IL PLURALISMO DELL'INFORMAZIONE NELL'ERA DIGITALE - CADMUS, EUI ...

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IL PLURALISMO DELL'INFORMAZIONE NELL'ERA DIGITALE - CADMUS, EUI ...
IL PLURALISMO
DELL'INFORMAZIONE NELL'ERA
DIGITALE
APPLICAZIONE DEL MEDIA PLURALISM
MONITOR NELL'UNIONE EUROPEA, IN
ALBANIA, MONTENEGRO, REPUBBLICA
DELLA MACEDONIA DEL NORD, SERBIA E
TURCHIA NELL'ANNO 2020
Paese: Italia

Roberta Carlini, Centre for Media Pluralism and Media Freedom, European University Institute
Elda Brogi, Centre for Media Pluralism and Media Freedom, European University Institute

                       Rapporto del progetto di ricerca
                              Volume/Numero 2021.2824
                                           Settembre 2021
IL PLURALISMO DELL'INFORMAZIONE NELL'ERA DIGITALE - CADMUS, EUI ...
INDICE
1.   Il progetto                                                       4
     1.1. Sintesi del progetto                                         4
     1.2. Nota metodologica                                            4

2.   Introduzione                                                      6

3.   Sintesi dei risultati                                             9
     3.1. Protezione dei Diritti Fondamentali (37% - Rischio medio)   10
     3.2. Pluralismo di Mercato (66% - Rischio medio)                 12
     3.3. Indipendenza Politica (49% - Rischio medio)                 16
     3.4. Inclusione Sociale (60% - Rischio medio)                    18

4.   Il pluralismo online                                             21

5.   Conclusioni                                                      25

6.   Note                                                             28

7.   Bibliografia                                                     32

Appendice I. Gruppo di ricerca
Appendice II. Gruppo di esperti
© European University Institute 2021
Autrici © Roberta Carlini, Elda Brogi, 2021

Pubblicato da European University Institute,
Robert Schuman Centre for Advanced Studies.
Questo testo può essere scaricato solo per scopi personali di ricerca. Riproduzioni ulteriori
per altri scopi, sia stampate che digitali, devono essere autorizzate dalle autrici. In caso di
citazione del rapporto, il riferimento bibliografico deve comprendere i nomi delle autrici, il
titolo, l'anno e l'editore.

Le richieste vanno indirizzate a: cmpf@eui.eu

Questa pubblicazione riflette il punto di vista delle autrici e non quello dell'European
University Institute.
La versione inglese del rapporto è quella ufficiale.

Centre for Media Pluralism and Media Freedom
Robert Schuman Centre for Advanced Studies

Rapporto del Progetto di Ricerca
RSC / Centre for Media Pluralism and Media Freedom
2021.2824
Pubblicato in Settembre 2021

European University Institute
Badia Fiesolana
I – 50014 San Domenico di Fiesole (FI)
https://cadmus.eui.eu/

                 Il Centre for Media Pluralism and Media Freedom è cofinanziato
                 dall'Unione europea. Questa pubblicazione riflette esclusivamente il
                 punto di vista degli autori, e la Commissione non può essere
                 ritenuta responsabile per qualsiasi uso che possa essere fatto delle
                 informazioni in essa contenute.

3                                                        Il Centre for Media Pluralism and Media Freedom is co-finanziato dall'Unione Europea
1. Il progetto
1.1. Sintesi del progetto
The Media Pluralism Monitor (MPM) is a research tool designed to identify potential risks to media pluralism
in the Member States of the European Union and in candidate countries. This narrative report has been
produced on the basis of the implementation of the MPM carried out in 2020. The implementation was
conducted in 27 EU Member States, as well as in Albania, Montenegro, the Republic of North Macedonia,
Serbia and Turkey. This project, under a preparatory action of the European Parliament, was supported by
a grant awarded by the European Commission to the Centre for Media Pluralism and Media Freedom
(CMPF) at the European University Institute.

1.2. Nota metodologica
Autori e revisione
Il CMPF collabora con ricercatori locali esperti ed indipendenti che effettuano la raccolta dei dati e scrivono i
rapporti-Paese, tranne nel caso dell’Italia, per la quale la raccolta dei dati è condotta in maniera
contralizzata dal team del CMPF. La ricerca è basata su un questionario standard sviluppato dal CMPF.
In Italia il rapporto è stato realizzato da Roberta Carlini ed Elda Brogi (Centro per il Pluralismo e la Libertà
dei Media, Istituto Universitario Europeo), che hanno raccolto i dati, valutato e commentato le variabili del
questionario e intervistato gli esperti. Il rapporto è stato revisionato dallo staff del CMPF. Inoltre, per
assicurare l’accuratezza e l’affidabilità dei risultati, un gruppo di esperti in ciascun Paese è stato chiamato a
revisionare le risposte a domande che richiedevano una valutazione qualitativa (nell’Allegato II la lista degli
esperti). Per un gruppo di Paesi selezionati, il rapporto finale è stato sottoposto a peer review di un esperto
nazionale indipendente.
Il MPM esamina i rischi per il pluralismo dei media in quattro macroaree: Protezione Fondamentale,
Pluralità del Mercato, Indipendenza Politica, e Inclusione sociale. I risultati sono basati sulla valutazione dei
vari indicatori che compongono ciascuna area tematica (v. tabella 1)
     Protezione dei Diritti     Pluralismo di Mercato        Indipendenza Politica                  Inclusione Sociale
        Fondamentali
Protezione della libertà di       Trasparenza della         Indipendenza politica dei Accesso delle minoranze
      espressione                 proprietà dei media                media                   ai media
     Protezione del diritto    Concentrazione dei mezzi        Autonomia editoriale              Accesso delle comunità
       all’informazione            di informazione                                              locali-regionali ai media e
                                                                                                    media di comunità
Professione giornalistica,      Concentrazione delle             Media audiovisivi,              Accesso delle donne ai
  regole e protezione            piattaforme online e          piattaforme online ed                    media
                                attuazione della tutela               elezioni
                                  della concorrenza
Indipendenza ed efficacia       Sostenibilità economica   Regolazione pubblica                        Alfabetizzazione
  dell’autorità di controllo          dei media         delle risorse e supporto al                       mediatica
         sui media                                           settore dei media
    Copertura universale dei   Influenza commerciale e Indipendenza del servizio                    Protezione contro i
      media tradizionali e         della proprietà sul         pubblico                             contenuti illegali e
      accesso a Internet          contenuto editoriale                                                   dannosi
Tavola 1: Aree e Indicatori del Monitor sul Pluralismo dei Media

La dimensione digitale

4                                               Il Centre for Media Pluralism and Media Freedom is co-finanziato dall'Unione Europea
Nel Monitor la dimensione digitale non è considerata come un’area a sé stante, ma interconnessa con i
media tradizionali e con i principi esistenti del pluralismo dei media e della libertà di espressione. Tuttavia, il
Monitor estrae punteggi degli specifici rischi digitali e il rapporto contiene una specifica analisi dei rischi
correlati all’ambiente dell’informazione digitale.

