LA RUSSIA COME KATÉCHON di - Moreno Pasquinelli

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LA RUSSIA COME KATÉCHON di - Moreno Pasquinelli
LA RUSSIA COME KATÉCHON di
Moreno Pasquinelli

                                                    «Ahi serva
                                    Italia, di dolore ostello,
                        nave sanza nocchiere in gran tempesta,
                          non donna di province, ma bordello!»

                              Purgatorio, canto VI, vv. 76-78

Calzante, come quant’altri mai, questo struggente pianto
davanti all’indecente spettacolo accaduto venerdì scorso al
Senato e alla Camera. Tutti, ma proprio tutti, hanno
applaudito in piedi l’inusitato discorso di Mario Draghi sul
conflitto tra Russia e Ucraina — al contempo, un atto di
servilismo euro-atlantista e una dichiarazione di odio
scomposto verso la Russia che non ha precedenti storici,
nemmeno ai tempi del maccartismo, forse nemmeno ai tempi del
fascismo.

Non siamo stupiti degli osanna dei lestofanti che compongono
la maggioranza che sostiene Draghi (leghisti compresi). E
nemmeno siamo stupiti che abbiano partecipato al bunga bunga
anche i “patrioti” di Fratelli d’Italia. Anzi, Giorgia Meloni
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si è distinta per i proclami atlantisti e antirussi più
accaniti. Che la signora fosse una gatekeeper lo si sapeva.
Scrivevamo quando la Meloni fu accolta nel massonico Aspen
Institute.

«Il caso di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia è un caso da
manuale di come le classi dominanti, allo scopo di conservare
il potere, fabbricano soggetti politici e leader il cui
compito è occupare preventivamente lo spazio dell’opposizione,
e ciò allo scopo di impedire che quello spazio venga
rappresentato da soggetti effettivamente antisistemici».

Ma sorvoliamo su questi fantocci (che per questo solidarizzano
con il loro simile Zelenskyy) e parliamo di cose serie.
Cerchiamo di spiegare quale sia la posta in gioco e perché la
Russia merita di essere sostenuta.

                          *   *      *

Impazza a reti unificate una campagna di intossicazione
ideologica e depistaggio asfissiante. Non fatevi prendere per
il culo dal pietismo umanitario per i “poveri ucraini”, dagli
appelli in stile pacifista degli eurocrati. La verità è che
anche l’Unione europea, ubbidendo a USA e NATO, è entrata in
guerra contro la Russia. Sì, poiché nell’epoca delle guerre
asimmetriche e ibride, anche il sabotaggio economico è una
forma di guerra. Per essere precisi le durissime sanzioni
adottate dalla Ue sono un’aggressione in grande stile,
tendente non solo a rovesciare Putin, ma ad umiliare il popolo
russo. Non solo terribili sanzioni contro la Russia, ma anche
ingenti armamenti agli ucraini (anzitutto alle sue milizie
naziste nei pressi di Leopoli). Di più: col pretesto dei
“poveri ucraini”, riarmo generale, compreso, la storia si
ripete, quello della Germania.

Non oso immaginare cosa in realtà si dicano, in camera
caritatis, questi satrapi, questi briganti. Ce ne da una vaga
idea Federico Fubini sul Corriere della Sera di ieri, 27
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febbraio. Indossato l’elmetto, in preda ad un attacco
isterico, nella sua boria imperialistica, scrive testualmente:

«…stiamo portando la guerra a casa di colui che l’ha
dichiarata…. Lavoriamo per soffocare Putin finanziariamente e
paralizzare l’economia del paese». Il Fubini svela dunque il
recondito piano: spingere gli oligarchi ed i miliardari russi
a sbarazzarsi di Putin. In buona sostanza un aperto appello ai
plutocrati perché rovesciano Putin.

Chiedetevi: come mai tanto odio verso un capo di stato pur
decisamente anticomunista? La risposta è semplice: Putin, da
anni, si sta ponendo di traverso al grande piano delle élite
mondialiste. Diciamola meglio: nel nuovo ordine mondiale
immaginato da queste élite (compresi gli accoliti del Grande
Reset) non c’è posto per una Russia come grande potenza.
Parlano di “multipolarismo” ma vogliono azzoppare,
addomesticare e colonizzare la Russia. Questo ha ben compreso
Putin, di qui la sua resistenza. Di qui il dovere di tutti i
veri patrioti, di tutti i nemici della vecchia e nuova
globalizzazione, a schierarsi dalla parte della Russia.
 L’eventuale caduta della Russia di Putin sarebbe il trionfo
dell’élite neo-globalista che ha attuato l’operazione Covid.
Se la Russia cade sarebbero spalancate le porte al
cybercapitalismo, al dominio planetario di regimi di tirannia
tecnocratica.

                          *   *   *
LA RUSSIA COME KATÉCHON di - Moreno Pasquinelli
Sosteneva Carl Schmitt che la politica è teologia
secolarizzata. San Paolo (2Ts, 2,6) immaginò l’esistenza di
una potenza misteriosa e potente, il katéchon appunto, che
impediva lo scatenamento delle forze infernali, che ostacolava
la venuta del Anticristo. Riscoperte le antiche radici
cristiano-ortodosse della Russia (ne parlavo QUI) Putin, che
forse considera l’élite neoglobalista un Anticristo, si
riterrà proprio questo katéchon che ne ostacola l’avvento.

