ecclesiastico, Napoli, Luigi Pierro Editore, 1913, p. 410. Per una recente ampia opera
sulle confraternite, v. Antonino Mantineo, Le confraternite: una tipica forma di associazione
laicale, Torino, Giappichelli, 2008.
35
   La istanza “dal basso” e la autoorganizzazione dei fedeli alloglotti sembra essere una costante
che caratterizza sia la antica esperienza delle colonie, per così dire, “fisiologiche” all’interno
delle quali nacquero le Chiese Italiane all’estero, sia la epocale emigrazione di massa diretta
soprattutto verso le Americhe dei secoli XIX e XX. Al riguardo è stato recentemente ricordato
come “La mayorìa de estas parroquias surgìan espontàneamente, a veces sin decreto alguno
de erecciòn canònica”, così Ariel David Busso, La organizaciòn eclesiàstica de los immigrates
latinos y orientales en America Latina, in AA.VV. Territorialità e personalità nel diritto
canonico ed ecclesiastico. Il diritto canonico di fronte al terzo millennio. Atti dell’XI
Congresso Internazionale di Diritto Canonico e del XV Congresso Internazionale della Società

                                                7
Nacquero in questo modo le “Chiese italiane
all’estero”36, destinate a costituire per secoli una presenza
ecclesiale e culturale37 stabile38. venendo poi in vario modo ad
essere supportate dallo Stato Nazionale.
        Senza poter ovviamente in questa sede descrivere la
storia di queste Chiese italiane è però forse possibile capire
quale interesse sia stato loro riservato dalla Santa Sede e quali
rapporti, per loro, siano stati intrecciati con l’autorità statale.
        Per quanto qui principalmente ci interessa, peculiare è la
storia della Chiesa Italiana di Nostra Signora di Loreto, perché
essa, in modo esemplare, ci significa quale attenzione per secoli
la Santa Sede abbia riservato alla cura pastorale degli italofoni
di Lisbona, oltretutto in un periodo nel quale la pastorale delle
comunità di immigrati era di competenza della Santa Sede.
        Nel 1518 la colonia degli italiani di Lisbona acquistò un
terreno, che venne donato al Capitolo di S. Giovanni in
Laterano, sul quale fu edificata una Chiesa destinata a servire
da Parrocchia per gli italiani residenti a Lisbona.
        La Santa Sede, nell’accettare la donazione fatta al
Capitolo Lateranense, poneva la Chiesa sotto la Sua immediata

per il Diritto delle Chiese Orientali, Budapest 2-7 Settembre 2001, a cura di Péter Erdö e Péter
Szabò, Szent Isvàn Tàrsulat, Budapest, 2002, pp. 356-391, qui p. 382, sub nota 43.
36
   Prendiamo questa denominazione dall’unico accenno che in dottrina troviamo su tali istituti.
Infatti Arturo Carlo Jemolo, Elementi di diritto ecclesiastico, Vallecchi, Firenze, 1927, dice
“Da questo principio generale discende che tutti gli assegni e sussidi dati a missioni religiose
all’estero o nelle colonie, o per la manutenzione ed ufficiatura di chiese italiane all’estero (S.
Antonio in Pera di Costantinopoli; Minoritenkirche di Vienna) o di chiese nelle colonie”
[debbano venir erogati dal Fondo per il culto].
37
   Per comprendere la rilevanza culturale della Chiesa italiana di Lisbona, può bastare ricordare
come essa sia sempre stata luogo di importanti eventi artistici come ad esempio, è testimoniato
dal fatto che il grandioso "Te Deum" di Antonio Teixeira (1707- c.1759) fu lì eseguito per la
prima             volta           il          31             dicembre            1734,            v.
http://www.db.avvenire.it/avvenire/moduli/approfondimento/index1.jsp?idNotizia=3913 .
