HA TRISTEZZA PER LA PERDITA DELLA CASA E VARIANO RITMI ED ABITUDINI

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Causa I.R.P.A.I. 33
   HA TRISTEZZA PER LA PERDITA DELLA CASA E VARIANO RITMI ED ABITUDINI
                           CONSOLIDATE IN ESSA

PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
Il malumore generato dall’abbandono della propria dimora può causare
inappetenza ed apatia verso il piacere di alimentarsi, sino a giungere alla
depressione. Anche la variazione dei propri ritmi ed abitudini, la diminuzione di
attività e la variazione degli orari nei quali l’ospite è solito consumare il cibo,
possono essere causa di rifiuto.
La struttura comunitaria socio-assistenziale tende ad organizzare le proprie ritualità
(igiene, pasti, messa a letto ecc.) seguendo uno schema organizzativo che sposi sia
le necessità e le risorse del servizio che le abitudini della media della popolazione
accolta, in modo tale da creare un ambiente quanto più simile possibile a quello
domestico e che sfrutti al contempo, nel migliore dei modi, i mezzi a sua
disposizione.
Ciò non esclude la possibilità che alcuni ospiti accolti non abbiano consolidato le
abitudini della media, e cioè possiedono ritualità non sempre perseguibili all’interno
di un’ottica di collettività.
L’adattamento dell’ospite alla struttura è una fase importante, che comincia
immediatamente all’accesso al servizio; purtuttavia, quando la discrepanza di
abitudini riguarda il pasto, il problema può richiedere maggiore urgenza ed essere
vitale, nel caso in cui il cibo e l’idratazione vengano ostinatamente rifiutati.

CASO:
La signora Agnese ha 88 anni, è istituzionalizzata da circa 20 giorni per decadimento
cognitivo e motorio, in assenza di una rete familiare sufficientemente presente per
prendersi cura dell’anziana.
All’ingresso l’ospite viene valutata lucida ed autonoma in quasi tutte le ADL,
seppure a volte richieda l’aiuto. Non viene formulata diagnosi di reale decadimento
cognitivo, fatto salvo per episodici momenti di disorientamento spaziale lieve che si
riconducono a demenza vascolare.
La paziente, che sin dall’ingresso ha sempre consumato una piccola porzione del
pasto, rifiuta da circa 48 ore tutto quello che le viene proposto, raccontando
esplicitamente di provare tristezza e dolore per la perdita della propria casa, alla
quale era affezionata e nella quale aveva consolidato abitudini ed orari che qui non
ritrova.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
Dato per assunto quanto ora riportato come causa dell’inappetenza, l’equipe
analizza il caso in U.o.i., giungendo alla conclusione che ad un processo di
adattamento alla struttura, Agnese necessita di un supporto più urgente per non
incorrere in malnutrizione e nelle conseguenze che il digiuno può avere su una
persona così anziana.
    - Variazione parziale dei ritmi in funzione delle abitudini consolidate: in via
         eccezionale, viene proposto il pasto secondo le ritualità tempistiche
descritte da Agnese, al fine di esaudire questa sua necessità, avere
          maggiore probabilità di far coincidere il pasto con un momento di fame
          della signora ed avviare un processo di adattamento più “dolce”;
      - Creazione di uno spazio personale dove consumare il pasto: qualora lo
          richiedesse, ad Agnese viene dato il permesso di consumare alimenti in
          stanza od in altri luoghi da lei scelti nella struttura. Questa misura non
          sarebbe possibile in caso di disfagia o voracità;
      - Progetto Orto e terapia occupazionale: l’ospite viene coinvolta nella
          terapia occupazionale del “Progetto orto”, nel quale trova conforto, fatica
          stimolante il sonno e l’appetenza, nonché una stimolazione olfattiva e di
          reminiscenza;
      - Visite al domicilio e gite gastronomiche: se non ritenuti fattori di
          scompenso, Agnese verrà condotta alla propria ex-abitazione, cogliendo
          l’occasione di consumarvi il pasto o di effettuare “spuntini” nel percorso. È
          stata coinvolta in uscite al ristorante, nelle quali si è dimostrata serena,
          mangiando con soddisfazione;
      - Progetto corrispondenza, coinvolgimento familiari: in queste attività un
          ruolo chiave è stato svolto dai familiari, che hanno permesso una visione
          dell’istituto più “domestica”, tenendo peraltro piacevolmente occupata
          Agnese nel contattare telefonicamente parenti lontani, cosa trascurata a
          domicilio e valore aggiunto della nuova ritualità quotidiana in questo
          setting;
      - Se previsto, supporto di trattamento farmacologico: anche se non
          riguarda questo caso, è lecito ricordare che il dolore legato alla perdita
          della casa può non essere un evento diretto bensì secondario a sindrome
          depressiva, in supporto del cui trattamento può essere prescritta dal
          medico una terapia farmacologica.
Gradualmente Agnese si è inserita in struttura, pur non riducendo il dolore legato ai
ricordi della sua vecchia dimora, così intensi da scoraggiarne un’eventuale visita. Di
contro, le uscite al ristorante si sono dimostrate utili e coinvolgenti interrompendo
il digiuno, che già in realtà andava riducendosi variando le cadenze dei pasti.
La settimana successiva è cominciato anche il progetto “Cura della terra a distanza”
e gratificata dal fatto che le proprie erbe aromatiche insaporissero il pranzo dei
colleghi istituzionalizzati, la signora Agnese è tornata stabilmente ad assumere tra le
1000 e le 1200 calorie/die, accettabile per un’anziana seduta la maggior parte della
giornata.
La tempestività ed il successo dell’intervento prevengono l’insorgenza di
decadimento generale da malnutrizione, stipsi, piaghe da decubito o l’inserimento
di fleboclisi e catetere vescicale per stimolare la diuresi. Da quando poi lo spazio
orto è stato curato con l’intervento della signora, anche il suo benessere è
migliorato ed ella appare più motivata a sforzarsi di mangiare pur non percependo
appetito.
Una riflessione: è chiaro che una persona non possa sopravvivere di assaggi un
giorno la settimana o delle verdure raccolte una volta l’anno: queste strategie
vanno appunto modulate e pianificate con il supporto della famiglia e cercando di
diversificare i risultati in modo tale da avere almeno due-tre momenti di assaggio
piacevole quotidianamente (ad esempio la preparazione dell’alimento la mattina,
non solo in attività, che viene riproposto a pranzo; per cena si utilizzerà qualcosa
descritto come proveniente dall’orto di casa ma ancora insoddisfacente, cercando
consigli nell’anziano). I condimenti delle pietanze si può dire provengano dalle cure
dell’orto o offerti da un singolo (es. la pasta di oggi è condita col pesto del basilico di
Armando, l’origano sulla carne proviene dal terrazzo della signora Maria ecc.).
Ad avvenuto adattamento alla struttura, non sono più comparsi episodi di rifiuto del
pasto.