Possiamo solo immaginare a quali tremende pressioni sia
sottoposto Putin in questi giorni. Auguriamoci che resista
senza perdere la testa. Che la sua difesa delle tradizioni
ortodosse non lo faccia precipitare nella spirale
dell’apocalittismo, così tipico di quella spiritualità. I suoi
nemici stanno cercando infatti di provocarlo, di fare
dell’Ucraina un inferno in cui bruciarlo. Non cada in questa
trappola, non imiti i crociati cattolici che giunsero a
sterminare i catari. Davanti all’accanita resistenza catara i
condottieri papalini chiesero al legato di Innocenzo III, cosa
fare, ed egli rispose con la famigerata sentenza: “Uccideteli
tutti, Dio riconoscerà i suoi”. Al netto delle sue dure
invettive contro Lenin e i bolscevichi —accusati di avere
troppo concesso al nazionalismo ucraino—, Putin sa che non
deve seguire le orme di Stalin. La legittima vendetta verso i
fantocci della NATO non può spingersi fino alla punizione
collettiva dei fratelli ucraini.

Così noi interpretiamo la “Operazione militare speciale” in
corso, l’uso strategico proporzionato e prudente della pur
devastante forza militare russa con l’obbiettivo politico di
impedire che l’Ucraina passi per sempre coi nemici. Mosca si
sta insomma attenendo alla massima che la guerra non è altro
che la continuazione della politica con altri mezzi.
LA RUSSIA COME KATÉCHON di - Moreno Pasquinelli
LA NATO È COLPEVOLE: ECCO LE
PROVE di Redazione

                                                    Abbiamo
scritto e ribadiamo con forza che la vera responsabile della
guerra in corso è la triade Stati Uniti-NATO-Unione Europea.
Colpevole è la loro insolenza, la loro smania imperialistica,
la loro strategia di accerchiamento della Russia. Scioltisi
l’Unione Sovietica e il Patto di Varsavia, lungi dallo
sciogliersi, la NATO ha incorporato quasi tutti i paesi
dell’Est Europa e, come se non bastasse stava facendo entrare
anche l’Ucraina.

Lo sciame dei giornalisti di regime va dicendo che quanto
diciamo è falso. Pur di accreditare l’idea che Putin sia un
maniaco guerrafondaio, ci rispondono che non è vero che la
NATO stava tramando per trascinare l’Ucraina nella NATO.

A questi bugiardi seriali ed ai tanti imbecilli che gli
credono, forniamo la prova provata del sodalizio tra NATO e
regime ucraino, e che esso viene da lontano.

APRILE 2008, VERTICE NATO DI BUCAREST
LA RUSSIA COME KATÉCHON di - Moreno Pasquinelli
Si legge nella Dichiarazione finale del Vertice di Bucarest:

«22. Il processo di allargamento in corso della NATO è stato
un successo storico nel promuovere la stabilità e la
cooperazione e nel portarci più vicini al nostro obiettivo
comune di un’Europa intera e libera, unita nella pace, nella
democrazia e nei valori comuni. La porta della NATO rimarrà
aperta alle democrazie europee disposte e in grado di
assumersi le responsabilità e gli obblighi dell’adesione, in
conformità     con   l’articolo    10   del   Trattato    di
Washington. Ribadiamo che le decisioni sull’allargamento
spettano alla stessa NATO.

  23. La NATO accoglie con favore le aspirazioni euro-
      atlantiche dell’Ucraina e della Georgia per l’adesione
     alla NATO. Oggi abbiamo convenuto che questi paesi
     diventeranno membri della NATO. Entrambe le nazioni
     hanno dato un prezioso contributo alle operazioni
     dell’Alleanza. Accogliamo con favore le riforme
     democratiche in Ucraina e Georgia e attendiamo con
     impazienza elezioni parlamentari libere ed eque in
     Georgia a maggio. Il MAP è il prossimo passo per
     l’Ucraina e la Georgia nel loro cammino diretto verso
     l’adesione. Oggi chiariamo che supportiamo le domande di
     MAP di questi paesi. Pertanto, inizieremo ora un periodo
     di intenso impegno con entrambi ad alto livello politico
     per affrontare le questioni ancora in sospeso relative
     alle loro applicazioni MAP. Abbiamo chiesto ai ministri
     degli Esteri di fare una prima valutazione dei progressi
     nella riunione del dicembre 2008».

31 OTTOBRRE 2019 KIEV: CONFERENZA STAMPA CONGIUNTA DEL
SEGRETARIO GENERALE DELLA NATO JENS STOLTENBERG E DEL
PRESIDENTE DELL’UCRAINA VOLODYMYR ZELENSKYY

Il sito della NATO riporta il discorso di Stoltenberg dal
quale ricaviamo questo passo:
LA RUSSIA COME KATÉCHON di - Moreno Pasquinelli
«È davvero un grande piacere rivederti e tornare a Kiev. E
questa volta
mi si unisce l’intero Consiglio Nord Atlantico, che
rappresenta tutti i 29 alleati della NATO. E penso che questo
stia dimostrando il sostegno incrollabile della NATO e di
tutti gli alleati della NATO all’Ucraina.

Abbiamo appena concluso un eccellente incontro della
Commissione NATO-Ucraina. L’Ucraina è tra i nostri partner più
vicini. (…)

La NATO continua a fornire supporto pratico all’Ucraina. Oggi
abbiamo esaminato il nostro pacchetto di assistenza completa
per l’Ucraina. Attraverso dieci fondi fiduciari, gli alleati e
i partner della NATO hanno impegnato oltre quaranta milioni di
euro per sostenere l’Ucraina. In aree come il comando e il
controllo, la difesa informatica e la riabilitazione
medica. Questo sta fornendo risultati reali. Stiamo aiutando
uomini e donne del servizio feriti a ricevere le cure di cui
hanno bisogno. Stiamo rafforzando la resilienza dell’Ucraina
alle minacce ibride e agli attacchi informatici.

