Le riscritture letterarie - Dalla lettura alla scrittura - Formazione Loescher
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elementi linguistici processi di fruizione rielaborazione consapevole strutture intenzioni testuali pragmatiche
Scrittura creativa Riscritture Tipologia testuale Testi letterari Testi letterari e testi d’uso Operazioni di scrittura Elaborazione - creazione di un Manipolazione e imitazione testo letterario originale. testuale. Svolgimento delle operazioni Elaborazione di un testo, Elaborazione di un testo, di scrittura prodotto e affermazione della regolata da norme e vincoli. libertà creativa. Sviluppo di competenze Sviluppo di competenze Obiettivi specifici narratologiche e poetiche pragmatico - comunicative, testuali, morfo-sintattiche e lessicali. Finalità generale Sviluppo dei livelli di Sviluppo delle competenze di eccellenza. base. Processi di apprendimento Processi creativi Processi cognitivo - linguistici
Imitazione e manipolazione di un modello La struttura è libertà, produce il testo e nello stesso tempo la possibilità di tutti i testi virtuali che possono sostituirlo (I. Calvino)
La teoria dell’iceberg Sette ottavi dell’iceberg sono immersi nell’acqua e non si vedono e solo un ottavo della sua massa galleggia sopra la superficie. La superficie dell’iceberg è quello che lo scrittore mostra, racconta Quello che lo scrittore sa ma non racconta resta immerso Dentro l’acqua c’è la storia, fuori dall’acqua c’è il racconto, il romanzo
Le fondamenta (la situazione iniziale e la rottura dell’equilibrio I muri (lo svolgimento delle vicende) Il tetto (spannung, ricomposizione dell’equilibrio) L’arredamento degli interni e degli esterni (descrizioni, riflessioni, dialoghi)
Io entro in una storia e mi muovo avanti e indietro, mi fermo qua e là, resto al suo interno per un po’ di tempo. Tutti sanno come funziona una storia, come essa delimita gli spazi e crea collegamenti tra una stanza e l’altra, come modifica la prospettiva sul paesaggio che c’è fuori. Questo è il modo meno approssimativo che ho per spiegare come funziona una storia per me, e come vorrei che le mie storie funzionassero per gli altri. (Alice Munro) Leggere è visitare una casa, spesso una casa piena di stanze. Quindi il lavoro del lettore è di aprire l’armadio , guardare sotto i divani, accendere le luci, infilarsi in tutte le porte e corridoi. E al limite qualche volta scrivere quello che abbiamo scoperto
Scrivere è sempre nascondere qualche cosa in modo che poi venga scoperto. ( I. Calvino) Ogni testo è una macchina pigra che chiede al lettore di fare parte del proprio lavoro. Guai se un testo dicesse tutto quello che il suo destinatario dovrebbe capire: non finirebbe più (U. Eco)
Elaborazione di un testo, regolata da norme, vincoli e costrizioni esplicite Le costrizioni sono fondamentali per ogni operazione artistica. Sceglie una costrizione il pittore che decide di usare l'olio piuttosto che la tempera, la tela piuttosto che la parete; il musicista che opta per una tonalità di partenza (poi modulerà, modulerà, ma è a quella che dovrà pur tornare); il poeta che si costruisce la gabbia della rima baciata o dell'endecasillabo. E non crediate che pittore, musicista o poeta d'avanguardia - che paiono evitare quelle costrizioni - non se ne costruiscano delle altre. Lo fanno, solo non è detto che voi ve ne dobbiate accorgere. Può essere una costrizione scegliere come schema per la successione degli eventi quello delle sette trombe dell'Apocalisse. Ma anche situare la storia in una data precisa: potrai fare accadere certe cose ma non altre. (U. Eco) La costrizione non restringe l’orizzonte delle strategie narrative dello scrittore, al contrario ne allarga le «potenzialità visionarie», paradossalmente è «un inno alla libertà d’invenzione», capace, come «il meccanismo più artificiale», «di risvegliare in noi i demoni poetici più inaspettati e più segreti». (I. Calvino)
Riscritture di scrittori Il gorgo (B. Fenoglio) Uno di quei giorni, nostro padre si leva da tavola e dice con la sua voce ordinaria: - Scendo fino al Belbo, a voltare quelle fascine che m’hanno preso la pioggia. - Non so come, ma io capii a volo che andava a finirsi nell’acqua, e mi atterrì, guardando in giro, vedere che nessun altro aveva avuto la mia ispirazione: nemmeno nostra madre fece il più piccolo gesto, seguitò a pulire il paiolo, e sì che conosceva il suo uomo come se fosse il primo dei suoi figli. Eppure non diedi l’allarme, come se sapessi che lo avrei salvato solo se facessi tutto da me. Il colibrì (S. Veronesi) Una di quelle sere d'agosto, col tempo che s'era già rotto e il libeccio che spazzava la costa, Irene si alzò da tavola dopo una parca cena di avanzi dicendo che andava in spiaggia a legare il Vaurien al capanno, dato che per la notte si annunciava buriana. Come se fosse normale - ma non era normale: era suo padre che era fissato con quella barchetta, e si preoccupava continuamente di proteggerla, non certo Irene. Quel padre che, senza accorgersi di niente, le disse "brava" e se ne andò in camera sua. Marco, invece, capì all'istante che Irene andava a finirsi nell' acqua, in quel piccolo micidiale tratto di mare davanti al loro capanno chiamato i Mulinelli, dove l'acqua era sempre turbolenta e le correnti trascinavano a fondo anche quando non c'era onda.
