Le trasferte di lavoro e i rimborsi spese

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                                 CIRCOLARE N. 17
                                29 NOVEMBRE 2016

Le trasferte di lavoro e i rimborsi spese

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Sommario
1. Introduzione ................................................................................................................................. 3
2. Nozione di trasferta..................................................................................................................... 4
            2.1 Trasferta nel Comune sede di lavoro ........................................................................ 5
            2.2 Trasferta al di fuori del Comune sede di lavoro ...................................................... 6
3. Le diverse forme per gestire il rimborso – trattamento fiscale in capo al
dipendente ........................................................................................................................................ 7
            3.1 Il metodo analitico ....................................................................................................... 7
            3.2 Il metodo forfettario .................................................................................................... 8
            3.3 Il metodo misto ............................................................................................................ 9
4. Le accortezze sulla documentazione da utilizzare .................................................................. 9
5. Trattamento in capo all’azienda ................................................................................................ 11
            5.1 Imposte dirette e Irap ................................................................................................. 12
                        5.1.1 La limitazione della deduzione al 75% ..................................................... 12
                        5.1.2 Spese nel Comune e limite di deduzione del 75% .................................. 13
            5.2 La detrazione dell’Iva sulle spese di vitto e alloggio ............................................... 13
                        5.2.1 L’intestazione della fattura.......................................................................... 14
                        5.2.2 La verifica dell’inerenza ............................................................................... 14
                        5.2.3 La rinuncia alla detrazione dell’Iva ............................................................ 15
6. Il rimborso agli amministratori .................................................................................................. 16
7. I rimborsi spese e l’annotazione nel Libro Unico del lavoro ................................................. 16
8. Prospetti di riepilogo ................................................................................................................... 18

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1. Introduzione

Le modalità di tassazione delle indennità e dei rimborsi spese collegati alle trasferte
sono alquanto eterogenee, dovendo considerare una serie di fattori quali, in particolare, il
luogo di destinazione della trasferta e il metodo richiesto per il rimborso medesimo.
Deve comunque sottolinearsi preliminarmente che per l’applicazione della disciplina fiscale
delle trasferte, a prescindere dal particolare regime del rimborso prescelto (forfetario,
analitico o misto) è necessario che il lavoratore, avente una sede di lavoro
contrattualmente prevista, sia incaricato di svolgere temporaneamente la propria
prestazione in altra sede.
Sul concetto di temporaneità l’Amministrazione finanziaria, nell’ambito dei rapporti di
lavoro privato, ha lasciato discreti margini di elasticità alle parti, in quanto ha ritenuto che
non fosse direttamente applicabile il tetto massimo dei 240 giorni, previsto per la
missione - che rappresenta l’analogo istituto della trasferta applicabile agli enti pubblici, ai
Ministeri e alle Amministrazioni dello Stato dei dipendenti pubblici - dalla L. 836/1973
(C.M. 326/E/1997, capitolo 2.4.1). Tuttavia ciò non significa che sia autorizzato un
abuso dell’istituto, ragion per cui parte della dottrina ritiene che il limite sopra citato possa
rappresentare un valido criterio anche per il settore privato.
L’individuazione della sede di lavoro è rimessa alla libera decisione delle parti ed è
successivamente formalizzata nella lettera di assunzione, mentre generalmente le
indennità dovute al lavoratore per l’effettuazione delle trasferte sono previste dai contratti
collettivi o aziendali. A prescindere dalla durata e dalla frequenza delle trasferte, il
lavoratore, dopo il mutamento temporaneo della sede di lavoro, fa sempre ritorno nella
sede originaria, non configurandosi dunque l’ipotesi del distacco o addirittura di
un’assunzione da parte del terzo soggetto, nel qual caso evidentemente verrebbe meno la
problematica di cui si discute.
Per stabilire se quanto corrisposto a titolo di rimborso chilometrico, al pari del rimborso
delle altre spese, concorra o meno alla formazione del reddito del beneficiario, occorre
definire la nozione di “trasferta”.
Il luogo ove si svolge la prestazione lavorativa può essere fisso, cioè ben definito nel senso
che si svolge sempre nella stessa località (ufficio, cantiere, stabilimento); ma può anche
essere variabile cioè può svolgersi, proprio per le caratteristiche delle mansioni e dei
compiti affidati al lavoratore, in luoghi sempre diversi. È questo il caso, ad esempio, dei
viaggiatori e piazzisti, degli installatori di impianti, dei propagandisti scientifici, ecc..

       Luogo di lavoro                                    Descrizione/esemplificazione
Fisso nella sede dell’azienda         In una sede dove “normalmente” si svolge l’attività del datore di
                                      lavoro, individuata nel contratto di assunzione o modificata
                                      successivamente
Fisso     nel      domicilio    del   • Lavoratori a domicilio
lavoratore                            • Telelavoro
Variabile                             Quando l’attività si svolge in luoghi sempre diversi:
                                      • viaggiatori e piazzisti
                                      • installatori d impianti
                                      • autisti
                                      • ecc.
Provvisorio                           • Trasferta
                                      • Distacco

Per quanto riguarda il concetto di provvisorietà o di definitività dell’assegnazione del
lavoratore ad una determinata sede, secondo la Cassazione (sentenza n. 6213/1979)
“questa va valutata con riferimento al momento in cui la volontà di destinazione è stata

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manifestata, ma tale volontà, effettiva e reale, può essere ben individuata, nel concorso con
altre circostanze concrete, pure in base a successive vicende del rapporto di lavoro ed in
particolare alla durata, nel periodo di tempo successivo, delle prestazioni nella sede
assegnata”.
La trasferta presuppone un mutamento temporaneo del luogo di svolgimento della
prestazione lavorativa. Il concetto di «temporaneità» è molto ampio: può essere un
giorno come possono essere mesi o anni. Più è lungo più i contorni sfumano e diventa
difficile distinguere la trasferta dal trasferimento.

  In linea generale si può sostenere che si è in presenza di trasferta quando il
  mutamento della sede conserva il carattere della “provvisorietà” ed è dettato da una
  situazione speciale, cessata la quale è previsto il ritorno nella sede di lavoro. Non
  possono ad esempio qualificarsi “trasferte” gli spostamenti dei lavoratori che, per la
  natura stessa dell’attività che svolgono, effettuano le loro prestazioni in località sempre
  diversa.

Legame funzionale con la sede di lavoro
Secondo quanto indicato dalla Corte di Cassazione – sentenza n. 14470/2001 -, la
trasferta si caratterizza per la permanenza d'un legame funzionale del dipendente con il
suo "normale" luogo di lavoro, da cui egli proviene, rispetto al "diverso" luogo della sua
attuale contingente prestazione (in trasferta).

