La tutela dei DOMAIN NAMES

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La tutela dei DOMAIN NAMES
                                  di Antonio Chirico

L’importanza della funzione esplicata dai domain names (identificabilità e facile
rintracciabilità del sito web oggetto di ricerca), e la sfuggevolezza degli stessi ad
un’opera di sussunzione sotto categorie giuridiche ben definite attesa l’estrema
diversità che possono assumere i loro contenuti, rende quanto mai delicata e
complessa l’opera di individuazione delle forme di tutela apprestabili in caso di
controversia.

Prima di passare all’analisi della giurisprudenza appresso citata, che dimostra la
varietà delle controversie prospettabili, è opportuno comunque una breve premessa dal
punto di vista strettamente amministrativo.

In origine l’assegnazione dei domain name e dei c.d. numeri IP, a chi ne facesse
richiesta, veniva gestita da un unico soggetto denominato IANA (Internet Assigned
Numbers Authority), il quale operava negli USA. Oggi, è L’ICANN (Internet
Corporation for Assigned Names and Numbers) ad essere deputata
all’amministrazione dei domini tematici, tuttavia essa non si occupa direttamente della
registrazione dei domini, svolge per lo più un ruolo di guida fissando i criteri generali
che soprassiedono alla registrazione. Per svolgere questo compito si avvale della
collaborazione di enti di registrazione, detti accredited registrars, ovvero di società
selezionate dall’ICANN stessa e accreditate presso di lei. La crescita esponenziale di
Internet e delle imprese on-line ha fatto emergere la necessità di organizzare l’attività
di assegnazione -“naming”- su base territoriale; quanto all’Italia e con riferimento alla
gestione del data base, sono state istituiti due organismi tra loro separati ed
indipendenti – la Naming Authority italiana e la Registration Authority italiana - con il
compito, la prima, di stabilire le procedure ed il regolamento sulla base della quale
opera la seconda, la quale ha invece il compito di assegnare ai soggetti richiedenti gli
indirizzi IP ed i relativi domain names contraddistinti dal Country Code .it.

Il principio sulla base del quale vengono effettuate le assegnazioni dei nomi a dominio
è quello del first come, first served, in base al quale chiunque chieda l’assegnazione di
un nome di dominio non ancora registrato da altri, ne ottiene la registrazione ed il
diritto di utilizzo in esclusiva, indipendentemente dal fatto che tale nome di dominio
sia in conflitto con altrui diritti di privativa. Ed invero gli enti preposti
all’assegnazione dei domini, non sono tenuti ad effettuare alcun controllo preventivo
atto a prevenire/evitare la registrazione - quale domain name - di segni o marchi
confondibili con un marchio registrato da parte di un soggetto diverso dal titolare del
segno distintivo. In altri termini, in base all’attuale metodo di assegnazione dei domain
names, tutti i nomi non ancora registrati (come domain name) sono liberamente
registrabili da chiunque sulla base delle priorità delle richieste, indipendentemente dal
fatto che tali nomi corrispondano o meno a denominazioni o segni distintivi di terzi
più o meno noti.

Oltre a non prevedere alcuna forma di controllo preventivo, le regole di naming
(Regole di Naming del 31.12.2002 versione 3.9) non stabiliscono neppure alcun
criterio od indicazione per risolvere eventuali conflitti di domini con segni distintivi.

Peraltro, relativamente al valore di tali regole di naming il Tribunale di Bergamo con
sentenza n°634 del 2003 (caso Armani) ha precisato che "Le regole di naming dettate
dalla Naming Authority e cioè quelle che stabiliscono la procedura per l'assegnazione
dei nomi a domino, costituiscono mere regole contrattuali di funzionamento del
sistema di comunicazione delle rete Internet, di carattere amministrativo interno, che
non possono essere utilizzate dal giudice atteso che l'autorità giudiziaria è chiamata ad
applicare la legge e non una normativa amministrativa interna".

Il problema della tutela dei domain names, dunque, si rivela assai complesso visto il
valore meramente contrattuale delle regole di naming e soprattutto l’assenza di
specifiche norme nazionali dalle quali ricavare la loro natura giuridica.

