LA RUSSIA COME KATÉCHON di - Moreno Pasquinelli
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LA RUSSIA COME KATÉCHON di Moreno Pasquinelli «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!» Purgatorio, canto VI, vv. 76-78 Calzante, come quant’altri mai, questo struggente pianto davanti all’indecente spettacolo accaduto venerdì scorso al Senato e alla Camera. Tutti, ma proprio tutti, hanno applaudito in piedi l’inusitato discorso di Mario Draghi sul conflitto tra Russia e Ucraina — al contempo, un atto di servilismo euro-atlantista e una dichiarazione di odio scomposto verso la Russia che non ha precedenti storici, nemmeno ai tempi del maccartismo, forse nemmeno ai tempi del fascismo. Non siamo stupiti degli osanna dei lestofanti che compongono la maggioranza che sostiene Draghi (leghisti compresi). E nemmeno siamo stupiti che abbiano partecipato al bunga bunga anche i “patrioti” di Fratelli d’Italia. Anzi, Giorgia Meloni
si è distinta per i proclami atlantisti e antirussi più accaniti. Che la signora fosse una gatekeeper lo si sapeva. Scrivevamo quando la Meloni fu accolta nel massonico Aspen Institute. «Il caso di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia è un caso da manuale di come le classi dominanti, allo scopo di conservare il potere, fabbricano soggetti politici e leader il cui compito è occupare preventivamente lo spazio dell’opposizione, e ciò allo scopo di impedire che quello spazio venga rappresentato da soggetti effettivamente antisistemici». Ma sorvoliamo su questi fantocci (che per questo solidarizzano con il loro simile Zelenskyy) e parliamo di cose serie. Cerchiamo di spiegare quale sia la posta in gioco e perché la Russia merita di essere sostenuta. * * * Impazza a reti unificate una campagna di intossicazione ideologica e depistaggio asfissiante. Non fatevi prendere per il culo dal pietismo umanitario per i “poveri ucraini”, dagli appelli in stile pacifista degli eurocrati. La verità è che anche l’Unione europea, ubbidendo a USA e NATO, è entrata in guerra contro la Russia. Sì, poiché nell’epoca delle guerre asimmetriche e ibride, anche il sabotaggio economico è una forma di guerra. Per essere precisi le durissime sanzioni adottate dalla Ue sono un’aggressione in grande stile, tendente non solo a rovesciare Putin, ma ad umiliare il popolo russo. Non solo terribili sanzioni contro la Russia, ma anche ingenti armamenti agli ucraini (anzitutto alle sue milizie naziste nei pressi di Leopoli). Di più: col pretesto dei “poveri ucraini”, riarmo generale, compreso, la storia si ripete, quello della Germania. Non oso immaginare cosa in realtà si dicano, in camera caritatis, questi satrapi, questi briganti. Ce ne da una vaga idea Federico Fubini sul Corriere della Sera di ieri, 27
febbraio. Indossato l’elmetto, in preda ad un attacco isterico, nella sua boria imperialistica, scrive testualmente: «…stiamo portando la guerra a casa di colui che l’ha dichiarata…. Lavoriamo per soffocare Putin finanziariamente e paralizzare l’economia del paese». Il Fubini svela dunque il recondito piano: spingere gli oligarchi ed i miliardari russi a sbarazzarsi di Putin. In buona sostanza un aperto appello ai plutocrati perché rovesciano Putin. Chiedetevi: come mai tanto odio verso un capo di stato pur decisamente anticomunista? La risposta è semplice: Putin, da anni, si sta ponendo di traverso al grande piano delle élite mondialiste. Diciamola meglio: nel nuovo ordine mondiale immaginato da queste élite (compresi gli accoliti del Grande Reset) non c’è posto per una Russia come grande potenza. Parlano di “multipolarismo” ma vogliono azzoppare, addomesticare e colonizzare la Russia. Questo ha ben compreso Putin, di qui la sua resistenza. Di qui il dovere di tutti i veri patrioti, di tutti i nemici della vecchia e nuova globalizzazione, a schierarsi dalla parte della Russia. L’eventuale caduta della Russia di Putin sarebbe il trionfo dell’élite neo-globalista che ha attuato l’operazione Covid. Se la Russia cade sarebbero spalancate le porte al cybercapitalismo, al dominio planetario di regimi di tirannia tecnocratica. * * *
Sosteneva Carl Schmitt che la politica è teologia secolarizzata. San Paolo (2Ts, 2,6) immaginò l’esistenza di una potenza misteriosa e potente, il katéchon appunto, che impediva lo scatenamento delle forze infernali, che ostacolava la venuta del Anticristo. Riscoperte le antiche radici cristiano-ortodosse della Russia (ne parlavo QUI) Putin, che forse considera l’élite neoglobalista un Anticristo, si riterrà proprio questo katéchon che ne ostacola l’avvento. Possiamo solo immaginare a quali tremende pressioni sia sottoposto Putin in questi giorni. Auguriamoci che resista senza perdere la testa. Che la sua difesa delle tradizioni ortodosse non lo faccia precipitare nella spirale dell’apocalittismo, così tipico di quella spiritualità. I suoi nemici stanno cercando infatti di provocarlo, di fare dell’Ucraina un inferno in cui bruciarlo. Non cada in questa trappola, non imiti i crociati cattolici che giunsero a sterminare i catari. Davanti all’accanita resistenza catara i condottieri papalini chiesero al legato di Innocenzo III, cosa fare, ed egli rispose con la famigerata sentenza: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”. Al netto delle sue dure invettive contro Lenin e i bolscevichi —accusati di avere troppo concesso al nazionalismo ucraino—, Putin sa che non deve seguire le orme di Stalin. La legittima vendetta verso i fantocci della NATO non può spingersi fino alla punizione collettiva dei fratelli ucraini. Così noi interpretiamo la “Operazione militare speciale” in corso, l’uso strategico proporzionato e prudente della pur devastante forza militare russa con l’obbiettivo politico di impedire che l’Ucraina passi per sempre coi nemici. Mosca si sta insomma attenendo alla massima che la guerra non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi.