Il gorgo (B. Fenoglio) Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio, per non perdermi d’un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo. Il colibrì (S. Veronesi) Tornarono a casa sforzandosi di sincronizzare il passo per tenersi abbracciati, ma all'incontrario rispetto alla norma: lui, il maschio, cingendola per la vita e lei, la femmina, col braccio attorno alla sua spalla. Ogni tanto lei lo grattava col pollice, ma leggera come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo.
Cappuccetto rosso Un lupo aspettava un giorno nel folto della foresta il passaggio d'una fanciulla che doveva portare un cestello di provviste alla nonna. Finalmente la fanciulla arrivò: portava la cesta dei commestibili. "Porti quel canestro a tua nonna?", domandò il lupo. La fanciulla rispose di sì, che lo portava alla nonna. Allora il lupo le chiese dove abitava la nonna; la fanciulla glielo disse, e quello scomparve nel bosco. Quando la fanciulla aprì la porta della capanna, vide che qualcuno stava nel letto, qualcuno con un berretto da notte. Ma non s'era avvicinata più di tre metri dal letto e già s'accorgeva che non si trattava della nonna, bensì del lupo, giacché un lupo, anche se si mette un berretto da notte, non assomiglia ad una nonna più di quanto il leone della Metro-Goldwyn-Mayer assomigli al Presidente della Repubblica. Allora la fanciulla trasse una pistola automatica dal cestello e freddò il lupo. (J.Thurber, La notte degli spiriti e altri racconti)
La protagonista di Cappuccetto Rosso, che vuol mettere le mani sull’eredità della nonna al più presto, porta alla vecchietta una crostata avvelenata; Pollicino, prima di essere abbandonato nel bosco dal padre e dalla matrigna, si è “armato” di navigatore satellitare; La strega di Hansel e Gretel viene denunciata per abuso edilizio, per aver costruito la casina in mezzo al bosco, in un terreno non edificabile; La matrigna e le sorellastre di Cenerentola vengono arrestate per sfruttamento del lavoro minorile; Biancaneve e la matrigna partecipano entrambe alle selezioni di un concorso di bellezza che la ragazza ovviamente vincerà.
Un vecchio lupo con un mantello spelacchiato aspettava un giorno nel folto della foresta, appoggiato a una quercia centenaria, il passaggio d'una fanciulla che doveva portare un cestello di provviste alla nonna. Finalmente la fanciulla arrivò. Aveva i capelli neri, con un taglio scalato e un ciuffo laterale tinto di rosso. Gli occhi erano segnati da una sottile riga nera e sul volto spiccavano un piercing sul naso e un altro sul lato destro della bocca, dove brillava il rosso ciliegia del rossetto. La fanciulla, che portava la cesta dei commestibili, indossava una felpa rossa degli Iron Maiden con il cappuccio, e sulla manica aveva fatto un buco da cui spuntava il pollice, con l’unghia laccata di viola …
Il gatto vegetariano Un gatto incontrò in una soffitta un grosso topo maschio. Spinto in un angolo, senza via d’uscita, il topo disse tremando: “Signor gatto, la prego. Non mi mangi. Devo tornare dalla mia famiglia. I miei figli mi aspettano affamati. Mi lasci fuggire”. Il gatto rispose: ”Non devi preoccuparti. Non ti mangerei comunque. A essere sincero, anche se non posso dirlo ad alta voce, sono vegetariano. Non mangio carne di nessun tipo. Quindi, avermi incontrato è stata per te una gran fortuna”. Il topo disse: “Ah, che giornata meravigliosa! Sono proprio fortunato ad avere incontrato un gatto vegetariano!”. Ma un attimo dopo, il gatto si avventò sul topo, lo immobilizzò con gli artigli e gli affondò i denti in gola. Il topo, torcendosi per il dolore, con l’ultimo fiato che aveva, gli chiese: “Ma non avevi detto che sei vegetariano e non mangi carne? Allora mentivi?”. Il gatto, leccandosi i baffi, rispose: “Io non mangio carne. Non ho mentito. Infatti, quando tornerò a casa ti scambierò con la lattuga”. (H. Murakami, 1Q84)
Un gatto incontrò in una soffitta un grosso topo maschio. Presentazione e collocazione nello spazio dei personaggi Spinto in un angolo, senza via d’uscita, il topo disse tremando: Avvio delle vicende “Signor gatto, la prego. Non mi mangi. Devo tornare dalla mia famiglia. I miei figli mi aspettano affamati. Mi lasci fuggire”. Il gatto rispose: ”Non devi preoccuparti. Non ti mangerei comunque. A essere sincero, anche se non posso dirlo ad alta voce, sono vegetariano. Non mangio carne di nessun tipo. Quindi, avermi incontrato è stata per te una gran fortuna”. Il Sviluppo delle vicende topo disse: “Ah, che giornata meravigliosa! Sono proprio fortunato ad avere incontrato un gatto vegetariano!”. Ma un attimo dopo, il gatto si avventò sul topo, lo immobilizzò con gli artigli e gli affondò i denti in gola, Il topo, torcendosi per il dolore, con l’ultimo fiato che aveva, gli chiese: “Ma non avevi detto che sei vegetariano e non mangi carne? Allora mentivi?”. Il gatto, leccandosi i baffi, rispose: “Io non mangio carne. Non ho Conclusione delle vicende mentito. Infatti, quando tornerò a casa ti scambierò con la lattuga”.