Gli alleati della NATO continuano a fornire addestramento
militare alle forze ucraine. E ogni giorno, i consulenti della
NATO sostengono le riforme della sicurezza e della difesa
dell’Ucraina. Stiamo anche aumentando il nostro sostegno nella
regione del Mar Nero, con esercitazioni, visite ai porti e
condivisione di informazioni.
E ieri il Consiglio Nord Atlantico ha visitato 4 navi Nato nel
porto di Odessa, a dimostrazione dell’impegno degli alleati
Nato nei confronti dell’Ucraina. E siamo stati lieti di
incontrare i cadetti navali ucraini presso l’Accademia navale
di Odessa, che beneficiano dell’addestramento alleato della
NATO.
Questi sono solo alcuni esempi della nostra cooperazione e
supporto».

Addendum
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NATO-UE, FRATELLI GEMELLI

Per gli europeisti che vogliono negare la natura indissolubile
tra NATO e Unione europea, suggeriamo di leggere quanto si
afferma nella Dichiarazione finale del Vertice NATO di
Bucarest del 2008:

«14. Alla luce dei valori comuni e degli interessi strategici
condivisi, la NATO e l’UE stanno lavorando fianco a fianco in
operazioni chiave di gestione delle crisi e continueranno a
farlo. Riconosciamo il valore che porta una difesa europea più
forte e più capace, fornendo capacità per affrontare le sfide
comuni che la NATO e l’UE devono affrontare. Sosteniamo
pertanto gli sforzi che si rafforzano a vicenda a tal fine. Il
successo in questi e futuri sforzi di cooperazione richiede un
maggiore impegno per garantire metodi efficaci di lavoro
insieme. Siamo quindi determinati a migliorare il partenariato
strategico NATO-UE come concordato dalle nostre due
organizzazioni, per ottenere una cooperazione più stretta e
una maggiore efficienza ed evitare inutili duplicazioni in uno
spirito di trasparenza e rispettando l’autonomia delle due
organizzazioni. Un’UE più forte contribuirà ulteriormente alla
nostra sicurezza comune».

IN   DIFESA                  DI         PUTIN            di
Sandokan
LA RUSSIA COME KATÉCHON di - Moreno Pasquinelli
Ai tempi
dell’invasione della Cecoslovacchia (agosto 1968) chiesero ad
un militante comunista di provata fede staliniana: “Sei
filosovietico anche adesso?”. La secca risposta fu: “Togli il
“filo”!”.

Mi è venuta in mente questa storiella davanti alla velenosa
campagna di denigrazione ai danni di Putin portata avanti
dalla centrale strategica della disinformazione. Eh sì, poiché
questa centrale strategica esiste e risiede negli Stati Uniti,
di cui Londra è la principale stazione in Europa. Da questa
cabina di regia partono le veline che poi, a ruota, vengono
diffuse a raffica in tutti i paesi dell’Occidente, per la
precisione aderenti alla NATO.

La tecnica collaudata da questa centrale strategica
dell’intossicazione ideologica è da decenni la stessa: ogni
nazione ribelle viene satanizzata, bollata come rogue state
(“stato canaglia”), così da giustificare il suo annientamento
— accadde all’Iraq e alla Jugoslavia. Come per proprietà
transitiva chiunque si trovasse a capo degli “stati canaglia”
veniva hitlerizzato, letteralmente rappresentato come un
dittatore sanguinario — accadde a Milosevic e a Saddam
Hussein.
LA RUSSIA COME KATÉCHON di - Moreno Pasquinelli
Siccome questa tecnica si è rivelata obsoleta e inefficace,
alle prese con Putin, la suddetta centrale si è inventata una
variazione dello spartito: Putin sarebbe un pazzo.

Partita ieri da testate ammiraglie angoloamericane (New York
Times, The Guardian ecc), l’accusa, anzi l’implacabile
giudizio clinico, è stato immediatamente raccolto dalla
flottiglia di testate coloniali europee. Spicca in Italia il
CORRIERE DELLA SERA. Nell’edizione di oggi, 25 febbraio, una
pagina intera è dedicata alla giornalista americana (di
origine ebraica e naturalizzata polacca) Anne Applebaum.

Cosa dunque afferma questa signora che senza dubbio è una
delle menti al servizio dell’apparato propagandistico del
Pentagono? Alla pelosa domanda del canuto ma pelosissimo Beppe
Severgnini: “Cosa è successo a Putin?” La Applebaum risponde:

«Non lo so. Sembra ossessionato e pieno di odio. Sembra
entrato in una fase nuova. Non so di cosa abbia paura, se
della morte o di perdere il potere. Di certo è vissuto isolato
a causa della pandemia. (…) Oggi sembra un uomo malato,
disturbato».

La spocchia con cui questa lacchè insinua addirittura sulla
salute mentale di Putin non deve trarre in inganno: la
tracotanza nasconde lo stato di impotenza e prostrazione che
regna nelle stanze dei bottoni euro-atlantiche davanti alla
mossa di Putin.

Che la tesi di un Putin “malato e disturbato” possa funzionare
ne dubito assai. Prova ne sia che i pennivendoli si lagnano
perché non vedono le piazze piene di pacifisti in difesa
dell’Ucraina. Ciò che per lorsignori è riprovevole per noi è
una confortante notizia, segno, appunto, che solo una
minoranza degli italiani (di contro alla stragrande
maggioranza dei partiti in Parlamento) abbocca alla campagna
russofoba dell’élite.

La campagna di intossicazione antirussa ricorre, come in altri
casi del genere, a plateali falsificazioni della storia. Non
vi sarà sfuggita infatti l’accusa secondo la quale Putin
avrebbe scatenato “la prima guerra nel cuore dell’Europa dopo
la seconda guerra mondiale”. Non so a voi, a me è venuto un
attacco di bile! E la terrificante aggressione USA-NATO-UE del
1999 alla Jugoslavia, con conseguente squartamento del Paese,
dove la mettiamo?