Il calcolo del rischio
I risultati di ciascuna area tematica e ciascun indicatore sono presentati in una scala da 0 a 100%.
Punteggi da 0 a 33%: rischio basso
Punteggi da 34 a 66%: rischio medio
Punteggi da 67 a 100%: rischio alto
Per quanto riguarda gli indicatori, per default il punteggio di 0 è calcolato 3%, mentre il punteggio di 100 è
calcolato 97%, per evitare una valutazione di totale assenza o totale certezza del rischio.
Disclaimer: Il contenuto del rapporto non riflette necessariamente il punto di vista del CMPF, né quello dei
membri che compongono il gruppo degli esperti. Il rapporto rappresenta il punto di vista del gruppo
nazionale che ha realizzato la raccolta dei dati e lo ha scritto. A causa di aggiornamenti e aggiustamenti del
questionario, i punteggi dell’MPM2021 possono non essere completamente comparabili con quelli delle
passate edizioni dell’MPM. Per maggiori dettagli sul progetto, si veda il rapporto finale del MPM 2021,
disponibile qui: http://cmpf.eui.eu/media-pluralism-monitor/.

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2. Introduzione

    L’Italia ha un’area di 310.338 km² che si estende dalle Alpi al Mar Mediterraneo. Ha una popolazione di
    59,258,000 abitanti (ISTAT 2021a). La popolazione italiana è in costante riduzione dal 2015, a causa
    del saldo naturale negativo; questa tendenza ha subìto una brusca accelerazione nel 2020, per effetto
    della pandemia da COVID-19. I decessi sono aumentati del 18% (a 746.000), mentre le nascite sono
    scese a un minimo storico di 404.000. di conseguenza, il saldo naturale è stato - 432.000. La
    pandemia ha avuto un impatto anche sui flussi migratori verso l’Italia, dimezzando il saldo
    immigrazione-emigrazione. Nel 2020, gli stranieri residenti in Italia erano 5.036.000, l’8,4% della
    popolazione totale. I primi cinque Paesi di origine dei migranti in Italia sono: Romania (22,8%), Albania
    (8,3%), Marocco (8,2%), repubblica Popolare Cinese (5,7%), Ucraina (4,5%).
    L’italiano è la lingua più parlata. In base all’articolo 6 della Costituzione, “La Repubblica tutela con
    apposite norme le minoranze linguistiche”. Ci sono dodici lingue di minoranza riconosciute e protette in
    Italia, parlate da circa 2.500.000 persone, provenienti da cinque distinti ceppi linguistici (Albanese,
    Germanico, Greco, Neolatino, Slavo). Le lingue parlate dai migranti non sono protette.
    In termini di prodotto interno lordo, l’Italia è la terza economia dell’area dell’euro. L’economia italiana ha
    subìto fortemente l’impatto del COVID-19. Nel 2020, il Pil italiano ha subìto una contrazione dell'8,9%
    (la seconda economia più colpita dopo la Spagna) (ISTAT 2020b). Come ha scritto il Presidente del
    Consiglio Mario Draghi nella Premessa al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, "la crisi si è
    abbattuta su un Paese già fragile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. Tra il 1999 e il
    2019, il Pil in Italia è cresciuto in totale del 7,9 per cento. Nello stesso periodo in Germania, Francia e
    Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e del 43,6 per cento. Tra il 2005 e il 2019,
    il numero di persone sotto la soglia di povertà assoluta è salito dal 3,3 per cento al 7,7 per cento della
    popolazione – prima di aumentare ulteriormente nel 2020 fino al 9,4 per cento". (Draghi 2020). Anche
    prima della brusca riduzione del 2020, l'economia era caratterizzata da bassa produttività, bassa
    crescita e alta disoccupazione, in particolare tra i giovani e le donne, e dal calo degli investimenti
    pubblici e privati. Problemi storici sono legati alla bassa produttività, all'alto debito pubblico e ad alcune
    carenze strutturali che rallentano la crescita: i ritardi nei tempi della pubblica amministrazione e della
    giustizia civile; la corruzione e l'evasione fiscale.
    Nei tempi più recenti, il paesaggio politico italiano è caratterizzato da tre attori principali: la Lega, il
    Movimento Cinque Stelle e il Partito Democratico. Negli ultimi due anni le alleanze tra questi partiti
    sono cambiate ripetutamente. Subito dopo le elezioni politiche del 2018, la Lega, la principale
    formazione nell'area del centro-destra, ha rotto l'alleanza con gli altri partiti dell'area, Forza Italia (il
    partito di Silvio Berlusconi, nel gruppo del PPE nel Parlamento Europeo) e Fratelli d'Italia (partito di
    estrema destra), per formare un governo con il Movimento Cinque Stelle, governo guidato da Giuseppe
    Conte. I pesi relativi dei due partiti sono cambiati dopo le elezioni europee del 2019, nelle quali la Lega
    ha visto aumentare i suoi consensi diventando il primo partito italiano (nel Parlamento Europeo è nel
    gruppo ID). L'alleanza tra i due partiti si è rotta. Nel settembre 2019 si è insediato un nuovo governo,
    guidato dallo stesso Giuseppe Conte e sostenuto dal Movimento Cinque Stelle e dal Partito
    Democratico, insieme a Liberi e Uguali (un piccolo partito di sinistra) e da Italia Viva (un altro piccolo
    nuovo partito, fondato dall'ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi dopo che ha abbandonato il
    Partito Democratico). All'inizio del 2021, lo scenario politico è cambiato di nuovo, dopo che Italia Viva
    ha ritirato il suo sostegno al governo. Il Presidente della Repubblica ha invocato una grande alleanza
    nazionale per fronteggiare la crisi straordinaria causata dalla pandemia, e l'ex Presidente della BCE
    Mario Draghi è stato chiamato a formare un nuovo governo, sostenuto da tutti i partiti presenti in
    Parlamento tranne Fratelli d'Italia. Nella nuova "grande coalizione" Forza Italia è tornata al governo
    dopo sette anni; Forza Italia è guidata da Silvio Berlusconi (che era stato ri-eletto al Parlamento