In caso di conflitto tra domini o tra domini e segni distintivi tradizionali, si ricorre
pertanto all’applicazione della disciplina dei segni distintivi, cogente nel nostro
ordinamento, che vieta l’utilizzo da parte di terzi di un segno identico o simile al
marchio registrato, qualora a causa di un tale utilizzo – per l’identità o la somiglianza
dei segni o l’affinità tra prodotti/servizi- possa verificarsi un’ipotesi di confusione o di
associazione tra i due segni; della concorrenza per cui si considera vietato l’utilizzo di
nomi/segni distintivi idonei a creare confusione con i nomi od i segni distintivi
legittimamente utilizzati da altri.

E’ soprattutto il fatto della funzione distintiva ed identificativa del domain name in
relazione al suo uso correlato al sito dell’impresa che se ne serve al fine di essere
“visibile” in rete, ovvero per ivi offrire i propri prodotti e servizi, che rende possibile
l’assimilazione del nome di dominio, ai segni distintivi – tra essi: all’insegna ed al
marchio.

Principi giurisprudenziali in tema di nomi a dominio

Esistono due diversi indirizzi giurisprudenziali:nella giurisprudenza più recente, il
nome di dominio è stato spesso equiparato all’insegna (in tal senso Trib. Ivrea 19
luglio 2000 e Trib. di Prato 19 agosto 2000 secondo cui “il domain name è un vero e
proprio segno distintivo assimilabile all’insegna, per cui, anche in base al diritto
vigente deve ritenersi che l’impiego di nome a dominio già utilizzato da altri, integri
atto di concorrenza sleale ex art.2598, quando sia idoneo a creare confusione”.),
proprio in relazione alla sua funzione “identificativa” dell’impresa presente nella rete,
e sulla considerazione che se l’insegna è il segno distintivo che identifica l’azienda,
così il nome di dominio può essere considerato il segno distintivo che identifica il sito,
ossia il luogo virtuale in cui è svolta l’attività dell’imprenditore.

Più frequentemente poi, la nostra giurisprudenza ha assimilato il domain name al
marchio –perché segno distintivo di prodotti/servizi- e quindi ha risolto il vuoto
normativo, ricorrendo all’applicazione in caso di conflitto tra imprenditori, della
disciplina in materia di contraffazione di marchio.

Una pronuncia recente è quella del Tribunale di Napoli del 3.7.2003, emessa per
decidere un procedimento cautelare ex art 700 cpc. In essa si afferma che costituisce
un principio ormai consolidato quello secondo il quale "per la sua capacità di
identificare l'utilizzatore del sito web ed i servizi di varia natura da essi offerti al
pubblico, il "domain name" assume le caratteristiche e la funzione di un vero e proprio
segno distintivo, che può dar luogo a problemi sul piano della tutela della proprietà
intellettuale, potendosi verificare casi di confusione con i segni distintivi di altre
imprese, anche non presenti sulla rete Internet".

Tale principio era stato ampiamente trattato in altra pronuncia dello stesso Tribunale
di Napoli. Infatti, con sentenza del 26.2.2002 – caso Playboy enterprise inc c CS
Giannattasio Informatica srl - lo stesso Tribunale ha ritenuto che Internet costituisce in
primo luogo una forma di comunicazione, anche di impresa, nonché un veicolo
pubblicitario che determina l'applicabilità delle regole in materia di segni distintivi;
anche la dottrina secondo il Tribunale sarebbe unanime nel seguire tale orientamento
(Garante concorr. mercato 27 marzo 1997, n. 4820, Dir. industriale 1997,1064).

Nella sentenza in parola si cita anche la pronuncia del Tribunale di Milano del 10.6.97
- caso giurisprudenziale Amadeus- in cui il giudice ha stabilito che: «Va inibito, in
quanto integra contraffazione del marchio Amadeus, l'utilizzo della denominazione
Amadeus.It. quale "domain name" di un sito Internet destinato ad ospitare offerte di
servizi commerciali di natura analoga a quelli prestati dalla società titolare del marchio
predetto» (Trib. Milano 10 giugno 1997, GADI, 3666, Foro it. 1998,I, 923).

Il Tribunale di Napoli nella sentenza del 26.2.02 afferma che il valore e la funzione
commerciale dei domain name sta, inoltre, nella loro capacità - economicamente
rilevantissima - di "catturare" il consumatore nella rete, orientandone le scelte di
consumo. In particolare l'importanza dei domain names, coincidenti con segni
distintivi, sta nel fatto che consentono all'utente medio, di individuare l'indirizzo di
una impresa anche senza conoscerlo a priori, attraverso una ricerca semplice ed
intuitiva. Essi allora, in quanto consentono di individuare nella rete un soggetto
commerciale, sono a loro volta segni distintivi: i domain names sono "la chiave" per
l'ingresso nella new economy , e segnano inevitabilmente il divario tra il mercato
tradizionale e la rete Internet.