LA NATO È COLPEVOLE: ECCO LE PROVE di Redazione Abbiamo scritto e ribadiamo con forza che la vera responsabile della guerra in corso è la triade Stati Uniti-NATO-Unione Europea. Colpevole è la loro insolenza, la loro smania imperialistica, la loro strategia di accerchiamento della Russia. Scioltisi l’Unione Sovietica e il Patto di Varsavia, lungi dallo sciogliersi, la NATO ha incorporato quasi tutti i paesi dell’Est Europa e, come se non bastasse stava facendo entrare anche l’Ucraina. Lo sciame dei giornalisti di regime va dicendo che quanto diciamo è falso. Pur di accreditare l’idea che Putin sia un maniaco guerrafondaio, ci rispondono che non è vero che la NATO stava tramando per trascinare l’Ucraina nella NATO. A questi bugiardi seriali ed ai tanti imbecilli che gli credono, forniamo la prova provata del sodalizio tra NATO e regime ucraino, e che esso viene da lontano. APRILE 2008, VERTICE NATO DI BUCAREST
Si legge nella Dichiarazione finale del Vertice di Bucarest: «22. Il processo di allargamento in corso della NATO è stato un successo storico nel promuovere la stabilità e la cooperazione e nel portarci più vicini al nostro obiettivo comune di un’Europa intera e libera, unita nella pace, nella democrazia e nei valori comuni. La porta della NATO rimarrà aperta alle democrazie europee disposte e in grado di assumersi le responsabilità e gli obblighi dell’adesione, in conformità con l’articolo 10 del Trattato di Washington. Ribadiamo che le decisioni sull’allargamento spettano alla stessa NATO. 23. La NATO accoglie con favore le aspirazioni euro- atlantiche dell’Ucraina e della Georgia per l’adesione alla NATO. Oggi abbiamo convenuto che questi paesi diventeranno membri della NATO. Entrambe le nazioni hanno dato un prezioso contributo alle operazioni dell’Alleanza. Accogliamo con favore le riforme democratiche in Ucraina e Georgia e attendiamo con impazienza elezioni parlamentari libere ed eque in Georgia a maggio. Il MAP è il prossimo passo per l’Ucraina e la Georgia nel loro cammino diretto verso l’adesione. Oggi chiariamo che supportiamo le domande di MAP di questi paesi. Pertanto, inizieremo ora un periodo di intenso impegno con entrambi ad alto livello politico per affrontare le questioni ancora in sospeso relative alle loro applicazioni MAP. Abbiamo chiesto ai ministri degli Esteri di fare una prima valutazione dei progressi nella riunione del dicembre 2008». 31 OTTOBRRE 2019 KIEV: CONFERENZA STAMPA CONGIUNTA DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA NATO JENS STOLTENBERG E DEL PRESIDENTE DELL’UCRAINA VOLODYMYR ZELENSKYY Il sito della NATO riporta il discorso di Stoltenberg dal quale ricaviamo questo passo:
«È davvero un grande piacere rivederti e tornare a Kiev. E questa volta mi si unisce l’intero Consiglio Nord Atlantico, che rappresenta tutti i 29 alleati della NATO. E penso che questo stia dimostrando il sostegno incrollabile della NATO e di tutti gli alleati della NATO all’Ucraina. Abbiamo appena concluso un eccellente incontro della Commissione NATO-Ucraina. L’Ucraina è tra i nostri partner più vicini. (…) La NATO continua a fornire supporto pratico all’Ucraina. Oggi abbiamo esaminato il nostro pacchetto di assistenza completa per l’Ucraina. Attraverso dieci fondi fiduciari, gli alleati e i partner della NATO hanno impegnato oltre quaranta milioni di euro per sostenere l’Ucraina. In aree come il comando e il controllo, la difesa informatica e la riabilitazione medica. Questo sta fornendo risultati reali. Stiamo aiutando uomini e donne del servizio feriti a ricevere le cure di cui hanno bisogno. Stiamo rafforzando la resilienza dell’Ucraina alle minacce ibride e agli attacchi informatici. Gli alleati della NATO continuano a fornire addestramento militare alle forze ucraine. E ogni giorno, i consulenti della NATO sostengono le riforme della sicurezza e della difesa dell’Ucraina. Stiamo anche aumentando il nostro sostegno nella regione del Mar Nero, con esercitazioni, visite ai porti e condivisione di informazioni. E ieri il Consiglio Nord Atlantico ha visitato 4 navi Nato nel porto di Odessa, a dimostrazione dell’impegno degli alleati Nato nei confronti dell’Ucraina. E siamo stati lieti di incontrare i cadetti navali ucraini presso l’Accademia navale di Odessa, che beneficiano dell’addestramento alleato della NATO. Questi sono solo alcuni esempi della nostra cooperazione e supporto». Addendum
NATO-UE, FRATELLI GEMELLI Per gli europeisti che vogliono negare la natura indissolubile tra NATO e Unione europea, suggeriamo di leggere quanto si afferma nella Dichiarazione finale del Vertice NATO di Bucarest del 2008: «14. Alla luce dei valori comuni e degli interessi strategici condivisi, la NATO e l’UE stanno lavorando fianco a fianco in operazioni chiave di gestione delle crisi e continueranno a farlo. Riconosciamo il valore che porta una difesa europea più forte e più capace, fornendo capacità per affrontare le sfide comuni che la NATO e l’UE devono affrontare. Sosteniamo pertanto gli sforzi che si rafforzano a vicenda a tal fine. Il successo in questi e futuri sforzi di cooperazione richiede un maggiore impegno per garantire metodi efficaci di lavoro insieme. Siamo quindi determinati a migliorare il partenariato strategico NATO-UE come concordato dalle nostre due organizzazioni, per ottenere una cooperazione più stretta e una maggiore efficienza ed evitare inutili duplicazioni in uno spirito di trasparenza e rispettando l’autonomia delle due organizzazioni. Un’UE più forte contribuirà ulteriormente alla nostra sicurezza comune». IN DIFESA DI PUTIN di Sandokan
Ai tempi dell’invasione della Cecoslovacchia (agosto 1968) chiesero ad un militante comunista di provata fede staliniana: “Sei filosovietico anche adesso?”. La secca risposta fu: “Togli il “filo”!”. Mi è venuta in mente questa storiella davanti alla velenosa campagna di denigrazione ai danni di Putin portata avanti dalla centrale strategica della disinformazione. Eh sì, poiché questa centrale strategica esiste e risiede negli Stati Uniti, di cui Londra è la principale stazione in Europa. Da questa cabina di regia partono le veline che poi, a ruota, vengono diffuse a raffica in tutti i paesi dell’Occidente, per la precisione aderenti alla NATO. La tecnica collaudata da questa centrale strategica dell’intossicazione ideologica è da decenni la stessa: ogni nazione ribelle viene satanizzata, bollata come rogue state (“stato canaglia”), così da giustificare il suo annientamento — accadde all’Iraq e alla Jugoslavia. Come per proprietà transitiva chiunque si trovasse a capo degli “stati canaglia” veniva hitlerizzato, letteralmente rappresentato come un dittatore sanguinario — accadde a Milosevic e a Saddam Hussein.
