LETTERA DEL PARROCO PER IL MESE DI OTTOBRE 2017

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LETTERA DEL PARROCO PER IL MESE DI OTTOBRE 2017
LETTERA DEL PARROCO PER IL MESE DI OTTOBRE 2017

             LA GRANDEZZA DELLA CHIESA – LA SPOSA DELL’AGNELLO

  Il mese di ottobre è stato finora un mese bello ma difficile. Oggi per la prima volta il cielo è
chiuso e le polveri sottili inquinano l’atmosfera. Ma fino a oltre la metà del mese, sembrava a volte
che fosse ancora estate. Non è però alle condizioni meteo che mi riferisco.
  Scrivo nell’imminenza della Giornata missionaria mondiale. Ha quasi due secoli di vita, ma
soprattutto da dopo il Concilio ha cambiato impostazione. Era stata voluta dalle comunità cristiane
di antica data, come quelle europee, a sostegno di preghiere ed economico dei missionari e delle
missionarie che coraggiosamente volevano portare il Vangelo in Paesi sconosciuti, spesso ancora
misteriosi (la Terra non era ancora il “villaggio” che pare oggi a noi). Oggi è il giorno della presa di
coscienza da parte di ogni comunità cristiana del compito che la contraddistingue da ogni altra
aggregazione e la qualifica: quello di essere testimone essa stessa, nella sua globalità e in ciascun
membro, del “Vangelo” di Gesù. Scrive benissimo nel suo messaggio papa Francesco: “La
Giornata Missionaria Mondiale ci convoca attorno alla persona di Gesù, «il primo e il più grande
evangelizzatore» (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 7), che continuamente ci invia ad
annunciare il Vangelo dell’amore di Dio Padre nella forza dello Spirito Santo. Questa Giornata ci
invita a riflettere nuovamente sulla missione al cuore della fede cristiana. Infatti, la Chiesa è
missionaria per natura; se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione
tra molte altre, che ben presto finirebbe con l’esaurire il proprio scopo e scomparire”.
  Si tratta di parole chiarissime e gravi. Non tutte le comunità cristiane però le prendono nella
dovuta considerazione. Forse in teoria sì, ma nella pratica (per come è impostata la programmazione
delle iniziative) non tanto.

  Nel mese abbiamo celebrato due feste “comunitarie, quella patronale nostra e quella patronale del
Duomo di Milano. La prima ristretta alla nostra piccola comunità, la seconda invece di tutta la
nostra vasta arcidiocesi. Abbiamo festeggiato il 1 ottobre don Martino, nella festa della dedicazione
della Cattedrale mons. Delpini, arcivescovo da poche settimane. La comunità cristiana si riunisce
attorno alla persona di Gesù, ci ricorda il papa. Ma in essa alcune persone lo richiamano in maniera
diretta a causa del servizio cui il Signore li chiama: il Vescovo innanzitutto, e poi, nelle singole
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comunità, il sacerdote, inviato dal Vescovo come suo diretto collaboratore (in un certo senso:
sostituto).
 Credo che le due feste abbiano “sollecitato” soprattutto i festeggiati, ma anche insegnato a tutti a
guardare con fede a quelle persone: a non fermarci cioè su di esse, anche se piacciono e sono
preziose guide sul cammino della vita, ma a intuire in esse la presenza di Cristo buon Pastore e
custode delle nostre anime.

  Inoltre mons. Delpini, il 4 ottobre, ci ha indirizzato una breve e preziosissima lettera: “Vieni, ti
mostrerò la Sposa dell’Agnello”. Ci propone di metterci in contemplazione della grande opera di
Dio che sarà la Gerusalemme celeste. Anche Martini iniziò il suo episcopato invitandoci al silenzio
dell’ascolto e della contemplazione. Nel silenzio si costruiscono le grandi personalità. Dal silenzio
nasce l’uomo di fede. Dal silenzio scaturiscono decisioni attuali ed efficaci. Dalla contemplazione
                                     della Gerusalemme celeste, le vie che la Chiesa del Terzo
                                     Millennio è invitata a seguire. Ci aveva già consigliato, con
                                     l’omelia del giorno dell’ingresso, di contemplare la “gloria di Dio”
                                     che brilla in tutta la terra. “La terra è piena della gloria di Dio”: è il
                                     suo motto, che cantiamo sempre al Sanctus di ogni messa. E la
                                     “gloria” di Dio ha un nome preciso: Amore. “Ecco che cos’è la
                                     gloria di Dio: è l’amore che si manifesta. Perciò io sono venuto
                                     ad annunciare che la terra è piena della gloria di Dio. Non c’è
                                     nessun luogo della terra, non c’è nessun tempo della storia, non
                                     c’è nessuna casa e nessuna strada dove non ci sia l’amore di Dio.
                                     La gloria di Dio riempie la terra perché ogni essere vivente è
                                     amato da Dio”.
                                     “Ogni uomo, ogni donna avvolti della gloria di Dio diventano
                                     capaci di amare, possono praticare il comandamento di Gesù:
                                     amatevi! Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli
                                     altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri
                                     (Gv 14,34).
Ogni uomo, ogni donna è reso capace di amare come Gesù ha amato, è reso partecipe della vita di
Dio e della sua gloria. In ogni luogo della terra, in ogni tempo della storia, oggi, dappertutto, in
qualsiasi desolazione, in qualsiasi evento tragico, in qualsiasi tribolazione Dio continua ad amare
e a rendere ogni uomo e ogni donna capace di amare.
Non parlate troppo male dell’uomo, di nessun figlio d’uomo: la gloria di Dio avvolge la vita di
ciascuno e lo rende capace di amare.
Non disprezzate troppo voi stessi: Dio vi rende capaci di amare, di vivere all’altezza della dignità
di figli di Dio, vivi della vita di Dio. La gloria del Signore vi avvolge di luce.
Non disperate dell’umanità, dei giovani di oggi, della società così come è adesso e del suo futuro:
Dio continua ad attrarre con il suo amore e a seminare in ogni uomo e in ogni donna la vocazione
ad amare, a partecipare della gloria di Dio”.