In conclusione:

  L’anziano istituzionalizzato può rifiutare il cibo per inappetenza derivante dalla
   tristezza della perdita della casa e per la repentina variazione dei ritmi e delle
     abitudini alimentari consolidate nel vissuto. In questi casi si rivela utile un
           cambiamento graduale degli orari dedicati al pasto, concedendo
 momentaneamente di consumare liquidi e pietanze secondo le proprie ritualità,
 scegliendo tra le stesse quelle che appaiono maggiormente familiari per qualità,
  consistenza e preparazione, e prospettando uno spazio a sé dedicato. In caso di
diagnosticata depressione e se previsto dal medico, è possibile intraprendere una
     terapia farmacologica. Indipendentemente da ciò, è necessario instaurare
      nell’ospite una nuova e gradevole quotidianità, coinvolgendolo in attività
  occupazionali strutturate (possibilmente se riguardanti il cibo, come laboratori
culinari o la cura dell’orto). È auspicabile, in queste attività, il coinvolgimento dei
      familiari in modo da fare dell’istituto un nuovo setting riconoscibile e non
deprivato dagli affetti. Gli stessi possono essere membri attivi in visite esterne che
     prevedano il consumo di un pasto (es. al bar, rinfreschi in mostre e, se non
 scompensante, nella casa stessa). È possibile accentuare il legame con l’esterno,
        la cui perdita è in questo caso fonte di tristezza, anche con “progetti di
 corrispondenza” nei quali l’ospite telefona o scrive ai conoscenti, qualora vi trovi
                                         conforto.

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    HA PERSO AUTOSTIMA: È MORTIFICATO NELL’ESSERE IMBOCCATO E NELLA
                       PERDITA DELL'AUTONOMIA
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PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
Come visto in precedenza nelle fasi di accettazione nell’anziano del sé e della
condizione di istituzionalizzato, egli può non accogliere la consapevolezza della
riduzione delle proprie autonomie, sentendosi abbattuto ed umiliato sino a voler
evitare le situazioni nelle quali la percepisce maggiormente. In primis, l’atto di
essere imboccato (qualora necessario) può provocare estremo sconforto ed
umiliazione se la procedura viene svolta in ambiente collettivo, previsto in struttura
comunitaria, con conseguente avulsione del momento e digiuno.

CASO:
Il signor Tancredi ha 78 anni, è istituzionalizzato da circa due mesi con provenienza
da un’altra struttura, nella quale abitava da un anno. Presenta ipotonia con
decadimento motorio; non compromesso sotto l’aspetto cognitivo, è costretto in
carrozzina polifunzionale. Viene segnalato al logopedista per disturbi legati
all’alimentazione.
Alla valutazione, l’ospite (che assume dieta libera in sicurezza) non presenta alcun
segno di disfagia. Emergono tuttavia scarsissime autonomie: l’anziano va imboccato
poiché eccessivamente deficitato nei movimenti degli arti superiori. Dal follow-up
effettuato in equipe, si evince che con grande probabilità il signor Tancredi abbia
gradualmente rinunciato al compito di alimentarsi poiché mortificato dalla
necessità dell’esecuzione diretta da parte del personale in tutte le ADL: il paziente
riferisce verbalmente di avere nostalgia della propria vita passata, nella quale era
molto attivo (operaio agricolo) e di provare inappetenza poiché il momento del
pasto gli ricorda marcatamente la sua condizione.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
Al fine di creare un rinforzo positivo legato alla nutrizione, si applicano le strategie
ricercate nel caso 15 (“Masticazione e deglutizione richiedono sforzo fisico, è pigro
o ha ridotte autonomie”), riadattate alla contingenza:
     - Riabilitazione delle prassie aass ed orali: l’ospite viene inserito in un ciclo
          di trattamento individuale logopedico ed FKT, mirato al rinforzo della
          muscolatura splancnocranica e degli arti superiori;
     - Consumo di piccoli pasti durante la riabilitazione: durante il trattamento,
          sono stati proposti piccoli boli presentati come elemento centrale
          dell’attività. Gli stessi sono stati assunti. Si è dunque passati,
          successivamente, al bicchiere con l’acqua, che ha permesso l’idratazione
          ed il lavoro specifico attorno all’atto del bere;
     - Dilazionare il pasto in base alla quantità assumibile dall’ospite:
          parallelamente all’iter, il signor Tancredi ha ricevuto piatti
          quantitativamente ben strutturati durante i pasti, nella misura che si è
          calcolato essere coerente al livello gradualmente raggiunto, senza forzare il
          compito per non indurre scoraggiamento;
-     Eventuale variazione di consistenza ed uso di ausili facilitanti:
          inizialmente è stato necessario fornire all’ospite un bicchiere con tappo per
          rendere più efficace la suzione e ridurre la fatica della prassia. Nei
          momenti nei quali l’anziano è apparso veramente inabile e stanco, ha
          accettato l’imbocco, nella consapevolezza che tale procedura sarebbe stata
          limitata alla circostanza contingente;
     - Elezione di alcune figure con le quali si crei un legame di fiducia: come
          prevedibile, continueranno a sussistere giornate nelle quali l’ospite
          necessiti di aiuto. In questi casi può essere utile eleggere una figura che
          sostenga il paziente, verso la quale egli abbia maggiore fiducia e
          confidenza, riducendo il malessere. Il conduttore dell’imbocco può dunque
          diventare un familiare o un operatore, a seconda della scelta;
     - Setting inizialmente chiuso: il pasto, a questo punto, viene consumato
          tramite assistenza diretta (elemento scompensante ma necessario) o
          guidato nella prassia con tempi lunghi. In entrambi i casi, il signore può
          sentirsi imbarazzato se in presenza di osservatori, dunque è consigliabile
          che la nutrizione si svolga in un setting isolato da agenti che possano
          inibirlo. Altresì, se ciò fosse ulteriore motivo di ansia, perplessità o senso di
          inadeguatezza, si può scegliere di proseguire la permanenza in sala da
          pranzo;
     - Psicoterapia: la figura dello psicologo è essenziale in questo percorso
          delicato, nel quale l’attenzione è spiccatamente focalizzata proprio su ciò
          che disagia il paziente. Il professionista avrà il compito di monitorare lo
          stato emotivo dell’anziano, lavorando sulla cooperazione e
          sull’approvazione delle proprie limitazioni.
L’ospite ha collaborato consumando quanto proposto in sede riabilitativa,
interrompendo il digiuno. Il signor Tancredi ha poi raggiunto e mantenuto una
maggiore autonomia, senza presentare nuovamente comportamenti di rifiuto del
cibo anche grazie all’accettazione della propria condizione tramite colloqui
individuali con lo psicologo. Quando non è stato possibile evitare l’imbocco,
l’assistenza è stata svolta dai familiari o da un operatore col quale il signore ha
costruito un rapporto di fiducia, seppure dentro la propria camera.