6                                              Il Centre for Media Pluralism and Media Freedom is co-finanziato dall'Unione Europea
Europeo nel 2019, dopo un periodo nel quale gli era stata interdetta la possibilità di candidarsi per le
    condanne per frode fiscale), proprietario di Fininvest-Mediaset, secondo gruppo per audience
    nell'audiovisivo in Italia.
    In un mercato dei media in continua evoluzione, la televisione è ancora la fonte di informazione
    prevalente. La fruzione della televisione in generale è rimasta stabile dal 2015 al 2019, con una
    riduzione del digitale terrestre e della tv satellitare (rispettivamente, dal 94% all'87,4% e dal 42,4% al
    41,1% della popolazione) a favore della tv via internet e mobile tv (rispettivamente, dal 28,3 al 34,5% e
    dall'11,65 all 28,2%). Nello stesso periodo, il consumo dei quotidiani cartacei si è ridotto dal 58,3% al
    50,9% e quello dei siti di informazione online è salito dal 39,2% al 51,6% (CENSIS 2020). Per quanto
    riguarda l'informazione su temi politici, secondo Eurobarometro il mezzo di informazione più seguito è
    sempre la tv, dopo la quale vengono la stampa e internet (social media e siti web) (EB92 2020).
    L'accesso alle notizie online avviene prevalentemente in via indiretta: la maggior parte delle persone
    che si informa online (il 53%) accede alle notizie attraverso fonti algortmiche - social media, motori di
    ricerca, aggregatori (Newman e al., 2020).
    Il peso crescente di internet nel mercato dei media è misurato nel Sistema Integrato delle
    Comunicazioni (SIC, il vasto aggregato sul quale la legislazione italiana valuta i limiti alle
    concentrazioni). Nell'ultima valutazione delle dimensioni economiche del SIC, i servizi di media
    audiovisivi e radio hanno ancora la quota dominante (48,2%, in riduzione rispetto al 49% dell'anno
    precedente), seguiti dalla stampa (editoria quotidiana, periodica e agenzie di stampa,19,7%, in calo dal
    21,1%). La quota dell'editoria elettronica e pubblicità online continua a crescere rapidamente (19,5%,
    dal 17,5% della precedente misurazione (AGCOM 2021a). Di conseguenza, le piattaforme digitali sono
    entrate nella classifica dei principali operatori del SIC, in virtù della propria posizione dominante sul
    mercato della pubblicità online. Anche il mercato dei media tradizionali ha una forte concentrazione,
    motivata negli anni più recenti anche in relazione al peggioramento delle condizioni economiche. Nel
    settore audiovisivo, lo storico duopolio costituito da RAI e Fininvest domina ancora il mercato della tv in
    chiaro, mentre Comcast-Sky è il principale operatore nella tv a pagamento. Nel settore della stampa, il
    primo operatore è il gruppo Gedi, la cui acquisizione da parte di Exor (la holding della famiglia Agnelli)
    è stata completata nel 2019.
    Nel quadro normativo e regolatorio, la principale novità del 2020 riguarda la normativa sulla
    concentrazione dei media (la cosiddetta "legge Gasparri"), che dovrà essere riformata in seguito alla
    sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (sul caso Mediaset-Vivendi), che ha stabilito che
    i tetti posti dalla normativa italiana in materia di proprietà di diversi mezzi di informazione contrastano
    con la normativa europea, in quanto deve essere dimostrato che i limiti posti dalle leggi nazionali alla
                                                                                     [1]
    libertà di stabilimento siano proporzionati allo scopo che si prefiggono .
    Il COVID-19 ha colpito l'Italia prima del resto dell'Europa. Le prime chiusure sono state decise nel
    febbraio 2020, e il primo lockdown nazionale nel marzo 2020. Un anno dopo, le morti causate dal
    COVID-19 erano certificate a 120.000, il numero più alto tra i Paesi dell'Unione Europea. Durante i
    lockdown, il settore dei media è stato considerato come un servizio essenziale e di conseguenza il
    lavoro giornalistico non ha subito restrizioni fisiche. Il consumo di informazione ha avuto un forte
    incremento nella prima ondata della pandemia: nel periodo marzo-aprile 2020, l'audience dell'edizione
    delle ore 20 dei telegiornali nazionali è cresciuta del 51-53%, l'accesso ai siti e app di informazione
                                                   [2]
    dell'88,9% e del 91,1% (su base annuale) . Ciononostante, l'industria dei media ha subìto rilevanti
    perdite finanziarie per la riduzione delle entrate pubblicitarie. Gli interventi a favore dell'economia decisi
    dal governo nel 2020 hanno previsto anche alcune misure specifiche di sostegno ai media.
    Il presente Rapporto valuta la situazione del 2020. Per i primi mesi del 2021, vanno registrate alcune
    notizie preoccupanti in tema di protezione delle fonti dei giornalisti. Secondo quanto riportato da
    diverse fonti, la procura di Trapani ha intercettato centinaia di conversazioni telefoniche di almeno 15

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giornalisti che si occupano di migrazioni nel Mediterraneo centrale. Tra queste, conversazioni con fonti
                            [3]
    confidenziali e avvocati .

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3. Sintesi dei risultati

Nell'area della Protezione dei Diritti Fondamentali l'Italia si colloca a un livello di rischio medio, al 37%.
Come in passato, questa è l'area che presenta il risultato relativamente migliore, evidenziando che la
normativa in vigore garantisce le condizioni di base per il pluralismo e la libertà di informazione.
Ciononostante, qualche criticità emerge. Anche se l'indicatore che misura la Protezione della libertà di
espressione adesso segna un rischio basso - grazie agli sviluppi giurisprudenziali relativi alla legge sulla
diffamazione - il punteggio medio dell'area non è migliorato, a causa di un aumento dei rischi relativi agli
indicatori sul diritto all'informazione (dovuti anche alle restrizioni temporanee introdotte all'inizio della
pandemia), e sulla tutela dei giornalisti (con crescenti fenomeni di attacchi, intimidazioni, minacce fisiche
e digitali). La copertura universale dei media tradizionali è garantita, mentre problemi emergono nella
copertura e velocità della rete internet.
L'area del Pluralismo di Mercato registra un rischio del 66%, che si colloca sul margine più alto della
fascia del rischio medio. La situazione è peggiorata, rispetto all'anno precedente, soprattutto nell'indicatore
della Sostenibilità economica dei media, a causa del forte calo delle entrate pubblicitarie. Alcune misure di
sostegno pubblico straordinario ai media sono state introdotte dal governo, ma non in misura tale da
compensare le perdite di mercato. Sono peggiorate le condizioni economiche dei giornalisti, in particolare
quelle dei freelance. Un rischio alto caratterizza storicamente gli indicatori sulla concentrazione della
proprietà (Concentrazione dei mezzi di informazione, e Concentrazione delle piattaforme online e
attuazione della tutela della concorrenza). I due indicatori a rischio medio in quest'area sono: Trasparenza
della proprietà dei media e Influenza commerciale e della proprietà sul contenuto editoriale; quest'ultimo
segnala un incremento della esposizione dei giornalisti alla pressione degli interessi economici, dovuto al
peggioramento delle loro condizioni lavorative.
Nell'area dell'Indipendenza Politica (rischio medio, 48%), il livello di rischio più alto proviene dall'indicatore
sull'Indipendenza del servizio pubblico. Nella metodologia del MPM, tale valutazione considera la
governance e il finanziamento del servizio pubblico, e si basa sia sull'analisi delle previsioni legislative sulla
governance e sul finanziamento del servizio pubblico che sulla valutazione della loro concreta attuazione.
L'indipendenza politica e l'autonomia editoriale risultano a rischio medio per i mezzi di informazione privati,

