Le competenze doganali per l'attività d'impresa - 24/2018 Interventi - Assonime

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24/2018

                                                                                                   Interventi

                                    Le competenze doganali per l’attività d’impresa
                                             Ciclo di seminari organizzato da Assonime

                                     in collaborazione con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli
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                                                     L’origine doganale delle merci

                                                         Milano, 5 giugno 2018
Le competenze doganali per l’attività d’impresa                                     24/2018

                                    La conoscenza delle regole d'origine per orientare le scelte strategiche delle
                                    imprese sui mercati internazionali

                                    Ivan Vacca – Condirettore Generale, Assonime

                                    Buongiorno e benvenuti a tutti.

                                    L’incontro di oggi è il secondo appuntamento del ciclo di seminari organizzato da
                                    Assonime, in collaborazione con l’Agenzia Dogane e Monopoli, volto a favorire lo
                                    sviluppo e il consolidamento delle competenze doganali nelle imprese italiane.

                                    Dopo esserci soffermati la volta scorsa sulla classificazione delle merci, l’odierno
                                    seminario verte su un altro istituto portante della disciplina doganale: l’origine doganale
                                    delle merci. L’ultimo degli incontri previsti si svolgerà a novembre e verterà sul valore in
                                    dogana delle merci. Così completeremo il tragitto che ci eravamo prefissati: quello di
                                    esaminare le tre tematiche di fondo che sono alla base della determinazione
                                    dell’obbligazione tributaria in materia doganale.

                                    Innanzitutto, desidero dare il benvenuto e il più sentito ringraziamento alla dott.ssa
                                    Cinzia Bricca e alle Sue collaboratrici, la dott.ssa Mariarita Simona Sardella e la
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                                    dott.ssa Tiziana Satta, a cui sono affidate le relazioni fondamentali dell’odierno
                                    seminario.

                                    La dott.ssa Cinzia Bricca ha partecipato, come ricorderete, anche alla precedente
                                    sessione in tema di classificazione delle merci, insieme alla dott.ssa Paola Paliano, e
                                    oggi ci fornirà il suo contributo su questa importante tematica dell’origine. Come sapete
                                    – ho già avuto modo di ricordarlo la volta scorsa – la dott.ssa Bricca è Vicedirettore e
                                    Direttore Vicario dell’Agenzia Dogane e Monopoli; Agenzia che sta vivendo una
                                    stagione di importante rinnovamento, alla quale lei stessa farà riferimento nel corso del
                                    suo intervento. A me fa piacere evidenziare come questo seminario costituisca la prima
                                    occasione per presentare il nuovo logo che renderà riconoscibile l’Agenzia Dogane e
                                    Monopoli d’ora in avanti. Sono certo che la dedizione e la competenza della dott.ssa
                                    Bricca, che ha fattivamente contribuito in questi anni a rendere la nostra
                                    Amministrazione doganale un modello di eccellenza riconosciuto anche in ambito

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                                    europeo e mondiale, costituiscano la più solida garanzia di continuità per l’Agenzia in
                                    questa fase di rinnovamento.

                                    Oggi la dott.ssa Bricca è accompagnata dalla dott.ssa Mariarita Simona Sardella, che
                                    con passione e competenza dirige l’Ufficio applicazione dei tributi doganali della
                                    Direzione centrale dell’Agenzia Dogane e Monopoli, validamente coadiuvata dalla
                                    dott.ssa Tiziana Satta.

                                    Ne approfitto per ringraziare i rappresentanti della Direzione Regionale Lombardia
                                    dell’Agenzia Dogane e Monopoli, che anche oggi, come la volta scorsa, non hanno
                                    fatto mancare la loro presenza in sala.

                                    Un ringraziamento particolare, infine, rivolgo al Direttore dell’Agenzia Dogane e
                                    Monopoli, il dott. Giovanni Kessler, per aver accettato la proposta di intensificare, con
                                    questa iniziativa e con altre che potranno seguire in futuro, la reciproca e fattiva
                                    collaborazione con la Sua Agenzia, al fine di favorire lo sviluppo e il consolidamento
                                    della cultura doganale presso le imprese e migliorarne il livello di compliance.

                                    E proprio da questo punto vorrei partire per la mia breve introduzione ai temi della
                                    giornata.

                                    Ho già messo in evidenza nel precedente incontro che la tematica doganale è
                                    diventata la “stella polare” della fiscalità delle imprese, per lo meno di quelle medio-
                                    grandi a vocazione internazionale. E i motivi di ciò sono davanti agli occhi di tutti:
                                    derivano dall’importante sviluppo delle transazioni commerciali effettuate dalle imprese
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                                    italiane al di fuori dei confini dell’Unione europea.

