La teoria del "gender" e la "rivoluzione antropologica"

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La teoria del «gender»
                               e la «rivoluzione antropologica»
                                      GIANCARLO TETTAMANTI

Quella del «gender» è una delle sfide più grandi per l’uomo contemporaneo: si tratta di una delle
ideologie più perniciose per l’uomo, a causa dell’attacco violento e diretto ai fondamenti
dell’antropologia, con la messa in discussione dell’esistenza stessa di una natura umana sulla quale
si fondano i principali valori ai quali l’uomo da sempre si ispira. Una ideologia, quella del gender,
che opera una vera e propria negazione della realtà, affermando che l’identità sessuale di una
persona – maschio o femmina – non sarebbe più una dimensione determinante, ma un elemento per
così dire «accessorio e marginale» della personalità: l’essere maschio o femmina, quindi, non
dipenderebbe dal sesso con cui una persona nasce, ma da una scelta dell’individuo, condizionata
anche dalla cultura della società in cui vive. È evidente che questa rivoluzione antropologica
richiede una attenzione educativa del tutto nuova da parte di chi (genitore, insegnante, educatore) è
chiamato a formare e orientare i giovani, i quali già adesso si trovano a crescere in un contesto che
mette in discussione un elemento fondamentale come la differenza sessuale tra uomo e donna,
cardine su cui ognuno costruisce la propria identità.

«Gender»: storia e promozione

L’ideologia di genere è il risultato di decenni di trasformazione ideologica e culturale, saldamente
radicata nel marxismo e nel neo-marxismo, promossa dal movimento femminista sempre più
radicale e dalla rivoluzione sessuale iniziata nel 1968. Essa promuove principi totalmente contrari
alla realtà e alla tradizionale comprensione della natura umana. Dice che il sesso biologico è
puramente culturale, che col tempo si può scegliere, e che la famiglia tradizionale è fardello sociale
obsoleto. Secondo l’ideologia di genere l’omosessualità è innata e i gay e le lesbiche hanno il diritto
di creare coppie che saranno fondamento di un nuovo tipo di famiglia, e anche di adottare e crescere
figli, compreso il ricorso alla fecondazione eterologa e alla maternità surrogata, in nome di una
figliolanza pretesa come diritto. I promotori di questa ideologia sostengono che ogni persona ha
diritti produttivi, compreso il diritto di modificare il sesso. L’ideologia di genere, nella sua forma
più radicale, considera il sesso biologico come una sorta di violenza contro la natura umana.
Secondo questa ideologia «l’uomo è prigioniero del sesso» e dovrebbe liberarsi. Negando il sesso
biologico, l’uomo guadagna «la vera libertà senza restrizioni» e può scegliere il sesso culturale, che
si rivela solo nel comportamento esterno. L’uomo ha inoltre il diritto naturale di cambiare le scelte
entro i cinque sessi, quali quello gay, lesbico, bisessuale, transessuale ed eterosessuale. Il rischio
dell’ideologia di genere deriva essenzialmente dalla natura profondamente distruttiva sia della
persona che delle relazioni interpersonali, e quindi tutta la vita sociale. L’uomo privo di identità di
genere perde il senso della sua esistenza, non è in grado di scoprire e svolgere i compiti che incontra
nel suo sviluppo personale, familiare e sociale, nonché i compiti relativi alla procreazione.
In Italia, quando il 20 novembre 2012 il Ministero del lavoro con delega alle Pari opportunità
organizzò (informale e altamente riservata) una riunione in cui gli invitati erano formalmente le
sigle delle associazioni GLBT (acronimo per gay, lesbiche bisessuali transessuali, raggruppabili
terminologicamente come gender di cui troppo poco e confusamente si parla), in pochi si
preoccuparono di approfondire i contenuti e i programmi sottesi a quell’incontro e il significato
dell’istituzione del Gruppo nazionale di lavoro GLBT. I risultati di quelle consultazioni sono stati
espressi nel documento pubblicato dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, a
difesa delle differenze) con il titolo «Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle
discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere». Sfogliandone le 51
pagine si scopre che si tratta, in definitiva, di una progettazione operativa per il biennio 2013/2015,
presentata con terminologia apparentemente piana e condivisa. Il tutto prendendo in considerazione
l’adesione – non obbligatoria – al progetto sperimentale proposto dal Consiglio d’Europa per
l’attuazione e l’implementazione della «Raccomandazione» del Comitato dei Ministri (CM. REC.
5/2010), nonché con particolare importanza alla Carta dei diritti fondamentali dei cittadini
dell’Unione europea, del 2000, avente effetto giuridico vincolante a partire dal 2009, il cui
contenuto poneva il «divieto di discriminazione sessuale della persona umana e il conseguente
riconoscimento generale del diritto di sposarsi e di costruire una famiglia».