Il lupo che incontra l’agnello al bordo di un fiume è un pacifista, un esponente del movimento non – violento; La volpe che tenta di ingannare il corvo è sciocca; La cicala che chiede aiuto alla formica è previdente e risparmiatrice; La lepre che incontra la tartaruga non può correre perché ha una zampa ingessata; Il brutto anatroccolo vive in uno stagno dove è stata proclamata la giornata contro il razzismo.
Una lettera d’amore Gentile signora Cicogna, da quando la conosco, l’area dei miei sogni si è moltiplicata. Glielo spiego con un’equazione: chiamiamo un amore normale A, io mi chiamerò E, e lei è la meravigliosa incognita X. Ebbene: E per X = 12A. Cioè quello che io, Eraclito, provo per lei è dodici volte un amore normale. Lei mi ha spezzato il cuore in due, come un diametro sega una circonferenza. Mi dica se le possibilità che lei ricambi il mio amore sono maggiori o minori di 3/5. Le comunico che sono alto uno e cinquantuno, ma tale misura è ampiamente migliorabile con la crescita. Nel caso lei non mi amasse, mi ucciderò facendomi un buco circolare in testa con un compasso. Il suo umile zero Eraclito S. Benni, Margherita Dolcevita)
Gentile signora Cicogna, da quando la conosco, l’area dei miei sogni si è moltiplicata. Glielo spiego con un’equazione: chiamiamo un amore normale A, io mi chiamerò E, e lei è la meravigliosa incognita X. Ebbene: E per X = 12A. Cioè quello che io, Eraclito, provo per lei è dodici volte un amore normale. Lei mi ha spezzato il cuore in due, come un diametro sega una circonferenza. Mi dica se le possibilità che lei ricambi il mio amore sono maggiori o minori di 3/5. Le comunico che sono alto uno e cinquantuno, ma tale misura è ampiamente migliorabile con la crescita. Nel caso lei non mi amasse, mi ucciderò facendomi un buco circolare in testa con un compasso. Il suo umile zero Eraclito
Gentile signor ……., da quando la conosco, leggo soltanto romanzi rosa. Glielo spiego con un esercizio di analisi logica: se il predicato verbale è amare e io sono il soggetto lei è il meraviglioso complemento oggetto …. Gentile signora …., da quando la conosco, soffro di tachicardia - il mio cuore supera costantemente 100 pulsazioni al minuto - di ipertensione e stati febbrili. Glielo spiego con la fotosintesi clorofilliana: se io sono la foglia di un albero, lei è la luce solare, fondamentale per la mia vita. …
Una descrizione misteriosa Sempre così affannati e con lunghi arti che spesso agitano. E come sono poco rotondi, senza la maestosità delle forme compiute e sufficienti, ma con una piccola testa mobile nella quale pare si concentri tutta la loro strana vita. Arrivano scivolando sul mare, ma non nuotando, quasi fossero uccelli e danno la morte con fragilità e graziosa ferocia. Stanno a lungo in silenzio, ma poi fra loro gridano con furia improvvisa, con un groviglio di suoni che quasi non varia e ai quali manca la perfezione dei nostri suoni essenziali: richiamo, amore, pianto di lutto. E come deve essere penoso il loro amarsi: è ispido, quasi brusco, immediato, senza una soffice coltre di grasso, favorito dalla loro natura filiforme che non prevede l’eroica difficoltà dell’unione né i magnifici e teneri sforzi per conseguirla. Non amano l’acqua e la temono, e non si capisce perché la frequentino. Anche loro vanno a branchi, ma non portano le femmine, e si indovina che esse stanno altrove, ma sono sempre invisibili. A volte cantano, e il loro canto non è un richiamo ma una forma di struggente lamento. Si stancano presto, e quando cala la sera si distendono sulle piccole isole che li conducono e forse si addormentano o guardano la luna. Scivolano via in silenzio e si capisce che sono tristi. (A. Tabucchi, La donna di Porto Pim)
Sempre così affannati e con lunghi arti che spesso agitano. E come sono Elementi che descrivono il poco rotondi, senza la maestosità delle forme compiute e sufficienti, ma referente evidenziando la con una piccola testa mobile nella quale pare si concentri tutta la loro difficoltà di comprenderne e/o strana vita. Arrivano scivolando sul mare, ma non nuotando, quasi approvarne il comportamento o fossero uccelli e danno la morte con fragilità e graziosa ferocia. Stanno l’aspetto. a lungo in silenzio, ma poi fra loro gridano con furia improvvisa, con un groviglio di suoni che quasi non varia e ai quali manca la perfezione dei Elementi che descrivono il nostri suoni essenziali: richiamo, amore, pianto di lutto. E come deve referente evidenziandone le essere penoso il loro amarsi: è ispido, quasi brusco, immediato, senza mancanze, rispetto ad una una soffice coltre di grasso, favorito dalla loro natura filiforme che presunta normalità. non prevede l’eroica difficoltà dell’unione né i magnifici e teneri sforzi per conseguirla. Non amano l’acqua e la temono, e non si capisce perché la frequentino. Anche loro vanno a branchi, ma non portano le femmine, Traslazioni lessicali. e si indovina che esse stanno altrove, ma sono sempre invisibili. A volte cantano, e il loro canto non è un richiamo ma una forma di struggente lamento. Si stancano presto, e quando cala la sera si distendono sulle piccole isole che li conducono e forse si addormentano o guardano la luna. Scivolano via in silenzio e si capisce che sono tristi.