                                    Le cause vanno ricercate in vari fattori che trovano nella globalizzazione dell’economia
                                    l’humus di fondo. Ne cito alcuni. Innanzitutto, i nuovi modelli di produzione e di
                                    consumo adottati dai gruppi multinazionali. L’esigenza di sfruttare i minori costi di
                                    fabbricazione, o le economie di scala, hanno indotto tali gruppi ad adottare il modello
                                    della “impresa globale”, caratterizzato da una specializzazione delle singole società del
                                    gruppo localizzato in Paesi e territori diversi nella realizzazione di specifiche fasi
                                    dell’impresa – produzione, stoccaggio merci, commercializzazione, etc. – e in una regia
                                    unica e unitaria in grado di reagire alle sollecitazioni del business in modo tempestivo
                                    ed efficace.

                                    Non meno importante è, poi, l’interesse di tutte le imprese medio-grandi, anche non
                                    facenti parte di un gruppo, a espandere la collocazione di prodotti al di fuori del
                                    mercato domestico, sia per far fronte ad una sua saturazione, sia per captare una
                                    crescente domanda esterna, in particolare dai Paesi cc.dd. “emergenti”.

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                                    Sotto questo profilo, siamo in un momento storico molto particolare in cui, a fronte di
                                    evidenti segnali di ripresa economica e produttiva, si manifestano anche segnali di
                                    tensione e di incertezza sulle prospettive future: in questo contesto, esportare
                                    costituisce una condizione indispensabile di crescita e, forse, di sopravvivenza.

                                    Interessanti, al riguardo, sono le indicazioni contenute nella recente Relazione annuale
                                    del Governatore della Banca d’Italia sul fatto che è in atto nel nostro Paese un
                                    processo di riorganizzazione e ammodernamento del tessuto produttivo delle nostre
                                    imprese; processo che è frutto anche delle misure fiscali che hanno interessato l’intera
                                    catena produttiva e che hanno favorito “progetti innovativi e l’espansione dell’attività”1.

                                    L’espansione dell’attività produttiva, peraltro, ha riguardato pressoché tutti i settori
                                    dell’economia, traducendosi anche in un significativo incremento degli scambi
                                    commerciali delle imprese italiane con l’estero. Sotto questo profilo, anzi, le
                                    esportazioni si sono confermate un fattore trainante della crescita, facendo registrare
                                    nel 2017 un miglioramento del +5,4% rispetto all’anno precedente, superiore a quello
                                    degli altri principali Paesi dell’area dell’euro, ma non ancora sufficiente a scalare
                                    posizioni nella classifica dei maggiori Paesi esportatori al mondo2.

                                    Più in generale, gli ultimi dati a disposizione relativi al 2017 confermano i segnali di una
                                    vigorosa accelerazione del commercio internazionale in tutto il mondo e fra tutte le
                                    nazioni. Secondo le rilevazioni dell’Organizzazione mondiale per il commercio, gli
                                    scambi internazionali di beni sono cresciuti del +4,7% rispetto al 2016: per apprezzare
                                    la portata di tale incremento, basti considerare che nel 2016 la crescita era stata del
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                                    +1,8% rispetto all’anno precedente e che, comunque, il livello medio di crescita
                                    registrato nel periodo successivo alla crisi economica globale si attesta intorno al 3,0
                                    per cento.

                                    A fronte dei segnali incoraggianti relativi allo stato di salute del commercio
                                    internazionale, come dicevo, si delineano tuttavia anche rischi concreti di rallentamento
                                    di questa tendenza. L’introduzione di misure protezionistiche – il riferimento è, in

                                    1  Nella Relazione si osserva che “particolare rilevanza hanno rivestito il sostegno alle start-up innovative, il
                                    credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo, l’iper-ammortamento degli investimenti in nuove tecnologie,
                                    l’introduzione di una tassazione favorevole per i redditi derivanti dall’utilizzo di brevetti e di altre
                                    innovazioni. Gli incentivi fiscali volti a rendere più conveniente il ricorso al capitale di rischio hanno
                                    contribuito al rafforzamento patrimoniale delle imprese, accrescendone sia la capacità di assorbire perdite
                                    sia quella di finanziare i progetti innovativi e l’espansione dell’attività”.
                                    2 Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Osservatorio Economico del MISE, l’Italia risulta attualmente –

                                    con una quota di mercato pari al 2,9% – il nono Paese esportatore al mondo, mentre nel 2008 si collocava
                                    al settimo posto della classifica dei maggiori Paesi esportatori al mondo.