E sempre a proposito di menzogne come non segnalare quanto un
altro pennivendolo, Antonio Polito, afferma sempre oggi sul
CORRIERE? Il furfante scrive testualmente che la seconda
guerra mondiale iniziò nel settembre 1939 con la spartizione
della Polonia, dimenticando di dire che era in effetti
iniziata un anno prima, nel settembre del 1938, quando
Inghilterra e Francia siglarono un patto con Hitler accettando
la sua espansione verso Est spingendolo ad attaccare l’Unione
Sovietica.

Insomma, davanti a tali filibustieri, alla domanda vien
proprio da rispondere: “Togli il “filo”!”.

CHE GUERRA È QUESTA?                                     di
Moreno Pasquinelli
Scriviamo
mentre le agenzie battono la notizia dell’attacco
dell’esercito russo all’Ucraina. Le lacrime di coccodrillo dei
leader del blocco NATO, il baccano dei media occidentali, non
spostano di una virgola le vere cause del conflitto e la
soluzione per disinnescarlo — ben indicate nell’essenziale nel
comunicato di Liberiamo l’Italia.

Che la situazione volgesse al peggio era chiaro da molto
tempo, come minimo dalla rivoluzione colorata di Euromaidan,
per finire con le gravissime dichiarazioni di due giorni fa di
Zelensky che l’Ucraina sarebbe entrata nella NATO.

Il 13 febbraio scorso si è svolto un seminario teorico-
politico della direzione nazionale di Liberiamo l’Italia. Uno
dei due temi in agenda aveva il titolo “la situazione
internazionale, i rischi di guerra e la posizione di Lit”.
 Pubblichiamo di seguito la parte conclusiva della relazione
introduttiva.

                          *   *   *

 «Con il crollo dell’Unione Sovietica l’élite americana (sia
 neocon che clintoniana) scatenò un’offensiva a tutto campo
 per trasformare l’indiscussa preminenza degli U.S.A. nei
diversi campi — economico, finanziario, militare,
scientifico, culturale — in supremazia geopolitica assoluta.
L’offensiva si risolse in un fiasco. Invece del nuovo ordine
monopolare sorse un disordinato e instabile multilateralismo.
[Liberiamo l’Italia, Tesi sul Cybercapitalismo]

                                 (…)