La promozione dell’ideologia «Gender» passa attraverso le varie proposte di legge – già approvate
in alcuni Stati europei, e in discussione in Italia – per la «prevenzione e il contrasto delle
discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere». Si cerca di elevare
l’orientamento sessuale e l’identità di genere a diritto umano fondamentale: un abbondante
materiale didattico viene proposto alle scuole, alle associazioni, teso a far affrontare il tema
dell’orientamento sessuale e dell’ideologia di genere. Alla base c’è una precisa strategia formativa:
normalizzare l’orientamento sessuale e il comportamento omosessuale facendolo passare come una
variante «naturale» e «innata». Questo metodo inclusivo interessa non soltanto la scuola e
l’educazione scolastica, ma pure la cultura, attraverso il contenuto di film, serie TV, giochi,
spettacoli, con l’aiuto delle nuove tecniche e attraverso l’uso di immagini tese a modificare la
consapevolezza sociale indirizzandola verso l’adozione dell’ideologia di genere; la medicina, con la
promozione e il sostegno del diritto all’aborto, alla contraccezione, alla fecondazione in vitro, alla
maternità surrogata, alla riassegnazione di sesso mediante la chirurgia e la terapia ormonale, così
come la graduale introduzione di un «diritto» all’eutanasia e all’eugenetica, cioè la possibilità di
eliminare i malati, i deboli, i portatori di handicap che – secondo ideologi di genere – sono difettosi.
Ne consegue che l’uomo non conta più nulla, e il movente occulto è, in ultima analisi, il vantaggio
economico. Il tutto con la benevola disponibilità della politica e della magistratura.

L’attacco alla istituzione familiare e l’introduzione dell’ideologia di genere nella scuola