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                                    particolare, ai maggiori dazi imposti dagli Stati Uniti sulle importazioni di acciaio e
                                    alluminio, in vigore dal 1° giugno scorso anche nei confronti dell’Unione europea –
                                    potrebbero dar luogo a ritorsioni che possono avere gravi ripercussioni sull’attività
                                    economica e produttiva mondiale, a causa dei riflessi negativi dell’aumento della
                                    tensione e dell’incertezza sui piani di investimento delle imprese attive sui mercati
                                    internazionali.

                                    A livello nazionale, l’impatto macroeconomico che potrebbe avere per l’Italia uno shock
                                    protezionistico dovuto alla introduzione di dazi USA e alla possibilità che tali misure
                                    possano inasprirsi ed estendersi a più Paesi, innescando forme di ritorsione, è stato
                                    quantificato nel Documento di Economia e Finanza (DEF) 2018 in una crescente
                                    perdita di PIL pari, nella peggiore delle previsioni, ad una riduzione dello -0,3% nel
                                    2018, -0,7% nel 2019 e -0,8% nel 2020.

                                    Da quanto precede, emerge in modo incontrovertibile che l’impresa che affronta oggi i
                                    mercati internazionali deve avere la capacità di prendere decisioni strategiche e
                                    definire una chiara e coerente pianificazione aziendale; pianificazione che non può
                                    riguardare solo i lati estremi della catena produttiva, e cioè l’acquisto delle materie
                                    prime e la vendita dei prodotti. Un fondamentale elemento di competitività per l’impresa
                                    oggi si trova in fattori solo apparentemente slegati dalla catena produttiva, quali ad
                                    esempio l’organizzazione aziendale o i sistemi informativi e, non meno importante fra
                                    tutti, proprio la pianificazione fiscale.

                                    Più in particolare, si deve evidenziare come la componente “fiscale” sia un rilevante
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                                    elemento di costo del prodotto, con evidenti impatti sul suo sviluppo commerciale.
                                    Coerentemente a tale evidenza, nella cultura aziendalistica si sta, quindi, affermando il
                                    concetto di “costo fiscale del prodotto”, inteso quale sommatoria degli effetti di tutte le
                                    componenti fiscali – di natura diretta ed indiretta – che si manifestano economicamente
                                    lungo la catena del valore aziendale e che incidono sulla marginalità finale del
                                    prodotto: a partire, quindi, dalla fase di ricerca e sviluppo, passando attraverso
                                    l’approvvigionamento e la produzione, fino a giungere alla fase distributiva nei mercati
                                    di destinazione. In sintesi, si può affermare che ognuna delle suddette “fasi” aziendali
                                    racchiuda un intrinseco elemento fiscale – i più evidenti sono spesso rappresentati da
                                    imposte indirette, quali i dazi – che deve essere ben pianificato a livello aziendale,
                                    pena una perdita rilevante di competitività.

                                    In tal senso, la pianificazione fiscale e doganale va sviluppata in coerenza con le
                                    strategie di business e dev’essere basata su una solida policy di compliance per
                                    essere in linea con i moderni dettami del risk management aziendale.

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Le competenze doganali per l’attività d’impresa                                        24/2018

                                    Come detto, le regole di origine doganale costituiscono, insieme a quelle sulla
                                    classificazione e sul valore, uno dei presupposti fondamentali dell’obbligazione
                                    doganale, ma, a differenza delle altre, possono risultare talvolta di più complessa
                                    applicazione per l’operatore economico.

                                    Mentre è intuitivo che la natura ed il valore di una merce ai fini doganali attengano
                                    direttamente alla merce esportata o importata, l’origine è una fattispecie che richiede
                                    l’analisi di fonti normative eterogenee. In particolare, anche l’identificazione dell’origine
                                    di una merce – così come la classificazione – si basa su una rete di regole condivise
                                    aventi valore tendenzialmente universale. Ma, a differenza della classificazione, queste
                                    regole non hanno raggiunto ancora un grado di piena e totale armonizzazione e si
                                    differenziano, soprattutto, in ragione degli Accordi sottostanti fra gli Stati, in particolare,
                                    fra gli Stati terzi e l’Unione europea. A questo riguardo – posto che il concetto di origine
                                    non va confuso con quello di provenienza delle merci, ma esprime il collegamento con
                                    il luogo in cui la merce è prodotta, la sua nazionalità – fondamentale è la distinzione tra
                                    l’origine non preferenziale (o comune) e l’origine preferenziale.