                                            Elemento              Elemento
                                           temporale:             spaziale:
                    Fissazione di                                                    Prestazione
                                          provvisorietà        lavoro svolto
                      una sede                                                          presso
                                                del                in luogo
                    istituzionale                                                      un’altra
                                           mutamento             diverso da
                      di lavoro                                                        impresa
                                           del luogo di             quello
                                              lavoro            istituzionale
Trasferta                  SI                    SI                    SI                     NO
Trasferimento              SI                   NO                    NO                      NO
Distacco                   SI                    SI                    SI                     SI
Trasfertismo               NO                    SI            Non esiste sede                NO

2. Nozione di trasferta

Il rimborso costituisce pertanto una somma pagata dal datore di lavoro al dipendente al fine
di indennizzarlo per un esborso che questo ha patito al fine di soddisfare alla richiesta
del datore stesso di prestare il proprio lavoro in una sede diversa da quella pattuita;
essendo un indennizzo, questo non viene tassato in capo al dipendente.
Tale esenzione è però subordinata al verificarsi di determinate circostanze.
La prima questione da analizzare riguarda la definizione di trasferta: una trasferta, ai fini
fiscali, è realmente tale quando questa travalica il territorio del Comune ove è stabilita la
sede di lavoro del dipendente. Come a dire che il dipendente ha subito un “danno” da
risarcire solo se il trasferimento lo ha portato al di fuori del territorio del Comune sede di
lavoro.

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2.1 Trasferta nel Comune sede di lavoro

La nozione di trasferta è strettamente connessa alla destinazione del trasferimento
temporaneo a cui è tenuto il dipendente: la regola di non imponibilità prevista dal
legislatore è infatti valida solo ed esclusivamente nel caso in cui il lavoratore sia chiamato a
recarsi in un luogo al di fuori del Comune nel quale egli ha la propria sede di lavoro. Nel
caso contrario, ogni erogazione è imponibile in capo al dipendente ai sensi del comma 5
dell’articolo 51 del D.P.R. n. 917/1986.
Per il Legislatore, in altre parole, lo spostamento che il dipendente dovesse effettuare
nell’ambito del territorio del Comune non potrebbe neppure considerarsi trasferta:
conseguentemente ogni rimborso (salvo un’eccezione per i documenti di trasporto pubblico)
che il datore di lavoro dovesse erogare al dipendente, ai fini fiscali verrà qualificato alla
stregua della retribuzione, quindi imponibile in capo al percettore. Al riguardo occorre
ricordare che è irrilevante la dimensione del Comune così come eventuali divisioni
territoriali: se la sede di lavoro è, ad esempio, nel comune di Milano e il dipendente si reca
dall’altra parte del Comune (impiegando magari diverse ore per lo spostamento, soprattutto
se si considerano l’estensione e il traffico delle grandi città) egli non potrà ricevere il
rimborso o, per meglio dire, il rimborso che egli riceverà dovrà essere tassato come
componente aggiuntivo della remunerazione. Al contrario, se la trasferta è di poche
centinaia di metri ma viene varcata la soglia del territorio comunale, qualora fosse pattuita
un’indennità, questa risulterà non imponibile in capo al percettore.
Come accennato, è prevista una sola deroga alla tassabilità delle trasferte sul territorio
comunale: non concorrono infatti alla formazione del reddito di lavoro dipendente i
rimborsi al lavoratore delle spese di trasporto che questi ha sostenuto a condizione che tali
spostamenti siano comprovati da documenti che provengono dal vettore. Si pensi al
caso di contribuente che si sposta utilizzando i mezzi pubblici ovvero un taxi: egli potrà
ottenere il rimborso detassato della spesa sostenuta presentando il biglietto della
metropolitana oppure la ricevuta rilasciata dal tassista. Per comprovare tali spese sostenute
è sufficiente che il dipendente alleghi alla richiesta di rimborso il biglietto “anonimo”, ossia
senza intestazione (sul punto si veda la C.M. 188/E/1998).
Con la RM n. 83/E/2016 l’Agenzia entrate ha stabilito che il cd. servizio di “car sharing”
rappresenta, “soprattutto nelle aree urbane, una evoluzione dei tradizionali sistemi di
mobilità considerati dall'art. 51 del TUIR, e conseguentemente, i rimborsi delle relative spese
in favore dei dipendenti in trasferta nel territorio comunale, documentate nei modi indicati
(ndr: fattura che “individua il destinatario della prestazione, il percorso effettuato, con
indicazione del luogo di partenza e luogo di arrivo, la distanza percorsa nonché la durata ed,
infine, l'importo dovuto”), possano essere ricondotti nella previsione esentativa di cui al
comma 5 del medesimo art. 51”.

Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella R.M. n. 232/E/2002 non rientra nell’ambito
della deroga appena descritta il caso del contribuente che si sia spostato nel territorio
comunale utilizzando la propria autovettura: il rimborso chilometrico erogato
dall’azienda a favore del dipendente per la trasferta nell’ambito del territorio comunale risulta
infatti interamente imponibile in capo al percettore. Al riguardo è bene anticipare che il
rimborso per i viaggi compiuti con i mezzi propri del dipendente devono essere determinati
sulla base di elementi concordanti: in particolare la C.M. 326/E/1997 afferma che “… in
sede di liquidazione, l'ammontare dell'indennità sia determinato avuto riguardo alla
percorrenza, al tipo di automezzo usato dal dipendente e al costo chilometrico ricostruito
secondo il tipo di autovettura” (su questo tema si rinvia ad una successiva circolare di
Studio).

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Esemplificazione: rimborso da trasferta nel Comune
Si consideri un dipendente chiamato a recarsi in altro luogo per espletare la propria attività
lavorativa, luogo che si trova nel medesimo Comune in cui si trova la sede di lavoro. In
relazione a tale trasferta al dipendente viene rimborsata la somma di € 45, come di seguito
dettagliata:
a) rimborso chilometrico per l’utilizzo della propria vettura (si deve spostare dall’altra parte
    del Comune) € 15,00;
b) rimborso del taxi (il luogo in cui doveva recarsi si trova in zona a traffico limitato) €
    10,00;
c) rimborso del pranzo € 20,00.