  Sono nostalgico. Per questo il mese di ottobre mi riporta a oltre 50 anni fa, sempre. L’11 ottobre
1962, ero allora studente di teologia, papa Giovanni dava inizio al Concilio Vaticano II,
indubbiamente l’evento più importante del secolo scorso. Mi sono riletto i documenti che l’hanno
preceduto, dall’annuncio al primo grande discorso introduttivo. E’ stato come ritornare giovane. La
giovinezza è l’epoca delle grandi aspirazioni, degli ideali entusiasmanti. Come in un seme, lì sono
anticipati gli sviluppi futuri, lì trovi gli orientamenti di fondo, lì puoi misurare la rettitudine del
cammino percorso, da lì trarre l’ispirazione per gli itinerari futuri. Riprendo un passo del discorso di
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apertura. Il linguaggio non è “moderno” come quello del nostro vescovo, ma gli obiettivi proposti
sono quelli di sempre, quanto mai vitali per la felicità degli uomini. “All’umanità travagliata da
tante difficoltà la Chiesa dice, come già Pietro a quel povero che gli aveva chiesto l’elemosina:
"Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno,
cammina!" . In altri termini, la Chiesa offre
agli uomini dei nostri tempi non ricchezze
caduche, né promette una felicità soltanto
terrena; ma dispensa i beni della grazia
soprannaturale, i quali, elevando gli uomini
alla dignità di figli di Dio, sono di così valida
difesa ed aiuto a rendere più umana la loro
vita; apre le sorgenti della sua fecondissima
dottrina, con la quale gli uomini, illuminati
dalla luce di Cristo, riescono a comprendere
a fondo che cosa essi realmente sono, di
quale dignità sono insigniti, a quale meta devono tendere; infine, per mezzo dei suoi figli manifesta
ovunque la grandezza della carità cristiana, di cui null’altro è più valido per estirpare i semi delle
discordie, nulla più efficace per favorire la concordia, la giusta pace e l’unione fraterna di tutti”.

    Dopo aver elencato i motivi che hanno reso bellissimo questo mese di ottobre, non ho il
coraggio, o meglio provo vergogna a comunicare i motivi che me l’hanno reso un po’ difficile,
come era mia intenzione fare all’inizio. Cose meschine al confronto. Qualcosa ho però via via
comunicato e, se qualcuno è un po’ attento, senz’altro l’avrà presente. Permettetemi però di
concludere con la settima lettera, scritta da Gesù alla Chiesa di Laodicea riportata dal cap. terzo
dell’Apocalisse. Quella Chiesa tranquilla, intontita dal benessere, ci assomiglia proprio. Vi si parla
di una gravissima malattia denunciata in maniera molto severa dal nostro Patrono s. Antonio M.
Zaccaria, la tiepidezza. Ma nel quadretto meraviglioso del Viandante che, passando, bussa alla porta
e chiede di entrare, riassume in maniera molto suggestiva quell’intimità con Signore che vorrei
attraesse tutti, proprio tutti, e fosse la gioia di ciascuno. Scrive dunque Giovanni in Ap 3,14-20:
“All'angelo della Chiesa che è a Laodicèa scrivi: "Così parla l'Amen, il Testimone degno di fede e
veritiero, il Principio della creazione di Dio. Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo.
Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per
vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non
sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me
oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua
vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista. Io, tutti quelli che amo, li
rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convertiti. Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno
ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.

                                                                                        don Gregorio
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