                                    Il primo concetto fa riferimento alle merci che provengono da Paesi con cui l’Unione
                                    europea non ha stipulato Accordi commerciali che prevedono riduzioni o esenzioni
                                    daziarie. Ad esso si associa l’applicazione della fiscalità doganale ordinaria e le misure
                                    extrafiscali di politica commerciale ed economica (ad esempio, l’applicazione dei dazi
                                    antidumping). Fra le misure extrafiscali di interesse, merita ricordare anche la
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                                    etichettatura (il c.d. “Made in”), che è volta a tutelare i consumatori (rectius, il loro
                                    interesse a conoscere l’effettiva origine del prodotto) e i produttori (il luogo geografico
                                    di produzione attribuisce, infatti, un valore aggiunto al prodotto): per l’Italia si pensi, ad
                                    esempio, alla rilevanza che il “Made in Italy” assume per i settori del tessile, della moda
                                    e dell’agro-alimentare.

                                    L’”origine preferenziale” delle merci si pone, invece, l’obiettivo di qualificare la merce
                                    come “originaria” di un Paese con cui il Paese importatore ha stabilito un Accordo
                                    commerciale, che prevede un simmetrico e reciproco trattamento daziario favorevole
                                    per entrambi i Paesi firmatari. Le regole per assegnare ad una merce “l’origine
                                    preferenziale” sono stabilite direttamente nell’Accordo commerciale e, dando luogo ad
                                    un vantaggio economico, risultano essere più stringenti di quelle relative all’”origine
                                    non-preferenziale”, oltre ad essere generalmente “specifiche per settore”.

                                    Sempre con riguardo all’”origine preferenziale” delle merci occorre, infine, evidenziare
                                    come la maggior parte dei Paesi industrializzati, ivi inclusa l’Unione europea,

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Le competenze doganali per l’attività d’impresa                                       24/2018

                                    prevedano dei trattamenti daziari favorevoli unilaterali con i cc.dd. Paesi in via di
                                    sviluppo, gestiti tramite il Sistema di Preferenze Generalizzate (SPG).

                                    Sul tema non si può non rilevare, per inciso, una paradossale asimmetria di
                                    trattamento tra la normativa doganale (o sarebbe meglio dire, in questo caso, del
                                    commercio internazionale) con quella relativa alle imposte dirette: taluni Paesi inseriti
                                    nella lista dei Paesi SPG – quelli, quindi, a cui vengono generalmente concessi
                                    trattamenti daziari favorevoli a motivo della loro condizione di Paesi in fase di sviluppo
                                    – sono, o sono stati, contestualmente inseriti dalle Autorità fiscali nelle c.d. black list ai
                                    fini della normativa sulle CFC (controlled foreign companies) in quanto Paesi con una
                                    fiscalità diretta agevolata (ad esempio, Cayman Island, British Virgin Islands, Vanuatu,
                                    Panama, Nauru).

                                    Non meno importante, poi, è la corretta gestione della documentazione volta a
                                    comprovare l’origine preferenziale delle merci e che trova nel certificato di origine e
                                    nella dichiarazione su fattura i suoi aspetti più salienti.

                                    In definitiva, le conseguenze economiche legate all’individuazione della corretta origine
                                    doganale delle merci, soprattutto quella preferenziale, risultano di particolare interesse
                                    per le imprese attive nel commercio internazionale, sia al fine di minimizzare l’onere
                                    doganale delle merci importate, sia specularmente, per garantire il migliore accesso al
                                    mercato alle merci esportate, elevando anche tale analisi, così come si è già avuto
                                    modo di rilevare per la classificazione doganale, a strumento fondamentale di
                                    pianificazione.
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                                    Proprio per quanto attiene all’accesso dei propri prodotti in nuovi mercati è importante
                                    che un’impresa sia preparata e conosca le opportunità a sua disposizione. Come
                                    accennato, infatti, la crescita delle esportazioni è un obiettivo sempre più al centro dei
                                    progetti di business delle imprese italiane ed europee, sia in un’ottica di
                                    internazionalizzazione, sia per far fronte ad una evidente saturazione dei mercati
                                    domestici a cui corrisponde una crescente domanda esterna, in particolare dei Paesi
                                    cc.dd. “emergenti”. Pertanto, la conoscenza della normativa sottostante (in particolare,
                                    come si è detto, con riferimento agli Accordi commerciali tra Paesi, la cui diffusione è
                                    esplosa negli ultimi vent’anni) rappresenta uno strumento di analisi imprescindibile per
                                    le scelte imprenditoriali, utile a valutare i dazi doganali e il loro impatto sul prezzo di
                                    accesso al mercato.