In conclusione:

  L’anziano può rifiutare il cibo quando vive il momento del pasto come fonte di
   mortificazione ed umiliazione, nell’essere imboccato o nel dimostrare scarse
                                      autonomie.
 In questi casi, per interrompere il digiuno, è necessario far riacquistare all’ospite
    fiducia in sé, intraprendendo un iter FKT riabilitativo delle prassie degli arti
    superiori ed orali, finalizzato ad aumentare l’autogestione giudicata per sé
dignitosa, e coinvolgendo il servizio di psicologia per stimolare l’accettazione della
   propria condizione. Il cibo stesso può essere usato come strumento durante il

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trattamento, aumentando dunque l’introito idrico e calorico trasversalmente. Il
 piatto presentato dovrà avere una quantità di pietanze coerente con la capacità
    contingente del paziente, che qualora lo accettasse potrà essere supportato
  momentaneamente con ausili facilitanti come posate ad impugnatura spessa o
 bicchieri cuffiati. Se non si apprezzasse un risultato e non vi fosse altra soluzione
rispetto all’imbocco, esso può essere effettuato da figure del personale o dei care-
        givers (es. familiari) coi quali abbia instaurato un rapporto di stima e
    collaborazione, concedendone l’aiuto; si consiglia la valutazione attenta del
  seeting, generalmente chiuso per evitare che l’anziano possa sentirsi giudicato,
   rivalutando qualora ciò diventasse fonte di isolamento e di rinforzo negativo.

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DEPRESSIONE ED EVENTI STRESSANTI CON COMPORTAMENTO DI APATIA VERSO
                               IL CIBO

PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
Il disturbo depressivo è una patologia psichiatrica, caratterizzata da episodi di
umore depresso accompagnati principalmente da una bassa autostima e perdita di
interesse o piacere nelle attività normalmente gradevoli.
Nell’anziano, istituzionalizzato e non, essa può riemergere se presente nel vissuto o
comparire come secondaria a malattie psichiatriche, neurologiche, organiche o
iatrogene (dovute all’effetto di farmaci), nonché essere la summa derivante da
cattivi stili di vita indotti dalle abitudini consolidate ma anche dalla condizione di
senilità quali privazione del sonno, deprivazione sensoriale, dieta ipocalorica o
cattiva alimentazione, malnutrizione, stile di vita sedentario, abuso di alcol e fumo.
Esistono diverse forme di depressione e di classificazione delle stesse. Alcune tra le
primarie possono coinvolgere l’anziano a prescindere dalla presenza di
decadimento cognitivo, e vengono sotto riportate.
      - Depressione reattiva: è dovuta ad un evento scatenante come un lutto od
           un fallimento, cosa che l’anziano può percepire ad esempio nella
           consapevolezza del proprio corpo e della riduzione delle sue capacità. A
           differenza della fase fisiologica che consegue all’evento, i sintomi qui si
           dimostrano eccessivamente intensi e prolungati rispetto alla causa
           scatenante. Al suo interno si possono collocare i "disturbi
           dell'adattamento" e le "reazioni da lutto" o perdita/abbandono;
      - Depressione endogena: non è riconducibile ad eventi scatenanti consci o
           semiconsci come nel caso della depressione reattiva, ma a cause genetico-
           biologiche o inconsce presenti nella personalità del paziente, che nella
           demenza possono riemergere pesantemente;
      - Depressione psicotica: è una forma grave di depressione nella quale ai
           sintomi depressivi si associano quelli tipici delle psicosi come ad esempio
           deliri.
La dottoressa Francesca Colli (OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI) riporta nel suo
articolo      “La     depressione     nell’anziano:    definizione     e  trattamento”
(http://www.stateofmind.it/2015/09/depressione-anziano) che “la depressione è
una patologia molto diffusa nella popolazione anziana (>65 anni) con una
prevalenza che si identifica tra l’1% e il 35% (Djerneset al., 2006). Questa condizione
si presenta in particolar modo tra le persone che risiedono in case di riposo o in
istituti di lungodegenza (Covinsky et al., 1997). Un indice così elevato di prevalenza
è riconducibile a un’aumentata vulnerabilità dell’anziano sul piano biologico e
psicosociale (lutti e perdite) che si accompagna a un conseguente decremento
dell’autostima e del supporto familiare e sociale. Nel Manuale Statistico e
Diagnostico-5 edizione (DSM-5) i disturbi depressivi citati sono: depressione
maggiore, disturbo depressivo persistente (distimia), disturbo disforico

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premestruale, depressione associata a patologie mediche generali o associata
all’uso di farmaci e depressione con altra specificazione”.
Il rifiuto del cibo, anche nell’anziano, può essere un sintomo dell’Anedonia della
depressione, vale a dire la perdita e l'incapacità di provare piacere verso qualsiasi
attività, comprese circostanze ed azioni normalmente gradevoli come appunto il
nutrirsi.
Anche se l’apatia verso il cibo è osservabile con apprezzabile frequenza nella
popolazione anziana istituzionalizzata, vi è controversia riguardo alla realtà di
questo dato, che però in questo studio daremo lo stesso per assunto.