             Descrizione                          Esente                          Imponibile
Rimborso km (km 25 per 0,6 euro)                                  0,00                          15,00
Taxi                                                             10,00                           0,00
Vitto – ricevuta ristorante                                       0,00                          20,00
                            totale                              10,00                          35,00

2.2 Trasferta al di fuori del Comune sede di lavoro

Il comma 5 dell’articolo 51 del D.P.R. n. 917/1986 individua quali trasferte vere e
proprie solo quelle con destinazione al di fuori dell’ambito territoriale del Comune nel quale
il lavoratore ha la propria sede di lavoro; al riguardo vengono individuate dal legislatore tre
diverse modalità per trattare l’indennità di trasferta spettante al dipendente.
I contribuenti possono scegliere liberamente, tra quelle di seguito esaminate, la modalità
che preferiscono per gestire tali indennità, ricordando comunque che:
• la scelta deve essere effettuata con riferimento a ciascuna specifica trasferta, senza
che il metodo prescelto per una di queste possa in qualche modo vincolare le altre (quindi se
si sceglie di trattare una determinata trasferta con un metodo, comunque le altre possono
essere interessate da un metodo diverso, anche se chiaramente per questioni di
semplificazione nella gestione aziendale delle trasferte solitamente viene scelto un metodo
che poi generalmente viene utilizzato);
• quando la trasferta riguarda più giornate, una volta prescelto il metodo questo deve
essere mantenuto sino alla fine della trasferta considerata (quindi un contribuente che ha
quale proprio luogo di lavoro Roma e si deve recare una settimana a Milano per svolgere un
incarico, non può scegliere un metodo per un giorno e un altro metodo per i rimanenti giorni
solo perché questo risulterebbe più conveniente: una volta fatta la scelta questa deve essere
mantenuta per tutti i giorni sino al suo ritorno a Roma).

Prima di esaminare nel dettaglio i metodi previsti, si deve ricordare che le spese di viaggio
e trasporto sono cumulabili nell’ambito delle tre diverse tipologie di rimborso: in altre
parole, i metodi che di seguito si andranno ad analizzare riguardano esclusivamente le
indennità relative alle spese sostenute dal dipendente per il vitto, l’alloggio e altre spese
sostenute durante la trasferta, mentre i rimborsi per l’utilizzo dell’auto propria ovvero
per l’utilizzo dei mezzi pubblici (purché dettagliatamente ed analiticamente comprovate da
idonea documentazione) non concorrono alla base imponibile del lavoratore. Sul
punto si segnala che autorevole dottrina (circolare Assonime 25/1998) ha affermato
(senza che questo abbia mai ricevuto smentita dall’Amministrazione finanziaria) che le spese
sostenute dal dipendente per il parcheggio dell’autovettura così come per i pedaggi
autostradali dovrebbero essere assimilate alle spese di viaggio (quindi potrebbero essere

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chieste a rimborso indipendentemente dal metodo utilizzato per chiedere il rimborso delle
spese di vitto e alloggio, in aggiunta a queste).
In definitiva, al rimborso per vitto e alloggio gestito con i metodi che ora analizzeremo, può
sempre essere aggiunto anche il rimborso della spesa per il viaggio.

 Le spese oggetto di rimborso (ovvero di indennità forfetaria) sono esclusivamente quelle
 di:
 d) vitto e alloggio (albergo, ristorante, bar)
 e) viaggio e trasporto (biglietti per trasporto urbano e extra-urbano, biglietti ferroviari,
     biglietti aerei, taxi, noleggio auto, pedaggi autostradali, parcheggio).
 L’eventuale rimborso di spese di altra natura sarà sempre imponibile in capo al
 dipendente, con conseguente obbligo in capo al datore di lavoro di operare le dovute
 ritenute fiscali e previdenziali.

3. Le diverse forme per gestire il rimborso – trattamento fiscale in capo al
dipendente

Si propone di seguito una tabella riassuntiva dei regimi fiscali delle trasferte,
contemplati dall’art. 51 comma 5 del D.P.R. n. 917/1987, analizzati nei paragrafi
seguenti. Si ricorda che le indennità ed i rimborsi forfetari percepiti dal dipendente per
trasferte effettuate nell’ambito del territorio del Comune ove è ubicata la sede dell’azienda
sono sempre imponibili.

    Regime del rimborso                 Regime del rimborso             Regime del rimborso misto
         analitico                          forfettario
→ Prevede il rimborso delle → Prevede la forfetizzazione → E’ un metodo intermedio
  spese      effettivamente   dei rimborsi spese           tra i due precedenti
  sostenute dal dipendente
     Sono comunque escluse da imposizione in capo al dipendente le spese di viaggio e trasporto
           documentate, comprese le indennità chilometriche per l’uso del mezzo proprio.

3.1 Il metodo analitico

La prima soluzione a disposizione per la gestione delle trasferte è quella del cosiddetto
rimborso analitico delle spese di vitto ed alloggio: tali rimborsi non concorrono alla
formazione del reddito di lavoro dipendente purché ne sia data dettagliata e
comprovata dimostrazione. Tale documentazione può essere costituita da documenti
fiscali rilasciati dagli alberghi/ristoranti relativi al periodo nel quale la trasferta si è svolta e
che siano riepilogati da apposita nota spese sottoscritta dal lavoratore e consegnata al
datore di lavoro. Le spese analiticamente documentate non si considerano rilevanti per la
tassazione in capo al dipendente indipendentemente dall’importo sostenuto. Inoltre, non
concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente il rimborso di ulteriori spese non
documentabili rispetto a quelle evidenziate (ad esempio la lavanderia, il telefono, il
parcheggio, ecc.), purché risultino analiticamente attestate dal dipendente nella nota spese e
per un importo massimo giornaliero di:
• € 15,49 per le trasferte in Italia
• € 25,82 per le trasferte all’estero.

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Inoltre, si ricorda, che anche in questo caso il rimborso delle spese per il vitto e l’alloggio è
cumulabile con le spese eventualmente sostenute per il viaggio.

Esemplificazione rimborso analitico

Il dipendente si reca da Roma a Firenze per due giornate. In relazione a tale trasferta gli
viene rimborsata la somma di € 485, come di seguito dettagliata:
f) rimborso chilometrico per l’utilizzo della propria vettura € 310,00;
g) rimborso vitto documentato (due ristoranti) € 85,00;
h) rimborso alloggio documentato € 90,00.