Siccome questa tecnica si è rivelata obsoleta e inefficace, alle prese con Putin, la suddetta centrale si è inventata una variazione dello spartito: Putin sarebbe un pazzo. Partita ieri da testate ammiraglie angoloamericane (New York Times, The Guardian ecc), l’accusa, anzi l’implacabile giudizio clinico, è stato immediatamente raccolto dalla flottiglia di testate coloniali europee. Spicca in Italia il CORRIERE DELLA SERA. Nell’edizione di oggi, 25 febbraio, una pagina intera è dedicata alla giornalista americana (di origine ebraica e naturalizzata polacca) Anne Applebaum. Cosa dunque afferma questa signora che senza dubbio è una delle menti al servizio dell’apparato propagandistico del Pentagono? Alla pelosa domanda del canuto ma pelosissimo Beppe Severgnini: “Cosa è successo a Putin?” La Applebaum risponde: «Non lo so. Sembra ossessionato e pieno di odio. Sembra entrato in una fase nuova. Non so di cosa abbia paura, se della morte o di perdere il potere. Di certo è vissuto isolato a causa della pandemia. (…) Oggi sembra un uomo malato, disturbato». La spocchia con cui questa lacchè insinua addirittura sulla salute mentale di Putin non deve trarre in inganno: la tracotanza nasconde lo stato di impotenza e prostrazione che regna nelle stanze dei bottoni euro-atlantiche davanti alla mossa di Putin. Che la tesi di un Putin “malato e disturbato” possa funzionare ne dubito assai. Prova ne sia che i pennivendoli si lagnano perché non vedono le piazze piene di pacifisti in difesa dell’Ucraina. Ciò che per lorsignori è riprovevole per noi è una confortante notizia, segno, appunto, che solo una minoranza degli italiani (di contro alla stragrande maggioranza dei partiti in Parlamento) abbocca alla campagna russofoba dell’élite. La campagna di intossicazione antirussa ricorre, come in altri
casi del genere, a plateali falsificazioni della storia. Non vi sarà sfuggita infatti l’accusa secondo la quale Putin avrebbe scatenato “la prima guerra nel cuore dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale”. Non so a voi, a me è venuto un attacco di bile! E la terrificante aggressione USA-NATO-UE del 1999 alla Jugoslavia, con conseguente squartamento del Paese, dove la mettiamo? E sempre a proposito di menzogne come non segnalare quanto un altro pennivendolo, Antonio Polito, afferma sempre oggi sul CORRIERE? Il furfante scrive testualmente che la seconda guerra mondiale iniziò nel settembre 1939 con la spartizione della Polonia, dimenticando di dire che era in effetti iniziata un anno prima, nel settembre del 1938, quando Inghilterra e Francia siglarono un patto con Hitler accettando la sua espansione verso Est spingendolo ad attaccare l’Unione Sovietica. Insomma, davanti a tali filibustieri, alla domanda vien proprio da rispondere: “Togli il “filo”!”. CHE GUERRA È QUESTA? di Moreno Pasquinelli
Scriviamo mentre le agenzie battono la notizia dell’attacco dell’esercito russo all’Ucraina. Le lacrime di coccodrillo dei leader del blocco NATO, il baccano dei media occidentali, non spostano di una virgola le vere cause del conflitto e la soluzione per disinnescarlo — ben indicate nell’essenziale nel comunicato di Liberiamo l’Italia. Che la situazione volgesse al peggio era chiaro da molto tempo, come minimo dalla rivoluzione colorata di Euromaidan, per finire con le gravissime dichiarazioni di due giorni fa di Zelensky che l’Ucraina sarebbe entrata nella NATO. Il 13 febbraio scorso si è svolto un seminario teorico- politico della direzione nazionale di Liberiamo l’Italia. Uno dei due temi in agenda aveva il titolo “la situazione internazionale, i rischi di guerra e la posizione di Lit”. Pubblichiamo di seguito la parte conclusiva della relazione introduttiva. * * * «Con il crollo dell’Unione Sovietica l’élite americana (sia neocon che clintoniana) scatenò un’offensiva a tutto campo per trasformare l’indiscussa preminenza degli U.S.A. nei
diversi campi — economico, finanziario, militare, scientifico, culturale — in supremazia geopolitica assoluta. L’offensiva si risolse in un fiasco. Invece del nuovo ordine monopolare sorse un disordinato e instabile multilateralismo. [Liberiamo l’Italia, Tesi sul Cybercapitalismo] (…) 8. S e i n u n a p r i m a f a s e l a s v o l t a g l o b a l i s t a e liberoscambista assicurò all’imperialismo nordamericano una momentanea supremazia mondiale, ben presto, anche a causa della crisi del collasso finanziario del 2007-2009 e nella forma di una vera e propria nemesi storica, si è capovolta nel suo contrario. Tre sono i fattori che attestano il tramonto della globalizzazione a guida americana: (1) malgrado l’avanzata verso Est della NATO e della UE, è fallito l’obiettivo di colonizzare la Russia; (2) è fallito l’obiettivo di ristabilire l’indiscussa supremazia in Medio Oriente; (3) proprio sfruttando il vento della globalizzazione neoliberista la Cina e diventata una grandissima potenza economica e militare che ambisce a sfidare gli Stati Uniti come prima superpotenza mondiale. 9. Simili, giganteschi mutamenti, non potevano non riverberarsi in modo devastante all’interno degli Stati Uniti. Ecco quindi la grande frattura prodottasi con l’ascesa al potere di Donald Trump e la sua successiva defenestrazione. Alle prese col proprio declino, davanti al rischio di un terzo catastrofico conflitto su larga scala, l’élite dominante si è spaccata in due opposte frazioni: quella trumpiana la quale, pur sempre immaginando di conservare agli USA la propria supremazia, vede nella Cina il nemico principale da battere — se necessario anche stipulando un accordo strategico con la Russia putiniana —, e quella per ora vincente che vede invece nella Russia il pericolo maggiore, quindi disposta ad un accordo tattico di non
belligeranza con la Cina. 10. Il “disordinato e instabile multilateralismo”, segnato dalla ripresa delle tensioni e della conflittualità tra grandi potenze declinanti ed emergenti, potrebbe sfociare in un terzo catastrofico conflitto su larga scala. La principale causa di questa tendenza è il rifiuto degli Stati Uniti di essere spodestati dalla posizione di prima superpotenza. Quale che sia infatti la frazione che prenderà il sopravvento negli Stati Uniti, nessuna delle due accetterà passivamente di lasciare ad altri la supremazia mondiale. Il posizionamento della Russia potrebbe decidere chi sarà il vincitore. Per il momento Mosca e Pechino sembrano essere saldamente alleati, ciò che rappresenta una potente diga alle ambizioni nordamericane di riconquista della loro supremazia mondiale. 11. Tre sono i principali teatri di scontro tra le potenze: quello mediorientale, l’indo-pacifico e l’europeo. In tutti e tre i teatri gli Stati Uniti sono presenti direttamente con le loro forze militari strategiche d’attacco, alimentano le controversie tra potenze regionali (divide et impera), e sono alla testa di alleanze con stati vassalli. Se in Medio Oriente c’è uno stato di belligeranza permanente nella forma di guerre per procura (proxy war), sia nell’indo-pacifico che in Europa i conflitti latenti potrebbero diventare dispiegati e frontali. In un sistema-mondo a vasi comunicanti uno scontro diretto tra grandi potenze in uno di questi teatri potrebbe coinvolgere gli altri due, in questo caso e solo in questo avremmo un terzo catastrofico conflitto su larga scala. 12. Il Medio Oriente è la scacchiera dove nell’ultimo decennio si sono svolti importanti prove generali della contesa tra Stati Uniti e Russia. Le insormontabili divisioni del mondo islamico, con i due principali campi ostili, quelli capeggiati dall’Iran e dall’Arabia Saudita (con Israele dalla parte di quest’ultima e la