CASO:
La signora Antonia ha 85 anni, è istituzionalizzata da uno e mezzo per decadimento
motorio e riduzione delle autonomie (soprattutto quelle legate alle ADL).
L’alimentazione si mantiene autonoma e conservata. L’ospite risulta lucida ed
all’apparenza priva di qualsiasi deterioramento cognitivo, dato verificato non solo
dalla valutazione del servizio di psicologia e da una TAC eseguita dopo un urto
accidentale con sollevatore, ma anche dall’attività linguistica cui partecipa
dimostrando un buon lessico, conservato orientamento spaziale e temporale e la
memoria.
Lo storico della signora rivela una depressione (in trattamento con terapia
farmacologica) manifestata dopo diversi eventi luttuosi, tra i quali la perdita
dell’unica figlia e del cognato in incidente stradale (distante circa 20 anni da oggi) e
successivamente del nipote per una sindrome genetica rara.
Per la prima volta dall’istituzionalizzazione Antonia ha un momento di depressione
marcato, con pianto e volontà di rimanere a letto. Non assume il pasto da circa 5
giorni, idratazione compresa, costringendo il medico alla scelta di fleboclisi. Ad oggi
i tentativi di somministrare qualsiasi pietanza sono risultati vani, e nell’ospite
compaiono i primi segni di sofferenza legati al digiuno, quali stipsi, confabulazione e
perdita di peso.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
L’equipe valuta urgentemente il caso. Si avanzano due ipotesi per tentare di
interpretare la slatentizzazione della depressione, quali:
     - Perdita improvvisa di efficacia della terapia, forse per assuefazione al
          farmaco e dunque dose insufficiente;
     - Insorgenza di demenza e/o di disturbo vascolare;
     - Concomitanza con eventi stressanti.
La signora viene inviata a valutazione psichiatrica, dalla quale emerge l’invito di
aumentare la dose del farmaco antidepressivo nella consapevolezza degli eventuali
effetti collaterali (euforia o al contrario assopimento); viene però descritta come
poco probabile l’insorgenza di un disturbo vascolare, dalle indagini strumentali e
dalle valutazioni cognitive.
Col servizio di psicologia si intervistano i conoscenti della signora, scoprendo che in
questo periodo dell’anno ricorre l’anniversario degli eventi tragici che hanno
compromesso per sempre la serenità di Antonia.
Da ciò si può ipotizzare con buona probabilità di certezza che il rifiuto del pasto è
causato da una depressione reattiva, slatentizzata e dalla durata di free-falling non
prevedibile, che porta ad inappetenza ed apatia verso i piaceri nonché a
trascuratezza del sé.
Il problema viene affrontato con le procedure e strategie che seguono.
     - Variazione della terapia farmacologica antidepressiva: il medico studia il
         dosaggio ed eventualmente il cambio del farmaco stesso, considerando
         tutte le patologie ed i disturbi evidenziabili nel quadro clinico e valutando
         le possibili interferenze con esse. La variazione della terapia richiede
         sicuramente tempo anche dopo la scelta, poiché è necessario rispettarne il
         periodo di azione, osservarne gli effetti e lo smaltimento in caso di
         inefficacia, prima di tentare un nuovo approccio iatrogeno;
     - Psicoterapia cognitivo-comportamentale: il servizio di psicologia prende in
         carico la signora Antonia per affrontare un percorso di psicoterapia
         cognitivo-comportamentale che, pur essendo applicabile anche nell’età
         senile secondo gli adattamenti illustrati nella letteratura scientifica della
         psicogeriatria, risulta apparentemente “canonico” vista l’assenza di
         demenza nell’ospite. La terapia cognitivo-comportamentale in questo caso
         segue l’approccio di Karasu (1997, argomentato da Marangoni & Lodi,
         2015) cogliendo il criterio psicodinamico (descritto da Adriano Legacci,
         2014) ed alcune indicazioni terapeutiche specifiche per la cura della
         depressione in una prospettiva psicoanalitica (Mc Williams, 1994) che
         utilizza specifiche tecniche cognitivo comportamentali (Valeria Palano,
         2016). La premessa cita testualmente “Sara Ghezzer, Sara Pedroni, OPEN
         SCHOOL STUDI COGNITIVI BOLZANO”: quando si lavora con gli anziani, ci
         sono alcuni temi e fattori legati all’età che possono emergere con
         maggiore frequenza e che, quindi, richiedono modifiche al “contenuto”
         della terapia. La psicoterapia per gli anziani può prevedere la
         rappresentazione anche grafica di quello che si andrà a svolgere, e
         permette di favorire la comprensione dei contenuti e di elaborarli con
         maggiore facilità; permette inoltre di ridurre l’ansia che spesso l’anziano
         presenta nell’affrontare qualcosa di ignoto, e che pazienti giovani/adulti e
         adolescenti di solito non manifestano.
         Una volta accettata la collaborazione dell’ospite, la psicologa comincia il
         complesso iter (meglio descritto nel capitolo che segue) per affrontare la
         depressione della signora e compensarne i momenti di squilibrio. In questa
         sede si anticipano alcune attività trasversali, quali le due che seguono e la
         stimolazione sensoriale ed affettiva tattile che prevede contatti, massaggi
         rilassanti e carezze atte a perseguire il benessere del paziente,
         incentivando un senso di rassicurazione.

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-     Ricerca di un obiettivo da perseguire e di un ruolo gratificante a livello
          occupazionale: Antonia viene coinvolta in attività manuali ben finalizzate
          ad un obiettivo specifico, come la costruzione di maschere da regalare ai
          bambini che faranno visita in struttura a Carnevale e l’imbocco della
          compagna di stanza, affetta da emiplegia e rallentamento motorio.
          Inizialmente l’ospite rifiuta il compito, come prevedibile, ma facendo leva
          sull’importanza del suo aiuto e l’empatia verso l’accudimento, accetta
          gradualmente di eseguire dapprima feeding e poi l’attività occupazionale.
          In principio, tale “compromesso” sembra vissuto dall’ospite come
          obbligato, ma lentamente si nota più disinvoltura e soddisfazione.
      - Ricerca di alimenti gradevoli ed evocativi di benessere: le pietanze
          proposte alla signora, che continua ostinatamente ad essere inappetente
          ed a rifiutare il pasto, sono pensate come reminiscenti di momenti della
          vita gradevoli. Infatti si scopre la golosità verso frittelle adatte al contesto
          della festività, che la signora aiuta a preparare coinvolta in un laboratorio
          di cucina, mentre per l’idratazione viene scelto il thè caldo ai frutti di bosco
          e dunque di colore rosso (a ricordare il vino), consegnato in contesto ludico
          e sereno.
La variazione della terapia farmacologica ha avuto nella paziente effetti iatrogeni di
deficit nella vigilanza e tono dell’umore altalenante, che hanno reso difficile
l’approccio immediato da parte del personale (psicologa, educatore professionale,
logopedista, operatore ecc.) eletto a conduttore di attività. Si intraprese in primis la
terapia psico-cognitiva all’avvenuta stabilizzazione del quadro. A mano a mano che
la combinazione tra il giusto trattamento farmacologico e psicologico ha dato
risultati positivi, l’ospite è stata inserita nelle attività occupazionali sopra citate
(feeding alla compagna di stanza, ricerca di alimenti gradevoli e preparazione degli
stessi in laboratorio gastronomico, costruzione di oggetti per le feste con bambini
ecc.), portando al graduale instaurarsi di una nuova quotidianità serena, strutturata
per prevenire e compensare nuovi episodi depressivi.
Ad oggi, per quanto l’umore della signora rimanga instabile e vada incontro
ciclicamente a periodi di scompenso emotivo, non si è più presentato un digiuno
totale, ed anche quando compare rifiuto esso è parziale: alla peggiore Antonia
ammette comunque liquidi, integratori e spuntini nella dieta.
Pur non risolvendo il problema di base (consolidato dal vissuto e dagli schemi della
paziente) è possibile prevedere con buona probabilità di successo che ella non
andrà incontro a disidratazione o malnutrizione.

ESTENSIONE DEL CASO:
Nel caso della signora Antonia, la depressione non ha portato alla comparsa di
disfagia esofagea psicogena, ma questa evoluzione può essere frequente e viene
trattata nel capitolo ad essa dedicato. Un quadro simile, vale a dire di ipotetica
depressione con rifiuto del cibo come conseguenza della perdita del piacere,
dell’apatia e di pensieri autodistruttivi può essere osservabile anche nella demenza,
che se grave non permette il trattamento psicoterapico con medesima garanzia di
efficacia rispetto al paziente lucido. In questi casi alla terapia farmacologica di
stampo antidepressivo, antipsicotico o ansiolitico, si possono associare lo stesso
attività occupazionali, culinarie e di proposta di pietanza gradevoli ed evocative
finalizzando il tutto all’obiettivo di riattivare la funzione dell’alimentazione,
mentre risulta vana la strutturazione di obiettivi da perseguire a causa delle carenze
legate alla memoria. La stimolazione sensoriale tattile invece può essere arricchita,
al pari del trattamento per le disfagie esofagee psicogene negli ospiti appunto
dementi, con la costruzione del setting Snoezelen, che al di là di avere la funzione di
tranquillizzare l’ospite con deterioramento cognitivo può “distrarlo” dallo stato
depressivo, concentrando momentaneamente la sua attenzione su esorti di natura
principalmente visiva o uditiva, nel contesto della camera sensoriale.

