Patrie popoli corpi: genere e famiglia nell'era dei nuovi nazionalismi. Saggio introduttivo - Viella

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Il tema: Patrie popoli corpi

                                  Stefania Bernini

               Patrie popoli corpi: genere e famiglia
                 nell’era dei nuovi nazionalismi.
                        Saggio introduttivo

     Mentre chiudiamo questo numero di «Genesis», Verona si prepara
a ospitare il molto discusso e ancor più controverso Congresso mon-
diale delle famiglie. Sotto il patrocinio dell’amministrazione leghista
della città, e con la benedizione di tre ministri del governo italiano, il
congresso si appresta a «celebrare e difendere la famiglia naturale come
sola unità stabile e fondamentale della società».1 Dopo essersi riuniti
sotto gli auspici del presidente moldavo Igor Dodon nel 2018 e sotto
quelli del primo ministro ungherese Orbán nel 2017, è ora la volta del
governo italiano di dare il benvenuto all’organizzazione che si è au-
toproclamata ultimo baluardo della “famiglia naturale”, definita come
«l’istituzione sociale originaria che getta le fondamenta di una società
moralmente responsabile».2
     L’evento veronese e la mobilitazione critica che intorno ad esso si è
creata, dimostrano la centralità che il discorso della famiglia, del corpo
(soprattutto di quello delle donne) e del genere occupa nei nuovi mo-
vimenti populisti e nazionalisti europei e americani. Dimostra inoltre
che fenomeni che abbiamo a lungo considerato con uno sguardo pre-
valentemente nazionale, come l’influenza cattolica sull’approccio alla
famiglia e ai rapporti di genere in Italia, debba essere ripensato come un
fenomeno che travalica confini geografici, politici e religiosi e permet-
te di stabilire nuove alleanze. Prima fra queste, quella fra componenti
cattoliche, evangeliche e ortodosse, unite nell’invocazione di supposti
valori tradizionali come fondamento della famiglia e della società.
     Era stato partendo dall’osservazione preoccupata delle dinamiche
politiche che si stavano svolgendo sotto ai nostri occhi che la redazio-

      1. https://wcfverona.org/it/about-the-congress (ultimo accesso 27 marzo 2019).
      2. Ibidem.

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ne di «Genesis» aveva proposto di dedicare il seminario della Società
italiana delle storiche del giugno 2018 a una riflessione sul significa-
to politico e simbolico assunto dalla famiglia e dal genere nei nuovi
sovranismi.3 Fra i temi che ci premeva esplorare, vi erano il rapporto
fra famiglia, nazione e religione nelle sue declinazioni storiche e con-
temporanee, il rapporto fra genere e religione, il legame fra famiglia
e appartenenza nazionale, nel passato e oggi. Ci proponevamo inoltre
di ripensare i punti di contatto che venivano emergendo fra il discor-
so della famiglia e della nazione nei Paesi dell’Europa orientale, negli
Stati Uniti di Trump e nella nuova Italia a quasi-guida leghista. Vero-
na conferma l’urgenza di esaminare il fenomeno che abbiamo davanti
nella sua notevole complessità, anche tornando a riflettere su come la
questione famiglia-nazione-religione abbia preso forma storicamente,
in Italia e al di fuori di essa.

1. L’utilità di guardarsi indietro e intorno
     Il programma del seminario di giugno era nato dal desiderio di
incrociare sguardi e prospettive: da una parte coniugando l’analisi del
presente con una riflessione su come il discorso famiglia-nazione si è
strutturato in passato; dall’altra, cercando i fili comuni che legano l’e-
sperienza italiana a quella di altri Paesi, a partire dai Paesi dell’Europa
orientale, come la Polonia e l’Ungheria, dove i nuovi movimenti nazio-
nal-familisti avevano fatto la loro prima apparizione.
     Questo numero di «Genesis» raccoglie alcuni degli interventi
presentati al seminario romano e due conversazioni, con tre protago-
niste del dibattito che si va svolgendo in Europa orientale. I saggi ci
offrono uno sguardo ampio su alcuni nodi centrali, quali il luogo della
famiglia e della nazione nella dottrina sociale della Chiesa, tracciato
da Liviana Gazzetta su una prospettiva di lungo periodo; i meccani-
smi di inclusione ed esclusione che la formazione dello Stato naziona-
le provoca, discusso da Carlotta Ferrara degli Uberti dalla prospettiva
degli ebrei italiani; la natura del progetto politico che si esprime nel
movimento anti-gender e il suo significato per il cattolicesimo po-
litico, investigato da Massimo Prearo attraverso il caso del Family
Day; il riaffacciarsi di un progetto segregazionista e repressivo nei