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risultato dovuto soprattutto alla perdurante presenza di uno dei principali attori politici nel settore televisivo;
alla mancanza di regole efficaci sul conflitto di interessi; all'inadeguartezza delle regole sulla comunicazione
elettorale in un panorama dei media in continua evoluzione. I sussidi pubblici al settore dei media sono
basati su criteri oggettivi ma mancano di coerenza interna ed efficacia, e non sono proporzionati alla gravità
della crisi corrente.
L'aumento del rischio che si segnala per l'area della Inclusione Sociale (60%, rischio medio) è dovuto
soprattutto al nuovo indicatore sulla Protezione contro i contenuti illegali e dannosi, che registra un rischio
medio, ma molto vicino al margine del rischio alto. La vulnerabilità rispetto a contenuti dannosi è legata
anche ai risultati sulla Alfabetizzazione mediatica, ancora poco presente nel sistema nazionale
dell'istruzione. Il risultato peggiore in quest'area, anche quest'anno, è nell'indicatore sull'Accesso delle
donne ai media, che registra un rischio alto; questo risultato mette in luce la persistenza di un divario di
genere nelle posizioni di vertice nell'industria dei media, in particolare nelle direzioni giornalistiche, e la
diffusione di stereotipi nella rappresentazione mediatica delle donne. Nella stessa area, un altro indicatore
misura i rischi per l'accesso delle minoranze ai media: in questo caso, il risultato registra un rischio medio,
prevalentemente legato alla situazione delle minoranze non legalmente riconosciute (i migranti).

3.1. Protezione dei Diritti Fondamentali (37% - Rischio medio)
Gli indicatori dell'area della Protezione dei Diritti Fondamentali rappresentano la spina dorsale del diritto
dell'informazione in ogni democrazia contemporanea. Misurano una serie di potenziali aree di
rischio: l'esistenza e l'efficacia delle regole e garanzie poste a tutela della libertà di espressione e del diritto
all'informazione; lo status dei giornalisti in ogni paese, compresa la loro protezione e le loro condizioni
lavorative; l'indipendenza e l'efficacia delle autorità nazionali competenti a regolamentare il settore dei
media; e la copertura dei media tradizionali e l'accesso a Internet.

Nell'area della Protezione dei Diritti Fondamentali l'Italia registra un rischio medio. Questo punteggio riflette
il fatto che il quadro normativo rispetta i princìpi e gli standard internazionali, ma alcuni rischi emergono
nella loro applicazione concreta, nel ritardo nell'attuazione di alcune riforme recenti, e nelle

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crescenti minacce alla sicurezza dei giornalisti. Lo stato d'emergenza dovuto al COVID-19 - dichiarato il 31
gennaio 2020 - non ha compromesso lo stato di diritto, ma ha avuto un impatto su due degli indicatori di
quest'area, ossia le condizioni di lavoro dei giornalisti e l'accesso all'informazione, con una sospensione
temporanea del Freedom of Information Act (FOIA). Di seguito, i risultati e le valutazioni per ciascun
indicatore dell'area.
Protezione della libertà di espressione: rischio basso (30%). L'articolo 21 della Costituzione protegge la
libertà di espressione; ogni sua limitazione (per le fattispecie per le quali è ammessa, come la protezione
della dignità, dell'onore, della privacy, della sicurezza nazionale e dell'ordine pubblico) deve essere prevista
per legge, conformemente al dettato costituzionale. Sebbene il principio della libertà di espressione sia
generalmente rispettato, alcune norme del Codice di procedura penale non sono in linea con gli standard
internazionali e con l'articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali. In proposito, sulla questione della pena detentiva prevista per il reato di diffamazione,
oggetto di ripetute pronunce da parte della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nonché della Corte di
               [4]
Cassazione , c'è stata una svolta nel luglio 2020, quando la Corte Costituzionale ha chiesto al Parlamento
di cancellare le previsioni giudicate incostituzionali e di promuovere una più vasta riforma della normativa
                     [5]
sulla diffamazione . Questo sviluppo ha comportato una riduzione del livello di rischio registrato da questo
indicatore. Un ulteriore sviluppo avvenuto nel 2021 deve qui essere menzionato, anche se si è verificato
oltre l'arco temporale considerato per la valutazione del MPM; poiché il Parlamento non ha modificato la
normativa penale sulla diffamazione nei tempi prescritti dalla sentenza della Corte Costituzionale,
quest'ultima è intervenuta di nuovo il 22 giugno 2021, dichiarando incostituzionale la norma che prevedeva
                                                                                                            [6]
il carcere per diffamazione a mezzo stampa, tranne che nei casi di "eccezionale gravità" .
Nelle circostanze eccezionali legate all'emergenza pandemica, le iniziative prese dal governo e dall'Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni per contrastare la disinformazione sul COVID-19 non hanno limitato la
                           [7]
libertà di espressione (v. capitolo 4).
Protezione del diritto all'informazione: rischio medio (48%). Il c.d. Freedom of Information Act (FOIA) è
stato adottato in Italia nel 2016. In base al decreto legislativo no. 97/2016 sull'accesso civico generalizzato, i
cittadini hanno diritto ad accedere ai dati e ai documenti delle pubbliche amministrazioni di rilevante
interesse pubblico e privato. Ogni diniego da parte della pubblica amministrazione deve essere
adeguatamente motivato. Secondo rapporti indipendenti, le giustificazioni prodotte dalla pubblica
amministrazione per il diniego dell'accesso spesso sono vaghe, o non chiaramente riconducibili ai casi in
                                 [8]
cui la legge lo consente .
I termini per l'accesso agli atti pubblici sono stati sospesi dal 28 febbraio al 15 aprile del 2020, durante la
prima ondata dell'emergenza COVID-19. Secondo le raccomandazioni del Consiglio d'Europa, "ogni
restrizione dell'accesso alle informazioni ufficiali deve essere eccezionale e proporzionata allo scopo di
protezione della salute pubblica" (CoE2020a). Nel caso italiano, le restrizioni all'accesso nel periodo marzo-
aprile 2020 sono state eccezionali e temporanee, ma giustificate da esigenze organizzative più che da
motivi di protezione della salute pubblica.
                                              [9]
La protezione dei whistleblowers è limitata alle persone che lavorano nella pubblica amministrazione o in
società private fornitrici della pubblica amministrazione. La legge non è in linea con la direttiva dell'Unione
Europea 2019/1937, che richiede la protezione dei whistleblowers sia nel settore pubblico che in quello
privato, e la cui trasposizione nella normativa italiana è prevista per il 2021 nella legge di delegazione
        [10]
europea . L'ANAC (l'autorità anti-corruzione) raccoglie le segnalazioni dei whistleblowers e sovrintende alla
                                                                                                                     [11]
loro tutela; nel 2020, l'ANAC ha condotto 21 procedimenti sanzionatori e ha irrogato 3 sanzioni .
Professione giornalistica, regole e protezione: rischio medio (42%). In Italia almeno 20 giornalisti sono
sotto la protezione della pubblica sicurezza per aver ricevuto minacce di morte (CoE2020b). Sulla base dei
dati ufficiali, nel 2020 ci sono stati 163 casi di minacce e indimidazioni ai danni di giornalisti (in aumento
                                       [12]
dell'87% rispetto al 2019) . Gli episodi riconducibili a contesti di criminalità organizzata sono il 17% del