Punti di vista descrittivi • … un tipo brutto e malvestito, i polsi che sporgevano da una camicia troppo corta, zainetto in spalla, una trentina d’anni e un’aria da demente. (pag. 8) • … Un uomo sudato, piccolo e magro, con una fisarmonica blu tra le braccia, quasi fosse un vaso di fiori. Aveva un grande naso, gli occhi vuoti, la pelle bianca, i capelli chiari. (pag. 12) • … un giovane di razza bianca, di età compresa tra i venticinque e i trent’anni,di bassa statura, magro o molto minuto, capelli mossi e chiari, imberbe, vestito modestamente, pantaloni grigi o beige, scarpe da ginnastica. (pag. 17) • … In quel viso tutto, o quasi, era spiacevole: la forma allungata, i contorni indefiniti, la fronte alta, la pelle bianca un po’ chiazzata, le labbra sottili. Perfino le orecchie – dal bordo malfatto – erano sgradevoli a vedersi. Gli occhi, è vero, miglioravano un po’ l’insieme: grandi, neri, anche se totalmente inespressivi. E i capelli: chiari, folti e ricci… un tipo decisamente repellente. (pag. 43) (F. Vargas, Io sono il tenebroso)
Nel corso del tempo Tu vivi a Ottanta, oggi è il 1984 e tu sei un tipico adolescente maschio di 16 anni. Esce il video di Madonna, Like a Virgin. Sei ipnotizzato da quella ragazza così attraente e così strana. È qualcosa meno di una modella, ma se la guardi meglio è molto di più. È una bomba che fissa proprio te … Passano dieci anni, è di nuovo il 1984. È di nuovo l’esordio di Madonna, esce Like a Virgin. Lei è uguale, ma tu sei cambiato. Ora hai 26 anni. Hai vissuto dieci anni tumultuosi, sei un ragazzo in piena corsa. Per quanto i pizzi e la schiena che si inarca non ti lascino indifferente, ti sei evoluto, sei ironico, hai esigenze superiori. … Passano altri dieci anni, arriva il prossimo 1984. La tua vita prosegue, bene, male, chi lo sa, hai una famiglia o forse no, fatto sta che a 36 anni la tua è un’esistenza adulta, ricca di impegni, immersa in un mare di comunicazioni, immagini. In questo marasma, in un angolo della tua mente c’è spazio per l’attesa di un piccolo evento che si avvicina come il faro di una nave amica nella notte: lo sbarco nel mondo della ragazza in canottiera. … Altro ciclo, altro 1984. I tuoi anni ora sono 46, adipe intorno ai fianchi e stilettate alle lombari. Ah si, esce Like a Virgin di Madonna, di già, come vola il tempo. Sei distratto da incombenze, successi, fallimenti, ansie. … (W. Fontana, Splendido visto da qui)
- Lo sbarco dell’uomo sulla luna (1969) - La comparsa del primo cellulare (1983) - La caduta del Muro di Berlino (1989) - L’attentato delle Torri Gemelle (2001) - La comparsa di Facebook (2004) - La vittoria dell’Italia ai Campionati mondiali di calcio (1982 0 2006) o del Campionato da parte della squadra del cuore
L’assalto ai forni Rileggi il brano in cui si racconta l’assalto ai forni e riscrivilo applicando la struttura e gli aspetti linguistici della cronaca. Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de’ fornai i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a portarne alle solite case. Il primo comparire d’uno di que’ malcapitati ragazzi dov’era un crocchio di gente, fu come il cadere d’un salterello acceso in una polveriera. Il centro di Milano sconvolto da violenze e saccheggi I forni presi d’assalto da una folla di manifestanti affamati e inferociti. Ieri mattina, 11 novembre 1628, come ogni giorno, quando era ancora buio e con la gerla sulle spalle, il sedicenne Marco Palladini, garzone di bottega …
La peste Riscrivi la descrizione della condizione della città di Milano e dei comportamenti dei suoi abitanti, stravolti dalla peste, trasportandola nel mondo contemporaneo. (Renzo) riuscì in un luogo che poteva pur dirsi città di viventi; ma quale città ancora, e quali viventi! Serrati, per sospetto e per terrore, tutti gli usci di strada, salvo quelli che fossero spalancati per esser le case disabitate, o invase; altri inchiodati e sigillati … (Renzo) arrivò in un quartiere che un tempo poteva pur dirsi quartiere residenziale; ma quale quartiere ancora, e come residenziale! Sbarrati con sofisticati sistemi d’allarme antifurto, per sospetto e per terrore, tutti i portoni blindati dei condomini, salvo quelli che …