       3. Il seminario, intitolato Patrie, popoli, corpi: ripensare genere, sessualità e famiglia
nell’era dei nuovi nazionalismi, si è tenuto a Roma, presso la Casa internazionale delle donne,
il 15 giugno 2018.
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confronti della prostituzione, attraverso la proposta leghista di abolire
la legge Merlin, analizzata da Liliosa Azara come l’ultima manifesta-
zione di un approccio al controllo del corpo delle donne che affonda
le sue radici nella cultura ottocentesca.
      Le due interviste che pubblichiamo, rispettivamente con l’antropo-
loga e storica polacca Agnieszka Kościańska e con le studiose Andrea
Pető (ungherese) ed Elena Gapova (bielorussa), ci aiutano a pensare ai
temi comuni presenti nella genesi dei movimenti sovranisti e nella natu-
ra dell’attacco da essi portato a una concezione liberale della sessualità,
dell’affettività e della famiglia fuori dal contesto italiano.
      L’aspetto del discorso sovranista che qui ci interessa discutere è in
primo luogo il suo portato familista, ovvero l’affermazione di un’idea
rigidamente normativa della famiglia e la sua proclamazione a unico
fondamento della comunità nazionale. Nelle sue diverse manifestazio-
ni, la retorica sovranista rimpiange e riafferma il primato della famiglia
“naturale” fondata sull’unione tra un uomo e una donna e caratterizzata
in primo luogo dalla presenza di una “mamma” e di un “papà”, descritte
come figure dai ruoli chiaramente distinti, complementari e insostitui-
bili. Il rimpianto per la famiglia “tradizionale”, saldamente patriarcale
e immutabile, va di pari passo con il ritorno nostalgico a un’idea di
nazione come comunità basata sulla prossimità culturale e sull’affini-
tà etnica, con un’evocazione della nazione intesa come casa comune,
capace di proteggere solo escludendo il diverso, sia esso il migrante,
il rifugiato, l’appartenente a una minoranza sessuale o etnica, o il rap-
presentante di una supposta ideologia cosmopolita, sempre più spesso
etichettata come elitaria ed estranea al bene del popolo.4
      Tanto il desiderio di un ritorno alla famiglia tradizionale quanto l’e-
vocazione di una comunità nazionale pura trovano un potente collante
nella guerra contro la cosiddetta “ideologia di genere”, identificata come
causa principale di disordine morale, sociale e famigliare. Come ben
spiega Andrea Pető nella conversazione che qui pubblichiamo, il gender

       4. Diverse pubblicazioni sono state dedicate al fenomeno del nuovo populismo di destra,
ma anche di sinistra, e a quello che in Italia ha preso il nome di sovranismo: Paolo Graziano,
Neopopulismi. Perché sono destinati a durare, Bologna, Il Mulino, 2018; Francis Fukuyama,
Identity: The Demand for Dignity and the Politics of Resentment, New York, Farrar, Straus and
Giroux, 2018 (trad. it. Identità. La ricerca della dignità e i nuovi populismi, Torino, Utet, 2019);
Chantal Mouffe, For a Left Populism, London, Verso, 2018 (trad.it. Per un populismo di sinistra,
Roma-Bari, Laterza, 2018); Marco Revelli, Populismo 2.0, Torino, Einaudi, 2017; Jan Zielonka,
Counter-Revolution: Liberal Europe in Retreat, Oxford, Oxford University Press, 2018 (trad.
it. Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale, Roma-Bari, Laterza, 2018); Jan Werner
Muller, What Is Populism?, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2016.

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è stato trasformato dalle nuove destre in un “collante ideologico”, capace
di incanalare i sentimenti di insicurezza e di precarietà, trasformandoli
in un rifiuto più vasto e generalizzato dell’ordine sociale ed economico
contemporaneo. La demonizzazione dell’“ideologia di genere” è così di-
venuta lo strumento retorico privilegiato nella costruzione di un nuovo
“senso comune”, tutto centrato su famiglia, nazione e religione.5 L’am-
piezza del progetto ideologico (insieme politico e religioso) che trova
espressione nei movimenti anti-gender in Italia emerge con chiarezza
dal saggio di Massimo Prearo, che attraverso l’analisi delle «traiettorie e
genealogie» del Family Day, ci propone una riconcettualizzazione della
natura e dei contenuti dell’azione politica cattolica nel nostro Paese.6
     Nel discorso nazional-populista italiano come in quello polacco o
ungherese, il richiamo a ruoli di genere “naturali” è funzionale all’evo-
cazione nostalgica di una comunità di appartenenza descritta come si-
cura e accogliente, capace di proteggere dai rischi dell’individualismo e
dell’atomizzazione sociale. Una nazione forte e riconoscibile nella sua
identità, insistono i sovranisti, ha un vitale bisogno di famiglie disposte
ad agire come fedeli riproduttrici di cittadini e di valori. Le famiglie di
oggi non sarebbero capaci di svolgere questo compito. Che cosa, nel di-
scorso sovranista, rende le famiglie contemporanee così inadempienti? In
primo luogo, il loro supposto “disordine”, variamente legato alla desacra-
lizzazione del matrimonio, alla perdita di autorità da parte dei padri, alla
crescente variabilità delle forme dello stare insieme, alla definitiva sepa-
razione occorsa fra il regime della sessualità e quello della generatività.7
     Un’ansia parallela pervade l’idea della vulnerabilità dello spazio/
territorio nazionale, percepito e dipinto come sempre più difficile da