          Descrizione                              Esente                        Imponibile
Rimborso km (km 500 per 0,6 euro)                               310,00                         0,00
Vitto                                                            45,00                         0,00
Alloggio                                                         90,00                         0,00
Vitto                                                            40,00                         0,00
                             totale                            485,00                          0,00

3.2 Il metodo forfettario

La seconda soluzione a disposizione prevede che il datore di lavoro eroghi al dipendente una
somma forfetaria che lo indennizzi delle spese sostenute per il vitto e l’alloggio: tale
alternativa prevede che non sia necessario per il lavoratore documentare le spese
sostenute (e questo di certo è una semplificazione operativa non di poco conto).
Le indennità di trasferta sono escluse dall’imponibile:
• sino ad un limite di € 46,48 giornalieri per le trasferte fuori dal territorio comunale ma
nell’ambito del territorio italiano;
• sino ad un limite di € 77,46 giornalieri per le trasferte all’estero.
Il predetto limite non viene modificato qualora la trasferta sia di durata inferiore alle 24
ore (quindi è irrilevante il fatto che la trasferta duri solo qualche ora: se viene varcato il
territorio comunale, per la trasferta nazionale è possibile riconoscere un rimborso forfettario
esente in capo al dipendente di € 46,48).
Il rimborso nei limiti sopra evidenziati non è imponibile in capo al lavoratore dipendente,
mentre sarà imponibile ogni altra erogazione aggiuntiva, anche se analiticamente
documentata, rispetto all’indennità forfettaria prescelta.
Sono esclusi da tassazione i rimborsi relativi a spese di viaggio.

Esemplificazione: rimborso forfettario

Il dipendente si reca da Roma a Firenze nell’ambito della stessa giornata. In relazione a tale
trasferta gli viene rimborsata la somma di € 400, come di seguito dettagliata:
i) rimborso chilometrico per l’utilizzo della propria vettura € 310,00;
j) rimborso forfetario concordato tra lavoratore e azienda € 90,00.

           Descrizione                             Esente                        Imponibile
Rimborso km (km 500 per 0,6 euro)                               310,00                          0,00
Rimborso forfettario                                             46,48                         43,52
                             totale                            356,48                         43,52

                                                                                                   8
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3.3 Il metodo misto

La terza soluzione, definita metodo misto, è una soluzione intermedia ai due metodi
precedentemente evidenziati; al suo interno sono infatti previste due possibilità
alternative:
• il datore di lavoro può rimborsare analiticamente le spese di vitto ovvero quelle di
alloggio e riconoscere in aggiunta una indennità forfetaria pari ai 2/3 di quella
prevista per il metodo forfetario puro (quindi sino ad € 30,99 per la trasferta nazionale ed €
51,64 se la trasferta è all’estero);
• il datore di lavoro può rimborsare analiticamente le spese di vitto unitamente a quelle
di alloggio e riconoscere una indennità forfetaria pari ad 1/3 di quella prevista per il
metodo forfetario puro (quindi sino ad € 15,49 per la trasferta nazionale ed € 25,82 se la
trasferta è all’estero).
Da notare come questa seconda situazione, nei fatti, si accavalli al metodo analitico.
Le spese di viaggio e trasporto, come detto in precedenza, possono essere analiticamente
rimborsate.

Esemplificazione: rimborso misto

Il dipendente si reca da Roma a Firenze per due giornate. In relazione a tale trasferta gli
viene rimborsata la somma di € 500, come di seguito dettagliata:
k) rimborso chilometrico per l’utilizzo della propria vettura € 310,00;
l) rimborso vitto forfetario € 100;
m) rimborso alloggio documentato € 90,00.

             Descrizione                            Esente                        Imponibile
Rimborso km (km 500 per 0,6 euro)                                310,00                         0,00
Vitto (due ristoranti) (forfetario)                               61,98                        38,02
                                                             (30,99 * 2)
Alloggio (documentato)                                            90,00                         0,00
                               totale                           461,98                         38,02

4. Le accortezze sulla documentazione da utilizzare

Un altro aspetto da esaminare è quello riguardante la documentazione necessaria a
comprovare le trasferte.

• Biglietti
Sotto questo profilo la C.M. n. 326/E/1997 sottolinea come le spese per i viaggi compiuti
con mezzi pubblici (ferrovie, aerei, ecc.) sono direttamente documentabili mediante
l’esibizione dei documenti di viaggio da parte del dipendente. La C.M. n. 188/E/1998
ha inoltre sottolineato come sia sufficiente la documentazione costituita da biglietti
anonimi. In tale ultimo caso, tuttavia, l’indicazione di data e luogo riportata sui documenti
devono essere inequivocabilmente riconducibili alla trasferta.

• Vitto e alloggio
La medesima C.M. n. 188/E/1998 ha inoltre sottolineato, anche ai fini della
documentazione delle altre spese sostenute in occasione delle trasferte, quali quelle di vitto
e di alloggio e quelle rimborsabili in esenzione di imposta fino ad un importo massimo
giornaliero di € 15,49, che non è necessaria l’intestazione al dipendente dei
documenti stessi, essendo sufficiente che le spese risultino sostenute nei luoghi e nel

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tempo di svolgimento delle trasferte e che siano attestate dal dipendente mediante nota
riepilogativa.

• Rimborsi chilometrici
Le spese per i viaggi compiuti con mezzi propri devono essere determinate dallo stesso
datore di lavoro sulla base di elementi concordanti, sia diretti che indiretti. Sotto tale
profilo, al fine di consentire l’esclusione dal reddito di lavoro dipendente dell’indennità stessa,
non è necessario che il datore di lavoro provveda al rilascio di una espressa
autorizzazione scritta che contenga tutti i dati relativi alla percorrenza ed al tipo di
autovettura ammessa per il viaggio.
Risulta invece necessario che in sede di liquidazione dell’indennità, l’ammontare della
stessa sia determinato avuto riguardo alla percorrenza, al tipo di automezzo usato dal
dipendente e al costo chilometrico ricostruito secondo il tipo di autovettura. Tali elementi
dovranno risultare dalla documentazione interna conservata dal datore di lavoro (ad
esempio un prospetto riepilogativo mensile dove indicare, per ciascuna trasferta, la distanza
percorsa). Per ogni ulteriore considerazione si rinvia ad una successiva circolare di Studio.