Nostalgia Per farlo salire in macchina hai dovuto faticare parecchio, e comunque per tutto il viaggio ha guaito, grattato con le unghie sul sedile, e si è mangiato un pezzo di coperta. Ti sei dovuto persino fermare a bordo strada, con le quattro frecce lampeggianti, e supplicarlo di calmarsi - «Yuri, per favore». Ma non c'è stato niente da fare, e anzi le ultime curve prima del canile si è trascinato davanti e ha iniziato ad ansimare così forte che hai temuto che si strangolasse. Così ti sei fermato di nuovo, l'hai raccolto in braccio, gli hai fatto il solletico sulla pancia - «Che succede?» - Probabilmente era la malattia che gli toglieva il fiato. O forse faceva solo troppo caldo, la macchina si stava allagando di afa. Poi siete arrivati al canile, hai parcheggiato, gli hai aperto la portiera. E sceso a fatica. Insieme a lui è uscito anche il caldo, come una cucciolata di altri cani dietro. L'importante - hai detto al guardiano - è che sia un cane in tutto identico a lui, macchia compresa. Non si preoccupi, ha commentato, che lo troviamo. Il ragazzo, un tizio alto con pochi capelli e una salopette di jeans, ti ha fatto entrare in una baracca che usava per ufficio, una scrivania e due sedie. Una te l'ha indicata perché ti ci sedessi. Yuri è entrato con una pietra in bocca, e l'ha lasciata cadere sul tuo piede. Poi si è andato a sgonfiare in fondo alla baracca, sotto una cartina dell'Europa appesa male. Per quando?, ti ha chiesto il ragazzo. Eh, sta troppo male, hai risposto sottovoce. Hai voltato la testa verso di lui. Si era coperto gli occhi con la zampa. Viene il veterinario domani pomeriggio per l'iniezione, hai detto in un sospiro. Quando siete usciti dalla baracca Yuri è rimasto sotto la cartina. Mezz' ora dopo siete rientrati. La aspetto, ti ha detto il ragazzo tossendo. Poi Yuri si è alzato e ti ha seguito fuori. Gli hai aperto la portiera e lui con fatica è salito.
Nel palazzo nessuno si è accorto di niente, nelle settimane successive. Quelli che prima lo detestavano, hanno continuato a farlo nello stesso modo, con la stessa smorfia, le stesse parole bofonchiate e gli occhi al cielo. Quelli che prima lo accarezzavano non hanno smesso di farlo, e anche il figlio della portinaia continua a tirargli la coda quando uscite la mattina. E tu? Tu quando lo chiami - «Yuri!» -lui viene e ti scodinzola tra i piedi. L'estate fate le solite passeggiate sulla spiaggia: lui corre qualche metro avanti o qualche metro indietro, con il naso che setaccia la sabbia e la sua bella macchia bianca sulla testa. È un bravo cane. Se gli lanci il bastone te lo riporta indietro, se gli avvicini la mano te la lecca, e si fa accarezzare da tutti. La sera guardate la televisione insieme. Tu gli lisci le orecchie con la mano, e in fondo siete contenti tutti e due, però quando ti fai la doccia non abbaia più. (in A. Bajani, La vita non è in ordine alfabetico)
Nel palazzo nessuno si è accorto di niente, nelle settimane successive. Quelli che prima lo detestavano, hanno continuato a farlo nello stesso modo, con la stessa smorfia, le stesse parole bofonchiate e gli occhi al cielo. Quelli che prima lo accarezzavano non hanno smesso di farlo, e anche il figlio della portinaia continua a tirargli la coda quando uscite la mattina. E tu? Tu quando lo chiami - «Yuri!» -lui viene e ti scodinzola tra i piedi. L'estate fate le solite passeggiate sulla spiaggia: lui corre qualche metro avanti o qualche metro indietro, con il naso che setaccia la sabbia e la sua bella macchia bianca sulla testa. È un bravo cane. Se gli lanci il bastone te lo riporta indietro, se gli avvicini la mano te la lecca, e si fa accarezzare da tutti. La sera guardate la televisione insieme. Tu gli lisci le orecchie con la mano, e in fondo siete contenti tutti e due, però quando ti fai la doccia non abbaia più. (in A. Bajani, La vita non è in ordine alfabetico) A casa non è cambiato nulla, nelle settimane successive. Il babbo ha continuato a schiacciarlo sedendosi sul divano dove tu come sempre lo dimentichi. La mamma non ha smesso di accarezzarlo mentre lo riporta sul cuscino del tuo lettino, e anche tuo fratello continua a prenderti in giro, quando a colazione ogni mattina lo posi accanto alla tazza del latte. E tu? Tu quando lo chiami - «Sid!» - gli vedi scodinzolare la coda. L'estate lo porti in spiaggia e lo lasci sulla sdraio, sotto l’ombrellone, perché il sole potrebbe rovinargli i peli. È un bravo coniglietto. Non scappa mai, resta in attesa del tuo ritorno, anche se tu a volte fai ancora non ti ricordi subito dove lo hai lasciato. La sera ascoltate insieme le storie di magici mondi. È un peluche morbido, lo accarezzi e sei contento di averlo ritrovato, però quando lo avvicini al volto non ha più quell’odore un po’ rancido di bave e latte secco che aveva un tempo.