       5. Si veda anche Weronika Grzebalska, Andrea Pető, The Gendered Modus Operandi of the
Illiberal Transformation in Hungary and Poland, in «Women’s Studies International Forum», 68
(2018), pp. 164-172.
       6. Sulla mobilitazione anti-gender cfr. Sara Garbagnoli, Massimo Prearo, La crociata
“anti-gender”. Dal Vaticano alle manif pour tous, Torino, Kaplan, 2018; Anti-gender Campaigns
in Europe: Mobilizing against Equality, a cura di Roman Kuhar e David Paternotte, London,
Rowman & Littlefield, 2017.
       7. Sul “disordine” della famiglia contemporanea, e sulla sua capacità di trasformarsi
profondamente senza perdere rilevanza sociale, rimane interessante l’analisi di Elisabeth
Roudinesco, La famille en désordre, Paris, Librairie Arthème Fayard, 2002 (trad. it. La famiglia in
disordine, Roma, Meltemi, 2002). Senza parlare di disordine, Zygmunt Bauman, aveva esplorato
i “rischi” e le “ansie” del vivere insieme e separati nella “società liquida” in Liquid Love: On the
Frailty of Human Bonds, Cambridge, Polity Press, 2003 (trad. it. Amore liquido: sulla fragilità
dei legami affettivi, Roma-Bari, Laterza, 2006). Per un precedente tentativo nella stessa direzione
Anthony Giddens, The Transformation of Intimacy: Sexuality, Love and Eroticism in Modern
Societies, Stanford, Stanford University Press, 1993 (trad. it. La trasformazione dell’intimità.
Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, Bologna, Il Mulino, 2013).
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controllare, e quella della famiglia, come entità sempre più multipla
e frammentata. Fondendo questa doppia ansia, il discorso sovranista
auspica un rassicurante irrigidimento di entrambi i piani, postulando il
ritorno a una famiglia univocamente definita come il primo passo ver-
so il ristabilimento di più saldi confini culturali ed etnici. All’interno
di questo richiamo nostalgico a un ordine perduto, la religione viene
evocata come l’unica forza capace di offrire quei valori saldi e condi-
visi che soli possono liberare la famiglia dal suo apparente disordine
e dall’anarchia del presente.
     Al cuore del nuovo discorso sovranista troviamo un potente ri-
chiamo all’idea della naturalità della famiglia e della nazione, entram-
be presentate come categorie a-storiche, indiscutibili e immutabili.
L’inevitabile corollario di tale richiamo è l’insistenza sovranista sul-
la necessità di controllare corpi e sessualità. Soprattutto i corpi e la
sessualità delle donne. Da una parte, dunque, il discorso sovranista
estremizza l’irrigidimento nella sfera sessuale e riproduttiva descritto
da Liviana Gazzetta come l’ultimo baluardo della Chiesa cattolica, le-
gandolo però a una concezione forte della nazione, che era rimasta ai
margini della dottrina della Chiesa, almeno fino al pontificato di Karol
Wojtyła. Dall’altra, si riafferma l’idea che lo Stato possa e debba eser-
citare un forte controllo sui corpi e sulla sessualità delle donne, come
ben illustra l’analisi di Azara del disegno di legge leghista in materia
di prostituzione, volto alla riproposizione di dispositivi di controllo di
chiara matrice ottocentesca.
     Si è tentati di dire che il discorso sovranista ha poco di nuovo da
proporre, almeno in termini di immaginario famigliare. Il tentativo
di naturalizzare l’idea di appartenenza nazionale radicandola nel di-
scorso della famiglia come comunità biologica e affettiva ha infatti
radici profonde e ben studiate. Che il riferimento fosse al lignaggio
(come nel caso della “terra madre” o “terra padre”), o all’idea della
“terra-casa” (come nella heimat tedesca), la sfera famigliare ha avuto
un ruolo centrale nella genesi del discorso della nazione, grazie alla
capacità di suggerire una connessione naturale e profonda fra indivi-
duo e comunità nazionale, immaginata come una Gemeinschaft tenuta
insieme da legami indissolubili.
     Proiettare la famiglia sulla nazione, scriveva il molto citato ma
sempre utile Benedict Anderson, aiutava il processo di identificazione
atto a trasformare un «artefatto culturale» storicamente determinato
in un concetto pensato come naturale e necessario. Questo
sforzo di naturalizzazione della nazione era riuscito così bene da
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mobilitare innumerevoli scelte esistenziali, individuali e collettive,
in sua difesa.8 Nella sua discussione della nazione come comunità
immaginata, Anderson sottolineava che la natura immaginaria del
sentimento nazionale non doveva essere associata a un’idea negativa
di fabbricazione e falsità, ma piuttosto a un esercizio di creatività,
necessario a tenere insieme qualsiasi comunità. Ciò che distingueva le
comunità, scriveva Anderson, non era il fatto di essere false o genuine,
ma semplicemente lo «stile in cui esse [erano] immaginate».9 Torno su
questo passaggio di Anderson, perché davanti allo sforzo sovranista
di affermare la “naturalità” della famiglia e la “realtà” delle comunità
nazionali, mi pare utile ribadire, ribaltando la prospettiva, che le
connessioni più profonde fra questi due concetti riguardano non la
loro naturalità, ma la loro comune natura mitologica e di costruzione.

2. Ripensare il nesso famiglia-nazione, fra natura e politica
     Vale forse la pena notare che storicamente la famiglia è entrata nel
discorso della nazione non solo per attribuirle una naturalità che non
aveva, ma anche come fonte di immagini attraverso le quali pensare
l’organizzazione politica e del potere. La storiografia italiana degli
ultimi due decenni ha messo ben in evidenza le connessioni profonde
che legano famiglia e nazione, a partire dal discorso risorgimentale.
Alberto Mario Banti ha indicato nella «nazione come parentela/fami-
glia» una delle «figure profonde» della morfologia del discorso na-
zionale, mentre Ilaria Porciani ha parlato di famiglia e nazione come
«elementi inscindibili» di un processo di disciplinamento operante sia
nella sfera domestica che in quella civico-nazionale.10
     In una delle prime e più provocatorie interpretazioni del rapporto
fra immaginario famigliare e immaginario politico, Lynn Hunt aveva
utilizzato il “romanzo famigliare” come una categoria politica essen-
ziale alla comprensione della Rivoluzione francese.11 Partendo da una