• Autorizzazione preventiva e documentazione giustificativa della trasferta
Come ribadito nella C.M. n. 188/E/1998, l’autorizzazione preventiva alla trasferta non è
più richiesta ad alcun fine. La trasferta, e le spese ad essa collegate, devono risultare dalla
normale documentazione conservata dal datore di lavoro. Secondo il Ministero, infatti,
l’obbligo relativo all’autorizzazione, costituiva una complicazione nella gestione della vita
dell’azienda senza assicurare all’Amministrazione finanziaria garanzie in merito all’inerenza
delle spese, superiori rispetto a quelle fornite dalla ordinaria documentazione relativa alle
spese stesse. In ogni caso, qualora la documentazione non contenga l’intestazione
dell’azienda e del dipendente in trasferta, oltre la nota spese che viene consegnata dal
dipendente, l’attestazione che individua la trasferta è costituita da una lettera di incarico.
In linea di principio, la determinazione delle modalità amministrative con le quali l’impresa
procede alla rifusione delle spese sopportate dal dipendente che viene inviato in trasferta
non è soggetta a particolari limitazioni o regole prefissate. Peraltro, qualora le imprese
adottino come sistema di rimborso il cosiddetto “pié di lista” (ossia il riepilogo delle spese
analiticamente sostenute), è necessaria la raccolta della documentazione probatoria.
Conseguentemente, dovranno essere presentate delle note spese ben documentate e che
faranno riferimento, in particolare:
• ai biglietti di viaggio in relazione ai viaggi ed ai trasporti effettuati nel corso della
trasferta di lavoro del dipendente;
• documentazione avente valenza fiscale (normalmente fatture, ricevute fiscali,
scontrini fiscali “parlanti”) con riferimento alle spese alberghiere ed alle somministrazioni
di vitto. A tale ultimo riguardo, infatti, l’efficacia probatoria della nota spese (ai fini della
deducibilità del costo) non può essere riconosciuta – in assenza della allegazione dei
giustificativi di spesa – in tutti i casi in cui comprenda costi per i quali la vigente normativa
impone l’emissione di specifici documenti (R.M. n. 9/512/1982).
Per quanto riguarda l’eventuale giustificazione della spesa tramite scontrino fiscale, l’Agenzia
entrate con la C.M. n. 97/E/1997 ha precisato che è necessario il cd. “scontrino parlante”
puntualizzando appunto che “agli effetti della documentazione delle spese sostenute dai
dipendenti nell'espletamento delle attività svolte nell'interesse delle imprese da cui
dipendono (cosiddetti rimborsi a pié di lista), dovranno essere stampati sullo scontrino
fiscale, qualora si richieda tale documento, oltre al numero di codice fiscale del dipendente o
del committente, anche i dati sopra elencati (natura, qualità e quantità dell'operazione).” e
che “il codice fiscale dell'acquirente o committente potrà essere stampato in qualsiasi parte
dello scontrino fiscale, preceduto dalle lettere "C.F." purché sia riportato, con evidenziazione

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grafica differenziata rispetto alle altre indicazioni, prima della collocazione del logotipo
fiscale.

• Firma della nota spese
La nota spese deve essere firmata dal dipendente (o amministratore), in quanto
l’Amministrazione finanziaria (R.M. n. 9/512/1982) ha ritenuto che la sua sottoscrizione
costituisca elemento vincolante per la deducibilità dei costi in essa riportati.

• I mezzi di pagamento
La prassi secondo la quale le spese vengono anticipate dal dipendente in trasferta, non deve
indurre a ritenere che la suddetta anticipazione sia un prerequisito per la qualificazione delle
citate spese come “costi di trasferta”.
Il mezzo di pagamento utilizzato per le spese di trasferta non incide, infatti, né sulla
qualificazione delle spese né sulla loro deducibilità da parte dell’impresa; l’unico
adempimento funzionale a qualificare una spesa come “costo di trasferta” è la sua
riepilogazione in nota spese, indipendentemente dai mezzi di pagamento utilizzati (anticipo
da parte del dipendente, consegna di fondo spese al dipendente, utilizzo di carta di credito
aziendale).

• La documentazione delle spese di trasferta sostenute all’estero
Per le spese sostenute in un paese estero, può ritenersi idonea la documentazione conforme
alle norme del paese estero, anche se diversa da quella prescritta dalle leggi italiane.
Nella R.M. 04/05/2984 n. 423 (riguardante gli autotrasportatori, ma i cui principi sono stati in
seguito interpretati come indicazioni di carattere generale), l’Amministrazione finanziaria ha
infatti precisato che:
a) di regola, il tipo di documento da valere come prova delle spese sostenute all’estero deve
    contenere tutte le informazioni comunemente previste dalla normativa italiana, ovvero la
    ditta, la denominazione sociale o ragione sociale, la residenza o domicilio e, comunque, il
    nome e cognome dei soggetti tra i quali viene effettuata l’operazione economica da cui
    traggono origine le spese. Deve inoltre riportare la natura, la qualità e quantità dei beni e
    dei servizi oggetto dell’operazione, nonché la data dell’operazione;
b) in deroga, tenuta presente la diversità degli ordinamenti giuridici degli stati esteri rispetto
    a quello nazionale, può essere riconosciuta come idonea anche la documentazione
    rilasciata secondo la legislazione in vigore nello stato estero, ancorché non conforme a
    quella prescritta dalla disciplina italiana, alla duplice condizione che:
    1. essa contenga il nominativo della ditta fornitrice e l’indicazione dei beni acquistati o
         delle prestazioni di servizio cui la spesa stessa si riferisce;
    2. la legislazione dello stato estero non preveda l’obbligatorietà della contestuale
         emissione di un documento contenente i requisiti di cui al punto a) che precede, su
         esplicita richiesta del cliente.

5. Trattamento in capo all’azienda

Sino ad ora abbiamo esplorato il trattamento fiscale dei rimborsi in capo al dipendente
percettore delle somme, verificando quando l’importo ricevuto costituisca o meno reddito
imponibile in capo a questo.
Si ribadisce che nel caso in cui l’importo rimborsato costituisca reddito imponibile in capo al
dipendente, l’azienda è obbligata ad operare le ritenute fiscali e previdenziali di legge.
A questo punto occorre esaminare anche l’aspetto relativo ai limiti di deducibilità dei
rimborsi spese erogati.

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5.1 Imposte dirette e Irap

I rimborsi spese erogati dall’azienda tanto al dipendente quanto al collaboratore coordinato e
continuativo che abbiano effettuato una trasferta, sono componenti negativi di reddito
fiscalmente deducibili in quanto costi inerenti l’attività aziendale; nell’art. 95 del D.P.R. n.
917/1986 il terzo comma è dedicato a stabilirne le particolari regole di deduzione,
introducendo alcune limitazioni.
Relativamente al rimborso delle spese di vitto e alloggio, la relativa deducibilità ai fini Ires
viene ammessa nel limite giornaliero di:
• € 180,76 per le trasferte nazionali;
• € 258,23 per le trasferte all’estero.
Detto limite però non riguarda tutte le tipologie di dazioni al dipendente, ma solo quelle
determinate sulla base del metodo analitico, per evitare che queste assumano livelli
eccessivamente elevati e possano sfuggire da logiche di ragionevolezza.
Le indennità chilometriche (oggetto di una prossima circolare di Studio) sono deducibili ai fini
Ires in misura non superiore al costo di percorrenza calcolato in base alle tabelle ACI e
relativo ad autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali se con motore a benzina,
ovvero 20 cavalli fiscali se con motore diesel.