Sei come sei La gamba fratturata di Loris – enorme, quasi minacciosa – incombe su Eva, che si è seduta sul letto. Il gesso l’avvolge dall’inguine alla caviglia – candido, immacolato. Dopodomani esco, a gennaio mi mettono il gesso corto, il gambaletto, dopo trenta giorni mi tolgono anche quello, la informa Loris, tanto per dire qualcosa perché questo silenzio interminabile gli fa venire la pelle d’oca. Mi odi? chiede Eva – perché non può non odiarla, gli ha rovinato le feste di Natale, il Capodanno sugli sci, la primavera. E anche la faccia. Con quelle righe rosse e le croste sulle guance sembra un pupazzo sbranato da un cane. Loris si aggiusta gli occhiali sulla sella del naso e scuote la testa – no, non la odia. Vorrebbe chiederle se lei invece lo odia, ma non ci riesce. Avrebbe voluto dirle un sacco di cose, ma ogni volta gli sembrava che non fosse il momento giusto, e rimandava, in attesa di un’occasione migliore. Che non era mai capitata, o lui aveva evitato che capitasse. Certe volte si diceva che forse quelle parole non dette e però pensate, Eva le aveva capite lo stesso. La verità è che non si è ancora abituato a stare solo con una femmina. Prima dell’arrivo di Eva in II B, prima che la professoressa gliela mettesse nel banco accanto, non ci aveva mai parlato, con le compagne. Alle feste, era sempre quello che non ballava mai e non sapeva rendersi interessante, e s’ingozzava di patatine, in piedi davanti al buffet. E comunque Eva Gagliardi non somiglia alle altre. Sotto i capelli di filo di ferro, nel corpo robusto e dietro quel sorriso diffidente, nasconde una forza segreta, un’ energia che ti travolge. Eva lo fissa dritto negli occhi. Le lenti spesse per la miopia glieli fanno più grandi. Ce li ha azzurri, ravvicinati, il destro strabico. Non tanto, solo un po’, come Venere. Quanto sei stupido, pensa, non lo capisci che adesso mi devi dare un bacio.
Ma Loris non lo capisce. La vicinanza di Eva Gagliardi lo turba, lo blocca, gli rimescola il sangue. Se lo avesse morso un serpente, iniettandogli un veleno paralizzante, non sarebbe meno irrigidito. Se ne sta disteso nel letto, immobile, i muscoli talmente tesi che gli fanno male, è come se avesse un crampo al cuore. Allora gli viene in mente di chiederglielo. Si volta con cautela verso il comodino, il telaio metallico cigola e protesta, ma sporgendosi e protendendo il braccio riesce a raggiungere il pennarello. Lo agguanta e glielo porge. Vuoi essere la prima? chiede. Intende: a firmare il gesso. Ma lei capirà che non si tratta solo di questo. Eva avvampa, poi prende il pennarello e si inginocchia sul letto – il materasso stretto ballonzola e la squilibra, per rimettersi dritta deve poggiare la mano sulla pancia di Loris, affonda in qualcosa di morbido e insieme contratto, si assesta reggendosi alla spalliera, tasta con la mano la gamba rotta appoggiata sul telaio, in cerca del punto migliore, pensa di firmare sul polpaccio, ma no, è troppo in basso, quando lui si alzerà in piedi non si noterà nemmeno, poi all’altezza del ginocchio, ma il gesso sulla protuberanza della rotula è rigonfio e segnato, il perone no, perché se lo è spezzato, glielo ha spezzato, forse anche premendoci sopra attraverso il gesso gli farà male: allora poggia la punta del pennarello più in alto, proprio al centro della coscia, e tenendo ferma la gamba con la mano, con l’altra prende possesso del suo corpo ferito e scrive il suo nome – EVA – a lettere cubitali, le più grandi che può, là dove chiunque potrà vederlo. (M. Mazzucco, Sei come sei)
Modifica il punto di vista del narratore (ora onnisciente): riscrivi il testo mantenendo una voce esterna ma adottando una focalizzazione interna, cioè di Eva o di Loris.