      8. Benedict Anderson, Imagined Communities: Reflections on the Origins and Spread
of Nationalism, London, Verso, 1983 (trad. it. Comunità immaginate. Origini e fortuna dei
nazionalismi, Roma, Manifestolibri, 1996).
      9. Ivi, p. 27.
      10. Alberto Mario Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al
fascismo, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. VII; Ilaria Porciani, Introduzione a Famiglia e nazione
nel lungo Ottocento italiano. Modelli, strategie, reti di relazioni, a cura di Ead., Roma, Viella,
2006, p. 9.
      11. Lynn Hunt, The Family Romance of the French Revolution, Berkley, University of
California Press, 1992, pp. XIII-XV. Edward Shorter aveva posto il romanzo famigliare al centro
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rilettura profonda del concetto freudiano, Hunt evocava l’idea di ro-
manzo famigliare in riferimento all’immaginario che i rivoluzionari
francesi avevano applicato alla realtà politica e alla sua trasforma-
zione. Senza suggerire una riduzione del politico alla sfera dell’im-
maginario, Hunt rivendicava l’importanza dell’immaginazione e della
fantasia nella costruzione politica e ipotizzava l’esistenza di una sorta
di inconscio politico collettivo, strutturato intorno all’esperienza più
diffusamente condivisa, quella della famiglia. Non più reazione ne-
vrotica alla delusione verso i propri genitori, il romanzo famigliare
incarnava lo sforzo creativo di re-inventare una sfera politica libera
dal potere assoluto del padre-re, la cui sostituzione con l’autorità con-
divisa dei fratelli, scriveva Hunt, costituiva il principio organizzatore
della neonata repubblica.
      Come ha giustamente notato Ilaria Porciani, l’enfasi posta da Hunt
sul patto stipulato fra i fratelli rivoluzionari sottovalutava la direzione
decisamente patriarcale che di lì a poco avrebbe preso il discorso del-
la nazione.12 Neppure il ritorno della narrazione patriarcale, tuttavia,
avrebbe ridotto il potere simbolico del romanzo famigliare, né quello
del patto fra fratelli, come idea di una dimensione al tempo stesso
orizzontale ed esclusiva, ovvero fondata sull’inclusione orizzontale
degli uomini e sull’esclusione delle donne. Nella definizione di Carol
Pateman, quello che si era formato, in un immaginario politico libe-
rato dalla figura onnipotente del padre ma dominato da quella forse
non meno ingombrante dei fratelli, era una «fraternal patriarchy», dal
portato ambiguo soprattutto per la cittadinanza delle donne.13
      L’importanza del nodo ottocentesco nella strutturazione dei rappor-
ti fra nazione e famiglia è emerso con forza nel corso del seminario di
giugno, ed è discusso in questo numero di «Genesis» in particolare da
Gazzetta e Ferrara degli Uberti oltre che da Liliosa Azara in relazione ai
dispositivi di controllo della prostituzione, che si intensificano in Italia
nella seconda metà del secolo. Vi torno qui, brevemente, per suggerire
alcuni temi che mi paiono utili alla discussione in corso. Come è stato
ampiamente scritto e dimostrato, una parallela trasformazione ha luogo
nell’Ottocento rispetto al modo di pensare la famiglia, al modo di pen-

della sua analisi della rivoluzione sentimentale europea del XIX secolo: cfr. The Making of the
Modern Family, London, Collins, 1975 (trad. it. Famiglia e civiltà, Milano, Rizzoli, 1978).
       12. Ilaria Porciani, Famiglia e nazione nel lungo Ottocento, in Famiglia e nazione nel lungo
Ottocento italiano, pp. 16-17.
       13. Carol Pateman, The Sexual Contract, Cambridge, Polity Press, 1988, p. 3; Hunt, The
Family Romance, pp. 83-84.

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sare la nazione e al modo di pensare il rapporto fra le due.14 Numero-
si testi del patriottismo italiano ed europeo, oltre alla poesia romantica
prima e ai grandi romanzi storici poi, raccontavano la sovrapposizione
fra devozione famigliare e patriottica, e l’importanza dell’eredità e della
trasmissione patrimoniale e identitaria nella costruzione tanto della sfera
domestica quanto di quella nazionale.15 Si sviluppava così quel procedere
di pari passo del discorso della famiglia, come nucleo domestico basato
su rapporti intimi e morali, e del discorso della nazione come identità
condivisa, che avrebbe lasciato ombre lunghe sul Novecento.16
     Riflettendo sulle reazioni complesse che la formazione dello Stato
nazionale provoca nella comunità ebraica italiana, Ferrara degli Uberti,
nel saggio che pubblichiamo in questo numero di «Genesis», osserva che
la formazione della nazione moderna, con la sua enfasi sull’appartenen-
za, creava non pochi problemi agli ebrei italiani, impegnati a disegnare i
propri confini identitari. Reagendo alla celebre lezione di Ernest Renan
del 1882, nota Ferrara degli Uberti, Marco Mortara contrapponeva alla
nazione la stirpe, vista come «una forte collettività ebraica di puro li-
gnaggio». La stirpe evocava una continuità di discendenza, attribuibile
tanto alla famiglia quanto a una comunità più estesa, come la nazione o la
comunità religiosa, e «una genealogia allo stesso tempo biologica e cultu-
rale». Senza voler entrare in una discussione approfondita della questione
di come pensare la nazione, vorrei partire dallo spunto sollevato da Fer-
rara degli Uberti per proporre una piccola e molto parziale rilettura della
lezione di Renan su Que’est-ce qu’une nation?, al solo scopo di suggerire
quanto suggestiva essa sia per pensare alla famiglia.17
     Come è noto, al cuore della tesi di Renan, vi era l’idea della na-
zione come scelta e come esito di una costruzione collettiva a cui suc-
cessive generazioni avevano contribuito, in «un rito di compiacimento
periodico celebrato di fronte al miracolo dell’appartenenza».18 Non sor-