La giurisprudenza, dunque, non è univoca sul tipo di segno distintivo cui il domain
name è riconducibile: Trib. Milano 10 giugno 1997, cit, richiama l'insegna «in quanto
il sito spesso configura di fatto il luogo (virtuale) ove l'imprenditore contatta il cliente
al fine di concludere con esso il contratto»; in tal senso anche Trib. Ivrea 19 luglio
2000 Dir. Ind. 2001, 177; in tale prospettiva la tutela è essenzialmente quella prestata
ex art. 2598 c.c. Tale accostamento, certo suggestivo, è stato criticato in dottrina,
osservandosi che non sempre il sito contrassegnato dal domain name è strumento per
l'esercizio di una attività economica. Anche in tale ipotesi, d'altronde il domain name
contrassegna generalmente prodotti (venduti in quel sito), o servizi; ed allora potrebbe
essere meglio assimilato ad un marchio. Effettivamente domain names e marchi
assolvono una funzione che può definirsi induttiva, in quanto - attraverso una serie di
associazioni mentali - comunicano informazioni e suggestioni su un certo prodotto o
servizio. La dottrina e la giurisprudenza più recenti, infatti, a seguito soprattutto della
novella del 1992 alla legge marchi, hanno sottolineato che il marchio non ha più la
funzione solo distintiva, di origine di provenienza, ma anche - e sotto il profilo
economico soprattutto - quella pubblicitaria e di garanzia (pur se non in senso
strettamente giuridico) della qualità del prodotto o del servizio cui si riferiscono.
L'equiparazione al marchio, peraltro, non può essere piena: diversissimi sono i
presupposti per la registrazione e diversa e anche la natura dei diritti che su di essi
incidono (i domain name sono solo assegnati in uso).

E' preferibile, ad avviso del Tribunale di Napoli – sentenza del 26.2.2002 -, il richiamo
al c.d. segno distintivo atipico, figura riconosciuta dalla giurisprudenza; ed in realtà il
domain name ha - alla stregua di quanto si è prima rilevato - un valore giuridico ed
economico autonomo, irriducibile ai segni preesistenti.

La questione, in realtà, non è di rilievo decisivo: la giurisprudenza più avveduta ha
avuto modo di sottolineare che - a prescindere dall'etichetta giuridica che si vuol dare
ad un segno - esso, in quanto utilizzato nel commercio e nell'esercizio di una attività di
impresa, se costituisce contraffazione degli altrui segni distintivi , viola la normativa a
tutela di questi ultimi, nonché può integrare una condotta di concorrenza sleale, arg. ex
Trib. Genova 13 ottobre 1999, Dir. Inf., 2000, 346 (per la tutela anche della
denominazione sociale, a fronte di contraffazione a mezzo di domain name, v. Trib.
Napoli 27 maggio 2000, Giur. Nap., 2001, 3, 93).In particolare va richiamato l'art. 1
legge marchi, che assicura al titolare del marchio registrato l'utilizzo esclusivo del
proprio segno, con interdizione di altrui segni uguali o simili (se confusori). La norma
in parola non specifica però i contesti in cui può realizzarsi l'uso da parte di chi non ne
è titolare; pertanto nulla osta a che l'ambiente Internet sia ricondotto a tale previsione;
d'altronde - e di converso - la tutela non si vanifica solo perché ci sono nuovi strumenti
di comunicazione

Vi è di più: sempre l'art. 1 cpv legge marchi consente al titolare di utilizzare il proprio
marchio nella corrispondenza e nella pubblicità, e anche tale previsione sembra
corrispondere ad alcuni fondamentali profili di Internet (pur se non prevedibili dal
legislatore, del 1941 e anche del 1992); in particolare può derivarsene il diritto del
titolare del marchio all'uso esclusivo dello stesso come domain name. Anche l'art. 13
legge marchi, che vieta l'adozione di una denominazione uguale o simile all'altrui
marchio riconduce agli stessi domain names.