 8. S e i n u n a p r i m a f a s e l a s v o l t a g l o b a l i s t a e
    liberoscambista assicurò all’imperialismo nordamericano
    una momentanea supremazia mondiale, ben presto, anche a
    causa della crisi del collasso finanziario del 2007-2009
    e nella forma di una vera e propria nemesi storica, si è
    capovolta nel suo contrario. Tre sono i fattori che
    attestano il tramonto della globalizzazione a guida
    americana: (1) malgrado l’avanzata verso Est della NATO
    e della UE, è fallito l’obiettivo di colonizzare la
    Russia; (2) è fallito l’obiettivo di ristabilire
    l’indiscussa supremazia in Medio Oriente; (3) proprio
    sfruttando il vento della globalizzazione neoliberista
    la Cina e diventata una grandissima potenza economica e
    militare che ambisce a sfidare gli Stati Uniti come
    prima superpotenza mondiale.
 9. Simili, giganteschi mutamenti, non potevano non
    riverberarsi in modo devastante all’interno degli Stati
    Uniti. Ecco quindi la grande frattura prodottasi con
    l’ascesa al potere di Donald Trump e la sua successiva
    defenestrazione. Alle prese col proprio declino, davanti
    al rischio di un terzo catastrofico conflitto su larga
    scala, l’élite dominante si è spaccata in due opposte
    frazioni: quella trumpiana la quale, pur sempre
    immaginando di conservare agli USA la propria
    supremazia, vede nella Cina il nemico principale da
    battere — se necessario anche stipulando un accordo
    strategico con la Russia putiniana —, e quella per ora
    vincente che vede invece nella Russia il pericolo
    maggiore, quindi disposta ad un accordo tattico di non
belligeranza con la Cina.
10. Il “disordinato e instabile multilateralismo”, segnato
    dalla ripresa delle tensioni e della conflittualità tra
    grandi potenze declinanti ed emergenti, potrebbe
    sfociare in un terzo catastrofico conflitto su larga
    scala. La principale causa di questa tendenza è il
    rifiuto degli Stati Uniti di essere spodestati dalla
    posizione di prima superpotenza. Quale che sia infatti
    la frazione che prenderà il sopravvento negli Stati
    Uniti, nessuna delle due accetterà passivamente di
    lasciare ad altri la supremazia mondiale. Il
    posizionamento della Russia potrebbe decidere chi sarà
    il vincitore. Per il momento Mosca e Pechino sembrano
    essere saldamente alleati, ciò che rappresenta una
    potente diga alle ambizioni nordamericane di riconquista
    della loro supremazia mondiale.
11. Tre sono i principali teatri di scontro tra le potenze:
   quello mediorientale, l’indo-pacifico e l’europeo. In
   tutti e tre i teatri gli Stati Uniti sono presenti
   direttamente con le loro forze militari strategiche
   d’attacco, alimentano le controversie tra potenze
   regionali (divide et impera), e sono alla testa di
   alleanze con stati vassalli. Se in Medio Oriente c’è uno
   stato di belligeranza permanente nella forma di guerre
   per procura (proxy war), sia nell’indo-pacifico che in
    Europa i conflitti latenti potrebbero diventare
    dispiegati e frontali. In un sistema-mondo a vasi
    comunicanti uno scontro diretto tra grandi potenze in
    uno di questi teatri potrebbe coinvolgere gli altri due,
    in questo caso e solo in questo avremmo un terzo
    catastrofico conflitto su larga scala.
12. Il Medio Oriente è la scacchiera dove nell’ultimo
    decennio si sono svolti importanti prove generali della
    contesa tra Stati Uniti e Russia. Le insormontabili
    divisioni del mondo islamico, con i due principali campi
    ostili, quelli capeggiati dall’Iran e dall’Arabia
    Saudita (con Israele dalla parte di quest’ultima e la
Turchia di Erdogan come terzo incomodo), sono sfociate
   in una lunga “guerra dei trent’anni”, segnata da
   offensive e controffensive, da tregue seguite da nuove
   battaglie. Combattuta anzitutto in Siria, la “fitna”, o
   mattanza fratricida tra frazioni e potenze regionali
   islamiche, si è poi estesa allo Yemen e alla Libia.
   Questo conflitto insanabile è destinato non solo a
   riconfigurare da cima a fondo l’intera regione medio-
   orientale, avrà pesanti ripercussioni su tutta l’area
   mediterranea, coinvolgendo giocoforza anche il nostro
   Paese. La doppia catena dell’alleanza NATO e
   dell’appartenenza all’Unione europea, l’avere al potere
   un’élite di ferventi euro-atlantisti, come hanno
   dimostrato gli avvenimenti in Libia, impedisce
   all’Italia di giocare un ruolo indipendente, interdice
   ogni politica di coesistenza pacifica e di proficua
   collaborazione con gli stati del Nord Africa e del Medio
   Oriente, pregiudica l’interesse nazionale e, peggio
   ancora, potrebbe trascinare il nostro Paese nel vortice
   di una nuova sciagurata guerra imperialista
   d’aggressione (vedi Iraq e Afghanistan).
13. Non è la Cina che provoca gli Stati Uniti schierando
    micidiali flotte aeronavali davanti alle coste della
   California ma sono gli Stati Uniti, al contrario, che
   minacciano la Cina con una potente cintura di
   accerchiamento strategico fatta di paesi alleati
   (Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Thailandia, Australia
   e Nuova Zelanda), da una fitta rete di basi aeree e
   navali (Filippine, Guam, Singapore), e da flotte
   aeronavali e sottomarini. Si può non credere alle
   assicurazioni di Pechino che la Cina non ha alcuna
   finalità imperialistica e aggressiva, di sicuro c’è che
   una guerra con gli Stati Uniti porrebbe fine alla sua
   avanzata in ogni campo — per questo la stessa pretesa di
   riportare all’ovile Taiwan sembra più un modo di tenere
   sveglio l’ambizioso nazionalismo cinese che un evento
   altamente probabile, come vorrebbe far credere
Washington. D’altro canto per gli Stati Uniti è vero
    l’esatto contrario, continuando così le cose essi sono
    condannati a perdere l’egemonia in Asia. Per questo sono
    proprio gli USA il principale pericolo che minaccia i
    fragili equilibri in Asia. In questo contesto,
    considerando le amibizioni indiane, è da escludere che
    New Delhi si presti ad assecondare gli Stati Uniti
    partecipando a loro fianco in un eventuale conflitto
    contro la Cina —vedi le amichevoli relazioni con Mosca.
14. E’ tuttavia in Europa orientale che oggi più spirano
    venti di guerra. L’isterica campagna russofoba che
    dilaga in Occidente, tendente a presentare la Russia
    come decisa a scatenare il conflitto, serve ad
    intossicare l’opinione pubblica per intrupparla e
    schierarla a favore di un attacco alla Russia. La
   storia, anche recente, insegna infatti che la guerra
   guerreggiata è sempre preceduta dalla guerra di
   propaganda. La verità è che il principale fattore di
   conflitto è la protervia con cui Pentagono e NATO
   proseguono la loro avanzata ad Est, la loro strategia di
   accerchiamento strategico della Russia. Non è bastato
   alla NATO e alla UE aver inglobato nell’alleanza
   militare i paesi dell’Est Europa che facevano parte del
   Patto di Varsavia. Hanno anche afferrato i paesi baltici
   portando le loro truppe a ridosso di San Pietroburgo e,
   imperterriti, hanno infine scatenato il caos in Ucraina
   spingendo al potere forze nazionaliste ostili alla
   Russia in vista dell’ingresso del paese nell’alleanza
   NATO. E’ quindi la NATO, su istigazione del Pentagono, a
   seguire una ostile politica di assedio strategico della
   Russia. Mosca chiede agli USA, alla NATO (e quindi alla
   UE) assicurazioni che l’Ucraina mai entri a far parte
   della NATO, che mai ospiterà basi militari offensive, ed
   infine di ridiscutere gli equilibri di sicurezza europei
   come sanciti nel 1975 ad Helsinki. Visto quanto accaduto
   dopo il 1989 — la promessa disattesa che mai i paesi
   dell’Est Europa sarebbero entrati nella NATO — le
richieste russe sono quanto mai legittime. Vale
      ricordare che un paese minacciato da un letale
      accerchiamento militare non può stare a guardare inerme
      ma ha il diritto di difendersi, ove questa difesa può
      anche implicare la necessità di sferrare attacchi
      preventivi per impedire al nemico di attuare i suoi
      piani.
  15. In un contesto contrassegnato da psicosi collettiva da
      covid 19, dal rafforzamento di dispositivi polizieschi
      di controllo e repressione, dalla sofferenza economica
      del popolo lavoratore, da una generale avversione per
      l’impegno politico e dalla scomparsa di movimenti per la
      pace e antimperialisti; è illusorio pensare possa
      sorgere in tempi brevi un forte movimento contro la
      minaccia di guerra. Cinque cose dovremmo concretamente
     fare come Liberiamo l’Italia: (1) d’ora in poi, nelle
     nostre discussioni interne e nella nostra comunicazione
     politica, si dovrà dare la dovuta importanza ai diversi
     aspetti concernenti gli affari internazionali e la
     geopolitica; (2) appunto nella prospettiva del “salto
     politico”, dovremmo agire affinché il movimento contro
     il green pass e le politiche liberticide adotti una
     posizione a difesa della pace e quindi di contrasto ad
     ogni eventuale adesione italiana alla guerra contro la
     Russia; (3) proporre a tutte le forze politiche,
     sindacali e intellettuali disponibili, di unire le forze
     per costruire un nuovo movimento in difesa della pace;
     (4) promuovere, ove possibile, anche nella forma di sit-
     in, azioni di sensibilizzazione dell’opinione pubblica,
     anche in vista di vere e proprie manifestazioni di
     massa; (5) attivare i diversi contatti internazionali
     che abbiamo magari in vista di una conferenza
     internazionale per la pace.