38
   Tra queste, le più note ed antiche sono: la Minoritenkirche di Vienna, che fa risalire le
proprie origini all’invio di Frati Minori in quella città deciso da S. Francesco nel 1219, Frati
che edificarono una chiesa nota, già dal 1260 come “Chiesa degli Italiani”. In realtà la
Minoritenkirche fu concessa con decreto 3 giugno 1784 di Giuseppe II, alla Nazione Italiana,
con ciò volendosi intendere “La Congregazione Nazionale Italiana”, o “Congregazione
italiana”, o “Congregazione della Chiesa Nazionale Italiana” in Vienna. Tale
“Congregazione”, chiamata anche semplicemente “Nazione”, fu fondata probabilmente nel
1625 ed assistita dai Padri Gesuiti fino al 1773 (ossia fino allo scioglimento della Compagnia di
Gesù). Entrata poi in possesso della Minoritenkirche la “Nazione” si impegnò nella cura
pastorale dei circa 7.000 italiani di Vienna, nell’assistenza agli italiani bisognosi e nella tutela
del patrimonio artistico ad essa affidato (sulla storia di questa “Congregazione Nazionale” vedi
Giovanni Salvadori, La Congregazione della Chiesa Nazionale Italiana in Vienna - Notizie
storiche estratte da documenti originali, Drescher, Vienna, 1891; per qualche aggiornamento
vedi Giovanni Giuliani, Minoritenkirche. Chiesa Nazionale Italiana di Vienna, Padova,
Edizioni Messaggero, 1973); la Chiesa S. Antonio da Padova di Istanbul (Sent Antuan
Kilisesi) che risale, come tradizione, alla presenza dei Francescani (databile dal 1221 in poi)
negli insedimenti veneziano e genovese di Galata e Pera in Costantinopoli, e che costruirono in
Pera una chiesa nel 1831, demolita e ricostruita nel 1905, definitivamente inaugurata
nell’attuale forma il 23 agosto 1913. Tale Chiesa sarà poi oggetto, insieme ad altre istituzioni
“italiane” presenti in Turchia, di uno scambio di lettere del 24 luglio 1923 allegate al Trattato di
Pace di Losanna; nonché la Chiesa Italiana di Nostra Signora di Loreto di Lisbona, della
quale qui mi occupo e della quale mi sono occupato nel contributo Settimio Carmignani Caridi,
Le “Chiese italiane all’estero”: gli “Italiani all’estero” tra impegno pastorale della Chiesa e
tutela statale del patrimonio culturale e religioso dei “nazionali”. Il caso della Chiesa Italiana
di Nostra Signora di Loreto in Lisbona, in Système juridique canonique et rapports entre les
ordonnancements juridiques – Sistema giuridico canonico e rapporti interordinamentali, Elie
Raad (cur.), Beyrouth, Publications Université La Sagesse, 2008, pp. 847-875. .

                                                 8
dipendenza con esenzione dalla giurisdizione dell’Arcivescovo
di Lisbona39.
        In seguito la Chiesa fu distrutta da un incendio nel 1651,
e riedificata e riconfermata nella sua aggregazione al Capitolo
di S. Giovanni in Laterano nel 167840.
        Essa rimase dipendente dalla Santa Sede fino al
dicembre del 1863, quando il conflitto tra la Santa Sede ed il
Regno d’Italia – che esercitava una sempre maggiore influenza
sulla Colonia italiana di Lisbona e quindi sulla Chiesa in
questione – portò alla comunicazione da parte del Nunzio41
39
   Così nella Nota 29 gennaio 1940, prot. N. 7470 del Nunzio Francesco Borgongini Duca al
Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano di Cortellazzo. Tale nota risulta inedita ed è forse
opportuno riportarla per documentare l’attenzione della Santa Sede per una soluzione della
questione “Chiesa Nostra Signora di Loreto” in quel momento regolata da Statuti
canonicamente illegittimi: “Eccellenza, a seguito del colloquio che ho avuto l’onore di avere
con Voi il 24 corrente, mi reco a premura di informarVi circa la Chiesa italiana di N.S. di
Loreto, esistente in Lisbona, e di presentarVi in iscritto le rispettose richieste della S. Sede per
regolarne la posizione giuridica. La costruzione della Chiesa fu iniziata nel 1518 dagli Italiani
residenti in quella Capitale, i quali donarono il Tempio al Capitolo di S. Giovanni in Laterano.