Ai fini Irap, le somme erogate a terzi dal datore di lavoro per il viaggio, il vitto e l’alloggio
dei dipendenti o dei collaboratori in occasione di trasferte, nonché i rimborsi analitici delle
spese di viaggio, vitto e alloggio anticipate dai dipendenti o dai collaboratori in occasione di
trasferte, sono completamente deducibili (C.M. n. 27/E/2009).
Viceversa, sono indeducibili dalla base imponibile Irap le indennità forfetarie di trasferta
(C.M. n. 27/E/2009) e l’indennità chilometrica (C.M. n. 148/E/2000).

Esemplificazione: rimborso spese vitto e alloggio

Quindi, ponendo che l’impresa lasci “carta bianca” al dipendente per le spese sostenute, se
questo si reca in trasferta alloggiando presso un albergo di lusso 5 stelle spendendo € 500 al
giorno e cena in un esclusivo ristorante al costo di € 150, l’importo che gli sarà erogato non
costituirà per lui reddito (se dettagliatamente documentato), mentre per l’azienda la
deduzione non potrà in ogni caso superare il limite di € 180,76 (ovvero € 258,23 se la
trasferta è all’estero) ai fini Ires, mentre sarà totale ai fini Irap.

Tale limitazione ai fini Ires, è evidente, non si pone quando viene utilizzato il metodo
forfetario in quanto un rimborso che dovesse superare i limiti fissati dall’art. 51 del D.P.R.
n. 917/1986 sarebbe imponibile in capo al lavoratore (quindi deducibile Ires
dall’azienda in quanto spesa di lavoro).
Naturalmente le indennità forfetarie sono indeducibili ai fini Irap.

5.1.1 La limitazione della deduzione al 75%

Si deve ricordare che dette spese non sono soggette alla previsione introdotta dall’art. 83,
comma 28-quater, lettera a), del D.L. n. 112/2008 che ha limitato al 75% la deducibilità
delle spese di vitto e alloggio.
Tra le varie deroghe previste a tale disposizione vi sono appunto le spese di vitto e alloggio
per trasferte fuori dal territorio comunale di cui all’art. 95 comma 3 del D.P.R. n.

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917/1986, che quindi sono interamente deducibili entro i limiti di € 180,76 per le trasferte
nazionali ed € 258,23 per le trasferte all’estero.
Le spese di trasferta di vitto e alloggio di altro tipo (ad esempio quando è in trasferta
l’imprenditore individuale) se inerenti sono invece interamente deducibili (quindi senza il
limite superiore di € 180,76 / € 258,23) ma soffrono della limitazione alla possibilità di
deduzione del 75%.

C.M. n. 53/E/2008
“Dalla limitazione al 75% restano invece escluse, per espressa previsione normativa, le spese
di vitto e alloggio sostenute dal datore di lavoro per le trasferte effettuate dai dipendenti e
dai titolari dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, disciplinate dall’articolo
95, comma 3, del TUIR”.

5.1.2 Spese nel Comune e limite di deduzione del 75%

Il terzo comma dell’art. 95 del D.P.R. n. 917/1986 esclude esplicitamente dalla tale
previsione limitativa (tetto di € 180,76 / € 258,23) i rimborsi spese relativi a trasferte
nell’ambito del territorio comunale: la ragione risiede nel fatto che tali dazioni risultano
imponibili in capo al lavoratore, quindi non vi è alcuna necessità di prevedere un limite
superiore al costo giornaliero visto che tali erogazioni diventano retribuzione per il
dipendente. Essendo retribuzioni del dipendente, quindi costo del lavoro, come tali
dovrebbero essere dedotte senza le limitazioni previste per le spese di vitto e alloggio
(sul punto si veda Assonime nella circolare 55/2008).
Purtroppo però l’Agenzia delle Entrate ha scelto una opinabile differente conclusione: come
chiarito dalla C.M. n. 6/E/2008, deve ritenersi che le spese relative a somministrazioni di
alimenti e bevande ed a prestazioni alberghiere, se sostenute in occasione di trasferte
effettuate dal dipendente nell’ambito del territorio comunale, sono comunque
deducibili, ai fini delle imposte dirette, nella misura del 75% del loro ammontare.
L’Agenzia arriva a tale conclusione osservando che le spese per trasferte all’interno del
Comune non sono tra quelle di cui all’articolo 95 comma 3 del D.P.R. n. 917/1986,
esplicitamente escluse dalla limitazione al 75%; come detto, non pare una decisione del
tutto condivisibile visto che si tratta comunque di importi integralmente tassati in capo al
lavoratore dipendente.

5.2 La detrazione dell’Iva sulle spese di vitto e alloggio

Nell’ambito del trattamento delle spese di trasferta in capo al dipendente, un tema che
merita una piccola digressione è quello riguardante il diritto alla detrazione dell’IVA,
introdotto dal citato D.L. 112/2008. Prima di tutto si deve ricordare che, affinché l’azienda
possa beneficiare del diritto alla detrazione dell’imposta, è necessario che vi sia un
documento (fattura, necessariamente) intestato all’azienda che quindi ha sostenuto in
prima persona l’onere della trasferta. Si tratta, evidentemente, di un caso diverso da quello
del dipendente che sostiene il costo in prima persona (quindi con documento a sé intestato)
e poi chiede il rimborso a piè di lista all’azienda.