(fine)

Fonte: Liberiamo l’Italia
PER LA PACE LA SOLUZIONE C’È
di Liberiamo l’Italia

                                                    Ogni
nazione ha il dovere di rispettare l’indipendenza altrui, ma
possiede anche il diritto di proteggersi dall’eventuale
minaccia di accerchiamento da parte di potenze apertamente
ostili.

Ha ragione la Russia a sentirsi minacciata dalla NATO?

La risposta è sì.

Venendo meno alla solenne promessa fatta da Bush a Gorbaciov
nel 1991 che la NATO si sarebbe fermata sul fiume Elba, gli
Stati Uniti (col pieno appoggio dell’Unione europea),
calpestando gli Accordi di Helsinki del 1975, hanno invece
incorporato nella NATO: prima la Germania Est; poi Polonia,
Cechia, Ungheria (1999); quindi Slovenia, Romania, Bulgaria,
Slovacchia, Lituania, Lettonia, Estonia (2004); infine Croazia
(2009) e Montenegro (2017). Nel mezzo di questo sfrontata
politica imperialistica la sanguinosa aggressione alla
Jugoslavia (1999).

Questo micidiale allargamento della NATO non si spiega se non
allo scopo di circondare la Russia.

Come se non bastasse NATO e Unione Europea vogliono
stravincere assimilando Georgia, Moldavia e Ucraina.

Chiunque, al posto del popolo russo, riterrebbe una minaccia
esiziale l’avanzata ai propri confini della più potente
alleanza militare del mondo. Chiunque al posto del popolo
russo definirebbe questo accerchiamento come aggressione,
poiché aggressione non è solo un attacco militare proditorio e
violento, ma pure una condotta fatta di gesti ostili
progressivi. La condotta di USA-NATO-UE si spiega soltanto a
patto di ammettere che rafforzano i loro dispositivi offensivi
perché si preparano a colonizzare la Russia e se necessario ad
attaccarla al momento opportuno.

L’èlite russa aveva sperato che una volta restaurato il
capitalismo si sarebbe finalmente avuta la pace con
l’Occidente, si era insomma illusa che Stati Uniti e Unione
Europea avrebbero accolto la Russia come alleata e rispettato
il suo rango mondiale.

La Russia putiniana — lasciatasi alle spalle le umiliazioni
del periodo eltisiniano e gli inganni da parte dell’Occidente
— ha deciso di tracciare una linea rossa invalicabile fatta di
due punti: (1) Ucraina, Moldavia e Georgia non debbono entrare
nella NATO e restare stati neutrali e (2) visto che gli
equilibri che furono sanciti con gli Accordi di Helsinki del
1975 sono stati stracciati, va sottoscritto un nuovo accordo
complessivo per assicurare pace e sicurezza durature in
Europa.

Chiunque voglia davvero la pace deve convenire che queste due
richieste della Russia sono ragionevoli e legittime.
Avendo a cuore gli interessi del nostro Paese Liberiamo
l’Italia respinge nuove sanzioni anti-russe e chiede
l’abrogazione di quelle già esistenti; respinge ogni ulteriore
allargamento della NATO e agisce per stabilire accordi di
cooperazione e fratellanza con la Russia; chiede lo
scioglimento della NATO in quanto è il principale ostacolo per
relazioni pacifiche e amichevoli con la nazione e il popolo di
Russia così come con altri popoli ribelli; in quanto è un
pericolo per il futuro dell’Italia e dell’Europa.

Non ci facciamo illusioni sul governo Draghi (di provata fede
atlantista ed europeista).

Come Liberiamo l’Italia rivolgiamo un appello a tutte le
opposizioni patriottiche e democratiche a costruire una
mobilitazione per impedire al governo di sostenere         le
provocazioni del Pentagono e dei comandi NATO.

Direzione nazionale di Liberiamo l’Italia

21 febbraio 2022

Fonte: liberiamolitalia.org

LA SPIA RUSSA di Sandokan
Non c’è solo
la “guerra del Covid”, c’è anche una guerra strisciante contro
la Russia…

Veniamo a sapere che le informazioni relative ai sistemi di
telecomunicazione militare NATO passate ai russi dal
funzionario della marina italiana (per la modifica cifra di
5mila euro) “non sarebbero di particolare rilievo”.

Perché dunque tutto questo polverone politico e mediatico
quando, di norma, simili panni sporchi si lavano nei
retrobottega delle diplomazie?

Evidente che Roma ha voluto dare un segnale politico.

Quale è presto detto: con Draghi l’Italia riconferma non solo
il suo europeismo ma il suo indefesso atlantismo.

La vicenda, tuttavia, non mi ha colpito per la sua dimensione
geopolitica e militare, quanto perché il contesto che ha
spinto la spia a spiare per i russi… è spia di ben altro.