                                    Se si volesse tracciare su un planisfero la rete di Accordi commerciali in vigore tra i
                                    singoli Paesi, essa apparirebbe attualmente così fitta da risultare quasi illeggibile. Ad
                                    oggi, infatti, risultano in vigore nel mondo quasi trecento Accordi commerciali di beni e

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Le competenze doganali per l’attività d’impresa                                    24/2018

                                    servizi, di cui circa quaranta sono firmati dalla UE, che, come noto, nell’ambito delle
                                    relazioni con Stati terzi, agisce come soggetto unico.

                                    Tra gli Accordi commerciali più importanti siglati dall’UE si segnalano quelli con i Paesi
                                    dell’Area Mediterranea che, seppure con evidente ritardo rispetto all’obiettivo di creare
                                    un’unica grande Area di Libero Scambio entro il 2010 sancito nella “Dichiarazione di
                                    Barcellona” del 1995, permette già oggi ai prodotti europei di accedere a dazi
                                    preferenziali in Egitto, Giordania, Libano, ecc., garantendo a questi un vantaggio
                                    competitivo sul mercato locale.

                                    Analisi a parte merita la Turchia, il più importante Mercato dell’Area in termini di
                                    potenzialità, con cui l’UE ha da molti anni in vigore un’unione doganale che permette il
                                    libero scambio di merci, ad eccezione di alcune categorie di prodotti, in particolare del
                                    settore agro-alimentare.

                                    Inoltre, è da ricordare come l’UE abbia recentemente siglato Accordi con la Corea del
                                    Sud (2011) e il Canada (2017), mentre risultano essere in fase avanzata i negoziati
                                    con Giappone e Singapore, nonché per il rinnovo dell’Accordo con il Messico.

                                    Va, in particolare, segnalato l’Accordo dell’Unione Europea con il Canada, che fa parte
                                    della nuova generazione di Accordi commerciali – anzi, aspira a diventarne il modello –
                                    contenente una regolamentazione di temi che non sono mai stati oggetto di una seria
                                    negoziazione in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio, quali: la protezione
                                    delle indicazioni geografiche; l’accesso senza alcun tipo di discriminazione agli appalti
                                    pubblici; la cooperazione regolamentare tra Stati; la semplificazione delle procedure di
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                                    esportazione e il mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali; una reale
                                    apertura del mercato dei servizi.

                                    Del tutto peculiare, invece, è la trattativa in corso con il Regno Unito per regolarne il
                                    distacco dalla UE: i temi principali in discussione riguardano la tipologia di Accordo
                                    commerciale da sottoscrivere tra le parti e la definizione di adeguate regole sull’origine
                                    delle merci.

                                    La realtà economica internazionale in cui oggi si trovano ad operare le imprese è
                                    sempre più complessa e caratterizzata da scenari di forte competizione, in continua
                                    evoluzione. In tale contesto, la componente doganale del costo di prodotto può
                                    assumere un peso assai significativo e le regole relative all’origine delle merci
                                    costituiscono un ambito di prioritaria importanza nella pianificazione aziendale. E
                                    queste regole, congiuntamente con le norme che in ipotesi assicurano incentivi agli
                                    investimenti diretti in molti Paesi emergenti, offrono opportunità di grande interesse per

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                                    le attività manifatturiere. Anzi, dalle considerazioni fin qui svolte, si può ritenere che,
                                    con tutta probabilità, le valutazioni aziendali sugli investimenti a medio-lungo termine
                                    possano essere influenzate con maggiore intensità e rilevanza proprio dalle regole sul
                                    commercio internazionale piuttosto che dagli incentivi all’investimento diretto. Quindi è
                                    non solo raccomandabile, bensì necessario che le imprese prendano coscienza
                                    dell’importanza di conoscere le regole sull’origine della merce e di restare al passo
                                    della loro evoluzione, come nel caso della negoziazione di nuovi Accordi commerciali.
                                    Solo così potranno perseguire l’obiettivo di massimizzare i trattamenti doganali
                                    preferenziali e le altre opportunità concesse dalla normativa sul commercio
                                    internazionale, ma anche di eliminare o ridurre le eventuali incertezze nell’applicazione
                                    delle complesse regole sull’origine delle merci, facendo opportuno ricorso allo
                                    strumento dell’Informazione Vincolante sull’Origine (IVO) valida per tutti i Paesi membri
                                    UE.
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