La S. Sede, nell’accettare la donazione fatta al Capitolo Lateranense, poneva la Chiesa sotto la
sua immediata dipendenza con esenzione dalla giurisdizione del Patriarca di Lisbona. E di
fatto per vari secoli la Chiesa fu alla completa dipendenza del Nunzio Apostolico (accreditato
presso la R. Corte Portoghese) che ne teneva l’amministrazione temporale e spirituale a nome
del Santo Padre. Dal 1863 in poi, atteso il doloroso dissidio esistente tra Chiesa e Stato in
Italia, non vi fu più relazione tra il Nunzio Apostolico ed il Ministro d’Italia, e così nella
Chiesa entrò l’amministrazione laica alle dipendenze della Legazione Italiana, con i noti
criteri prevalenti in quel tempo nel Regno d’Italia. Così nel 1898 il Ministro d’Italia Conte di
Sonnaz fece gli statuti laici della Chiesa, che poi vennero anche riprodotti senza miglioramenti
essenziali da S.E. il Ministro Tozzi il 18 settembre 1935. Voi, Eccellenza, conoscete quante
difficoltà sono nate nel luogo e come non giovi al buon nome dell’Italia all’estero che
sopravviva in Lisbona un dissidio, il quale nella Madre Patria è stato felicemente superato. In
Italia, dopo il Concordato, sono intercorsi tra questa Nunziatura Apostolica ed il Regio
Governo scambi di vedute per regolare le relazioni tra l’Autorità Ecclesiastica e le
amministrazioni laiche esistenti nelle chiese. Ne è risultato un nuovo Regolamento per le
Fabbricerie, pubblicato con R. Decreto del 26 settembre 1935, n. 2032, del quale mi onoro
allegare alcune copie; regolamento che nei quattro anni trascorsi ha fatto ottima prova ed è
riuscito di soddisfazione generale tanto presso le Autorità civili quanto presso le Autorità
ecclesiastiche. La S. Sede Vi porge, Eccellenza, per il mio tramite, rispettosa domanda perché
vogliate fare applicare alla Chiesa italiana di Lisbona, destinata all’assistenza degli Italiani,
dei quali è parrocchia, il sistema che vige in Italia in seguito agli Accordi Lateranensi. In tal
modo, mentre al Signor Ministro d’Italia in Lisbona verrebbero demandati i poteri che il
Regolamento attribuisce ai prefetti del regno, a quel Nunzio Apostolico resterebbe quanto ivi è
stabilito essere di competenza dell’Ordinario Diocesano. Nella fiducia che Voi, Eccellenza,
nella Vostra saggezza, vogliate accogliere un progetto così equo e dignitoso per le due Alte
Parti, mi onoro di presentarVi l’espressione della mia più alta stima e considerazione”. Giova
però ricordare che tale nota costituisce un documento diplomatico, e non un trattato storico.
Così un po’ esagerata sembra (alla luce almeno dello Statuto del 1719 che attribuiva
l’amministrazione della Chiesa nelle mani del “Provveditore” e della “Giunta” eletti dalla Natio
italiana) l’affermazione secondo la quale il Nunzio “teneva l’amministrazione temporale e
spirituale a nome del Santo Padre”. Così, frutto di necessario “garbo diplomatico” sembra
essere la minimizzazione sia del conflitto del 1863 tra il Nunzio e la “Chiesa italiana”, sia
l’impatto degli Statuti di fascistizzazione della Chiesa del 1935.