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totale dei casi riportati, mentre il maggior numero di attacchi avviene in contesti socio-politici: i giornalisti
sono fatti oggetto, in misura crescente, di minacce verbali o fisiche da parte di cittadini comuni, in
particolare online ma anche offline, spesso nel corso di manifestazioni di protesta dell'estrema destra o, nel
periodo della pandemia, di manifestazioni negazioniste o contro le vaccinazioni. Un'altra fonte di
preoccupazione crescente è dovuta al peggioramento delle condizioni di lavoro dei giornalisti, caratterizzate
da un divario crescente tra i dipendenti e i freelance; le redazioni, che hanno subìto una generalizzata
riduzione dell'organico, contano sempre più sul contributo di giornalisti esterni, che lavorano in condizioni di
                                                  [13]
elevata precarietà e ricevono bassi compensi . I freelance non solo sono meno protetti dai rischi della
disoccupazione e della malattia, ma sono anche più vulnerabili di fronte a minacce, attacchi e querele
                    [14]
temerarie (SLAPP) . Il differente status di freelance e pubblicisti rispetto ai giornalisti professionisti è anche
rilevante ai fini della protezione della confidenzialità delle fonti: di fatto, una interpretazione rigida delle
norme del Codice di procedura penale sul "segreto professionale" (art. 200) può portare a un trattamento
differenziato tra professionisti che di fatto fanno lo stesso lavoro, come è successo in alcuni casi in passato
(Verza 2017).
Indipendenza ed efficacia dell'autorità di controllo sui media: rischio basso (23%). Questa valutazione
risulta dall'analisi del quadro normativo sulle procedure di nomina e sull'indipendenza di bilancio, che è
coerente con le procedure adottate in altri Paesi dellì'Unione Europea e finalizzate alla tutela
dell'indipendenza dell'istituzione. Il Presidente e i Commissari dell'Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni (AGCOM) sono nominati da organi politici, attraverso una procedura che coinvolge il
Governo e il Parlamento e non è allineata con il ciclo elettorale. Tale meccanismo dovrebbe garantire
l'indipendenza dell'AGCOM rispetto alla maggioranza parlamentare, ma non obbliga i partiti a una selezione
trasparente basata sulle competenze e i curricula dei candidati; né risulta immune da rischi di negoziazione
politica. Il nuovo Consiglio dell'AGCOM è stato nominato nel luglio 2020, dopo un anno di proroga del
precedente. Il rinvio è stato dovuto sia a uno stallo nella decisione politica che all'emergenza della
pandemia. Nella procedura di selezione, né il governo né i gruppi parlamentari hanno aperto una procedura
selettiva pubblica, come in qualche caso è stato fatto in passato. Critiche in proposito sono state espresse
                                                                                 [15]
da organizzazioni della società civile e dalla comunità scientifica . AGCOM non ha completato la
valutazione dei livelli di concentrazione del mercato dei media audiovisivi, valutazione pendente dal 2015, in
attesa delle conclusioni del processo di riallocazione delle frequenze 700 Mhz. Nella sua relazione annuale
del 2020, AGCOM ha motivato il rinvio anche sulla base dell'instabilità del quadro normativo, in seguito alla
sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea sul caso Vivendi/Mediaset, che rende necessaria una
riforma della legge sui media (AGCOM 2020, p. 49). (v. anche Capitolo 3.2).
Copertura universale dei media tradizionali e accesso a Internet: rischio medio (44%). Mentre la
copertura universale del servizio pubblico è garantita, il risultato per questo indicatore è caratterizzato dal
divario digitale che si registra nella copertura della banda larga, e nella velocità di connessione. La
percentuale di famiglie con una connessione a banda larga, secondo i dati DESI disponibili al momento
della valutazione del MPM, è all'83,7%, quella a banda ultralarga al 21,7%, entrambe al di sotto della
mediana dell'Unione Europea. Le carenze nella capacità di connessione sono state particolarmente
problematiche nel 2020, a causa delle restrizioni alla libertà di movimento, in particolare per gli studenti e i
lavoratori nelle aree rurali e nel Sud. La quota di mercato dei TOP4 Internet Service Providers è superiore
al 90%.

3.2. Pluralismo di Mercato (66% - Rischio medio)
L'area del Pluralismo di Mercato valuta i rischi economici per il pluralismo dell'informazione: mancanza di
trasparenza della proprietà, concentrazione, sostenibiltà dell'industria dei media, esposizione del
giornalismo a interessi commerciali. Il primo indicatore prende in esame l'esistenza e l'efficacia di regole
sulla trasparenza della proprietà dei media. L'esistenza di un mercato concorrenziale è valutata

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separatamente per i mezzi di informazione in senso stretto (coloro che producono l'informazione) e per le
piattaforme online (porte di accesso all'informazione), considerando sia la concentrazione orizzontale (per
ogni singolo settore) che quella incrociata. L'indicatore sulla sostenibilità economica dei media misura
l'andamento delle entrate e dell'occupazione, in relazione alle variazioni del PIL. L'ultimo indicatore mira a
valutarei rischi derivanti dall'influenza degli interessi economici (della proprietà o commerciali) sul contenuto
editoriale.

Trasparenza della proprietà dei media: rischio medio (53%). La trasparenza della proprietà dei mezzi di
                                                                               [16]
informazione è iscritta tra i princìpi fondamentali della Costituzione . Dal 1997 le informazioni sugli assetti
proprietari dei media sono raccolte nel Registro unico degli Operatori di Comunicazione (ROC), che ha lo
scopo di garantire la trasparenza e la pubblicità degli assetti proprietari di tutti i media (fornitori di servizi
audiovisivi e radiofonici, stampa, editoria online) e dei servizi di comunicazione elettronica. Il ROC è tenuto
dall'AGCOM. Per iscriversi al ROC, gli operatori devono fornire e aggiornare le informazioni sui propri
azionisti, le rispettive quote e diritti di voto, i titolari finali effettivi. Non tutte le informazioni sono accessibili
direttamente e facilmente dal pubblico, in particolare riguardo alla proprietà effettiva finale; sul sito AGCOM,
                                                                                                       [17]
nella parte accessibile al pubblico, sono visibili solo le informazioni su nomi e indirizzi . Limiti nella concreta
attuazione, più che nelle previsioni legali, portano a una valutazione di rischio medio per questo indicatore
(v. anche il Capitolo 4 per la inclusione delle piattaforme online nel ROC).
Concentrazione dei mezzi di informazione: rischio alto (83%). La proprietà dei mezzi di informazione è
altamente concentrata in tutti i settori. Guida il fenomeno il settore televisivo, a causa del duopolio pubblico-
privato che, storicamente nato nella tv in chiaro, è stato insidiato ma non cancellato dalla competizione dei
modelli a pagamento e via internet. Nel settore della stampa, la tendenza alla concentrazione della
proprietà è stata accelerata dalle difficoltà ecoomiche dei giornali. Il settore dell'informazione online è
dominato dalle offerte digitali dei media tradizionali, e di conseguenza altrettanto concentrato; mentre il
mercato dei mezzi di informazione nativi digitali è più pluralistico ma di dimensioni meno rilevanti. Nel
mercato audiovisivo, il primo operatore è Comcast/Sky (con il 35,6% dei ricavi), seguito dalla RAI (29%) e
Fininvest/Mediaset (19,9%): rispetto al 2019, la quota di Comcast/Sky è cresciuta a scapito di quella di
Fininvest/Mediaset, in seguito all'accordo tra i due gruppi che ha praticamente messo fine alla concorrenza
                                                    [18]
nel mercato della pay-tv in Italia (CMDS 2020) . In termini di audience, il primo operatore è la RAI (35,7%),
seguita da Fininvest/Mediaset (31,6%), Discovery (7,4%) e Comcast/Sky (7,2%). A partire dal 2018, il