Modifica il punto di vista del narratore (ora onnisciente): riscrivi il testo mantenendo una voce esterna ma adottando una focalizzazione interna, cioè di Eva o di Loris. Loris teme di apparire ridicolo agli occhi di Eva, che si è seduta sul letto. Il gesso enorme lo rende ancora più goffo, l’avvolge dall’inguine alla caviglia – come una mummia. Dopodomani esco, a gennaio mi mettono il gesso corto, il gambaletto, dopo trenta giorni mi tolgono anche quello, la informa Loris, tanto per dire qualcosa perché questo silenzio interminabile gli fa venire la pelle d’oca. Ma ancora di più lo imbarazzano le domande di Eva che vuol sapere se lo odia. Perché me lo chiede? Forse le importa qualcosa di me, pensa Loris. No, non la odia anche se gli ha rovinato …
Modifica il punto di vista del narratore (ora onnisciente): riscrivi il testo mantenendo una voce esterna ma adottando una focalizzazione interna, cioè di Eva o di Loris. La gamba fratturata di Loris – enorme, quasi minacciosa – incombe su Eva, che si è seduta sul letto. Un gesto di eccessiva confidenza? si era chiesta mentre si appoggiava piano piano alle lenzuola, timorosa anche di fargli male, di rompere ancora una volta la gamba avvolta nel gesso dall’inguine alla caviglia. Mentre Loris le snocciola le date della riabilitazione – dopodomani esco, a gennaio mi mettono il gesso corto, il gambaletto, dopo trenta giorni mi tolgono anche quello – Eva è distratta. Vorrebbe chiederglielo ma teme la sua risposta. Però alla fine ce la fa a domandarlo. Mi odi? perché non può non odiarla, gli ha rovinato…
L’incontro tra i due ragazzi si svolge in ospedale («Dopodomani esco»). Prova a inserire nel corso del brano alcune annotazioni descrittive sull’ambiente, cercando di legare lo spazio allo stato d’animo dei personaggi. La gamba fratturata di Loris - enorme, quasi minacciosa – incombe su Eva, che si è seduta sul letto. Il gesso l’avvolge dall’inguine alla caviglia – candido, immacolato. Anche le pareti della camera sono bianche, come l’armadietto, il comodino e le uniformi delle infermiere che scivolano discrete da una stanza all’altra. Un candore soffocante in cui il silenzio imbarazzato dei due ragazzi si amplifica. Dopodomani esco, a gennaio mi mettono il gesso corto…
Trasforma in un testo regolativo il passaggio del brano in cui Eva si interroga su quale punto del gesso mettere la propria firma. Ecco l’occasione che aspettavi da mesi! Il ragazzo di cui sei innamorata, senza avere il coraggio di confessarglielo, si è rotto una gamba: dove firmare il gesso per fargli capire che lo ami? 1. Evita il polpaccio, avrà la sensazione che tu voglia nasconderti. Perché mai dovrebbe girarsi come un contorsionista per vedere il tuo nome? Inoltre, è troppo in basso, se e quando si alzerà in piedi non lo noterà nemmeno.
La lunga vita di Marianna Ucria La bambina si abbandona sul sedile imbottito e chiude gli occhi. Alle volte i due sensi su cui conta di più sono talmente all’erta che si azzuffano fra di loro miserevolmente. Gli occhi hanno l’ambizione di possedere le forme complete nella loro integrità e l’odorato a sua volta si impunta pretendendo di fare passare il mondo intero attraverso quei due minuscoli fori di carne che si trovano in fondo al naso. La bambina si abbandona sul sedile imbottito e chiude gli occhi. Ora ha abbassato le palpebre per riposare un momento le pupille e le narici hanno preso a sorbire l’aria riconoscendo e catalogando gli odori con pignoleria: com’è prepotente l’acqua di lattuga che impregna il panciotto del signor padre! sotto, s’indovina la fragranza della cipria di riso che si mescola all’unto dei sedili, all’acido dei pidocchi schiacciati, al pizzicore della polvere della strada che entra dalle giunture degli sportelli, nonché ad un leggero sentore di mentuccia che sale dai prati di casa Palagonia. (D. Maraini, La lunga vita di Mariana Ucria)
La bambina si abbandona sul sedile imbottito e chiude gli occhi. Alle volte i due sensi su cui conta di più sono talmente all’erta che si azzuffano fra di loro miserevolmente. Gli occhi hanno l’ambizione di possedere le forme complete nella loro integrità e l’odorato a sua volta si impunta pretendendo di fare passare il mondo intero attraverso quei due minuscoli fori di carne che si trovano in fondo al naso. La bambina si abbandona sul sedile imbottito e chiude gli occhi. Ora ha abbassato le palpebre per riposare un momento le pupille e le narici hanno preso a sorbire l’aria riconoscendo e catalogando gli odori con pignoleria: com’è prepotente l’acqua di lattuga che impregna il panciotto del signor padre! sotto, s’indovina la fragranza della cipria di riso che si mescola all’unto dei sedili, all’acido dei pidocchi schiacciati, al pizzicore della polvere della strada che entra dalle giunture degli sportelli, nonché ad un leggero sentore di mentuccia che sale dai prati di casa Palagonia. La bambina si abbandona sul sedile imbottito e chiude gli occhi. Alle volte i due sensi su cui conta di più sono talmente all’erta che si azzuffano fra di loro miserevolmente. Gli occhi hanno l’ambizione di possedere le forme complete nella loro integrità e l’udito a sua volta si impunta pretendendo di fare passare il mondo intero attraverso quei due minuscoli fori di carne che si trovano in mezzo alle orecchie. La bambina si abbandona sul sedile imbottito e chiude gli occhi. Ora ha abbassato le palpebre per riposare un momento le pupille e i padiglioni delle orecchie hanno preso a sorbire l’aria riconoscendo e catalogando i suoni con pignoleria: com’è prepotente il vento che fischia tra le canne e i fichi d’india! sotto, s’indovina il fruscio delle foglie sollevate…