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5.2.1 L’intestazione della fattura

Sotto tale profilo aveva fatto inizialmente molto discutere la posizione assunta dall’Agenzia
delle Entrate nella C.M. n. 53/E/2008, secondo la quale nelle ipotesi in cui la prestazione
alberghiera o di ristorazione veniva fruita da un soggetto diverso dall’effettivo
committente del servizio (pasto “utilizzato” del dipendente e documento intestato al datore
di lavoro), ai fini della detrazione pareva necessario che la fattura recasse anche
l’intestazione di tale soggetto. Il datore di lavoro, conseguentemente, poteva
detrarre l’imposta relativa alle prestazioni rese al proprio dipendente in trasferta
qualora la fattura fosse cointestata.
Il che lasciava intendere che quando una squadra di 20 dipendenti era in trasferta il
documento doveva essere intestato a 21 soggetti, ossia il datore di lavoro ed appunto i 20
dipendenti. Situazione che si profilava piuttosto complessa da gestire!
Questa assurdità è stata eliminata con un chiarimento contenuto nella successiva C.M. n.
6/E/2009, nella quale l’Amministrazione finanziaria ebbe modo di affermare come il
riferimento alla cointestazione della fattura, contenuto nella C.M. n. 53/E/2008, deve
essere inteso in maniera diversa: nel caso in cui non vi sia coincidenza tra il soggetto
che acquista il servizio nell’esercizio della propria attività d’impresa, arte o
professione (ad esempio il datore di lavoro) e colui che materialmente ne usufruisce
(ad esempio il dipendente), la fattura deve essere intestata al soggetto beneficiario della
detrazione al fine di consentirgli l’esercizio del relativo diritto (quindi la fattura va
intestata al datore di lavoro). I dati dei dipendenti fruitori della prestazione dovranno
essere indicati nella fattura ovvero in una apposita nota ad essa allegata.

5.2.2 La verifica dell’inerenza

In merito al diritto alla detrazione dell’imposta si deve ricordare come la soppressione
dell’indetraibilità oggettiva avvenuta nel 2008 non ha comportato, però, “automaticamente”
la possibilità di detrarre l’imposta senza condizioni, ma impone una verifica analitica,
spesa per spesa, dell’inerenza della prestazione di vitto e alloggio rispetto all’attività
esercitata.
Sul punto, si segnala un’indicazione piuttosto penalizzante contenuta nella circolare
Assonime 55/2008: trattando dell’inerenza delle spese di vitto e alloggio, e quindi della
detraibilità dell’imposta, Assonime osserva come vi potrebbe essere un difetto di inerenza
anche in relazione alle spese sostenute nell’ambito delle missioni e delle trasferte dei
dipendenti e collaboratori dell’imprenditore (ma le medesime riflessioni possono
essere estese anche alle spese di trasferta sostenute dallo stesso imprenditore). Questo si
verificherebbe nel caso in cui nella fattura, oltre a prestazioni sicuramente inerenti all’attività
d’impresa, venissero addebitate anche prestazioni in relazione alle quali l’inerenza
potrebbe essere considerata dubbia, come ad esempio:
• servizi accessori o di carattere essenzialmente saltuario (ad es. la pay tv per la visione di
un film o di una partita);
• servizi alberghieri o di ristorazione di livello superiore a quello “normale” (sotto questo
profilo, quantomeno sul versante delle imposte dirette, non pare vi possano essere problemi
posto che l’articolo 95 comma 3 del D.P.R. n. 917/1986 fissa dei limiti massimi alla
deducibilità delle spese).
Una considerazione di questo tipo imporrebbe, quindi, di andare a scindere, nell’ambito
dell’imposta addebitata, la parte corrispondente alla spesa inerente l’attività di impresa, da
detrarre, da quella relativa alle spese non considerate inerenti, che dovrebbe essere
invece resa indetraibile. Il problema della detrazione sarebbe ovviamente superato nel caso

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in cui l’impresa fatturasse queste prestazioni al dipendente, esercitando il regresso nei suoi
confronti ed addebitando una cifra che non deve essere necessariamente coincidente o
superiore rispetto al costo sostenuto, ma che non può comunque essere meramente
simbolica. È inutile sottolineare come un’indicazione di questo tipo, se confermata
dall’Amministrazione finanziaria, sarebbe estremamente penalizzante in termini di ulteriori
adempimenti amministrativi posti a carico delle imprese. Ad oggi non vi è stata nessuna
conferma ufficiale di questa posizione.

5.2.3 La rinuncia alla detrazione dell’Iva

Con riferimento alla deduzione del costo, l’Agenzia nella C.M. n. 6/E/2009 aveva
avanzato una ipotesi assolutamente non condivisibile per le trasferte certificate da ricevute
intestate all’azienda (la ricevuta fiscale infatti, non avendo IVA esposta, non permette la
detrazione dell’imposta): siccome la mancata detrazione dell’IVA deriva da una
scelta fatta dal contribuente (avrebbe potuto chiedere la fattura), questa non può
rappresentare un costo deducibile dal punto di vista delle imposte sui redditi.
Fortunatamente la posizione dell’Amministrazione finanziaria è mutata nella C.M. n.
25/E/2010: quando la trasferta è certificata da ricevuta (quindi l’IVA non può essere
detratta), l’integrale importo evidenziato nella ricevuta risulta deducibile (salve le
eventuali limitazioni al 75% di cui si è detto in precedenza). In quella sede l’Agenzia delle
Entrate, pur ribadendo il “carattere non inerente del costo rappresentato dall’IVA detraibile
ma non detratta per effetto della mancata richiesta della fattura”, ha ammesso “un’eccezione
qualora la scelta di non richiedere la fattura per le prestazioni alberghiere e di ristorazione si
basi su valutazioni di convenienza economico gestionale”.
Al fine di promuoverne una più agevole applicazione pratica il CNDCEC, attraverso il parere
15/9/2011 ha individuato un limite oggettivo, o almeno un ordine di grandezza, entro il
quale possa essere comunemente riconosciuta come sussistente la convenienza
economica della scelta di non richiedere la fattura. Secondo l’Agenzia delle Entrate, la
scelta deve essere operata al momento di effettuazione dell’operazione, in quanto la
possibilità di dedurre quale costo nell’ambito dei richiamati limiti di convenienza l’IVA non
detratta è riservata ai casi in cui la fattura non sia stata emessa e l’acquisto risulti
documentato da scontrino o ricevuta fiscale. In altre parole, una volta che la fattura sia
stata emessa, su richiesta o meno del committente, tale circostanza sembrerebbe
precludere al contribuente la possibilità di registrare il documento ai soli fini di contabilità
generale senza porre in essere le registrazioni ai fini IVA.
In particolare, i costi amministrativi connessi con la registrazione della singola fattura
(protocollazione, eventuale inserimento anagrafico del fornitore, registrazione e
archiviazione) possono differire a seconda che la contabilità sia tenuta all’interno dell’impresa
ovvero sia affidata all’esterno in outsourcing.
Inoltre, almeno per le imprese in regime di contabilità ordinaria, la registrazione della singola
fattura ai fini IVA comporta, a parità di numero di documenti, un raddoppio delle
scritture contabili, dovendosi necessariamente procedere alla distinta registrazione
dell’operazione di acquisto e di quella di pagamento. A tal fine, nel citato documento, il
CNDCEC individua nel limite di spesa di € 33 l’importo che giustifica la rinuncia alla
detrazione dell’IVA: oltre tale importo la rinuncia non sarebbe giustificata da logiche di
convenienza, quindi l’IVA non detratta risulterebbe indeducibile ai fini delle imposte dirette.
Questo ovviamente è un suggerimento operativo, e non costituisce un limite assoluto.