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settore radiofonico ha assistito a un processo di concentrazione, e risulta ora dominato da quattro operatori
(di nuovo RAI e Fininvest/Mediaset, seguite da GEDI e RTL). La società GEDI è anche il primo operatore
nell'editoria dei quotidiani, con il 25,4% dei ricavi, seguito da Cairo/RCS (21,5%), mentre i due gruppi che
seguono nella classifica dei ricavi (Monrif e Caltagirone) sono al 7-8% ciascuno. GEDI controlla La
Repubblica e La Stampa (secondo e terzo giornale italiano per diffusione), una decina di giornali regionali e
locali, il settimanale L'Espresso e alcune radio di rilevanza nazionale. E' controllata da Exor, la holding della
famiglia Agnelli, le cui più importanti attività sono nella produzione automobilistica, in altre industrie
metalmeccaniche, e nei settori assicurativo, immobiliare e sportivo. Nel 2020 il gruppo ha nominato nuovi
direttori alla guida dei suoi quotidiani. In parallelo, è stato fondato un nuovo giornale, Domani, finanziato
                                      [19]
dall'ex-proprietario de La Repubblica . Il gruppo Cairo/RCS è un editore puro e intermediario nella raccolta
pubblicitaria; controlla il Corriere della Sera (il primo quotidiano italiano), La Gazzetta dello sport, un vasto
numero di riviste popolari; è il quarto operatore nel mercato televisivo, con La7 Tv.
L'elevata concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione è una caratteristica costante del mercato
dei media in Italia, consolidatasi nel tempo; negli anni più recenti, può essere vista anche come una
strategia difensiva da parte dell'industria dei media per far fronte alle crescenti difficoltà economiche (si
veda l'indicatore sulla Sostenibilità economica dei media). Insieme alla elevata concentrazione, alcune
caratteristiche strutturali vanno sottolineate: 1) la concentrazione del mercato dei media è intrecciata a rischi
di influenza politica, poiché i due principali operatori del mercato sono un servizio pubblico non pienamente
indipendente a livello politico (si veda il relativo indicatore nell'area della Indipendenza Politica) e il gruppo
Fininvest/Mediaset, di proprietà di Silvio Berlusconi, che è uno dei principali attori del panorama politico
italiano; 2) nella maggior parte dei casi i proprietari dei media operano anche in altri settori economici,
dunque sono portatori di diversi interessi industriali e finanziari; 3) alcune società hanno quote di mercato
rilevanti in differenti settori dell'informazione (sul settore online, si veda il capitolo 4).
Il fenomeno dell'alta concentrazione proprietaria (orizzontale e incrociata) non è stato contrastato dalle
autorità competenti a causa dell'ampiezza del SIC, che fissa dei tetti molto alti sulla base dei quali definire
le posizioni dominanti (Cappello 2020). La legge pone dei limiti alle quote di mercato che ciascun operatore
può detenere in ciascun settore dei media (limite tecnico) e sul mercato complessivo dei media (limite
            [20]
economico) . L'AGCOM non ha individuato violazioni del limite tecnico nei mercati rilevanti; nel caso del
settore audiovisivo, la definizione del mercato rilevante è stata rinviata diverse volte negli scorsi anni, in
attesa della riallocazione delle frequenze 700 Mhz (cd. "refarming"). Nel 2020 il procedimento di analisi
delle posizioni dominanti nel mercato dei servizi di media audiovisivi è stato sospeso; la sospensione è
stata giustificata, oltre che in base alle suddette ragioni tecniche, anche in relazione alla "sopravvenuta
instabilità del quadro normativo di riferimento" (AGCOM 2020, p. 49), dopo la sentenza della Corte di
Giustizia Europea nel caso Vivendi-Mediaset, che ha stabilito che il tetto anti-concentrazione imposto dalla
legge italiana è contrario alla normativa dell'Unione Europea, poiché ogni restrizione alla libertà di
stabilimento nel mercato comune posta da uno Stato membro dovrebbe essere proporzionata allo scopo
che si prefigge. Oltre a chiudere una lunga controversia tra Mediaset e Vivendi, spingendo le due società a
riprendere le trattative sulle rispettive strategie di business, la sentenza della Corte di Giustizia Europea è
destinata a cambiare il quadro normativo, rendendo necessaria una riforma delle attuali regole sulla
concentrazione dei media. Nell'attesa di tale riforma, il Governo italiano ha approvato una norma transitoria,
                                                                      [21]
in un decreto urgente, per contrastare gli effetti della sentenza .
Concentrazione delle piattaforme online e attuazione della tutela della concorrenza: rischio alto
(71%). I rischi per il pluralismo derivanti dall'evoluzione dei mercati digitali sono trattati estesamente nel
capitolo 4. Vale la pena di anticipare qui, sinteticamente, che il ruolo crescente delle piattaforme digitali da
un lato non ha aumentato la concorrenza sul mercato dell'informazione, dall'altro ha messo alla prova la
sostenibilità economica dell'industria dei media, sia attraendo fette crescenti delle risorse pubblicitarie
che riducendo le entrate dalle vendite, grazie alla enorme disponibilità di informazione gratuita.