40
   Ciò risulta da varie fonti, ma soprattutto dal Cap. XIV degli Statuti per l’Amministrazione
della Chiesa di N.S. di Loreto, ined., in ASMAE, Serie Aff. Politici 1931-1945. S. Sede 1938,
busta n. 41
41
   Così viene affermato in una dotta relazione datata 9 giugno 1952 a firma “Venturini”
(Antonio Venturini, Inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario d’Italia a Lisbona)
indirizzata a Pasquale Jannelli, Direttore Generale Affari Politici del Ministero degli Affari
Esteri, ASMAE, Dir. Gen. Affari Politici, Ufficio VII 1950/1957, S 26 “Chiesa Italiana di
Nostra Signora di Loreto – Lisbona”: “Dopo pochi anni dall’avvenuta unità nazionale e
precisamente nel 1863, in seguito alla nascita del primogenito di Luigi I di Braganza” [Carlo
di Braganza, nato a Lisbona il 28 settembre 1863 N.d.A] ”che aveva sposato Maria Pia di
Savoia, venne ufficiato nella Chiesa Italiana un solenne Te Deum al quale partecipò pure in
veste ufficiale il Principe Amedeo di Savoia. In conseguenza di ciò la Santa Sede, con un breve
dal Nunzio dell’Epoca a questo Patriarca, avrebbe tolto ogni privilegio parrocchiale alla
Chiesa”. Altre fonti sembrano confondere un po’ le date, ed individuano il casus belli ad una
polemica relativa alla mancata celebrazione di una messa in suffragio del Conte di Cavour, che
però risalirebbe a due anni prima della decisione notificata al Patriarca di Lisbona con lettera
nel Nunzio datata 24 dicembre 1863. Nel 1961, infatti, la Chiesa Italiana di Lisbona si trovò

                                                 9
della decisione del Papa Pio IX di revocare ogni privilegio ed
esenzione42.
        Tale revoca rimase sostanzialmente senza effetti
       43
pratici e di essa si perse anche la memoria fino al secondo
dopoguerra, quando il Patriarca di Lisbona – nella fase
conclusiva delle trattative italo-vaticane – la riesumò per
rivendicare l’esercizio dei Suoi poteri.
        Comunque all’inizio degli anni ’50, con due scambi di
note tra Italia e Santa Sede, venne approvato il nuovo statuto
della Chiesa – tuttora vigente – che vede un intreccio di
interventi dello Stato italiano e della Santa Sede a tutela della

coinvolta in una accesa polemica, dato che il Rettore allora in carica si rifiutò di celebrare una
Messa in suffragio di Cavour, a causa della scomunica che lo aveva colpito. Tale fatto provocò
attriti con il neonato Stato unitario e fu occasione di risentimento negli ambienti liberali
portoghesi, giungendo a provocare addirittura un dibattito nel Parlamento Portoghese. Vedi i
verbali di tale dibattito in http://ww3.aeje.pt/avcultur/hjco/JEsteWeb/Pg00005m.htm - Nel suo
basilare lavoro sul tema, utilizzando fonti archivistiche della Chiesa Italiana di Nostra Signora
di Loreto, Sergio Filippi, La Chiesa degli Italiani – Cinque secoli di presenza italiana a
Lisbona negli archivi della Chiesa di Nostra Signora di Loreto, Lisboa, Fábrica da Igreja
Italiana da Nossa Senhora do Loreto, 2013, pp. 148-150, ricostruisce la cronologia di quel
momento critico. L’ipotesi che tra le cause scatenanti della decisione della Santa Sede vi possa
essere stato il Te Deum, piuttosto che la messa in suffragio di Cavour, troverebbe conforto nella
ricostruzione di Padre Sergio Filippi che fissa la decisione della Santa Sede (e quindi
presumibilmente l’origine del conflitto) tra la riunione dell’8 settembre 1863 della “Colonia
italiana” (da alcuni contestata nella regolarità della convocazione) che rinnovò dopo molti anni
le cariche statutarie, e la successiva vigilia di Natale (24 dicembre 1863) data in cui venne
comunicata al neo-nominato Provveditore Giovanni Brignoli ed al Cardinal Patriarca di
Lisbona la revoca non solo dei “privilegi parrocchiali” come riportato nella suddetta relazione
“Venturini”, ma financo della ben più rilevante esenzione dalla giurisdizione dell’Ordinario del
luogo (cosa che per anni non risulterà dagli archivi del MAE)… e giova ricordare che proprio
in quell’arco temporale si celebrò il predetto Te Deum.