Ha dichiarato testualmente la moglie di Walter Biot:

«Mio marito non voleva fottere il Paese, scusate la parola
forte. E non l’ha fatto neanche questa volta, vi assicuro che
ha dato il minimo che poteva dare. Niente di compromettente.
Solo che era disperato. Disperato per il futuro dei nostri
figli. E così ha fatto questa cosa… Io so che Walter era
veramente in crisi da tempo, aveva paura di non riuscire più a
fronteggiare le tante spese che abbiamo. L’economia di casa. A
causa del Covid ci siamo impoveriti lo sa?…. Sì tremila euro,
ma non bastavano più per mandare avanti una famiglia con 4
figli, 4 cani, la casa di Pomezia ancora tutta da pagare,
260mila euro di mutuo, 1200 al mese. E poi la scuola,
l’attività fisica, le palestre dei figli a cui lui non voleva
assolutamente che dovessero rinunciare… Ripeto Walter si è
sempre speso per la Patria».

Un quadro desolante che ci dice dello sfascio economico,
politico e morale del nostro Paese.

Le autorità e i media esecrano scandalizzati l’atto di
spionaggio facendo appello al “patriottismo”.

Ma di quale patriottismo questi signori cianciano quando
disprezzano e irridono al sovranismo e anzi si dichiarano
“sovranisti europei”? Quale credibilità ha il loro
patriottismo quando essi, senza pudore, inneggiano
all’atlantismo, ovvero ad un allineamento di vergognosa
sudditanza agli Stati Uniti?

Questi borghesi senz’anima, questo stato di servi, hanno
alimentato per decenni il loro patriottismo liberale col
benessere e il consumismo, fondandolo su una morale biecamente
utilitarista e individualista. Ora che il loro sistema sta
collassando, ora che inneggiano alla “distruzione creativa”,
ora che non possono più corrompere i cittadini coi quattrini e
dicono che “nulla sarà più come prima”; ora che il Re è nudo,
il loro patriottismo borghese va a farsi benedire.

Classi dirigenti di venduti e di corrotti (quanti milioni di
euro le multinazionali spendono per comprare i nostri
politici?) non hanno alcun titolo a invocare il patriottismo.
Essi in verità chiedono fedeltà, non alla Patria, ma al loro
sistema di dominio.

Essere patrioti oggigiorno implica una lotta senza esclusione
di colpi contro le classi dirigenti collaborazioniste che
cospirano coi veri nemici del popolo italiano: le oligarchie
multinazionali.

Non ci può essere patriottismo in un paese dove la sovranità
non appartiene al popolo ma ad una minoranza di plutocrati per
cui il popolo è solo un vacca da mungere. Non ci può essere
patriottismo accanto all’atlantismo.

SOVRANISTI O ATLANTISTI? di
S. Giordano

                                            Riceviamo       e
volentieri pubblichiamo

Se c’è una cosa a cui serve la fitta cortina fumogena della
“lotta al Covid” è quella di distrarci, di farci dimenticare
le ben più gravi e orribili tragedie che avvengono in giro per
il mondo. Non si fa che parlare dell’epidemia, dei decessi per
l’epidemia. Tutti gli altri, si sarebbe detto un tempo, sono
“figli di un Dio minore”. Non trovate notizie sul fatto che
mezza Africa è sconquassata da guerre civili, quindi nessuno
vi dice che, sotto una bandiera o un’altra, truppe dei paesi
NATO sono impegnate nella repressione di rivolte e guerriglie.

Così nessuno da risalto alle stragi che ogni giorno si
susseguono nella grande fascia del Sahel — vedi quanto accade
in Mali, Niger e Nigeria. E nessuno racconta che è andato a
fuco il più grande campo profughi del mondo (un milione di
persone della minoranza birmana dei Rohingya in condizioni
spaventose), quello di Cox Bazar nel Bangladesh. Così come
nessuno ci dice più niente della sanguinosa guerra civile
nello Yemen; dei massacri che ancora avvengono in Afghanistan,
della catastrofe siriana, del dramma dei palestinesi. E, tanto
per dire, nessuna notizia sulla spaventosa crisi economica e
sociale in Libano, dove da settimane sono in corso proteste
durissime. Anche la Libia è scomparsa dai monitor.

La sola cosa che sfugge alla narrazione tossica del Covid è la
cosiddetta “nuova guerra fredda” tra Cina e Russia da una
parte e Stati Uniti e Unione Europea dall’altra.

Il cambio di guardia alla Casa Bianca ha subito prodotto i
suoi effetti. A motivo del non rispetto dei diritti umani
nello Xinjiang, dopo quelle americane sono arrivate le
sanzioni europee alla Cina. E queste seguono quelle a danno
della Russia per il “Caso Navalny”.

“L’America è tornata”, ha detto Biden. In poche parole
Washington, defenestrato Trump, torna alla più aggressiva
politica imperialista, che significa rilancio in grande
all’atlantismo, ovvero del compattamento e rafforzamento della
NATO. Siamo insomma passati dall’America first alla NATO
first!

In questo quadro si spiega la partecipazione del segretario di
stato USA Antony Blinken alla riunione svoltasi a Bruxelles
dei ministri degli esteri della Ue. E, sempre in questo
quadro, Joe Biden parteciperà alla riunione del Consiglio
europeo — fatto politico di grande importanza visto che
l’ultima occasione del genere accadde venti anni fa, nel
giugno 2001, proprio ai tempi del’espansione della NATO ad
Est, cosa che andava in parallelo (guarda un po’!)
all’allargamento dell’Unione europea.

Il segnale che ci giunge è inequivocabile. Gli Stati Uniti
vogliono rinsaldare l’asse atlantista e sbarrare la strada ad
ogni accordo, anche solo di natura commerciale tra europei da
una parte e cinesi e russi dall’altra — vedi l’opposizione
americana al gasdotto Nord Stream 2.