14                                              Il Centre for Media Pluralism and Media Freedom is co-finanziato dall'Unione Europea
Sostenibilità economica dei media: rischio alto (77%). In un anno di crisi economica generalizzata, tutti i
media, ad accezione dei servizi televisivi a pagamento, hanno subìto perdite nei ricavi superiori alla
riduzione del PIL. Secondo gli ultimi dati disponibili al momento della valutazione del MPM, i ricavi della
televisione in chiaro sono scesi dell'11,1%, quelli delle radio del 23%, quelli dei giornali del 14,6%, le riviste
del 19,8%. Solo i ricavi della pubblicità online, assorbiti in misura preponerante dalle piattaforme digitali,
hanno mostrato una variazione positiva (del 6,7%) (AGCOM 2021b). Spinti dalla crisi e dal brusco
cambiamento nel consumo di informazione durante i lockdown, i principali operatori dei media hanno
aumentato la propria offerta digitale, lanciando nuovi schemi di paywall e promuovendo gli abbonamenti
digitali durante la pandemia. Anche se questi sforzi non sono riusciti a controbilanciare le perdite di
pubblicità per i media tradizionali, alcune testate nate nell'ambiente digitale e/o in alcune nicchie di mercato,
in particolare quelle che non basano il proprio modello economico esclusivamente sulla pubblicità, hanno
mostrato risultati migliori e sono riuscite meglio a monetizzare la crescente attenzione
                          [22]
verso l'informazione .
In questo indicatore, il MPM valuta anche le tendenze dell'occupazione e delle retribuzioni per i giornalisti.
Secondo i dati di INPGI (2020), dal 2012 al 2019 l'occupazione dipendente tra i giornalisti si è ridotta del
14%, mentre l'occupazione in forme non-standard è cresciuta del 20,8%. La crisi del COVID-19 ha avuto un
impatto diverso su questi due gruppi, esasperando il dualismo del mercato del lavoro giornalistico. Mentre
l'impatto della crisi sull'occupazione regolare è stato attentuato da schemi di protezione sociale, i freelancer
hanno sofferto di più. I tagli alla produzione (edizioni locali, iniziative speciali, numero di pagine, prodotti
collaterali) e al budget delle redazioni hanno portato gli editori a terminarei contratti precari e temporanei, e i
compensi per i contributi esterni dei freelance sono stati abbassati in misura consistente.
Gli aiuti pubblici diretti all'editoria, distribuiti attraverso il Fondo per il pluralismo e l'innovazione
                   [23]
dell'informazione , si sono ridotti dai 176 milioni di euro del 2007 a 66,5 milioni nel 2018, poi sono cresciuti
di nuovo nel 2019, a 116,4 milioni. I contributi diretti sono finalizzati al sostegno di settori specifici (come i
giornali editi da cooperative e quelli espressione di minoranze linguistiche). Finora, il Fondo non ha
raggiunto l'obiettivo principale assegnatogli dalla riforma, che era quello di incentivare l'innovazione nei
                                                                                                                                [24]
media. Durante la pandemia sono state adottate misure straordinarie per sostenere il settore dei media ;
tra queste, un credito fiscale per gli investimenti pubblicitari e altre esenzioni fiscali per la stampa e (in
misura minore) per i media digitali. L'attuazione di tali misure non è riuscita, se non in minima parte, a
controbilanciare le perdite economiche subite nell'anno dal settore. Il governo ha annunciato che userà
parte delle risorse provenienti dai fondi europei per la ripresa e la resilienza per sostenere la transizione
digitale nel settore dei media.
Influenza commerciale e della proprietà sui contenuti editoriali: rischio medio (48%). Le difficoltà
economiche del settore hanno comportato un aumento del livello di rischio anche per questo indicatore. I
giornalisti occupati regolarmente come dipendenti possono contare su alcune garanzie, come schemi di
protezione sociale in caso di cambiamento della proprietà o della linea editoriale. Il divieto di pubblicità
camuffata da contenuto editoriale non è pienamente efficace, e i contenuti sponsorizzati così come il "native
advertising" non sono sempre offerti con un messaggio trasparente che faccia intendere al pubblico che sta
leggendo o guardando un contenuto pagato dagli inserzionisti. Le caratteristiche strutturali della proprietà
dei mezzi di informazione aumentano il rischio di sovrapposizione tra gli interessi editoriali e altri interessi
            [25]
commerciali . La riduzione della sostenibilità economica dei media e la crescente dipendenza dalla
pubblicità creano maggiori rischi per l'informazione economica. Le regole esistenti che dovrebbero garantire
una chiara separazione tra i contenuti editoriali e quelli commerciali sono spesso aggirate, sia nei media
tradizionali che (maggiormente) in quelli digitali. I media tradizionali sempre più usano contenitori specifici
(chiamati "speciali" o "guide", o in altro modo), per pubblicare contenuti sponsorizzati, nei quali il disclaimer
non è visibile o è del tutto assente. Le nuove tecniche pubblicitarie nei mezzi di informazione digitali spesso
rendono difficile al consumatore riconoscere il contenuto sponsorizzato.

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3.3. Indipendenza Politica (49% - Rischio medio)
Gli indicatori nell'area della Indipendenza Politica valutano l'esistenza e l'efficacia delle misure
regolamentari e di autoregolazione contro l'influenza della politica sui media e contro eccessi di
partigianeria politica, sia in fase di produzione che di distribuzione e accesso all'informazione. Più
specificamente, questa area intende valutare l'influenza dello Stato e, più in generale, del potere politico sul
funzionamento del mercato dei media e l'indipendenza del servizio pubblico. Inoltre, l'area si occupa
dell'esistenza ed efficacia di misure di (auto)regolazione nell'assicurare l'indipendenza editoriale e
l'esistenza di una informazione politica plurale, in particolare durante i periodi elettorali.

Indipendenza politica dei media: rischio medio (50%). Il risultato di questo indicatore riflette in primo luogo
la mancanza di una legge efficace sul conflitto di interessi. A questo riguardo, la situazione non è cambiata
                                                                                [26]
rispetto al report dello scorso anno. La legge in vigore (no. 215/2004 , cd. "legge Frattini"), è stata valutata
negativamente dalla Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto (Commissione di Venezia
2005), la quale ha deliberato che "la soluzione fornita dalla Legge Frattini alla questione del conflitto di
interessi consiste in una commistione di incompatibilità a priori (in primo luogo di natura amministrativa) e di
esami a posteriori di singoli atti di governo. Non contiene misure “preventive” sufficienti per risolvere un
potenziale conflitto di interessi" (Commissione di Venezia 2005, § 19). Nelle conclusioni del parere reso nel
2005, la Commissione di Venezia, ritenendo "che la Legge Frattini abbia poche probabilità di esercitare un
impatto significativo sull’attuale situazione italiana", incoraggiava le autorità italiane a trovare una soluzione
appropriata. Ma, nonostante la questione sia stata al centro dell'attenzione del dibattito politico in Italia per
diversi anni, le proposte di riforma sono ancora in discussione in Parlamento. Sebbene il caso più evidente
e ampiamente noto riguardi il proprietario del primo gruppo televisivo italiano - l'ex presidente del consiglio
Silvio Berlusconi -, la mancanza di regole efficaci contro il conflitto di interessi ha un impatto più generale
sull'indipendenza dell'informazione, a livello nazionale e livello locale. Il rischio di influenza politica sulle tv è
elevato anche a causa del modo in cui funziona il servizio pubblico (si veda l'indicatore specifico, alla fine di
questo capitolo).