Secondo il disposto dell’art.13 L.M., quale che sia il segno distintivo cui il domain
name venga assimilato (insegna o marchio), il conflitto con il marchio o altro segno
distintivo altrui, può essere risolto con risultati analoghi. Infatti, l’adozione come
insegna e quindi anche come domain name di un marchio altrui, deve ritenersi
illegittima, e ciò proprio al fine di evitare la confusione e l’associazione tra i due segni
e tra le due imprese, che detti segni utilizzano

Secondo il Trib. Parma, 26 febbraio 2001 il domain name è "un nuovo segno distintivo
dell'impresa, suscettibile, in quanto tale, di entrare in conflitto con altri segni distintivi,
in base al principio dell'unità dei segni distintivi desumibile dall'art. 13 l.m.". Stante
dunque l'unitarietà della normativa applicabile: ai domain names si applicherà, in via
diretta e non analogica, la disciplina dei segni distintivi, in primo luogo -
evidentemente - quella dei marchi.

Altre pronunzie nazionali con cui si è stabilito che il conflitto tra segno distintivo
anteriore e domain name trovi disciplina nella normativa sui segni distintivi sono:
tribunale di Pescara 9 gennaio 1997, tribunale di Roma 2 agosto 1997, tribunale di
Vicenza 6 luglio 1998, tribunale di Reggio Emilia, 29 maggio 2000.
Con ordinanza datata 12 luglio 2002, il tribunale di Milano ha, poi, accolto il ricorso
presentato da un'impresa che lamentava l'utilizzo di un nome a dominio contenente la
propria denominazione sociale da parte di un soggetto concorrente. Nell'occasione, il
tribunale di Milano ha posto l'attenzione sulla concreta funzione specifica del domain
name e ha ritenuto che si potesse configurare la fattispecie prevista dall'articolo 2598
n. 1, secondo cui compie atti di concorrenza sleale chiunque «usa nomi o segni
distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi
legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie
con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività
di un concorrente».

Il Tribunale di Bergamo con la citata sentenza del caso Armani, ha ordinato la
cancellazione della parola "armani" nel nome a dominio registrato dal convenuto,
inibendo allo stesso "l'uso della parola "armani" come nome a dominio, ove non
accompagnata da elementi idonei a differenziarla dal marchio "Armani".La ratio della
decisione sta nel fatto che il nome a dominio "armani.it", registrato a fini commerciali
da un incisore di nome Luca Armani (che tramite il dominio pubblicizzava i propri
servizi e prodotti), lede i diritti del sarto Giorgio Armani. Essendo quest’ultimo
titolare di un marchio celebre e meritevole quindi della "tutela allargata" a categorie
merceologiche diverse da quelle per le quali il marchio è stato registrato.

Il Tribunale di Torino con sentenza del 13.1.2004 (Caso Alessia Merz) ha precisato
che con riferimento al nome a dominio, considerata la sempre maggiore coincidenza di
esso con i segni identificativi o altrimenti noti del soggetto a cui è riconducibile il sito
(persona fisica o giuridica-personaggio di fantasia), indipendentemente dalla sua
natura tecnica di indirizzo composto da una serie di numeri o lettere che consente
l'accesso ad un sito, non può non attribuirsi anche una funzione distintiva; il nome di
dominio rappresenta uno strumento avente funzione e capacità identificativa e, in
quanto tale, in grado di creare confusione e di danneggiare i segni distintivi tipici,
tutelati dall'ordinamento, quali il marchio-l'insegna; la violazione non è impedita dalla
presenta di suffissi quali “WWW-it.com”

Nella stessa sentenza il Tribunale di Torino ha poi riconosciuto che registrare un nome
a dominio il cui Sld (Second level domain) corrisponde al nome di una persona
celebre costituisce un illecito trattamento di dato personale, in assenza
dell'autorizzazione rilasciata dal titolare del nome. Ed ha riconosciuto sussistenti, nel
caso di specie, gli estremi della fattispecie prevista dall'articolo 15 del codice del
trattamento dei dati personali.

Differente invece l’indirizzo giurisprudenziale minoritario: alcune decisioni
giurisprudenziali (Trib. Firenze 29 giugno 2000, Dir. Ind., 2000, 331; id. sezione dist.
di Empoli 23 novembre 2000, Giur. It. 2001, 1902, ; Trib. Bari, 24 luglio 1996, Foro
It., 1997, I, 2316), oggi rappresentano l’indirizzo minoritario, secondo cui «la funzione
del domain name system è solo quella di consentire a chiunque di raggiungere una
pagina web e, in quanto mezzo operativo e tecnico - logico, non può porsi per esso un
problema di violazione del marchio di impresa, della sua denominazione o dei suoi
segni distintivi».Si giunge ad affermare, da parte di tali decisioni, che il domain name
è solo un mero indirizzo numerico, tradotto in lettere alfabetiche: una sorta di numero
telefonico.
Si deve obiettare che il domain name, è solo tecnicamente un indirizzo, ma nell'uso
commerciale, specie nella prospettiva della pubblicità e del commercio elettronico - e
di rimando giuridicamente - può avere in concreto le stesse funzioni dei segni tipici
dell'imprenditore, ed è suscettibile di conflitto con questi ultimi.