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6. Il rimborso agli amministratori

Le considerazioni operate nei paragrafi che precedono in ordine alla imponibilità o meno dei
rimborsi spese percepiti dai dipendenti, sono applicabili anche ai rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa, e quindi ai rapporti con gli amministratori di società.
Infatti, per la determinazione del reddito derivante da rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa si applicano le stesse disposizioni previste per i redditi di lavoro dipendente (art.
51 del D.P.R. n. 917/1986), tra cui, appunto, le disposizioni dell’art. 51 comma 5 del D.P.R.
n. 917/1986 che disciplina le indennità e i rimborsi spese relativi alle trasferte.

Anche le considerazioni operate nei paragrafi che precedono in ordine alla deducibilità dal
reddito di impresa, sono applicabile anche alle spese di trasferta degli amministratori.
Come ricordato dalla C.M. n. 6/E/2009, l’art. 95 comma 3 del D.P.R. n. 917/1986
definisce gli importi massimi che possono essere portati in deduzione dal datore di lavoro per
le spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte fuori dal territorio comunale dai
lavoratori dipendenti e dai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
Tale disposizione trova applicazione anche per le trasferte effettuate dagli amministratori
della società: in relazione a tali spese non risulta, quindi, applicabile la limitazione della
deducibilità al 75% dei costi sostenuti per le prestazioni alberghiere e per le
somministrazione di alimenti e bevande disposta dall’art. 109, comma 5, del D.P.R. n.
917/1986.

Sede di lavoro dell’amministratore
La C.M. n. 7/E/2001 e la C.M. n. 67/E/2001 hanno precisato come per i collaboratori
coordinati e continuativi, quali ad esempio gli amministratori di società, la sede del lavoro
possa a volte non essere individuata con precisione, per cui si può fare riferimento al
domicilio fiscale del collaboratore. In questo modo parrebbe possibile il rimborso delle
spese di trasporto sostenute per recarsi presso la sede dell’impresa.

C.M. n. 67/E/2001
“Tuttavia, come già si è avuto modo di chiarire con la circolare 7/E/2001, per alcune
attività di collaborazione coordinata e continuativa, per le quali non è possibile, in virtù delle
caratteristiche peculiari della prestazione svolta determinare contrattualmente la sede di
lavoro né identificare tale sede con quella della società occorre fare riferimento, ai fini
dell’applicazione del comma 5 dell’articolo 48 del TUIR, al domicilio fiscale del collaboratore.
Tale criterio può essere utilizzato, ad esempio, per gli amministratori e i sindaci di società o
enti sempreché dall’atto di nomina non risulti diversamente individuata la sede di lavoro”.

Va, tuttavia, sottolineato che se la delibera dell’assemblea o del consiglio di
amministrazione che attribuisce, ad esempio, all’amministratore particolari funzioni, prevede
una sede di operatività, il luogo d’esercizio è da intendersi individuato.
È evidente, inoltre, che se l’attività chiesta all’amministratore è fattiva e questo richiede che
egli svolga la propria attività presso la sede della società, questa sarà la sua sede di
lavoro; se invece l’amministratore ha funzioni di indirizzo ovvero svolge la propria attività
per più aziende, allora è possibile individuare la sede di lavoro nel proprio domicilio.

7. I rimborsi spese e l’annotazione nel Libro Unico del lavoro

Le somme erogate a titolo di rimborso spese vanno sempre iscritte nel Libro unico del
lavoro (LUL) introdotto dall’art. 39 del D.L. n. 112/2008.

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La norma non specifica se l'annotazione riguarda anche i rimborsi spese che non formano
reddito, ovvero solo quelli imponibili fiscalmente e previdenzialmente. In merito è
intervenuto per fornire chiarimenti il vademecum predisposto dal Ministero del Lavoro in data
5 dicembre 2008 (in senso conforme anche Ministero del Lavoro, interpello n. 27 del
06/07/2010); in esso si afferma che i rimborsi spese vanno "sempre" indicati nel LUL, anche
se esenti fiscalmente e contributivamente.
Tuttavia, lo stesso Ministero asserisce che "la mancata annotazione di importi marginali o
non ricorrenti potrà non essere di regola sanzionata se è esclusa qualsiasi incidenza di
carattere contributivo e fiscale e con obbligo di dettaglio analitico aziendale al riguardo".
La locuzione "marginali o non ricorrenti" va intesa come scarsa rilevanza economica con
riferimento alla retribuzione annua complessiva di riferimento, mentre non ricorrente
equivale ad occasionalità.
Nel vademecum Ministeriale viene chiarito che:
- non è necessario indicare analiticamente nel LUL gli importi, ma è sufficiente annotare il
     totale, posto che gli importi analitici "possono essere contenuti in un documento a
     parte";
- non vanno riportate le somme riconducibili a mera anticipazione di spese sostenute dal
     dipendente in nome e per conto del datore relativamente a documenti di spesa intestati
     all'azienda medesima;
- vanno riportati, invece, i rimborsi spese effettuati con utilizzo di carta di credito aziendale
     in quanto non conta il mezzo di pagamento con cui i rimborsi vengono effettuati, bensì la
     "qualità" delle spese rimborsate.

La corretta trascrizione delle trasferte nel LUL è importante, quindi, sia per il corretto
assoggettamento ad imposizione fiscale e contributiva dei rimborsi spese soggetti, sia per le
sanzioni connesse alla tenuta del LUL (art. 39 comma 7 del D.L. n. 112/2008).
La norma da ultimo citata stabilisce che – salvo i casi di errore meramente materiale –
l’omessa o infedele registrazione sul LUL che determina differenti trattamenti retributivi,
previdenziali o fiscali, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 1.500
euro.
Se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero a un periodo superiore a 6 mesi, la
sanzione va da 500 a 3.000 euro.
Se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero a un periodo superiore a 12 mesi,
l’importo della sanzione va da 1.000 a 6.000 euro.

Per tali tematiche è necessaria l’assistenza del Consulente del lavoro.

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