Dietro a questa impostazione anti-discriminatoria, pericolosamente si sottendono da parte dei
promotori precise scelte giuridiche e sociali inerenti il matrimonio per le coppie omosessuali, con
un attacco alla famiglia «naturale», con possibilità di adozione dei figli, la sostituzione dei termini
«padre» e «madre» con il più generico «genitore A» e «genitore B» oppure «uno» e «due», Il tutto
con il beneplacito consenso della Cassazione, la quale ha decretato l’uguaglianza della famiglia
tradizionale con quella costituitasi con l’unione tra persone dello stesso sesso, nonché con la
possibilità di affidamento dei minori: in sintesi un vero e proprio attacco alla famiglia e alla sua
espressione comunitaria, generativa e formativa. Il tutto sostenuto dal coro mediatico celebrante «la
vittoria della libertà» e «ha vinto l’uguaglianza», considerando così uguali realtà che non lo sono,
cioè maschio e femmina. La non riconosciuta differenza sessuale posta a garanzia della generazione
e a fondamento del matrimonio uomo/donna rispetto a quello omosessuale, di fatto insinua la
convinzione che la differenza riconosciuta sia obbligatoriamente atto di disuguaglianza. E ciò porta
a un condizionamento della libertà di espressione (quindi della non condivisione di tali atti) e la
delegittimazione di chi non è d’accordo, con l’ulteriore risultato di condizionare l’opinione pubblica
e la stessa possibilità di riflettere sulla società futura. Tale azione è niente di meno che lo
smantellamento della «famiglia»! Con questo, l’assunto come priorità assoluta, anche
normativamente e penalmente, della presunta discriminazione omofobica, lasciando in secondo
piano tutte le altre vere e autentiche discriminazioni, ben più pregnanti e urgenti, molto più avvertite
dai cittadini e troppo spesso ignorare dai pubblici poteri e dalle autorità statuali.
Nell’aprile del 2013 sono state pubblicate le norme dell’Organizzazione mondiale della sanità
(OMS) in materia di educazione sessuale, documento nefasto per l’educazione e per la società e le
generazioni più indifese. Abbondante materiale didattico viene proposto ai docenti delle scuole di
ogni ordine e grado per affrontare il tema dell’orientamento sessuale e dell’ideologia di genere.
Viene promossa, tra l’altro, una campagna formativa sui bambini sin dalla prima infanzia e in età
prescolare e la scoperta della gioia e del piacere che provengono dal toccare sia il proprio corpo che
il corpo dei loro coetanei. Molto abilmente viene taciuto che lo scopo dell’educazione di genere è
l’erotizzazione dei bambini e degli adolescenti. Più specificatamente nel documento dell’OMS si
legge tra l’altro, quale prospettiva programmatica (in via di sviluppo nel nostro Paese) con la
diffusione di opuscoli illustrativi.
La sempre più discussa diffusione nelle scuole di opuscoli anti-omofobia commissionati
dall’UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), pone inoltre genitori e insegnanti di
fronte alla responsabilità educativa, quella responsabilità che li anima e che li trova impegnati ad
affrontare le sfide epocali che richiedono consapevolezza, impegno e dedizione. Questa
responsabilità li chiama a rivendicare quel diritto all’educazione (famiglia) e all’istruzione (docenti)
che è riconosciuta (e non correttamente applicata) dalla Costituzione e dalle norme internazionali.
Di fronte a questa «rivoluzione antropologica» e a questa arrogante invasione, sono pure chiamati a
rifiutare ogni imposizione assurda e antidemocratica che la tendenza gender vorrebbe. Oggi più che
mai è necessario, per genitori e insegnanti, che, con la propria testimonianza e presenza abbiano a
richiamare le istituzioni pubbliche tutte al loro dovere di rispetto della «laicità», e a correggere
queste tendenze impositive. Da qui anche il rifiuto, da parte dei genitori, di far partecipare i propri
figli a eventuali programmi ordinamentali e a progetti educativi e formativi extracurricolari,
realizzati senza alcun loro coinvolgimento e senza il loro assenso scritto in quanto titolari
inalienabili dell’educazione dei figli. E da parte degli insegnanti, dirigenti e personale non docente,
l’esercizio dell’obiezione di coscienza e il diritto a non essere cooptati obbligatoriamente alla
frequenza di corsi formativi che nulla hanno a che fare con la didattica scolastica e ledono la loro
libertà professionale e culturale. Ponendo anche in essere la richiesta alle singole scuole, interessate
a realizzare programmi e corsi «gender», di articolare opportunità alternative agli eventuali corsi di
«genere», per quanti, liberamente, non aderiscono a tali programmi e corsi. È una questione di
democrazia sostanziale dovuta da uno «Stato di diritto» quale il nostro vuole essere.

I capisaldi su cui fondare la costruzione dell’identità personale

Questa azione nelle scuole si è resa possibile perché – spesso – la maggioranza dei genitori,
educatori e insegnanti non hanno avuto sufficienti informazioni in ordine alle attività di questi
gruppi GLBT, né la conoscenza del materiale didattico da essi usato. Tutto ciò va ben oltre la
legittima denuncia del bullismo e dell’omofobia e il doveroso rispetto del soggetto omosessuale:
l’azione mette in scacco alcuni capisaldi della costruzione dell’identità personale e familiare. «Con
il grimaldello delle categorie dei gender – ebbe a sottolineare il card. Angelo Scola – è stata forzata
la porta verso la modificazione radicale del significato delle pratiche individuali e sociali che
riguardano le delicate ed essenziali realtà primarie della differenza sessuale, del matrimonio e della
famiglia». Di fronte a questa ideologia «gender» sembra, tuttavia, estremamente importante
sollecitare l’assunzione della consapevolezza delle minacce e dei danni che tale ideologia
promuove, e richiamare a responsabilità in ordine ai diritti fondamentali e inalienabili della
famiglia, intervenendo per ricollocare matrimonio-famiglia-educazione nel loro giusto ambito
esistenziale, consentire ai genitori di esercitare il loro diritto, costituzionalmente riconosciuto, di
educare i figli in conformità con le proprie convinzioni e valori, e fornire ai bambini e agli
adolescenti l’opportunità di uno sviluppo integrale a casa e a scuola. E ciò riscoprendo i cardini che
permettono di sconfiggere manipolazioni e stravolgimenti antropologici dell’uomo.