      14. Si veda anche Alberto Mario Banti, Paul Ginsborg, Per una nuova storia del Risorgi-
mento, in Storia d’Italia, Annali 22, Il Risorgimento, a cura di Iid., Torino, Einaudi, 2007, pp.
XXIII-XLI.
      15. Sigrid Weigel, Families, Phantoms and the Discourse of ‘Generations’ as Politics of the
Past, in Narrating the Nation: Representations in History, Media and the Arts, a cura di Stefan
Berger, Linas Eriksonas e Andrew Mycock, New York-Oxford, Berghahn Books, 2008, p. 135.
      16. Porciani, Famiglia e nazione nel lungo Ottocento, pp. 16-17.
      17. Per una recente messa a punto del dibattito su Ernest Renan e la sua ricezione, in
particolare per quanto riguarda il concetto di razza, Robert Priest, Ernest Renan’s Race Problem,
in «The Historical Journal», 58/1 (2015), pp. 309-330.
      18. Silvio Lanaro, Introduzione a Ernest Renan, Che cos’è una nazione?, Roma, Donzelli,
2004, p. XVIII.
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prende che tale “miracolo di appartenenza”, e l’insistenza di Renan su
un’idea di nazione come «punto d’arrivo di un lungo passato di sforzi,
di sacrifici e di dedizione» e come frutto del lavoro degli antenati, che
«ci hanno fatti ciò che siamo», ponesse seri dilemmi a quelle minoranze
impegnate in una complessa opera di bilanciamento fra l’esigenza di
mantenere i confini della comunità e quella di negoziare nuove forme
di appartenenza nazionale.19
     Uno dei punti caratterizzanti dell’idea di nazione delineata da
Renan riguardava la memoria e l’oblio, entrambe essenziali alla co-
struzione nazionale. Spiegava Renan che non poteva esservi nazione
senza menzogna, perché «l’oblio» e «persino l’errore storico» erano es-
senziali alla creazione della nazione, tanto e forse più della memoria.20
Qualcosa di molto simile può essere detto a proposito della famiglia,
che non può esistere senza quella particolare combinazione di memoria,
rimozioni e silenzi che costituiscono qualsiasi narrazione. Notava John
Gillis che l’emergere di un’idea forte di famiglia come comunità di
appartenenza aveva meno a che fare con i rapporti biologi tanto cari ai
sovranisti contemporanei che con i riti e le tradizioni messe in atto nella
sfera domestica, attraverso i quali la famiglia si costruiva e si racconta-
va.21 Come la nazione, anche la famiglia richiedeva la costruzione di un
passato coerente per rendere credibile il presente.
     La definizione più citata della lezione di Renan riguarda l’imma-
gine della nazione come «plébiscite de tous les jours», ovvero della
nazione come comunità (immaginata) tenuta insieme non dalla biolo-
gia o dalla cultura comune, ma dal «desiderio chiaramente espresso di
continuare a vivere insieme».22 È una definizione che si adatta molto
bene anche all’idea di famiglia come esito di una costruzione collet-
tiva, continuamente rinnovata. È evidente che né nella famiglia né
nella nazione si è davvero chiamati a rinnovare ogni giorno la propria
volontà di vivere insieme. In entrambi i casi, l’esistenza di una qual-
che forma di appartenenza è data per lo più per scontata, se non in
momenti di particolare criticità. La maggior parte dei riti che tengono
insieme famiglie e nazioni sono banali, apparentemente di scarso si-
gnificato, e proprio in questo sta il loro potere di costruire e preservare
un senso di appartenenza.

     19. Ivi, p. 19.
     20. Ivi, p. 7.
     21. John Gillis, A World of Their Own Making: A History of Myth and Ritual in Family Life,
Oxford, Oxford University Press, 1997, p. XV.
     22. Renan, Che cos’è una nazione?, p. 20.

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3. I fili lunghi dell’immaginario famigliare
      Scriveva Barthes che la funzione del mito è di parlare delle cose
«purificandole», rendendole «innocenti», istituendole «come natura e
come eternità», dando «loro una chiarezza che non è quella della spie-
gazione, ma quella della constatazione». Il mito ha il potere di far pas-
sare dalla storia alla natura, abolendo la complessità e organizzando un
mondo in cui «le cose sembrano significare da sole».23
      Sia la famiglia che la nazione sono costruite nel mito. Tanto il po-
tere della famiglia quanto quello della nazione, infatti, dipendono dal
fatto di apparire evidenti, non bisognose di spiegazione. Si accetta e si
presume che le connessioni che le tengono insieme esistano e abbiano
senso attraverso legami che raramente vengono interrogati o messi in
discussione. All’interno del discorso sovranista, il dispositivo spesso
usato per parlare di rapporti famigliari, di sessualità e di riproduzione,
è il ricorso a un presunto senso comune, colpevolmente pervertito dal-
l’“ideologia del gender”. Si pensi, ad esempio, alla stigmatizzazione
salviniana della formula “genitore 1, genitore 2” in nome del diritto
dei bambini ad avere “un papà e una mamma”, o alla condanna della
gestazione per altri, attraverso la sua riduzione all’immagine violenta
dell’“utero in affitto”. Il contributo di Prearo mette ben in evidenza
come il risultato della negoziazione politica occorsa fra i promotori
del Family Day e partiti come Lega e Fratelli d’Italia, abbia prodotto
da una parte l’«appropriazione del discorso anti-gender» da parte dei
leader di questi partiti, e dall’altra l’adozione di temi e toni sovranisti
da parte dei rappresentanti dei movimenti cattolici “pro-famiglia”, a
partire da Massimo Gandolfini.
      Una potente manifestazione di questa alleanza riguarda l’idea della
“protezione” e “promozione” della maternità declinata in chiave naziona-
lista. I difensori della cosiddetta famiglia tradizionale si presentano come
strenui paladini del riprodursi, a patto che la riproduzione segua le leggi
immutabili della natura e che la maternità venga abbracciata dalle donne
come dimensione predominante se non assoluta della loro esistenza. Il di-
scorso sovranista aggiunge che a riprodursi devono essere i membri della
comunità nazionale e non, per esempio, le donne emigrate o migranti. In
questo caso, infatti, la numerosità della famiglia cessa di essere un valore
da sostenere ed esaltare, per diventare invece simbolo di arretratezza cul-
turale, sottomissione e, in ultima istanza, costo sociale.