In conclusione:

         Il rifiuto del cibo nell’anziano può essere un sintomo dell’Anedonia della
 depressione, vale a dire la perdita e l'incapacità di provare piacere verso qualsiasi
  attività, comprese circostanze ed azioni normalmente gradevoli come appunto il
                                            nutrirsi.
      Il problema negli ospiti sufficientemente lucidi può essere affrontato con la
          disposizione (instaurazione o variazione) di una terapia farmacologica
     antidepressiva da parte del medico, combinata a psicoterapia condotta dal
          servizio di psicologia. Quest’ultima, generalmente di stampo cognitivo-
        comportamentale, può seguire gli adattamenti illustrati nella letteratura
      scientifica della psicogeriatria ad esempio con l’approccio di Karasu (1997,
    argomentato da Marangoni & Lodi, 2015), cogliendo il criterio psicodinamico
 (descritto da Adriano Legacci, 2014) ed alcune indicazioni terapeutiche specifiche
     per la cura della depressione in una prospettiva psicoanalitica (Mc Williams,
                                             1994).
   A ciò può essere associata una stimolazione tattile, sensoriale ed affettiva, che
  prevede contatti, massaggi rilassanti e carezze atte a perseguire il benessere del
   paziente, incentivando un senso di rassicurazione. Di grande utilità si è rivelata
   essere anche la ricerca di un obiettivo da perseguire e di un ruolo gratificante a
livello occupazionale, come feeding ed attività manuali. È possibile infine ricercare
       alimenti gradevoli ed evocativi di benessere per l’ospite, che può aiutare a
                        preparare, coinvolto in un laboratorio di cucina.
Il tutto è applicabile quando non compaiono segni di disfagia esofagea psicogena,
                                  evoluzione spesso frequente.
         Nell’anziano con demenza, invece, alla terapia farmacologica di stampo
  antidepressivo, antipsicotico o ansiolitico, si possono associare lo stesso attività
         occupazionali, culinarie e di proposta di pietanza gradevoli ed evocative
     finalizzando il tutto all’obiettivo di riattivare la funzione dell’alimentazione;
    infatti, se il deterioramento cognitivo è grave, il deficit nella memoria e nella
         comprensione linguistica non permette il trattamento psicoterapico con
      medesima garanzia di efficacia rispetto al paziente lucido. La stimolazione
                                          11
sensoriale tattile invece può essere arricchita con la costruzione del setting
   Snoezelen, che al di là di avere la funzione di tranquillizzare l’ospite con
     decadimento può “distrarlo” dallo stato depressivo, concentrando
momentaneamente la sua attenzione sugli elementi della camera sensoriale.

                           Causa I.R.P.A.I. 36
    SCEGLIE DI “RIFIUTARE LA VITA”, VUOLE ACCELERARE LA DIPARTITA
PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
L’anziano (istituzionalizzato e non) può scegliere il digiuno come strumento per
rifiutare la vita, con l’obiettivo di morire. Tale evento, spesso legato ad uno stato
depressivo, può essere marcatamente consapevole delle proprie conseguenze, e si
manifesta in anziani che mantengono totale o parziale lucidità. Il rifiuto alla vita
tramite allontanamento del cibo, negli ospiti ipomobili, può essere interpretato
come una forma di suicidio in assenza della capacità dell’ospite di causare la propria
morte in modo più immediato.

CASO:
La signora Grazia ha 91 anni, è istituzionalizzata da 12 nella medesima struttura,
proveniente da domicilio. Per decadimento motorio e grande affaticabilità,
trascorre 1/3 della sua giornata in carrozzina basculata Ormesa, mentre il resto del
tempo è a letto. Conserva lucidità e non presenta segni dementigeni. Aiutata nel
movimento del portare il bolo alla bocca, ha sempre assunto dieta libera, vista
l’assenza di inferenze sanitarie e di disfagia. Possiede protesi dentale congruente.
Da circa una settimana rifiuta il cibo, serenamente e con garbatezza, asserendo di
non aver più voglia di vivere.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
Il caso viene valutato in equipe, coordinata dal servizio di psicologia, che smentisce
dalla valutazione l’insorgenza di un disturbo cognitivo. La signora, infatti, mantiene
un’alta prestazione ai test, e spiega con consapevolezza la sua scelta di voler morire.
Anche le argomentazioni sono chiare: l’assenza di una famiglia (che non possiede,
se non alla lontana) e di stimolazioni non le danno ragione di svegliarsi la mattina,
come testualmente riportato. Non si sente offesa né in collera col personale,
ciononostante continua a riferire di non voler ricevere aiuto e che la quotidianità,
per quanto strutturata in attività, non le interessa né saprebbe indicare cosa
potrebbe piacerle.
L’equipe affronta dunque una discussione etica, ragionando sul fatto se sia lecito o
meno intervenire in una scelta tale. L’amministratore di sostegno, convocato per
prepararlo all’eventualità di una NA (SNG o PEG in base alle future capacità di
recupero); egli afferma di non voler imporre la nutrizione artificiale, scelta non
obiettata dal team di lavoro vista l’età della signora.
Grazia viene comunque giudicata in una fase depressiva, per definizione, ed
indipendentemente dall’eticità di assecondare o meno un pensiero autodistruttivo,
si affronta la strada intrapresa nel capitolo precedente per tentare di approcciare
un’accettazione del pasto:
     - Variazione della terapia farmacologica antidepressiva;
     - Stimolazione sensoriale ed affettiva tattile (alla quale la signora non
          intende partecipare);
     - Ricerca di un obiettivo da perseguire e di un ruolo gratificante a livello
          occupazionale: qualche risultato nel maggiore coinvolgimento della vita di