Turchia di Erdogan come terzo incomodo), sono sfociate in una lunga “guerra dei trent’anni”, segnata da offensive e controffensive, da tregue seguite da nuove battaglie. Combattuta anzitutto in Siria, la “fitna”, o mattanza fratricida tra frazioni e potenze regionali islamiche, si è poi estesa allo Yemen e alla Libia. Questo conflitto insanabile è destinato non solo a riconfigurare da cima a fondo l’intera regione medio- orientale, avrà pesanti ripercussioni su tutta l’area mediterranea, coinvolgendo giocoforza anche il nostro Paese. La doppia catena dell’alleanza NATO e dell’appartenenza all’Unione europea, l’avere al potere un’élite di ferventi euro-atlantisti, come hanno dimostrato gli avvenimenti in Libia, impedisce all’Italia di giocare un ruolo indipendente, interdice ogni politica di coesistenza pacifica e di proficua collaborazione con gli stati del Nord Africa e del Medio Oriente, pregiudica l’interesse nazionale e, peggio ancora, potrebbe trascinare il nostro Paese nel vortice di una nuova sciagurata guerra imperialista d’aggressione (vedi Iraq e Afghanistan). 13. Non è la Cina che provoca gli Stati Uniti schierando micidiali flotte aeronavali davanti alle coste della California ma sono gli Stati Uniti, al contrario, che minacciano la Cina con una potente cintura di accerchiamento strategico fatta di paesi alleati (Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Thailandia, Australia e Nuova Zelanda), da una fitta rete di basi aeree e navali (Filippine, Guam, Singapore), e da flotte aeronavali e sottomarini. Si può non credere alle assicurazioni di Pechino che la Cina non ha alcuna finalità imperialistica e aggressiva, di sicuro c’è che una guerra con gli Stati Uniti porrebbe fine alla sua avanzata in ogni campo — per questo la stessa pretesa di riportare all’ovile Taiwan sembra più un modo di tenere sveglio l’ambizioso nazionalismo cinese che un evento altamente probabile, come vorrebbe far credere
Washington. D’altro canto per gli Stati Uniti è vero l’esatto contrario, continuando così le cose essi sono condannati a perdere l’egemonia in Asia. Per questo sono proprio gli USA il principale pericolo che minaccia i fragili equilibri in Asia. In questo contesto, considerando le amibizioni indiane, è da escludere che New Delhi si presti ad assecondare gli Stati Uniti partecipando a loro fianco in un eventuale conflitto contro la Cina —vedi le amichevoli relazioni con Mosca. 14. E’ tuttavia in Europa orientale che oggi più spirano venti di guerra. L’isterica campagna russofoba che dilaga in Occidente, tendente a presentare la Russia come decisa a scatenare il conflitto, serve ad intossicare l’opinione pubblica per intrupparla e schierarla a favore di un attacco alla Russia. La storia, anche recente, insegna infatti che la guerra guerreggiata è sempre preceduta dalla guerra di propaganda. La verità è che il principale fattore di conflitto è la protervia con cui Pentagono e NATO proseguono la loro avanzata ad Est, la loro strategia di accerchiamento strategico della Russia. Non è bastato alla NATO e alla UE aver inglobato nell’alleanza militare i paesi dell’Est Europa che facevano parte del Patto di Varsavia. Hanno anche afferrato i paesi baltici portando le loro truppe a ridosso di San Pietroburgo e, imperterriti, hanno infine scatenato il caos in Ucraina spingendo al potere forze nazionaliste ostili alla Russia in vista dell’ingresso del paese nell’alleanza NATO. E’ quindi la NATO, su istigazione del Pentagono, a seguire una ostile politica di assedio strategico della Russia. Mosca chiede agli USA, alla NATO (e quindi alla UE) assicurazioni che l’Ucraina mai entri a far parte della NATO, che mai ospiterà basi militari offensive, ed infine di ridiscutere gli equilibri di sicurezza europei come sanciti nel 1975 ad Helsinki. Visto quanto accaduto dopo il 1989 — la promessa disattesa che mai i paesi dell’Est Europa sarebbero entrati nella NATO — le
richieste russe sono quanto mai legittime. Vale ricordare che un paese minacciato da un letale accerchiamento militare non può stare a guardare inerme ma ha il diritto di difendersi, ove questa difesa può anche implicare la necessità di sferrare attacchi preventivi per impedire al nemico di attuare i suoi piani. 15. In un contesto contrassegnato da psicosi collettiva da covid 19, dal rafforzamento di dispositivi polizieschi di controllo e repressione, dalla sofferenza economica del popolo lavoratore, da una generale avversione per l’impegno politico e dalla scomparsa di movimenti per la pace e antimperialisti; è illusorio pensare possa sorgere in tempi brevi un forte movimento contro la minaccia di guerra. Cinque cose dovremmo concretamente fare come Liberiamo l’Italia: (1) d’ora in poi, nelle nostre discussioni interne e nella nostra comunicazione politica, si dovrà dare la dovuta importanza ai diversi aspetti concernenti gli affari internazionali e la geopolitica; (2) appunto nella prospettiva del “salto politico”, dovremmo agire affinché il movimento contro il green pass e le politiche liberticide adotti una posizione a difesa della pace e quindi di contrasto ad ogni eventuale adesione italiana alla guerra contro la Russia; (3) proporre a tutte le forze politiche, sindacali e intellettuali disponibili, di unire le forze per costruire un nuovo movimento in difesa della pace; (4) promuovere, ove possibile, anche nella forma di sit- in, azioni di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, anche in vista di vere e proprie manifestazioni di massa; (5) attivare i diversi contatti internazionali che abbiamo magari in vista di una conferenza internazionale per la pace. (fine) Fonte: Liberiamo l’Italia