     23. Roland Barthes, Miti d’oggi, Torino, Einaudi, 1994 (ed. orig. 1957), pp. 223-224.
Bernini, Saggio introduttivo                                                                      15

     Dopo aver rappresentato per molto tempo un tabù del discorso
politico italiano, la questione del sostegno alla natalità viene affer-
mata dalla destra sovranista come tema di difesa della nazione. Il
tema della «sostituzione etnica», come «realtà oggettiva, frutto di una
strategia deliberata, pianificata e finanziata», per usare le parole del
collaboratore de «il Giornale.it» Andrea Pasini, rappresenta un tema
comune ai populisti di destra europei, e pone la base per il richiamo
alla maternità come dovere sociale.24
     Gli studiosi dell’Ottocento hanno ben indagato la centralità che il
materno occupa nel discorso della nazione e l’influenza dell’immaginario
cattolico sull’immaginario nazionale. Nel suo saggio, Gazzetta sottolinea
come il pontificato di Karol Wojtyła abbia marcato sia una svolta im-
portante in termini di riflessione cattolica sul concetto di nazione sia un
irrigidimento della Chiesa in materia di sessualità e riproduzione, conce-
pite da Wojtyła come strettamente correlate alla sacralità della vita. Non
stupisce che fosse il Papa polacco ad avanzare una prima «teologia delle
nazioni», per usare l’espressione di Andrea Riccardi,25 né che essa si rifa-
cesse, da un lato, a una visione delle comunità nazionali come portatrici
di una «funzione storica e provvidenziale» e, dall’altro, a una concezione
della patria fortemente associata alla famiglia, entrambe viste da Giovan-
ni Paolo II come insostituibili fonti di identità e appartenenza.
     Nel contesto polacco come e forse più che in quello italiano,
una lunga e profonda tradizione lega l’immaginario della famiglia a
quello della nazione. Il discorso letterario-patriottico romantico, in
particolare, aveva cristallizzato l’immagine della Polonia occupata e
divisa come Cristo delle nazioni, destinato a risorgere per la redenzio-
ne di tutti i popoli, nella famiglia il luogo in cui la “nazione in esilio”
avrebbe trovato rifugio e salvezza, e nella madre la figura più di ogni
altra responsabile per la trasmissione dell’appartenenza nazionale.26

       24. http://blog.ilgiornale.it/pasini/2018/11/13/linfame-progetto-di-sostituzione-etnica-degli-
italiani-con-gli-immigrati-islamici (ultimo accesso 27 marzo 2019).
       25. Andrea Riccardi, Giovanni Paolo II. La biografia, Cinisello Balsamo, Edizioni San Pa-
olo, 2011, p. 337.
       26. Imprescindibile il riferimento ad Adam Mickiewicz, I libri della nazione e dei
pellegrini polacchi, 1833 (Ksiegi narodu i pielgrzymstwa polskiego, 1832); sul messianismo
polacco e i significativi contatti fra la posizione di Mickiewicz e quella di Mazzini, Andrzej
Walicki, Philosophy and Romantic Nationalism, Oxford, Clarendon Press, 1982, pp. 245-
246; cfr. anche Stanislaw Elie, Literature and Nationalism in Partitioned Poland, 1795-1918,
London-New York, Macmillan and St. Martin, 2000; Le verbe et l’histoire. Mickiewicz, la
France et l’Europe, a cura di François-Xavier Coquin e Michel Maslowski, Paris, Institut
d’études slaves, 2002; Waldemar Chrostowski, The Suffering, Chosenness and Mission of the
Polish Nation, in Occasional Papers on Religion in Eastern Europe, 11/4 (1991), p. 1.

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     Incaricata di proteggere e trasmettere il senso di appartenenza na-
zionale, la matka polka (la madre polacca) aveva un destino già scrit-
to: crescere i figli nel culto della nazione e prepararli a morire per di-
fenderla.27 Come la madre patriottica italiana, l’immagine della matka
polka si sarebbe dimostrata assai longeva e supremamente adattabile a
diverse circostanze storiche.28 Durante l’occupazione nazista sarebbe
stata evocata per ricordare alle donne polacche che il loro dovere non
era quello di nascondere mariti e figli, ma di incoraggiarli a combat-
tere per la Polonia.29 Nella Polonia comunista avrebbe incarnato la
resistenza al nuovo modello sociale e culturale promosso dal regime,
dipinto a sua volta come un potere illegittimo, responsabile di una
nuova occupazione della nazione.30 Negli anni della transizione post-
comunista, avrebbe trovato nuova incarnazione nella madre pronta
a sacrificarsi per assicurare la protezione economica della famiglia,
anche emigrando.31
     Mi dilungo sul modello della matka polka perché ci aiuta a met-
tere in luce la fondamentale ambiguità che, in Polonia come in Italia,
caratterizza la madre patriottica, nella sua originaria costruzione otto-
centesca e nei riverberi che possiamo riconoscere nei nuovi nazionali-
smi: l’ambiguità di essere riconosciuta sì come detentrice di un ruolo