La questione dell’identità, della verità dell’Io, del chi è l’uomo, è decisiva: non si tratta di una
concezione astratta dell’uomo, nel senso di privata e separata dalla vita reale, e perciò ultimamente
ininfluente, ma di un rapporto e di una appartenenza da vivere, un rapporto e una appartenenza che
«costituisce». Si tratta, invece, di ciò che determina in modo decisivo la vita del singolo e della
società. L’uomo non è un prodotto di processi biologici; l’uomo non si fa da sé. Questa
appartenenza è l’ambito che aiuta a chiarire quale visione dell’uomo e della vita si possiede. Perché
le competenze pedagogiche, le conoscenze psicologiche, lo stesso amore dei genitori sono
condizioni indispensabili ma non sufficienti per una educazione se non si hanno una identità da
proporre, un senso della vita e una visione della realtà da offrire. Da qui i presupposti su cui si
fonda il rapporto di conoscenza tra l’Io e la realtà. Il disconoscere tale rapporto nega l’esistenza
della verità lasciando così la libertà dell’uomo smarrita, in balìa delle teorie che in ultima analisi ne
negano il senso.

 La differenza uomo/donna. La differenza uomo-donna è radicale e innata, iscritta nella
profondità della coscienza e coinvolge tutti i comportamenti umani. L’uomo e la donna sono
complementari nei loro corpi e nella loro psicologia. Nella loro diversità sono l’uno dell’altra
alternativi e integrativi. Giovanni Paolo II ebbe a parlare spesso del corpo «sponsale» o «coniugale»
dell’uomo e della donna, per sottolineare quell’aspetto del corpo secondo il quale esso è fatto per
unirsi a un altro. «Il primo uomo e la prima donna erano uniti dalla coscienza del dono; essi
avevano una coscienza reciproca del significato sponsale dei loro corpi nei quali si esprime la
libertà del dono e si manifesta tutta la ricchezza interiore della persona in quanto soggetto». L’unità
duale di uomo-donna è originaria e perciò necessaria per l’autocoscienza del singolo. La persona,
unica e irripetibile, vive sempre in relazione: dire persona è ben diverso che dire individuo, entità
astratta e sciolta dai legami. Ognuno è un generato che rimanda costitutivamente ai generanti, entro
una catena generazionale del dare-ricevere la vita imprescindibile per l’identità di ciascuno.
Giovanni Paolo II ha parlato dell’uomo e della donna come «uni-dualità relazionale», che consente
a ciascuno «di sentire il rapporto interpersonale e reciproco come un dono arricchente e
responsabilizzante».

 La famiglia. La famiglia fondata sull’unione di un uomo e una donna – contrariamente al
disappunto di quanti, sulla scia di una ben nota letteratura sociologica, prevedevano, e ancora
prevedono (si veda lo stesso progetto gender, col quale viene demolita la struttura naturale e
culturale della famiglia, su cui è fondata da millenni ogni civiltà) infallibilmente la sua caduta, la
sua dissoluzione e la sua consunzione in virtù dell’attuale evoluzione della società, nonché nella
sua identità e nella sua stessa struttura universalmente riconosciuta – resta il luogo di reciprocità, di
solidarietà, di relazione tra sessi e generazioni, nonché ambito intergenerazionale promotore di un
umanesimo autentico, capace di rifondare le ragioni della propria esistenza e della propria missione:
istituzione che, conseguentemente, assume una precisa soggettività sociale. La corporeità e l’essere
situati nella differenza sessuale ci porta all’unità procreativa e al generare nella direzione del «dono
arricchente e responsabilizzante» bene vitale e primario della famiglia e fonte della stessa
sopravvivenza e sviluppo della società.

 I figli. I figli sono figli in quanto costruiscono la loro identità in relazione al padre e alla madre.
Devono essere e sentirsi generati in relazione a un padre e a una madre, e poter vedere la relazione
tra i due. È dalla diversità uomo/donna e dalla concretezza strutturale della famiglia fondata su
questa unione, che i figli trovano certezze e un senso alla loro vita, nonché la responsabilità di
vedere articolato un vissuto quotidiano ancorato alla tradizione e al riscontro veridico ai valori
enunciati in famiglia. Mentre ciò che il bambino «sa» viene prodotto e in qualche modo trasmesso
attraverso canali anche diversi dalla famiglia (es. scuola ...), ciò che il bambino «è», e quindi in
larga misura ciò che da adulto sarà, è frutto educativo della famiglia. Ed è con il riferimento
costante alla madre e al padre, nonché alla loro diversità naturale e psicologica, che il bambino
percepisce concretamente e correttamente che cosa significa essere «uomo» e/o «donna», e
costruisce la sua vera identità. Non c’è un diritto della persona ad avere un figlio, c’è il diritto di un
figlio ad avere un genitore, ad avere un «papà» e una «mamma» (non due individui) a cui fare
riferimento.