42
   La lettera in questione, unitamente ad altra in pari data indirizzata al Provveditore della
Chiesa, fu ritrovata dalla Segreteria di Stato nel 1952, a seguito delle richieste italiane tendenti
a capire come mai dal 1946 – mentre erano in dirittura d’arrivo le trattative italo-vaticane per lo
scambio di note del 1951 - il Patriarca di Lisbona tentava di esercitare la Sua giurisdizione su
detta Chiesa. La lettera del 24 dicembre 1863, può essere letta in Sergio Filippi, La Chiesa
degli Italiani ecc., p. 150 ed è presente in traduzione italiana inedita in ASMAE, Dir. Gen.
Affari Politici, Ufficio VII 1950/1957, S 26 “Chiesa Italiana di Nostra Signora di Loreto –
Lisbona”, che recita: “E.mo e Rev.mo Signore, ho l’onore di comunicare a V. E.ma R.ma, che
per ordine espresso di Sua Santità cessa da oggi innanzi ogni e qualunque privilegio di
esenzione di cui abbia finora goduto per concessione Apostolica la Chiesa di Santa Maria di
Loreto di questa Città di Lisbona, ed in conseguenza di ciò entra essa nella classe delle Chiese,
e pii stabilimenti soggetti alla giurisdizione dell’Ordinario Diocesano. Elevando questa
comunicazione a conoscenza di V. E.ma, e con essa informandola, che questa Pontificia
Disposizione fu presa udito anche il parere esposto dal Capitolo della basilica Patriarcale di
San Giovanni in Laterano per la parte, che Lo riguarda, nutro lusinghiere, e ben fondate
speranze, che l’E.ma V. non lascerà di applicare al pio stabilimento, di cui si tratta, le zelanti
premure, sollecitudine, e vigilanza, che sono necessarie per il suo regolare andamento (…)”.
Le traduzioni individuate presso l’ASMAE non indicano il nome del Nunzio, il quale
comunque doveva essere Mons. Innocenzi Ferrieri, Nunzio a Lisbona dal 1859 al 1867, come ci
ricorda il compianto Mons. Giuseppe De Marchi nel suo classico Le Nunziature Apostoliche
dal 1800 al 1956, 1957, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, p. 214 (volume rieditato in
anastatica dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2006). Per risolvere il problema, almeno in
relazione all’attribuzione di funzioni parrocchiali al Rettore della Chiesa, vi fu uno scambio di
note tra Italia e Santa Sede nel 1953
43
   Sul fatto che nel periodo immediatamente successivo alla revoca si fosse ben a conoscenza
della necessità di rapportarsi con il Patriarca, sono fondamentali le osservazioni e le
documentazioni indicate da Sergio Filippi, La Chiesa degli Italiani – Cinque secoli di presenza
italiana a Lisbona negli archivi della Chiesa di Nostra Signora di Loreto, Lisboa, Fábrica da
Igreja Italiana da Nossa Senhora do Loreto, 2013, p. 152: “Il 22 novembre 1864, la Giunta
informò il nuovo parroco che la sua nomina era stata comunicata al Patriarca di Lisbona”. Resta
però probabile che il comportamento del Patriarca sia stato tutt’altro che invasivo nella vita
della Chiesa Italiana… tanto che a giudicare dal tenore della documentazione presente presso
l’ASMAE, nei decenni successivi di tale revoca si perse progressivamente memoria.

                                                10
“italianità” dell’azione pastorale svolta in quella Chiesa a
favore degli italiani44.
        Lo statuto vigente è il terzo che si è succeduto dalla
nascita dello Stato Nazionale italiano, ed è frutto appunto di un
accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana
        La Chiesa Italiana di Lisbona ha avuto infatti –
successivamente alla nascita dello Stato Nazionale - prima
statuti di stampo marcatamente giurisdizionalista45 nel 1897-
1898, poi statuti “fascisti”46 nel 1935 (entrambi – a rigore -
canonicamente illegittimi), per poi vedere infine nel 1951
(ossia alla vigilia della Exsul Familia quando il quadro
normativo canonico stava per cambiare radicalmente)
approvare con uno scambio di note tra Italia e Santa Sede nuovi
statuti che la strutturano come un ente in gran parte atipico47
nel quale convergono interessi dello Stato48 a salvaguardare una
presenza culturale ed ecclesiale “italiana” ed interessi della
Santa Sede a garantire una cura pastorale ai fedeli di lingua
italiana residenti in Portogallo.