      27. La rappresentazione più forte e meglio nota si trova nella poesia Do matki polki
(alla madre polacca), scritta da Mickiewicz durante il suo soggiorno in Italia nel 1829, che
Mazzini avrebbe tradotto in italiano a metà degli anni ’30. Sull’influenza di Mickiewicz su
Mazzini, Simon Levis Sullam, L’apostolo a brandelli. L’eredità di Mazzini tra Risorgimento e
fascismo, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. 8; Id., Costruire un nazionalismo e un “gran convegno
de’ popoli”: Giuseppe Mazzini tra Europa e Polonia, in L’eredità di Giuseppe Mazzini. La
democrazia tra coscienza nazionale e coscienza europea, a cura di Giampietro Berti, Padova, Il
Poligrafo, 2006, pp. 49-64; Giovanni Maver, Le rayonnement de Mickiewicz en Italie, in Adam
Mickiewicz, 1798-1855. Hommage de l’UNESCO à l’occasion du centième anniversaire de sa
mort, Paris, Gallimard-UNESCO, 1955.
      28. Sulla funzione materna nella formazione, anche patriottica, dei figli rimangono
importanti i contributi di Giovanna Fiume, Nuovi modelli e nuove codificazioni: madri e mogli
tra Settecento e Ottocento, e Rosanna De Longis. Maternità illustri: dalle madri illuministe
ai cataloghi ottocenteschi, in Storia della maternità, a cura di Marina D’Amelia, Roma-Bari,
Laterza, 1997. Sulla figura e lo stereotipo della mamma italiana, Marina D’Amelia, La Mamma,
Bologna, Il Mulino, 2005. Sulla figura della matka polka, Anna Titkow, Figura Matki Polki. Pròba
demitologizacji, in Pozegnanie z Matka Polka? Diskursy, praktyki i reprezentacje macierzynstwa we
wspolczesnej Polsce, a cura di Renata E. Hryciuk e Elzbieta Korolczuk, Varszawa, Wydawnictwa
Uniwersytetu Warszawskiego, 2012, pp. 27-49.
      29. Fay Carmichael Anstruther, The Part of the Polish Women, London, London Branch of
the Scottish-Polish Society, 1942.
      30. Jacek Kurczewski, The Family as an Institution of Polish Civil Society, in «Polish
Sociological Review», 4 (1996), p. 329.
      31. Sylwia Urbanska, Matka migrantka. Perspektywa transnarodowosci w badaniu przemial
rol rodziecielskich, in «Studia Migracyjne – Przeglad Polonijny», 1 (2009), pp. 61-84.
Bernini, Saggio introduttivo                                                                 17

politico ma all’interno di un saldo contesto patriarcale che lega tale
riconoscimento al sacrificio.32 Era un modello che, in Polonia come in
Italia, inevitabilmente rimandava all’immaginario cattolico e alla figura
multiforme di Maria, presenza salvifica ma il cui potere maggiore si
esprimeva nel ruolo di mediatrice, fra umano e divino, fra padre e figli,
fra il progetto terreno della famiglia e quello sovrannaturale e incompa-
rabile del regno di Dio.33
      Contro il rischio di troppo facili conclusioni sull’influenza dell’im-
maginario cattolico, tuttavia, il saggio di Ferrara degli Uberti ci fa nota-
re che anche nel contesto ebraico, la madre detiene «il ruolo di custode
della tradizione e dell’identità», incarnando il confine che «non può
essere superato» nella tentazione dell’assimilazione, e assicurando così
il mantenimento dell’appartenenza. Nell’ebraismo ancor più che nel
cristianesimo, la centralità della donna nel discorso dell’appartenenza
è reso manifesto dal fatto che la trasmissione dell’essere ebrei passa,
come scrive Ferrara degli Uberti, «per via carnale, biologica, naturale,
inevitabile, di madre in figlio/figlia».34
      Molto si è scritto sull’effetto limitante e costrittivo di una co-
struzione del materno come categoria totalizzante, e delle pericolose
derive che la glorificazione nazionalista della maternità può aprire.
L’appropriazione fascista del mazziniano “Dio, patria e famiglia”
aveva trasformato il discorso risorgimentale, in cui la devozione alla
patria e alla famiglia trovavano senso in un’idea di comunità civica e
di appartenenza universale alla famiglia dell’umanità, in una visione
della nazione esclusivista e aggressiva, nella quale il dovere della ma-
dre educatrice della nazione si appiattiva nel compito di fornire figli
alla patria belligerante.35
      Altrettanto importante, tuttavia, è riconoscere le possibilità aper-
te dall’investimento/appropriazione del ruolo simbolico del materno

      32. Maria Janion, Niesamowita słowiańszczyzna. Fantazmaty literatury, Kraków,
Wydawnictwo Literackie, 2006; Elżbieta Ostrowska, Matki Polki i ich synowie. Kilka uwag
o genezie obrazów kobiecosci i męskosciw kulturze polskiej, in Gender, Konteksty, a cura di
Małgorzata Radkiewicz, Kraków, Rabid, 2004, pp. 215-227.
      33. Sul rimando simbolico fra la matka polka e la “madre di Dio”, Agnieszka Kościańska,
Twórcze odgrywanie Matki Polki i Matki Boskiej. Religia a symbolika macierzyńska w Polsce,
in Pozegnanie z Matka Polka?, pp. 147-161. Sull’ambigua e flessibile influenza di Maria
sull’immaginario contemporaneo cfr. fra gli altri Albrecht Koschorke, The Holy Family and its
Legacy: Religious Imagination from the Gospels to Star Wars, New Yortk, Columbia University
Press, 2000.
      34. Sulla connessione fra trasmissione culturale e biologica che si realizza attraverso la
madre, Nira Yuval-Davis, Gender and Nation, London, Sage Publications, 1997.
      35. Sull’ambigua eredità mazziniana cfr. Levis Sullam, L’apostolo a brandelli, p. XI.