Rimedi alternativi alla giurisdizione ordinaria

Nel caso in cui si verifichi una contestazione in ordine ai domini .it, oltre alla
possibilità di rivolgersi alla magistratura, esistono due rimedi, previsti dalle Regole di
naming: l'arbitrato; la procedura di riassegnazione.

L'articolo 15 delle Regole prevede che chi richiede in uso un nome a dominio presso
la Ra possa impegnarsi, con la lettera di Ar o con atto successivo, «a devolvere ad
arbitrato irrituale le eventuali controversie connesse alla assegnazione di quel nome a
dominio ai sensi delle presenti regole di naming, riconoscendo come valide e
vincolanti le decisioni prese dal collegio arbitrale». A tal fine, è costituito presso la Na
un comitato di arbitrazione, composto da membri della naming authority. La
procedura di riassegnazione viene esperita qualora chi abbia iniziato una contestazione
ne faccia richiesta. La procedura non ha affatto natura giurisdizionale, e - quindi - non
preclude alle parti il ricorso, anche successivo, alla magistratura o all'arbitrato previsto
dall'articolo 15 delle regole di naming. La Procedura viene condotta da apposite
organizzazioni, rispondenti ai requisiti predisposti dalla naming authority, denominate
enti conduttori. L'ente conduttore viene scelto da parte di chi contesta il nome a
dominio (peraltro, le spese per la procedura sono a esclusivo carico di chi contesta un
nome a dominio). Le Regole di naming prevedono le ipotesi in presenza delle quali i
nomi a dominio sono sottoposti alla Procedura, qualora il ricorrente affermi che: il
nome a dominio contestato sia identico o tale da indurre confusione rispetto a un
marchio su cui egli vanta diritti, o al proprio nome e cognome; e che l'attuale
assegnatario (denominato resistente) non abbia alcun diritto o titolo in relazione al
nome a dominio contestato; e infine che il nome a dominio sia stato registrato e venga
usato in mala fede.

Le difficoltà applicative delle legge marchi

L'applicabilità ad Internet del diritto dei marchi deve misurarsi - così come può trovare
dei limiti - nelle peculiarità del sistema stesso; così, ad esempio, il sistema Internet
non conosce confini, sicchè ad esso è inapplicabile il principio di territorialità
(fondamentale nel diritto dei marchi), così come non può trovare applicazione il
principio di specialità.

Evidenziando, poi, con estrema sintesi le differenze principali tra marchio e domain
name, non si può non rilevare che il marchio prevede un procedimento di controllo dei
requisiti di legge (capacità distintiva, novità, liceità) svolto da un ufficio
dell’amministrazione statale (o sovranazionale, come nel caso del marchio
comunitario) al termine del quale viene concesso un diritto esclusivo di uso del segno
(in senso lato) registrato limitatamente alla/e classe/i di prodotti o servizi indicata/e
nella domanda di registrazione. Superata positivamente la ricerca di anteriorità, al
richiedente viene concesso il marchio, che avrà efficacia all’interno del territorio di
competenza dell’amministrazione statale concedente. Il nome a dominio, ignora queste
limitazioni. Non si applicano i principi di specialità e di territorialità. Nel caso di
domini generici - gTLD -, il suo titolare è svincolato da qualsiasi riferimento locale.

Considerazioni finali

Il dominio internet permette di esercitare diritti assoluti, azionabili erga omnes, non
solo alle imprese (diritto di marchio), ma anche alle persone fisiche, come il diritto al
nome (diritto della personalità) e i diritti costituzionali della persona, come la libertà di
espressione. Nel conflitto tra questi diritti, il dominio internet si colloca in una
posizione di assoluta neutralità.

L'uso di un domain name pur correttamente attribuito dal punto di vista tecnico può
ben integrare gli estremi - a seconda dei casi - della lesione del diritto al nome e della
legge sulla privacy o della concorrenza sleale, o della legge marchi; il fatto che si sia
ottenuto il domain name seguendo le regole del sistema non vuol dire che si sia
sottratti dalle norme giuridiche vigenti, che spiegano la loro efficacia anche in
Internet.