PER LA PACE LA SOLUZIONE C’È di Liberiamo l’Italia Ogni nazione ha il dovere di rispettare l’indipendenza altrui, ma possiede anche il diritto di proteggersi dall’eventuale minaccia di accerchiamento da parte di potenze apertamente ostili. Ha ragione la Russia a sentirsi minacciata dalla NATO? La risposta è sì. Venendo meno alla solenne promessa fatta da Bush a Gorbaciov nel 1991 che la NATO si sarebbe fermata sul fiume Elba, gli Stati Uniti (col pieno appoggio dell’Unione europea), calpestando gli Accordi di Helsinki del 1975, hanno invece incorporato nella NATO: prima la Germania Est; poi Polonia, Cechia, Ungheria (1999); quindi Slovenia, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Lituania, Lettonia, Estonia (2004); infine Croazia
(2009) e Montenegro (2017). Nel mezzo di questo sfrontata politica imperialistica la sanguinosa aggressione alla Jugoslavia (1999). Questo micidiale allargamento della NATO non si spiega se non allo scopo di circondare la Russia. Come se non bastasse NATO e Unione Europea vogliono stravincere assimilando Georgia, Moldavia e Ucraina. Chiunque, al posto del popolo russo, riterrebbe una minaccia esiziale l’avanzata ai propri confini della più potente alleanza militare del mondo. Chiunque al posto del popolo russo definirebbe questo accerchiamento come aggressione, poiché aggressione non è solo un attacco militare proditorio e violento, ma pure una condotta fatta di gesti ostili progressivi. La condotta di USA-NATO-UE si spiega soltanto a patto di ammettere che rafforzano i loro dispositivi offensivi perché si preparano a colonizzare la Russia e se necessario ad attaccarla al momento opportuno. L’èlite russa aveva sperato che una volta restaurato il capitalismo si sarebbe finalmente avuta la pace con l’Occidente, si era insomma illusa che Stati Uniti e Unione Europea avrebbero accolto la Russia come alleata e rispettato il suo rango mondiale. La Russia putiniana — lasciatasi alle spalle le umiliazioni del periodo eltisiniano e gli inganni da parte dell’Occidente — ha deciso di tracciare una linea rossa invalicabile fatta di due punti: (1) Ucraina, Moldavia e Georgia non debbono entrare nella NATO e restare stati neutrali e (2) visto che gli equilibri che furono sanciti con gli Accordi di Helsinki del 1975 sono stati stracciati, va sottoscritto un nuovo accordo complessivo per assicurare pace e sicurezza durature in Europa. Chiunque voglia davvero la pace deve convenire che queste due richieste della Russia sono ragionevoli e legittime.
Avendo a cuore gli interessi del nostro Paese Liberiamo l’Italia respinge nuove sanzioni anti-russe e chiede l’abrogazione di quelle già esistenti; respinge ogni ulteriore allargamento della NATO e agisce per stabilire accordi di cooperazione e fratellanza con la Russia; chiede lo scioglimento della NATO in quanto è il principale ostacolo per relazioni pacifiche e amichevoli con la nazione e il popolo di Russia così come con altri popoli ribelli; in quanto è un pericolo per il futuro dell’Italia e dell’Europa. Non ci facciamo illusioni sul governo Draghi (di provata fede atlantista ed europeista). Come Liberiamo l’Italia rivolgiamo un appello a tutte le opposizioni patriottiche e democratiche a costruire una mobilitazione per impedire al governo di sostenere le provocazioni del Pentagono e dei comandi NATO. Direzione nazionale di Liberiamo l’Italia 21 febbraio 2022 Fonte: liberiamolitalia.org LA SPIA RUSSA di Sandokan
Non c’è solo la “guerra del Covid”, c’è anche una guerra strisciante contro la Russia… Veniamo a sapere che le informazioni relative ai sistemi di telecomunicazione militare NATO passate ai russi dal funzionario della marina italiana (per la modifica cifra di 5mila euro) “non sarebbero di particolare rilievo”. Perché dunque tutto questo polverone politico e mediatico quando, di norma, simili panni sporchi si lavano nei retrobottega delle diplomazie? Evidente che Roma ha voluto dare un segnale politico. Quale è presto detto: con Draghi l’Italia riconferma non solo il suo europeismo ma il suo indefesso atlantismo. La vicenda, tuttavia, non mi ha colpito per la sua dimensione geopolitica e militare, quanto perché il contesto che ha spinto la spia a spiare per i russi… è spia di ben altro. Ha dichiarato testualmente la moglie di Walter Biot: «Mio marito non voleva fottere il Paese, scusate la parola forte. E non l’ha fatto neanche questa volta, vi assicuro che ha dato il minimo che poteva dare. Niente di compromettente.
Solo che era disperato. Disperato per il futuro dei nostri figli. E così ha fatto questa cosa… Io so che Walter era veramente in crisi da tempo, aveva paura di non riuscire più a fronteggiare le tante spese che abbiamo. L’economia di casa. A causa del Covid ci siamo impoveriti lo sa?…. Sì tremila euro, ma non bastavano più per mandare avanti una famiglia con 4 figli, 4 cani, la casa di Pomezia ancora tutta da pagare, 260mila euro di mutuo, 1200 al mese. E poi la scuola, l’attività fisica, le palestre dei figli a cui lui non voleva assolutamente che dovessero rinunciare… Ripeto Walter si è sempre speso per la Patria». Un quadro desolante che ci dice dello sfascio economico, politico e morale del nostro Paese. Le autorità e i media esecrano scandalizzati l’atto di spionaggio facendo appello al “patriottismo”. Ma di quale patriottismo questi signori cianciano quando disprezzano e irridono al sovranismo e anzi si dichiarano “sovranisti europei”? Quale credibilità ha il loro patriottismo quando essi, senza pudore, inneggiano all’atlantismo, ovvero ad un allineamento di vergognosa sudditanza agli Stati Uniti? Questi borghesi senz’anima, questo stato di servi, hanno alimentato per decenni il loro patriottismo liberale col benessere e il consumismo, fondandolo su una morale biecamente utilitarista e individualista. Ora che il loro sistema sta collassando, ora che inneggiano alla “distruzione creativa”, ora che non possono più corrompere i cittadini coi quattrini e dicono che “nulla sarà più come prima”; ora che il Re è nudo, il loro patriottismo borghese va a farsi benedire. Classi dirigenti di venduti e di corrotti (quanti milioni di euro le multinazionali spendono per comprare i nostri politici?) non hanno alcun titolo a invocare il patriottismo. Essi in verità chiedono fedeltà, non alla Patria, ma al loro
sistema di dominio. Essere patrioti oggigiorno implica una lotta senza esclusione di colpi contro le classi dirigenti collaborazioniste che cospirano coi veri nemici del popolo italiano: le oligarchie multinazionali. Non ci può essere patriottismo in un paese dove la sovranità non appartiene al popolo ma ad una minoranza di plutocrati per cui il popolo è solo un vacca da mungere. Non ci può essere patriottismo accanto all’atlantismo. SOVRANISTI O ATLANTISTI? di S. Giordano Riceviamo e volentieri pubblichiamo Se c’è una cosa a cui serve la fitta cortina fumogena della “lotta al Covid” è quella di distrarci, di farci dimenticare le ben più gravi e orribili tragedie che avvengono in giro per