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e della cura. Notava molto tempo fa Marina Warner, a proposito della
pervadente iconografia femminile nel contesto ottocentesco (in cui
figure femminili venivano utilizzate per rappresentare le maggiori
virtù della comunità politica post-rivoluzionaria, dalla Repubblica
alla Libertà alla Giustizia), che per quanto astratta fosse la presenza
femminile nella rappresentazione simbolica del politico essa aveva la
capacità di conferire valore e significato all’esperienza e al ruolo delle
donne, e di trarre valore da esso.36
     Nell’ottobre 2016, circa centomila donne polacche hanno aderito
allo Strajk kobiet (sciopero delle donne) proclamato per protestare
contro il tentativo di limitare ulteriormente il diritto all’aborto in un
Paese già caratterizzato da una delle leggi più restrittive d’Europa. Le
strade delle città polacche si sono riempite di donne in nero. Vestire il
lutto non era soltanto un modo per simboleggiare la perdita di un di-
ritto e il rischio che ciò avrebbe comportato per la salute delle donne.
Vestirsi di nero significava riappropriarsi di un immaginario che anda-
va al cuore del discorso patriottico così spesso invocato dalla destra al
governo, per sovvertirlo. Nella Polonia della partizione, vestirsi a lut-
to aveva rappresentato una forma di protesta contro l’occupazione e lo
smembramento del Paese, e una manifestazione virtuosa di maternità
patriottica. Nei cortei dell’ottobre 2016 gli abiti neri erano infram-
mezzati da cartelli colorati che rivendicavano il diritto delle donne a
decidere del proprio corpo, della propria sessualità e del proprio desti-
no. Contro l’iniziativa di un governo determinato a presentarsi come
vero interprete della nazione, le donne polacche riaffermavano l’idea
di appartenenza rifiutando al tempo stesso un’idea di virtù femminile
tutta costruita (da uomini) sul sacrificio, l’abnegazione e la rinuncia
al piacere.

4. La nostalgia dell’inesistente
     Fra i molti temi che si intrecciano nel discorso populista, e in
particolare nei populismi di destra, colpisce la nostalgia e il desiderio
di tornare a un passato mai esistito.37 Fanno parte di questo passato

      36. Marina Warner, Monuments and Maidens: The Allegory of the Female Form, New York,
Vintage Books, 1985, p. 277.
      37. Sul tema della nostalgia nei movimenti populisti contemporanei, si vedano, ad esempio,
Michael Kenny, Back to the Populist Future?: Understanding Nostalgia in Contemporary
Ideological Discourse, in «Journal of Political Ideologies», 22/3 (2017), pp. 256-273 e Michael
Skey, National Belonging and Everyday Life: The Significance of Nationhood in an Uncertain
Bernini, Saggio introduttivo                                                                  19

immaginario i confini solidi della nazione, il controllo degli Stati e
dei singoli sull’economia, una società più semplice e meno “liquida”
dell’attuale, strutturata intorno a presunte certezze sessuali e di genere
e popolata da immaginarie famiglie nelle quali mamme e papà sono
sempre presenti e svolgono ruoli organizzati secondo linee di autorità
chiare e incontrovertibili, vera fonte di ordine morale. L’analisi delle
origini e delle manifestazioni della paura nelle società contemporanee
sono molte.38 Vorrei qui limitarmi a suggerire che il riferimento alla
necessità di difendere la cosiddetta famiglia naturale all’interno del
discorso sovranista non rappresenta una risposta a un’ansia diffusa
rispetto allo stato delle famiglie contemporanee, ma solo l’ennesimo
tentativo di usare l’immaginario famigliare per dare forma a un dise-
gno politico, utile ad ancorare un progetto di trasformazione socio-
politica a un sentimento di nostalgico conservatorismo.
     Nella parte de I doveri dell’uomo dedicata ai Doveri verso la fa-
miglia, Mazzini descriveva la rottura dell’integrità dei legami fami-
gliari (quegli affetti che «vi si estendono intorno lenti, inavvertiti, ma
tenaci e durevoli siccome l’ellera intorno alla pianta»), come la perdi-
ta di uno stato di grazia impossibile da ricostruire. Inavvertibili finché
presenti, il venir meno degli affetti famigliari procurava un disagio
impossibile da sanare. Fuori dalla famiglia era possibile trovare «bre-
vi gioie o conforti», ma mai «il conforto supremo, la calma dell’onda
del lago, la calma del sonno della fiducia, del sonno che il bambino
dorme sul seno materno». C’era in questa descrizione la nostalgia per
la perduta infanzia e per uno stato di pace impossibile da riprodurre
nella vita adulta, il rimpianto per la protezione del grembo materno e
la proiezione di un’idea di famiglia come luogo di impareggiabile so-
lidarietà e conforto. Era un ideale, un desiderio nostalgico, formulato
nella separazione forzata dell’esilio. L’immagine evocata da Mazzini
era anche un bell’esempio di quelle che Gillis chiamava «le famiglie
attraverso le quali viviamo», famiglie immaginarie, costruite attra-
verso rituali pubblici e privati, spesso molto diverse dalle famiglie
“reali” nelle quali passiamo tanti giorni della nostra vita.39 Famiglie

World, Basingstoke, Macmillan, 2011. Fra i numerosi lavori dedicati alla “nostalgia” nel campo
della teoria politica, mi limito a segnalare l’ancora utile Brian Turner, A Note on Nostalgia, in
«Theory, Culture and Society», 4 (1987), pp. 147-156 e Svetlana Boym, Future of Nostalgia,
London, Basic Books, 2002.
       38. Cfr., ad esempio, Ruth Wodak, The Politics of Fear: What Right-Wing Populist
Discourses Mean, London, Sage Publications, 2015.
       39. Cfr. Gillis, A World of Their Own Making.

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immaginarie, che nascondono le fragilità, gli abusi, l’autoritarismo,
che hanno segnato la storia della “famiglia tradizionale” tanto rim-
pianta dai sovranisti.
     La famiglia più di altri campi del vivere incoraggia la nostal-
gia, l’idealizzazione e la costruzione di una mitologia del passato,
alla quale legare le ansie del presente. La storia e l’antropologia ci
hanno insegnato che la famiglia “naturale” non esiste e che la ricerca
di modi nuovi di fare ed essere famiglie segue la trasformazione so-
ciale. Contro l’ennesimo tentativo degli autoproclamati avvocati dei
valori famigliari di imporre una definizione unica di famiglia, mi pare
utile ribadire che ogni famiglia è costruzione, immaginazione, mito.
E che qualsiasi idea di famiglia è sottoposta a un costante processo di
revisione, critica, riaffermazione. Non vi è famiglia al di là di quello
che creiamo, e non vi è un mitico passato al quale tornare.
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