                                          13
reparto si è potuto apprezzare durante le visite religiose e delle scuole, con
         discreto interesse nella costruzione di piccoli regali da donare ai visitatori;
     - Ricerca di alimenti gradevoli ed evocativi di benessere: le pietanze
         proposte alla signora, che continua ostinatamente a rifiutare, difficilmente
         vengono assaggiate. Unico episodio nel quale Grazia si sia dimostrata
         propositiva nel mangiare è stato con crema di lenticchie, piatto della sua
         infanzia che la signora ha aiutato a preparare in un laboratorio di cucina.
Ruolo principe del trattamento è stato però quello della terapia psicogeriatrica di
stampo cognitivo-comportamentale.
Come ricorda Karasu (1997), il trattamento previsto dalla psicoterapia supportiva
per la cura della depressione include, oltre agli aspetti sopra descritti, anche
specifiche funzioni terapeutiche:
     - Promuovere il mantenimento della vigilanza nell’ambito dell’emergenza
         degli impulsi distruttivi diretti a sé o agli altri;
     - Dissuadere il paziente dall’intraprendere grandi cambiamenti di vita che
         potrebbero essere basati sullo stato depressivo;
     - Aiutare il paziente a sostenere il suo stato d’animo e a raggiungere una
         prospettiva più ottimistica rafforzando aspettative di aiuto e di speranza
         per il futuro;
     - Ottenere il supporto di altre persone che fanno parte della rete sociale
         del paziente, che in questo caso, in assenza di famiglia, risiedono in
         conoscenti più giovani. Il deterioramento delle relazioni interpersonali è
         infatti una componente integrante della malattia;
     - Porre traguardi che siano realistici e raggiungibili per il paziente per non
         diminuire ulteriormente il già scarso senso di competenza e la stima di sé.
         In questo caso, si ricordano i lavoretti manuali che saranno “dono” per
         bambini, che li riceveranno direttamente da Grazia. Esso è inoltre un
         incoraggiamento del paziente a cercare nuove piccole esperienze di
         successo, prendendosi una sorta di impegno con il mondo esterno.
L’approccio psicodinamico (Adriano Legacci, 2014) integra il proprio modello di
intervento per la cura della depressione anche con una versione più supportiva si
propone di alleviare i sintomi presenti, riducendo i vantaggi secondari della malattia
ed aiutando il paziente ad adattarsi alle circostanze della vita ed agli eventi
stressanti (Karasu, 1997).
Mc Williams (1994) fornisce alcune indicazioni terapeutiche specifiche per la cura
della depressione in una prospettiva psicoanalitica. Si individua come elemento
fondamentale nel corso della cura della depressione, in un’ottica psicoanalitica, la
creazione di un’atmosfera di accettazione non giudicante, rispetto ed impegno alla
comprensione del soggetto; il terapeuta deve porsi l’obiettivo centrale di analizzare
costantemente nel soggetto la sottostante aspettativa di un inevitabile rifiuto e di
comprendere gli sforzi impiegati ad essere “buono” nel tentativo di prevenirlo (Mc
Williams, 1994).
Con tali presupposti, la terapia cognitivo-comportamentale (Marangoni & Lodi,
2015) per la cura della depressione mediante un approccio breve e standardizzato
utilizza specifiche tecniche cognitivo comportamentali (Valeria Palano, 2016) e si
propone di ridurre i sintomi del paziente, inducendolo a riconoscere i pensieri
autodistruttivi (Karasu, 1997).
In seguito alla psicoterapia, la signora Grazia torna ad accettare una piccola parte
del pasto, integrato con prodotti ipercalorici in modo da rendere sufficiente
l’apporto assunto. Tale situazione si è mantenuta e stabilizzata, scongiurando il
rischio di malnutrizione.

In conclusione:

 Il rifiuto del cibo nell’anziano lucido può essere una scelta consapevole di ripudio
     alla vita, con l’obiettivo di accelerare la morte. Tale problema va affrontato
  similmente al rigetto del pasto nel paziente depresso, indipendentemente dalla
 natura (patologica o meno) dell’evento e della discussione etica sulla legittimità
                     di assecondare o no una volontà di questo tipo.
    Il training atto a far accettare il pasto può iniziare, a seconda della scelta del
         medico, con la disposizione (instaurazione o variazione) di una terapia
 farmacologica antidepressiva, combinata a psicoterapia condotta dal servizio di
  psicologia. Quest’ultima, generalmente di stampo cognitivo-comportamentale,
         può seguire gli adattamenti illustrati nella letteratura scientifica della
      psicogeriatria ad esempio con l’approccio di Karasu (1997, argomentato da
Marangoni & Lodi, 2015), cogliendo il criterio psicodinamico (descritto da Adriano
     Legacci, 2014) ed alcune indicazioni terapeutiche specifiche per la cura della
           depressione in una prospettiva psicoanalitica (Mc Williams, 1994).
Tale percorso può prevedere: esami di realtà, promozione del mantenimento della
       vigilanza nell’ambito dell’emergenza degli impulsi distruttivi, dissuasione
  dall’intraprendere grandi cambiamenti basati sullo stato emotivo contingente,
 sostegno dello stato d’animo, raggiungimento di una prospettiva più ottimistica
 (ottenendo magari il supporto di altre persone che fanno parte della rete sociale
   del paziente), proposta di traguardi che siano realistici e raggiungibili (nonché
 stimolanti ed adatti al setting di un anziano istituzionalizzato, come la creazione
       manuale di piccoli doni per i visitatori), incoraggiamento a cercare nuove
     esperienze di successo (sempre contestualizzate, quali la consegna del dono
stesso, da sé costruito) ed infine la riduzione dei sintomi del paziente, inducendolo
                         a riconoscere i pensieri auto-distruttivi.
   Se il pasto verrà parzialmente accettato, è importante integrare l’assunto con
    prodotti ipercalorici per renderlo sufficientemente nutriente. A ciò può essere
  associata una stimolazione tattile, sensoriale ed affettiva, che prevede contatti,
       massaggi rilassanti e carezze atte a perseguire il benessere del paziente,
     incentivando un senso di rassicurazione. Di grande utilità si è rivelata essere
  anche la ricerca di un obiettivo da perseguire e di un ruolo gratificante a livello
       occupazionale, già citati. È possibile infine ricercare alimenti gradevoli ed
                                         15
evocativi di benessere per l’ospite, che può aiutare a preparare, coinvolto in un
                                 laboratorio di cucina.
Il tutto è applicabile quando non compaiono segni di disfagia esofagea psicogena,
                              evoluzione spesso frequente.
      Questo tipo di iter è suggerito per persone lucide, poiché nell’anziano con
   demenza, invece, è molto difficile l’interpretazione certa di un rifiuto del pasto
   come una volontaria negazione della vita (forma di suicidio) a causa dei deficit
                     comunicativi, di memoria e di comprensione.

                            Causa I.R.P.A.I. 37
 SI RISCONTRA PREGRESSA O ATTUALE ANORESSIA E/O MALATTIA PSICHIATRICA
PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
La malnutrizione per rifiuto del pasto può essere dettata da alcuni disturbi di natura
psichiatrica/affettiva o di anoressia nervosa, nei quali (non riconducili alla demenza)
l’ospite ha paura di ingrassare e di apparire “imperfetto”. Solitamente questo
comportamento ha uno storico e riemerge dopo esser già comparso nel vissuto
della persona in oggetto.