il mondo. Non si fa che parlare dell’epidemia, dei decessi per l’epidemia. Tutti gli altri, si sarebbe detto un tempo, sono “figli di un Dio minore”. Non trovate notizie sul fatto che mezza Africa è sconquassata da guerre civili, quindi nessuno vi dice che, sotto una bandiera o un’altra, truppe dei paesi NATO sono impegnate nella repressione di rivolte e guerriglie. Così nessuno da risalto alle stragi che ogni giorno si susseguono nella grande fascia del Sahel — vedi quanto accade in Mali, Niger e Nigeria. E nessuno racconta che è andato a fuco il più grande campo profughi del mondo (un milione di persone della minoranza birmana dei Rohingya in condizioni spaventose), quello di Cox Bazar nel Bangladesh. Così come nessuno ci dice più niente della sanguinosa guerra civile nello Yemen; dei massacri che ancora avvengono in Afghanistan, della catastrofe siriana, del dramma dei palestinesi. E, tanto per dire, nessuna notizia sulla spaventosa crisi economica e sociale in Libano, dove da settimane sono in corso proteste durissime. Anche la Libia è scomparsa dai monitor. La sola cosa che sfugge alla narrazione tossica del Covid è la cosiddetta “nuova guerra fredda” tra Cina e Russia da una parte e Stati Uniti e Unione Europea dall’altra. Il cambio di guardia alla Casa Bianca ha subito prodotto i suoi effetti. A motivo del non rispetto dei diritti umani nello Xinjiang, dopo quelle americane sono arrivate le sanzioni europee alla Cina. E queste seguono quelle a danno della Russia per il “Caso Navalny”. “L’America è tornata”, ha detto Biden. In poche parole Washington, defenestrato Trump, torna alla più aggressiva politica imperialista, che significa rilancio in grande all’atlantismo, ovvero del compattamento e rafforzamento della NATO. Siamo insomma passati dall’America first alla NATO first! In questo quadro si spiega la partecipazione del segretario di
stato USA Antony Blinken alla riunione svoltasi a Bruxelles dei ministri degli esteri della Ue. E, sempre in questo quadro, Joe Biden parteciperà alla riunione del Consiglio europeo — fatto politico di grande importanza visto che l’ultima occasione del genere accadde venti anni fa, nel giugno 2001, proprio ai tempi del’espansione della NATO ad Est, cosa che andava in parallelo (guarda un po’!) all’allargamento dell’Unione europea. Il segnale che ci giunge è inequivocabile. Gli Stati Uniti vogliono rinsaldare l’asse atlantista e sbarrare la strada ad ogni accordo, anche solo di natura commerciale tra europei da una parte e cinesi e russi dall’altra — vedi l’opposizione americana al gasdotto Nord Stream 2. Morale? Il grosso dei politicanti europei, Macron e Draghi in testa (vedi il suo discorso di insediamento) accolgono di buon grado la “rivitalizzazione” della NATO, quindi: sì ad una geopolitica aggressiva verso Russia e Cina e sì ad una politica interventista degli alleati nei diversi teatri caldi, in primis il Medio Oriente. Insomma, dal punto di vista della Casa Bianca, l’Unione europea non solo deve andare avanti, ma deve andare avanti come protesi degli USA. Gettando uno sguardo al panorama politico italiano che vediamo? Vediamo che non si alza nessuna voce contro questo riallineamento sulle posizioni oltranziste di Washington. Tutti per Draghi equivale ad “avanti tutta con la NATO”. Nel contesto parlamentare non c’è nessuno che alzi la voce contro la rinascita dell’oltranzismo atlantista. Non c’è nessuno che voglia incontrare la grande fascia di opinione pubblica che invece dissente. Nessuno che abbia il coraggio di dire che una politica di supina obbedienza alla politica aggressiva degli USA è assolutamente dannosa per gli interessi nazionali. La cosa tira in ballo le minoranze cosiddette “sovraniste”.
Dato il contesto può esistere un “sovranismo” che sollevi solo la questione dell’uscita dalla Ue ma non quella dell’uscita dalla NATO? La mia risposta è che non può esistere. Aveva dunque ragione chi denunciava l’atlantismo, comunque declinato, come una forma zoppa di “sovranismo”, anzi come un “sovranismo di sua maestà”. CONTRO L’ATLANTISMO, SENZA SE E SENZA MA di Moreno Pasquinelli Essendo convinto che occorre un Partito dell’Italexit, ovvero di un partito che faccia dell’uscita dall’Unione europea e dall’euro la sua propria specifica missione, ho sostenuto e
sostengo l’avventura lanciata a fine luglio da Gianluigi Paragone. Era chiaro che si sarebbe trattato di un partito sui generis, composto da militanti provenienti dai più diversi percorsi politici e dai più diversi orientamenti ideologici, uniti tuttavia non solo dal rigetto del neoliberismo globalista, ma dai principi di sovranità nazionale, giustizia sociale e democrazia scolpiti nella Costituzione del ‘48. Evidente che un simile partito sarebbe stato, per sua natura, proteiforme, poiché, in base alla sua missione, avrebbe potuto e dovuto catturare consensi da tutti i ceti e le classi sociali ostili all’Europa neoliberista. Era dunque prevedibile che chi avesse messo al primo posto la propria fede ideologica e politica e considerato l’Italexit come una subordinata, non avrebbe aderito a questo partito. Che questa impresa abbia potuto prendere slancio con l’ingresso in campo del noto giornalista anti-Ue e senatore Gianluigi Paragone — posto che il terreno era stato arato e concimato da un almeno un decennio, non solo dai gruppi sovranisti e da intellettuali indipendenti, ma pure da M5S e Lega salviniana —, è non solo comprensibile, ma razionale. Viviamo non solo nella debordiana “società dello spettacolo”, viviamo non solo sotto l’egemonia postmodernista della morte delle “grandi narrazioni”, viviamo sotto la tirannia della comunicazione di massa, viviamo nel tempo politico dei populismi. Affinché la ragione possa aprirsi una breccia nel fronte nemico, affinché un’idea possa farsi largo, non basta che essa sia giusta, occorre che s’incarni in un simbolo, per la precisione in un uomo-simbolo. Rebus sic stantibus, Paragone è oggi quest’uomo-simbolo. Non possiamo dunque che ringraziare Paragone per questa sua