Nell’attesa di una disposizione legislativa che possa risolvere il problema, la soluzione
va ricercata caso per caso. Dev'essere realizzata un'attenta analisi del caso concreto,
dato che la denominazione del Second level domain (domain name) può
corrispondere:-al marchio o all'insegna (con conseguente applicabilità della tutela
riconosciuta alla proprietà industriale),- al titolo di un'opera (che - in quanto tale - è
soggetto a specifica tutela dalla legge 633/1941) - al nome di una persona (per cui si
può efficacemente far ricorso a quanto disposto dall'articolo 7 del Cc ma anche alla
tutela predisposta dal TU 196 del 2003, essendo il nome il primo dato personale che
deve essere tutelato attraverso l’applicazione di tale normativa).

Note bibliografiche

Dottrina:

“I nomi a dominio, marchi e tutela del nome” di Luca M. De Grazia su www.iwa-
italy.org

“Prime indicazioni sulla natura giuridica del nome di dominio” di A. Monti su
www.interlex.it

“Il nome a dominio: oltre il marchio?” di Roberto Manno su www.interlex.it

“Aspetti giuridici della registrazione dei nomi a dominio” di Andrea Monti su
www.interlex.it

“Domain Name: Il nome di dominio equivale, sul piano funzionale, ai segni distintivi”
di Giovanna Raffaella Stumpo su www.diritto.it

“Il nome a dominio nel diritto privato” di Vincenzo Venitucci* su www.interlex.it

“Il caso armani.it: domini, marchi e diritti assoluti” di Roberto Manno su
www.interlex.it

“Registrazione domini: come funziona nel resto del mondo” di Claudia Terrazzi su
www.interlex.it

“Armani.it. Un dominio "su misura" di Andrea Monti su www.interlex.it

“Domain name: nell’italia del vuoto normativo la giurisprudenza segue il modello
americano” di Sirotti Gaudenzi Andrea su Il Sole 24 Ore - Guida al Diritto n°41/2002

Domain names: una nuova frontiera per il diritto di Elena Garda su www.jus.unitn.it

Giurisprudenza:

Trib. Modena 23 ottobre 1996, in Riv. dir.ind. 1997, II, 177 (Caso Foro.it); Trib.
Firenze, 24 luglio 1996, in Foro It,1997, I,2317; ordinanze di Trib. Modena 1996, in
Foro it.,1997, I, 2316;Trib. Pescara, 9 gennaio 1997, in Dir. inf. 1997, 952 (Caso
Nautilus); Trib. Milano, 9 giugno 1997, ivi,1997, 955; Trib. Roma 2 agosto 1997;
Trib. Milano 22 luglio 1997(Caso Amadeus), in Foro it. 1997, I, 924; Trib. Roma 2
agosto 1997, ivi,1997, 961 (caso Porta Portese); Trib. Napoli, 8 agosto 1997, in Giust.
Civ. 1998, 259; Trib. Macerata 2 dicembre 1998, in Riv. dir.ind, Riv. dir.ind 1999, 35
(caso Pagine Utili); Trib. Verona 25 maggio 1999, in Foro It., 1999, I, 3061 (caso
Technovideo); Trib. Genova 17 luglio 1999, in Dir. inf. 2000, 346 (caso Altavista);
Trib.Viterbo 24 gennaio 2000; Trib. Milano, 3 febbraio 2000, ivi, 493; Trib. Roma 9
marzo 2000, ivi, 2000, 360; Trib. Modena, 23 maggio 2000, ivi, 2000, 665; Trib.
Reggio Emilia 30 maggio 2000, ivi, 2000, 668; Trib. Ivrea, 19 luglio 2000, in Riv.
dir.ind. 2001, 177 ed ivi anche Trib. Brescia, 6 dicembre 2000; Trib. Prato, 19 agosto
2000, in Riv. dir.ind. 2002, 51; Trib. Firenze 29 giugno 2000 (caso Sabena) in Dir. e
prat. Delle società, 2000, n.16, 81; Tribunale di Napoli –sentenza del 26.2.2002 (caso
Playboy) Tribunale di Bergamo sentenza n°634 del 2003 (caso Armani); Tribunale di
Napoli del 3.7.2003; Tribunale di Torino con sentenza del 13.1.2004 (Caso Alessia
Merz).

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