CASO:
La signora Bertilla ha 71 anni, è istituzionalizzata da circa un mese come caso sociale
con uno storico penale. Non presenta sintomi dementigeni né episodi in passato di
dipendenza da alcool, altre sostanze psicotrope o abusi. La signora appare tranquilla
e vive la sua permanenza in reparto con serenità, senza manifestare particolari
bisogni: è soddisfatta delle uscite proposte e non disturba. Autonoma in tutto,
assume dieta libera.
Da qualche giorno rifiuta improvvisamente di mangiare poiché riferisce di “aver
paura di ingrassare”. Con l’occasione di un check-up generale pianificato, poiché
non vi è documentazione clinica legata all’ospite, si indaga l’insorgenza di qualche
forma di decadimento cognitivo, che verrà smentita in questo caso dallo psichiatra
a favore di un disturbo schizoaffettivo con pregressa anoressia.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
Il riemergere dell’anoressia viene confermato dalla psicologa, che dialogando con la
signora riceve spiegazioni estremamente lucide sulle motivazioni del digiuno:
riferisce infatti di non piacersi a livello corporeo, di aver paura di metter su peso e
dunque di apparire ancora più sgradevole a sé ed agli altri di quanto ancora non lo
sia.
In linea con le indicazioni fornite dal reparto di neuro-psichiatria, l’equipe interviene
sul rifiuto del pasto con causa di disturbo alimentare di anoressia, a prescindere
dall’età della paziente.
      - Se presente depressione, terapia farmacologica e psicoterapia
          contingente all’ambito geriatrico: il medico valuta la possibilità della
          terapia farmacologica, nella consapevolezza che il ricorso ai farmaci è
          finalizzato al trattamento di condizioni morbose che coesistono nel
          paziente anoressico, come la depressione o il disturbo ossessivo-
          compulsivo, oppure al ripristino del peso corporeo o a normalizzare
          eventuali squilibri a carico dei sali minerali;
      - Psicoterapia specifica del disturbo alimentare/anoressia (cognitivo-
          comportamentale e dinamica): in questo caso il trattamento del servizio di
          psicologia può avere il vantaggio che, essendo il paziente anoressico
          assolutamente convinto che il proprio corpo non sia adatto per la società a
          cui appartiene, l’anziano istituzionalizzato agisce e vive in un setting
          limitato, controllato e malleabile.

                                           17
Ciò premesso, la psicoterapia adottata in questo caso sarà sia di stampo
         dinamico che CBT, senza avere prognosi di durata poiché lo schema
         cronico è ampiamente consolidato rispetto al soggetto giovane:
      Schema Corporeo: la prima fase si concentra sull’iniziale acquisizione di
         uno schema corporeo funzionale e sullo sviluppo di capacità di
         rilassamento. Le sessioni di trattamento in questa fase utilizzano tecniche
         specifiche di rilassamento muscolare integrato con tecniche contrattive e
         decontrattive e tecniche di controllo del respiro. Nel corso delle sedute, in
         base al grado di risposta dei pazienti, vengono infine inserite gradualmente
         esperienze di eutonia che consentono un iniziale rimodulamento dei
         diversi schemi corporei (posturale, tattile, cinestesico, etc.)
      Percezione Corporea: Una volta acquisita sufficiente padronanza
         nell’utilizzo delle tecniche di rilassamento si procede alla ristrutturazione
         completa dello schema corporeo e della conseguente immagine corporea.
         Il modulo di Percezione Corporea prevede una serie di esercizi a diversa
         attivazione, che passano da esperienze di eutonia vere e proprie a
         esperienze di psicocontatto.
      Mirror Exposure: La fase finale del protocollo prevede esposizioni
         individuali allo specchio guidate dal terapista.
     - Esame di realtà interdisciplinare ed illustrazione della dieta ideale: si è
         visto, nella premessa di questo paragrafo, che a dispetto di un paziente
         giovane l’anziano istituzionalizzato ha lo svantaggio di aver consolidato la
         cronicità dei digiuni ma il vantaggio di vivere in un ambiente molto più
         confinato e meno “giudicante” rispetto al mondo esterno. L’esame di
         realtà, in questo caso condotto dal logopedista, può avere maggiore
         prognosi di efficacia: il tecnico calcola assieme alla signora Bertilla una
         precisa dieta che non possa “renderla diversa o più brutta” da quanto sia in
         quel momento. Si studiano insieme le abitudini, la quantità del
         movimento, i gusti ed il menù contingenti. Viene dunque tracciata una
         “linea guida” di cibi da assumere in precise quantità che non possono
         scientificamente avere la conseguenza di far ingrassare l’ospite. Di contro,
         si riflette sul fatto che non mangiando, la magrezza su un corpo anziano
         non potrà mai essere sinonimo di estetica, il che viene anche svolto
         mostrando ospiti cachettici.
Non essendo riscontrati disturbi di tipo depressivo, non è stata prescritta una
terapia farmacologica per la signora Bertilla, che invece è stata inserita nella
psicoterapia (con supporto del logopedista), grazie alla quale ha tratto veloce
beneficio ricominciando a consumare il pasto.
La paziente non ha ancora accettato la propria immagine corporea, ma
quantomeno la condizione di istituzionalizzata, l’ambiente collettivo conviviale e lo
studio della dieta non sono diventati rinforzi positivi all’anoressia, bensì sinergiche
strategie per mantenere costanti i risultati del trattamento psicologico, destinato
comunque a follow-up.
Ad oggi non sono più comparsi eventi di rifiuto totale del cibo.

In conclusione:

  In alcuni casi l’anziano lucido può rifiutare il pasto per un disturbo della propria
 immagine corporea, temendo di ingrassare e di rendere se stesso maggiormente
    “imperfetto”. In assenza di demenza o di altri decadimenti cognitivi, questo
   comportamento è riconducibile a disturbi di natura psichiatrica/affettiva o di
         anoressia nervosa, talvolta già presenti nello storico del paziente.
 In questi casi, analogamente ai disturbi alimentari, è possibile trattare il digiuno
      con terapia farmacologica e psicoterapia (cognitivo-comportamentale e
 dinamica), che si concentrerà sull’acquisizione, elaborazione ed accettazione del
proprio schema corporeo e sulla sostituzione del rigetto del cibo con l’acquisizione
                         di una dieta ridotta (ma sufficiente).
   Per far accettare inizialmente il pasto si rivela utile anche il counselling rivolto
 direttamente all’ospite, spiegando e dimostrando lui l’importanza dei liquidi per
   mantenere lo stato di salute e l’impossibilità di ingrassare seguendo una dieta
                                      bilanciata.

                           Causa I.R.P.A.I. 38
 PRESENTA ASTINENZA DA FARMACO O PREGRESSA DIPENDENZA DA SOSTANZE
                         PSICOTROPE ED ALCOL
                                          19
PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
Il rifiuto del pasto, nell’anziano, può essere una manifestazione nervosa o iatrogena
legata ad un passato di abusi o come effetto della riduzione di un dato componente
chimico estraneo all’organismo, al quale si è abituato. Sostanze come topiramato,
anfetamine, exenatide, metilfenidato e metanfetamina riducono l’appetito sia
durante il loro consumo che in fase di temperanza d’assunzione. Gli stessi segni di
astinenza si possono trovare per stimolanti come caffè, nicotina e cocaina, nonché
durante la disintossicazione da qualsiasi forma di dipendenza (alcool in primis). Il
cibo, infine, può risultare poco appagante nella riduzione del consumo di terapie
farmacologiche legate ad alcuni antidepressivi o chiaramente dopo la sospensione
improvvisa di stimolatori dell'appetito.