discesa in campo, con l’auspicio che si concluda, come quella di Farage, in un successo. E ove accadesse, sarebbe un successo di portata storica. L’uscita dell’Italia dalla Ue non cambierebbe radicalmente solo il corso degli eventi nel nostro Paese, travolgerebbe tutta l’Europa e avrebbe ripercussioni globali. Se si chiede ai singoli militanti la consapevolezza della enorme posta in palio, a maggior ragione ne dev’essere consapevole l’uomo- simbolo a capo dell’impresa. A lui occorrono grande coraggio, lunga esperienza politica, lucidità, visione, saggezza e sensibilità umana. Qualità che difficilmente possiamo trovare tutte concentrate in un singolo, per quanto talentuoso esso sia. Per questo, al netto del “momento populista”, non può funzionare un grande partito con “l’uomo solo al comando”. Il partito è in gestazione, sta solo adesso formando i suoi gruppi dirigenti, sta cercando di strutturare una catena di comando mettendo le persone giuste al posto giusto. Le difficoltà sono enormi, è inevitabile che si commettano degli errori. Gli errori possono essere di diverse specie, politici o organizzativi, piccoli o grandi. E sono tanto più grandi se a commetterli è proprio il leader. Quello che compie Paragone quando dice di essere “atlantista” è un errore politico molto grave. In un’intervista di qualche giorno fa alla domanda: “Ha rivangato l’amicizia e le simpatie politiche con Farage a livello occidentale. Altre alleanze in Occidente? Magari, non so, un Putin…”, Gianluigi Pragone ha così risposto: «Certi scenari geopolitici implicano fondamentali chiari e netti. Le mie posizioni sono assolutamente filoamericane. La Russia è un pezzo della cultura europea e non ho paura ad ammetterlo e ad apprezzarlo. Alcune sfaccettature culturali russe, come la letteratura, sono chiaramente più affini a noi
italiani di un Kerouac. Però va riconosciuto che gli Stati Uniti d’America, a prescindere dall’orientamento politico del governo di turno abbiano sempre riconosciuto un ruolo, talvolta centrale, all’Italia e alla sua cultura. Non sono mai stato particolarmente affascinato dalle sfide cinesi piuttosto che russe. Sono interlocutori importanti però il posizionamento deve esser chiaro. Insomma, un filo-atlantismo chiaro per rivendicare la centralità dell’Italia nel Mediteranneo, mettendola nel solco di una tradizione che è sempre stata riconosciuta strategicamente dagli USA. Mentre la Cina, ad esempio, vorrebbe utilizzare l’Italia e lo farebbe con un atteggiamento di non reciprocità, gli USA hanno sempre capito e apprezzato il ruolo del Bel Paese, senza metterle il guinzaglio». [sottolineatura nostra] Sono affermazioni pesanti, per la precisione ideologicamente pesanti, che hanno sollevato da più parti mugugni e sconcerto, che stanno allontanando tanti cittadini sbigottiti, sia di sinistra che di destra. Affermazioni prescrittive che danneggiano il Partito dell’Italexit in quanto, invece di distinguerlo, lo accodano a tutto il resto del circolo politico di sinistra e destra. Qui non si dice che, nella prospettiva dell’Italexit, sarebbe auspicabile che Trump resti alla presidenza degli Stati Uniti. Passi. Qui siamo in presenza di una scelta di campo non solo geopolitica ma ideologica. Il cosiddetto atlantismo altro non è che un sottoprodotto dell’americanismo, quell’ideologia tossica per cui gli U.S.A. non solo avrebbero raccolto l’eredità della civiltà europea, ma sarebbero il moderno faro di di una superiore civiltà, destinata quindi alla supremazia mondiale. Una civiltà non solo capitalista, ma liberista e imperialista nella sua stessa essenza. Non è accettabile sorvolare sugli orrendi crimini
imperialistici compiuti dagli Stati Uniti, ad ogni latitudine, a partire dall’attacco nucleare al Giappone. Non è possibile dimenticare i fiumi di sangue versati da interi popoli e nazioni sotto il giogo americano. Né è ammissibile dimenticare quanti e quali sacrifici e supplizi abbiano sostenuto quegli eroici popoli, a partire da quello vietnamita per finire con quello iracheno, nel tentativo di liberarsi dall’occupazione militare a stelle e striscie. Se non è accettabile dimenticare, men che meno lo è condonare gli inenarrabili crimini a stelle e striscie in virtù di un presunto rispetto che la Casa Bianca avrebbe avuto per l’Italia. Non si possono dire simile storiche bugie. Dopo la seconda guerra mondiale il nostro Paese, non solo via NATO, ha dovuto accettare una posizione brutalmente subalterna, considerata una provincia suddita dell’impero americano. E ogni volta che l’Italia ha cercato di svincolarsi di trovare una sua propria strada, gli è stato impedito, non solo con la pressione politica e diplomatica, ma a suon di crimini di stato, di bombe e attentati sanguinosi. Non è un segreto che la stessa catastrofe venuta con “mani pulite”, ovvero la liquidazione di un’intera classe dirigente colpevole di troppa esuberanza, abbia avuto il lasciapassare di Washington. Che nella situazione drammatica in cui siamo si debba combattere anzitutto la nuova colonizzazione euro-tedesca, che l’uscita dalla NATO sia oggi una subordinata, questo è giusto. Della NATO e delle basi americane sparse per il Paese ne parleremo quando almeno saremo usciti dall’Unione europea. Ma non c’è dubbio che quando avremo conquistato questo primo pezzo di sovranità, non potremo che portarla fino in fondo, liberandoci da ogni altro tipo di sudditanza geopolitica. Quello che si deve dire è non solo che siamo per un Paese pienamente sovrano, è che siamo per un diverso ordine mondiale policentrico o multipolare, segnato da un equilibrio tra le
diverse potenze che rispetti l’autodeterminazione dei popoli. Ed è ovvio che dentro questo nuovo equilibrio gli USA avranno un posto decisivo, decisivo ma non di predominio. Com’è ovvio che l’Italia nuova non accetterà né nuovi colonialismi né di essere considerata provincia dell’impero, quale esso sia. Del resto non è forse vero che il Patto di Varsavia e l’Unione sovietica sono scomparsi? Contro chi la NATO punta i suoi micidiali missili? Contro la Russia, che invece dovremmo avere come grande nazione amica. E chi se non la NATO, dopo il 1991, ha provocato la Russia allargando la NATO ed Est circondando la Russia? Chi se non la NATO ha sostenuto la “rivoluzione colorata” e filo-nazista in Ucraina? Saremmo dei ben strani sovranisti, dei sovranisti straccioni se, oltre a rifiutare l’ideocrazia suprematista americana, non dicessimo che la NATO è un blocco militare che ci danneggia, se non dicessimo che la nostra futura politica estera si svolgerà all’insegna della neutralità, della pace e della fratellanza tra i popoli. Non si tratta solo di mera strategia geopolitica, si tratta di avere dei principi, si tratta di immaginare il mondo che sorgerà dopo questa turbolenta fase di transizione, e quindi la missione storica dell’Italia nuova e del posto centrale che necessariamente dovrà occupare. Si tratta, in tutta evidenza, di questioni complesse ma imprescindibili, che il Partito dell’Italexit dovrà trovare il modo di affrontare e risolvere, proprio perchè si assegna una missione tanto ambiziosa.