I rilievi di dissenso

Dai promotori della teoria «gender» viene esplicitamente citata la finalità di «dare un impulso al
processo di cambiamento culturale», tuttavia, in sintesi, le critiche a tale impostazione sono
molteplici. Sostanzialmente si danno per certi e concordati impianto e finalità, e cioè la promozione
di una parità di trattamento non tra persone di diverso genere – maschi e femmine riconosciuti in
quanto tali – ma per i nuovi «generi», intesi come categorizzazione fondata sulla idolatria del
desiderio soggettivo, sulla «preferenza» sessuale, unico vero collante della «comunità GLBT». La
realtà non è così e contraddice la presunta condivisione della teoria da parte di molti degli stessi
aderenti alla comunità GLBT. Di questo dissenso, ad esempio, va messa in risalto la posizione
critica circa la maternità surrogata, di Marie-Josephe Bonnet, militante femminista e lesbica, nonché
fondatrice del Fronte omosessuale d’azione rivoluzionaria (FHAR): «Sono contro la maternità
surrogata per principio. L’utero in affitto è lo schiavismo moderno. È un mercato, è l’apertura al
commercio internazionale dei bambini e alla negazione del ruolo della madre, alla riduzione del
corpo della donna a mero strumento atto a soddisfare i desideri di coppie agiate. Il messaggio che
viene fatto passare è che tutto si compra e tutto si vende, compreso il potere procreatore della
donna. È uno scandalo che deve essere fermato». Ma sono diversi i dissenzienti, anche in ordine
alla «dissoluzione dell’ordinamento orizzontale, intergenerazionale, simbolico, con conseguenze di
confusione, incomunicabilità personale e sociale, che solo un miope può negare»: così Chiara
Atzori, rappresentante di «Scienza e Vita». Penso al figlio di fino a cinque soggetti genitoriali: il
donatore e la donatrice di gameti, l’ospitante in utero, il genitore/genitori adottivi. Il soggetto che
esce da questo «frullatore gender», che identità personale, sociale e giuridica avrà o rivendicherà
rispetto alla struttura relazionale (quindi giuridica) attuale? Da qui anche il problema dell’adozione.
Come hanno dimostrato i giuristi cattolici, occorre riassettare l’«istituto dell’adozione» su tre
precise polarità: il primato dell’interesse dell’adottando, non dell’adottante; il primato delle
motivazioni solidaristiche, non di quelle individualistiche; il primato del rilievo pubblicistico
dell’istituto, secondo quanto desumibile dall’art. 30 della Costituzione, e non la sua riduzione a
mero affare privato. Il bambino ha diritto ad avere «radici» e sapere le sue origini e conoscere la sua
storia.

Bibliografia di riferimento

AGESC, L’ideologia del terzo millennio, Comunicato stampa, 2013.
ATZORI C., «Identità e Orientamento sessuale», in Studi Cattolici, luglio/agosto 2013.
GIURISTI PER LA VITA, Comunicato stampa 16(2013).
MAINARDI E., «In famiglia (e scuola) educare alla costruzione dell’identità personale», in Quaderno
Agesc 5(1914).
MIUR/PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, Tante diversità. Uguali diritti, Omofobia (2013-2014).
OMS, Norme sull’educazione sessuale, aprile 2013.
SCABINI E., «L’indissolubile viaggio», in Tempi, 11(19 marzo 2014).
SCOLA A., «La tesi del “gender”», in Una nuova laicità, Ed. Marsilio 2007, 113-116.
SGROI S., «La sfida educativa», in Fogli, luglio/agosto 2013.
TETTAMANTI G., «La presunta discriminazione omofobica», in Orientamenti Pastorali 3(2013).
UNAR/DIPARTIMENTO PARI OPPORTUNITÀ, Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto
delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015).

GIANCARLO TETTAMANTI, giornalista-pubblicista, socio fondatore AGESC
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