CASO:
Il signor Morando ha 76 anni ed accede alla struttura come caso sociale. Presenta
una diagnosi di demenza lieve su base alcolica, vale a dire che l’imputazione del
decadimento cognitivo è ricondotta ad uno storico di abuso nel bere, problema per
il quale era ciclicamente seguito dai Servizi Sociali. Viene riportata in una caotica
raccolta dei referti medici presenti a domicilio una diagnosi di oltre quindici anni
precedenti di disturbo psichiatrico sociopatico. Il dato non è stato poi riconfermato
dalla valutazione psichiatrica, che evidenzia invece un temperamento di tipo
provocatorio. Ciò premesso, l’ospite non accetta la struttura né la condizione di
istituzionalizzato, urinando volontariamente a letto e lanciando quanto è in grado di
afferrare contro il personale. Dopo un paio di giorni dall’ingresso, rifiuta il pasto
poiché richiede incessantemente del vino, provando anche a scappare. Lo stesso fu
promesso dal personale, ma chiaramente il desiderio di Morando non è potuto
esaudirsi, con conseguente digiuno.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
Medico e psicologa decidono di attendere qualche altro giorno prima di valutare
una terapia sedativa, atta a tranquillizzare Morando e ridurre il suo grado di
disturbo e di pericolo. Il rifiuto del pasto non viene altresì imputato alla mancanza di
adattamento (infatti il problema dell’inserimento in struttura passa in secondo
piano rispetto al digiuno), bensì all’astinenza dal vino: osservando l’anziano, la
richiesta non sembra essere l’ennesima provocazione o pretesto per attrarre a sé
l’attenzione, bensì una vera e propria astinenza, con episodi di pianto dopo le
sfuriate.
     - Disintossicazione e terapia farmacologica: l’equipe, come già detto,
          subordina all’ipotesi di una terapia lenitiva ed all’intervento psicologico per
          incoraggiare l’adeguamento, la necessità di indagare se vi sia una
          dipendenza in corso. L’obiettivo diventa quello di trattare,
          farmacologicamente e psicologicamente, le fasi di astinenza in un iter di
          disintossicazione;
-     Effetto placebo: come fattore di contenzione ambientale viene avanzata
          l’idea di fornire, in casi di estremo disturbo, un assaggio di vino. Tuttavia
          ciò viene scoraggiato soprattutto per l’interferenza degli alcolici, anche in
          basse dosi, con la terapia già in corso inerente a disturbi cardiaci di
          fibrillazione, bassa coagulazione del sangue, cirrosi epatica ed ulcera
          gastrica con importante reflusso.
          Viene dunque proposto, in sostituzione, del vino analcolico
          particolarmente saporito.
Morando accetta la bevanda avanzando seri dubbi sulla natura realmente alcolica
della bibita, che riesce comunque a rasserenarlo sufficientemente. L’effetto placebo
viene rinforzato dal travaso e tappatura in una bottiglia con etichetta che illustra la
(falsa) gradazione del liquido.
Tramite questa strategia il paziente ha ricevuto una valida contenzione ambientale,
ritornando stabilmente a mangiare. In seguito, è stato intrapreso un iter
terapeutico di disintossicazione dalla dipendenza.

In conclusione:

  L’anziano che ha uno storico di dipendenze ed abusi di sostanze psicotrope può
 rifiutare il pasto come manifestazione nervosa di astinenza, riduzione di un dato
    componente chimico estraneo all’organismo o temperamento provocatorio.
        Accanto ad un iter psicoterapico, di disintossicazione e/o alla terapia
    farmacologica (se previsti dal medico) è possibile approcciarsi all’ospite con
  l’obiettivo che torni ad accettare liquidi e cibo tramite “effetto placebo”, vale a
   dire proponendo pietanze e bibite simili in forma, visione e gusto a quelle che
              richiede (es. vino analcolico saporito o tisana rossa fresca).

                             Causa I.R.P.A.I. 39
     E’ AFFETTO DA “NODO IN GOLA” O VOMITO PER DISFAGIA ESOFAGEA (E
      DEPRESSIONE O STATO ANSIOGENO INCONSCIO) DI TIPO PSICOGENO
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PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
Nel corso della rielaborazione dei dati legati a questo studio si è potuto osservare,
limitatamente all’anno 2017, una frequenza maggiore di “disfagia esofagea detta
inspiegabile”, che ha coinvolto in media 4 ospiti su 60 (il dato si riferisce ad esempio
ad una struttura di 50 posti con ricambio di 10 ospiti nello stesso periodo di
valutazione o ad un reparto di due nuclei di 24 unità l’uno con medesime
caratteristiche). Il termine da noi utilizzato ad indicare questa particolare causa di
“rifiuto involontario ed inconsapevole del pasto” è criptico e non possiede ancora
una definizione univoca, probabilmente perché tale evento sta cominciando a
manifestarsi in una popolazione di grandi anziani, le cui caratteristiche non sono
ancora state completamente studiate.
Per “Disfagia Esofagea o bassa” si intende una forma di disfagia (che in senso stretto
viene definita come un’alterazione della normale progressione del cibo dal cavo
orale allo stomaco, causata da una disfunzione anatomo-funzionale dell’apparato
pneumo-fono-articolatorio) nella quale la difficoltà del corretto transito del bolo
avviene esclusivamente nel lume esofageo. Tale evento può avere diverse cause,
siano esse di natura ostruttiva (es. aneurisma aortico, disfagia lusoria, neoplasia
polmonare e toracica, masse nell’esofago o che comprimono esternamente lo
stesso come noduli tiroidei ecc.), motoria (es. esiti legati a patologie sistemiche
come polimiosite, sclerosi amiotrofica, sclerodermia, e di malattie esofagee come lo
spasmo esofageo diffuso o discinesie idiopatiche all’esofago ecc.) e
neurologica/neuromuscolare (es. acalasia, sclerodermia, paralisi dei muscoli della
lingua, poliomielite, miopatia, miastenia ecc.).
Alcune volte, tuttavia, è possibile osservare emesi, nausea e senso di “Nodo in gola”
che impedisce il passaggio del bolo nell’esofago e provoca il vomito, senza
un’apparente causa rintracciabile, escludendo negli esami strumentali le possibili
etiologie sopra riportate. La disfagia esofagea nell’anziano con senso di nausea e/o
“Nodo in gola”, se non secondaria ad ostruzioni meccaniche, patologia in corso
degli organi digerenti o reazione iatrogena, viene recentemente definita in alcuni
articoli (soprattutto nel Nord Italia nel 2017) come “inspiegabile” e riconducibile alla
“Disfagia Psicogena”, e può essere paragonata ad una vera e propria forma di
bulimia o, più specificamente, di involontario rifiuto al cibo.
Le ipotesi finora formulate parlano di uno stato depressivo e/o ansiogeno inconscio,
che riemerge nella demenza e prende possesso delle sensazioni che predominano la
quotidianità dell’ospite, portandolo ad inappetenza, rigetto ed incapacità a
deglutire, in un costante quadro emotivo tormentato ed angoscioso, simile a quello
che nel paziente lucido può emergere in condizioni di fortissima tensione e paura
(esempi riportati in Letteratura sono ad esempio “ciò che si può provare prima
dell’Esame di Maturità, di un intervento chirurgico o di un calcio di rigore decisivo”).
CASO 1:
La signora Maria ha 91 anni ed è istituzionalizzata da due nella struttura dove si
svolge l’osservazione che segue. Presenta demenza di tipo vascolare con ottima
capacità relazionale e comunicativo-linguistica, infatti il motivo del ricovero risiede
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