DOPO LA BREXIT, LA RUSSIA COME ALTERNATIVA? di Manolo Monereo Manolo Monereo Enric Juliana è un giornalista unico e, per molti versi, diverso. Il suo stile è quello di collocare storicamente il fatto, i dati, le notizie; cercando di andare oltre il giorno per giorno, inquadrando ciò che accade in un contesto più ampio. Qualche giorno fa ha collegato la Brexit alla geopolitica assumendo come riferimento Halford Mackinder. Non ha detto molto di più. Mi aspettavo che sviluppasse questa idea, ma non l’ha fatto. Quindi tiro questo filo sapendo che, sicuramente, il noto giornalista catalano non sarà d’accordo con molte delle cose che scrivo. Sir Halford Mackinder (1861-1947) fu un notevole geografo britannico e un politico molto influente. Questa doppia condizione deve essere sempre presa in considerazione; egli ha cercato di conoscere la realtà, sempre al servizio degli interessi strategici del suo paese. Sebbene non abbia mai usato il termine geopolitica, ha influenzato in modo decisivo questa disciplina che alcuni considerano la scienza e altri un’arte politica dello Stato. Nel 1904 pubblicò una noto
saggio dal titolo “Il perno geografico della storia”. Nel 1919 sviluppò queste idee in un libro molto importante ai suoi tempi, chiamato “Idee e realtà democratica”. Non è facile spiegare in un articolo come questo la complessità, la profondità e le ipotesi di una concezione geografica che ha segnato, per più di un secolo, i dibattiti strategici e politici di un mondo in perpetuo cambiamento. Forse questo è ciò che sorprende di più. Il “problematico Mackinder” ritorna ancora e ancora, e ritorna — precisamente — quando i teorici della globalizzazione ritengono che il territorio e la geografia abbiano perso la loro rilevanza nelle relazioni internazionali. Per capire bene cosa Mackinder continua a dirci oggi, dobbiamo partire da due idee centrali. La prima è l’opposizione strutturale della geopolitica mondiale tra potere marittimo (talassocrazia) e potere terrestre (tellurocrazia); Questa opposizione è sostanziale e influisce sulle strategie politiche e militari e ha conseguenze per la costruzione e lo sviluppo degli Stati. La seconda, ampiamente sviluppata nel saggio sopra citato di Mackinder, ha a che fare col sopraggiungere di una nuova fase della geografia mondiale, fase che potremmo chiamare post-colombiana. Le scoperte di Cristoforo Colombo segnarono un’intera fase storico-sociale delle potenze dell’Europa (che è una penisola dell’Eurasia) che si espansero in tutto il mondo attraverso gli oceani diventando vasti imperi in collisione permanente. Mackinder crede che questo stadio si sia cocnluso. Il mondo si era chiuso, essendo distribuito tra le grandi potenze, con una chiara egemonia dell’impero britannico. La chiave — siamo così in cuore del dibattito — è che i poteri talassocratici avevano perso parte del loro vantaggio strategico e che il territorio
era ancora una volta un eleme Il geografo britannico identifica un territorio fondamentale che chiama l’isola del mondo composta da Europa, Asia e Africa. Al suo centro, un perno geografico che, in seguito, avrebbe chiamato Heartland o Cuore Continentale. Da questo centro nascono due grandi linee, una interna e una esterna. L’Heartland occuperebbe un ampio spazio di ciò che chiamiamo Siberia e Asia centrale; cioè, dal Volga allo Yangtze e dall’Himalaya all’Oceano Artico. La conclusione di Mackinder segna un’intera era ed è ben nota. «Quando i nostri statisti stanno conversando con il nemico sconfitto, qualche angelo alato dovrebbe sussurrare loro di volta in volta: chiunque domini l’Europa orientale controlla il cuore continentale; chi domina il cuore continentale controlla l’isola del mondo; che domina l’isola del mondo, controlla il mondo». Una piccola nota: ciò che si stava decidendo in quel momento (1919) era il nuovo ordine concordato a Versailles. Torniamo alla Brexit. Questo mese ho pubblicato su El Viejo Topo un saggio sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Mi riferisco ad esso per le altre considerazioni. Una cosa vorrei sottolineare: la ferocia della classe dirigente e dei media europei contro una decisione democratica e legittima non ha una spiegazione facile. Insulti e disprezzo hanno raggiunto limiti difficilmente sopportabili, al punto che la
secessione della Scozia è incoraggiata in un momento in cui la questione territoriale è un grave problema in Spagna. A ciò hanno partecipato sia la destra che la sinistra. Nessun leader importante si è chiesto perché, dal 1992 (referendum francese), nessuna consultazione sull’Europa abbia vinto. E’ accaduto solo in Spagna, il che non è un caso. La mancanza di autocritica delle élite europee è allarmante. Il paradosso di tutto questo dibattito è che per gli europei più federalisti la partenza dalla Gran Bretagna avrebbe dovuto essere vissuta come un’opportunità. La costruzione neoliberista dell’Europa è stata giustificata, in larga misura, dalla presenza della Gran Bretagna; l’involuzione sociale, la predominanza delle libertà comunitarie e la deregolamentazione dei mercati sono state tradizionalmente attribuite alla presenza di un’isola percepita più come una quinta colonna che come costruttore leale di un processo di integrazione unitaria. Si può capire cosa sta succedendo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sulla base del fatto che nel mondo stanno cambiando le basi geopolitiche e che siamo (in questo mondo chiuso) di fronte a una grande transizione che ha al suo centro una grande ridistribuzione del potere. Per dirla in altro modo, ciò che abbiamo chiamato globalizzazione è alò tramonto. Non sarà facile capire le mutazioni che stiamo vivendo; non sarà facile capirle e, tanto meno, avere una piattaforma ideo- politica in grado di guidarci in un mondo in rapido cambiamento. Ciò che sta accadendo lo abbiamo davanti ai nostri occhi: un potere (USA) che rifiuta di accettare la sua decadimenza, che non è disposto a condividere, in nuove condizioni, la sua egemonia mondiale e che affronta un potere emergente (Cina) che è destinato a cambiare l’ordine mondiale. Lo dirò come lo disse Kaplan: gli Stati Uniti non accetteranno il dominio di una grande potenza nell’emisfero orientale. Lo combatterà con ogni mezzo e fino alla fine. La “trappola di Tucidide” è ancora presente. In questo mondo che cambia, le grandi potenze economiche
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