        Ma come si sono sviluppati in questi anni (che hanno
coinciso con il sorgere della Questione Romana, la crisi delle
leggi eversive dell’asse ecclesiastico, il successivo progressivo
riavvicinamento, i Patti lateranensi e financo la Costituzione
italiana) i contatti tra la Santa Sede e l’Italia?
        Innanzi tutto, come ricordato sopra, la nascita dello
Stato Nazionale corrisponde ad un momento di acuta crisi (sia
nella vita della Chiesa Italiana di Lisbona, che nei rapporti tra
Stato italiano e Santa Sede). Giova ricordare che – anche a

44
   Sulle peculiarità e le “stranezze” di tale statuto, rinvio a Settimio Carmignani Caridi, Le
“Chiese italiane all’estero”: gli “Italiani all’estero” tra impegno pastorale della Chiesa e
tutela statale del patrimonio culturale e religioso dei “nazionali”. Il caso della Chiesa Italiana
di Nostra Signora di Loreto in Lisbona, in Système juridique canonique et rapports entre les
ordonnancements juridiques – Sistema giuridico canonico e rapporti interordinamentali, Elie
Raad (cur.), Beyrouth, Publications Université La Sagesse, 2008, pp. 847-875.
45
   Statuti della Chiesa Italiana di Nostra Signora di Loreto. Approvati nelle adunanze tenute
dalla Giunta di Loreto sotto la Presidenza del Conte di Sonnaz, R.° Inviato Straordinario e
Ministro Plenipotenziario il 6 Luglio 1897 ed il 30 gennaio 1898, 1899, Typ. Costa Braga &
C., Succ., Lisboa.
46
    Statuti della Chiesa Italiana di Nostra Signora di Loreto. Approvati all’unanimità
nell’adunanza straordinaria tenuta in Lisbona il 18 settembre 1935-XIII sotto la presidenza del
Grand’Uff. Alberto Tuozzi, Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario di S.M. il Re
d’Italia, in ASMAE, Serie Affari Politici – 1931-1945 – S. Sede 1936, busta n. 32.
47
   Vedi in Convenzioni ed accordi fra il Vaticano e l'Italia, vol. II, Dal 1° gennaio 1946 al 31
dicembre 1954, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1955, pp. 89 ss.; vedi altresì in Statuto della
Chiesa Italiana di Nostra Signora di Loreto in Lisbona, [s.e.], Lisbona, 1953, con prefazione di
Antonio Venturini, Ministro d'Italia, nonché in Vincenzo Del Giudice, Codice delle leggi
ecclesiastiche, Prima appendice di aggiornamento, Milano, Giuffrè, 1956, § 480-bis, pp. 29-
38.
48
   Un ulteriore esempio di impegno statale a “tutelare gli interessi religiosi della Comunità
cattolica” italiana all’estero (così nella premessa) è dato dalla Convenzione tra la Santa Sede e
la Repubblica italiana relativa alla parrocchia di Teheran, firmata a Roma il 25 luglio 1963
con la quale l’Italia cedeva “in uso perpetuo e gratuito” alla Santa Sede (pur conservando gli
oneri di straordinaria manutenzione – fissati in lire 3.000.000 annue), gli edifici della
Parrocchia Maria SS.ma della Consolata di Teheran (Pro-Cattedrale dell’Arcidiocesi di Ispahan
dei Latini) di proprietà dello Stato italiano (art. 1), veniva stabilito che l’officiatura sarebbe
stata affidata a Parroci e sacerdoti di nazionalità italiana (art. 3), i sermoni sarebbero stati in
Italiano (art. 4), i membri dell’Ambasciata avrebbero avuto “diritto di banco” e la sala
parrocchiale avrebbe potuto essere usata dall’Ambasciata per “manifestazioni di interesse
italiano” (art. 4). Tale Convenzione la troviamo pubblicata in Dir. Internazionale, 1964, pp.
326-327, ma di essa non ci consta avvenuta la ratifica.

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