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[27]
I principali giornali non sono posseduti direttamente o indirettamente da partiti politici .                         Ma
editoriali riflettono la forte polarizzazione dello scenario politico, che spesso porta giornali e giornalisti ad
avere un forte protagonismo nel dibattito politico - prevalentemente nei talk show -, piuttosto che
a rafforzare il proprio ruolo di controllo e il lavoro d'inchiesta.
Autonomia editoriale: rischio medio (63%). Problemi simili a quelli sopra esposti si incontrano per questo
indicatore, attraverso il quale vengono valutate l'esistenza e l'efficacia di regole per tutelare l'indipendenza
dei giornalisti, per esempio riguardo alle nomine e revoche dei direttori e delle direttrici. In mancanza di
previsioni normative al riguardo, in Italia la questione è stata storicamente affidata sia a forme di
autoregolamentazione che all'esistenza di un "effetto reputazione" (legato alla professionalità dei giornalisti
e alla correttezza degli editori). Tali strumenti rischiano di diventare meno efficaci con l'evoluzione dello
scenario dei media, sia per il peggioramento delle condizioni economiche e lavorative (che espongono i
giornalisti a maggiore pressione esterna) che per le differenti caratteristiche dell'ecosistema digitale.
L'autonomia editoriale dei media privati è anche minacciata da caratteristiche strutturali della loro proprietà,
ossia dal fatto che nella maggioranza dei casi gli editori sono attivi in differenti settori economici, il cui
successo può essere influenzato da decisioni del governo.
Media audiovisivi, piattaforme online ed elezioni: rischio medio (34%). Due i principali fattori di rischio
per questo indicatore: la parzialità del servizio pubblico e la mancanza di regole sulla pubblicità politica
online. La legge no. 28/2000 (sulla "par condicio") detta regole a tutela di una equa ripartizione del tempo di
presenza televisiva per i partiti politici e per i candidati durante la campagna elettorale. L'autorità di controllo
sui media deve sovrintendere all'applicazione di questa legge. In passato, i dati forniti dall'AGCOM e da
osservatori indipendenti hanno evidenziato che il pluralismo politico non è stato sempre garantito (Brogi e
Carlini, 2020). Nell'anno oggetto della valutazione, il 2020, in Italia si sono svolte alcune consultazioni
elettorali locali e un referendum costituzionale. L'AGCOM ha emesso 31 relative all'informazione sui canali
nazionali per ristabilire la parità di trattamento tra i partiti poltici e tra i diversi schieramenti referendari. A
seguito dell'evoluzione della comunicazione politica online, con il crescente contatto diretto tra gli attori
politici e i loro follower sui social media, la normativa esistente rivela sempre più i suoi limiti (questo tema è
approfondito nel capitolo 4).
Regolazione pubblica delle risorse e supporto al settore dei media: rischio basso (17%). Il risultato
positivo per questo indicatore (che mostra il livello di rischio più basso dell'area) è dovuto soprattutto al
completamento della riallocazione dello spettro delle frequenze (con il processo che ha redistribuito la
banda a 700 MHz). Un rischio basso emerge anche dal sub-indicatore sulle regole sulla pubblicità degli enti
pubblici, la cui destinazione deve essere comunicata annualmente all'AGCOM dalle amministrazioni ed enti
pubblici; tuttavia, va sottolineato il fatto che le società controllate dallo Stato non sono soggette allo stesso
obbligo. Il sub-indicatore sui sussidi pubblici all'informazione è a rischio medio. Nel 2016 l'intero sistema è
stato riformato con l'introduzione di un fondo unico (il Fondo per il pluralismo e l'innovazione
dell'informazione). La legge prevede criteri oggettivi per la distribuzione dei sussidi, ammettendo al
beneficio determinate categorie: i giornali editi da cooperative di giornalisti, non-profit, o espressione di
minoranze linguistiche. Ma la distribuzione dei fondi è oggetto di critiche, poiché alcuni mezzi di
informazione ne beneficiano grazie a espedienti e scappatoie legali; il principale obiettivo della riforma,
quello di incentivare l'innovazione tecnologica, non è ancora stato raggiunto. Nel 2019, chiamata a
pronunciarsi sulla questione, la Corte Costituzionale, pur non accogliendo le eccezioni di illegittimità
costituzionale, ha definito il sistema come "affetto da una incoerenza interna"; secondo la Corte, "è allora
evidente che in un settore come quello in esame, caratterizzato dalla presenza di un diritto fondamentale, vi
è l’esigenza che il quadro normativo sia ricondotto a trasparenza e chiarezza, e in particolare che
                                                                     [28]
l’attribuzione delle risorse risponda a criteri certi e obiettivi" . Sotto il profilo quantitativo, gli aiuti pubblici
diretti sono diminuiti dai 176 milioni di euro nel 2007 a 66,5 milioni di euro nel 2018, per poi salire di nuovo a
116,4 milioni di euro nel 2019, I fondi del 2020 non erano ancora stati distribuiti al momento della

17                                               Il Centre for Media Pluralism and Media Freedom is co-finanziato dall'Unione Europea
[29]
realizzazione di questo studio . Nel 2020, a seguito della crisi dovuta al COVID-19, il governo ha stanziato
fondi straordinari, prevalentemente nella forma di aiuti indiretti (si veda l'indicatore sulla Sostenibilità
economica dei media).
Indipendenza del servizio pubblico: rischio alto (83%). Nel 2015 la governance del servizio pubblico
                                                                [30]
radiotelevisivo (RAI) è stata riformata dalla legge no. 220 . Il consiglio di amministrazione è composto da 7
membri: 2 eletti dalla Camera dei deputati, 2 dal Senato, 2 nominati dal governo, e uno eletto dai dipendenti
della RAI. Sebbene la legge preveda una selezione pubblica e competenze specifiche da parte dei
candidati, nella sua prima attuazione, nel 2018, non c'è stata una procedura pubblica aperta, né i criteri di
selezione sono stati esplicitati. E' ampiamente riconosciuto, anche da parte degli stessi partiti politici, che la
riforma non ha risolto il problema storico dell'elevata dipendenza della composizione del consiglio, e di
conseguenza della scelta delle posizioni apicali in esso e nelle direzioni giornalistiche, dall'equilibrio politico,
spesso seguendo un dettagliato schema di contrattazione (la cosiddetta "lottizzazione") (Zaccaria 2021;
Verdelli 2019). Di recente sono emersi problemi anche in relazione all'indipendenza finanziaria, dopo la
riforma del canone, la quale ha aumentato l'efficacia della riscossione ma ha esposto il servizio pubblico a
                                                                                              [31]
flussi finanziari meno stabili e dipendenti dalle discrizionali decisioni governative .

3.4. Inclusione Sociale (60% - Rischio medio)
L'area della Inclusione sociale si concentra sull'accesso ai media da parte di specifici gruppi nella società:
minoranze, comunità locali e regionali, persone con disabilità; e sull'accesso delle donne ai media. Analizza
anche il contesto nazionale sull'alfabetizzazione mediatica, ivi comprese le valutazioni delle competenze
digitali della popolazione. Inoltre, nell'edizione 2021 del MPM è stato aggiunto un nuovo indicatore per
valutare le nuove sfide legate all'uso delle tecnologie digitali: Protezione contro i contenuti illegali e dannosi.
Questa modifica degli indicatori consiglia estrema cautela nel compiere comparazioni tra i risultati di questa
edizione e quelli delle precedenti edizioni del MPM.

Accesso delle minoranze ai media: rischio medio (47%). Mentre l'accesso ai media è tutelato per le
minoranze legalmente riconosciute, l'accesso ai mezzi di informazione commerciali è limitato, fatto che
contribuisce ad alzare il livello di rischio per questo indicatore. Da un lato, l'accesso ai programmi del
servizio radiotelevisivo pubblico è garantito per le minoranze legalmente riconosciute da un insieme di

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