Punti di vista
Adara amava soprattutto l’inverno, perché quando arrivava il freddo veniva anche il drago di ghiaccio. Non sapeva con certezza se era il freddo a portare il drago o il drago a portare il freddo. Era uno degli interrogativi che spesso preoccupavano suo fratello Geoff, di due anni più vecchio di lei e insaziabilmente curioso; ma Adara non si curava di queste cose. Purché il freddo e la neve e il drago di ghiaccio arrivassero in orario, lei era contenta. Sapeva sempre quando dovevano arrivare, per via del suo compleanno. Adara era una figlia dell’inverno, nata durante il freddo più terribile che qualcuno riuscisse a ricordare, compresa la vecchia Laura, che viveva nella fattoria vicina e ricordava cose accadute prima della nascita di tutti gli altri. La gente parlava ancora di quel freddo, e Adara udiva spesso quei discorsi. Parlavano anche di altre cose. Dicevano che era stato quel freddo terribile a uccidere sua madre, perché s’era insinuato durante la lunga notte del travaglio nonostante il grande fuoco acceso dal padre di Adara ed era penetrato sotto gli strati di coperte del letto. E dicevano che il freddo s’era impadronito di Adara ancora nel grembo materno, e che lei aveva la pelle bluastra e gelida quando era nata, e non si era mai riscaldata in tutti gli anni successivi. L’inverno l’aveva toccata, le aveva lasciato il suo marchio e l’aveva rivendicata come sua. (G. Martin, Adara e il drago) Ricordo la notte in cui nacque Adara. Volavo basso e il battito delle mie ali prima scuoteva i rami degli alberi e poi li paralizzava nell’immobilità del ghiaccio. Mi incuriosì una luce nel buio, proveniva da una fattoria, in mezzo ai campi ricoperti di brina. Non so per quale misterioso impulso, planai silenziosamente nell’aia deserta, mi avvicinai a una finestra e sbirciai attraverso i vetri appannati. Il corpo di una giovane donna, sommerso da un alto strato di coperte, era violentemente scosso da tremiti di freddo e una neonata urlava con tutta la sua forza per annunciare il suo recente arrivo in questo mondo. Mi scostai subito, la mia vicinanza era pericolosa per la vita della madre e della figlia. Ma era troppo tardi, la pelle della bambina portava sulla pelle bluastra il marchio del freddo. Come me, era anch’essa diventata una creatura del freddo …
La temperatura della stanza crollò vertiginosamente. Una patina di ghiaccio si formò sulle tende e incrostò le lampade del soffitto. I filamenti delle lampadine si smorzarono e la luce si affievolì, mentre le candele che spuntavano su ogni superficie disponibile come una colonia di funghi si estinsero all’istante. Nella stanza semibuia si levò una nube sulfurea, gialla e irrespirabile, dentro la quale si agitavano ombre nere e indistinte. In lontananza si udiva un coro di voci urlanti. La porta chiusa che affacciava sul pianerottolo fu sottoposta a una pressione improvvisa che la gonfiò verso l’interno e ne fece scricchiolare tutte le assi. Il pavimento fu attraversato da uno scalpiccio di piedi invisibili e dietro il letto e sotto la scrivania bocche incorporee sussurrarono parole sinistre. Quindi la nuvola solforosa si compattò a formare una spessa colonna di fumo da cui proruppero spire sottili, che prima di ritrarsi lambirono l’aria come tante lingue. La colonna rimase sospesa sopra il pentacolo, ribollendo contro il soffitto come il fumo di un vulcano in eruzione. Per un momento quasi impercettibile non accadde nulla. Poi dentro al fumo si materializzarono due occhi gialli e penetranti. Ehi, era la sua prima volta. Volevo mettergli un po’ di strizza. (J. Stroud, Bartimeus) Accidenti, per un attimo ho pensato di essermi ficcato in un guaio ancor prima di cominciare. Provate voi a passare dal calduccio di una stanza con i termosifoni accesi a palla a un inverno siberiano, freddo come non si ricordava neppure lo yeti! E poi all’improvviso si sono spente tutte le luci e mi sono ritrovato avvolto da una nube sulfurea, ma mica ero in discoteca o a un concerto. Lo confesso: quasi non respiravo dalla paura, e forse non era del tutto sbagliato visto che intanto si era diffusa anche una puzza pestilenziale. Avete presente quando avete ginnastica all’ultima ora ed entrate nello spogliatoio? Bene, Peggio! …
Erano anni che non possedeva un calendario. Si stavano spostando verso sud. Lì non sarebbero sopravvissuti a un altro inverno. Quando ci fu luce a sufficienza per usare il binocolo ispezionò la valle sottostante. Tutto sfumava nell’oscurità. La cenere si sollevava leggera in lenti mulinelli sopra l’asfalto. Studiò quel poco che riusciva a vedere. I tratti di strada laggiù fra gli alberi morti. In cerca di qualche traccia di colore. Un movimento. Un filo di fumo. Abbassò il binocolo e si tirò giù la mascherina di cotone dal viso, si asciugò il naso con il polso e riprese a scrutare la zona circostante. Poi rimase seduto lì con il binocolo in mano a guardare la luce cinerea del giorno che si rapprendeva sopra la terra. (C. McCarthy, La strada) Mattina Caro diario, purtroppo come sempre non posso che mettere la parte del giorno in cui ti scrivi. Non abbiamo un calendario da anni e risalire non solo al giorno e al mese ma anche all’anno in cui ci troviamo è sempre più difficile. Ci stiamo spostando verso sud perché papà dice che dove ci troviamo ora non sopravviveremo a un altro inverno. So che prima che io mi svegli papà inizia a ispezionare la valle sottostante, a cercare di scorgere pericoli in mezzo all’oscurità provocata dalla cenere.
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