Morale? Il grosso dei politicanti europei, Macron e Draghi in
testa (vedi il suo discorso di insediamento) accolgono di buon
grado la “rivitalizzazione” della NATO, quindi: sì ad una
geopolitica aggressiva verso Russia e Cina e sì ad una
politica interventista degli alleati nei diversi teatri caldi,
in primis il Medio Oriente. Insomma, dal punto di vista della
Casa Bianca, l’Unione europea non solo deve andare avanti, ma
deve andare avanti come protesi degli USA.

Gettando uno sguardo al panorama politico italiano che
vediamo? Vediamo che non si alza nessuna voce contro questo
riallineamento sulle posizioni oltranziste di Washington.
Tutti per Draghi equivale ad “avanti tutta con la NATO”.

Nel contesto parlamentare non c’è nessuno che alzi la voce
contro la rinascita dell’oltranzismo atlantista. Non c’è
nessuno che voglia incontrare la grande fascia di opinione
pubblica che invece dissente. Nessuno che abbia il coraggio di
dire che una politica di supina obbedienza alla politica
aggressiva degli USA è assolutamente dannosa per gli interessi
nazionali.

La cosa tira in ballo le minoranze cosiddette “sovraniste”.
Dato il contesto può esistere un “sovranismo” che sollevi solo
la questione dell’uscita dalla Ue ma non quella dell’uscita
dalla NATO? La mia risposta è che non può esistere. Aveva
dunque ragione chi denunciava l’atlantismo, comunque
declinato, come una forma zoppa di “sovranismo”, anzi come un
“sovranismo di sua maestà”.

CONTRO L’ATLANTISMO, SENZA SE
E   SENZA   MA   di    Moreno
Pasquinelli

Essendo convinto che occorre un Partito dell’Italexit, ovvero
di un partito che faccia dell’uscita dall’Unione europea e
dall’euro la sua propria specifica missione, ho sostenuto e
sostengo l’avventura lanciata a fine luglio da Gianluigi
Paragone.

Era chiaro che si sarebbe trattato di un partito sui generis,
composto da militanti provenienti dai più diversi percorsi
politici e dai più diversi orientamenti ideologici, uniti
tuttavia non solo dal rigetto del neoliberismo globalista, ma
dai principi di sovranità nazionale, giustizia sociale e
democrazia scolpiti nella Costituzione del ‘48.

Evidente che un simile partito sarebbe stato, per sua natura,
proteiforme, poiché, in base alla sua missione, avrebbe potuto
e dovuto catturare consensi da tutti i ceti e le classi
sociali ostili all’Europa neoliberista.

Era dunque prevedibile che chi avesse messo al primo posto la
propria fede ideologica e politica e considerato l’Italexit
come una subordinata, non avrebbe aderito a questo partito.

Che questa impresa abbia potuto prendere slancio con
l’ingresso in campo del noto giornalista anti-Ue e senatore
Gianluigi Paragone — posto che il terreno era stato arato e
concimato da un almeno un decennio, non solo dai gruppi
sovranisti e da intellettuali indipendenti, ma pure da M5S e
Lega salviniana —, è non solo comprensibile, ma razionale.

Viviamo non solo nella debordiana “società dello spettacolo”,
viviamo non solo sotto l’egemonia postmodernista della morte
delle “grandi narrazioni”, viviamo sotto la tirannia della
comunicazione di massa, viviamo nel tempo politico dei
populismi.

Affinché la ragione possa aprirsi una breccia nel fronte
nemico, affinché un’idea possa farsi largo, non basta che essa
sia giusta, occorre che s’incarni in un simbolo, per la
precisione in un uomo-simbolo. Rebus sic stantibus, Paragone è
oggi quest’uomo-simbolo.

Non possiamo dunque che ringraziare Paragone per questa sua
discesa in campo, con l’auspicio che si concluda, come quella
di Farage, in un successo. E ove accadesse, sarebbe un
successo di portata storica.

L’uscita dell’Italia dalla Ue non cambierebbe radicalmente
solo il corso degli eventi nel nostro Paese, travolgerebbe
tutta l’Europa e avrebbe ripercussioni globali. Se si chiede
ai singoli militanti la consapevolezza della enorme posta in
palio, a maggior ragione ne dev’essere consapevole l’uomo-
simbolo a capo dell’impresa.

A lui occorrono grande coraggio, lunga esperienza politica,
lucidità, visione, saggezza e sensibilità umana. Qualità che
difficilmente possiamo trovare tutte concentrate in un
singolo, per quanto talentuoso esso sia. Per questo, al netto
del “momento populista”, non può funzionare un grande partito
con “l’uomo solo al comando”.

Il partito è in gestazione, sta solo adesso formando i suoi
gruppi dirigenti, sta cercando di strutturare una catena di
comando mettendo le persone giuste al posto giusto. Le
difficoltà sono enormi, è inevitabile che si commettano degli
errori. Gli errori possono essere di diverse specie, politici
o organizzativi, piccoli o grandi. E sono tanto più grandi se
a commetterli è proprio il leader.

Quello che compie Paragone quando dice di essere “atlantista”
è un errore politico molto grave.

In un’intervista di qualche giorno fa       alla domanda: “Ha
rivangato l’amicizia e le simpatie politiche con Farage a
livello occidentale. Altre alleanze in Occidente? Magari, non
so, un Putin…”, Gianluigi Pragone ha così risposto:

 «Certi scenari geopolitici implicano fondamentali chiari e
 netti. Le mie posizioni sono assolutamente filoamericane. La
 Russia è un pezzo della cultura europea e non ho paura ad
 ammetterlo e ad apprezzarlo. Alcune sfaccettature culturali
 russe, come la letteratura, sono chiaramente più affini a noi
italiani di un Kerouac. Però va riconosciuto che gli Stati
 Uniti d’America, a prescindere dall’orientamento politico del
 governo di turno abbiano sempre riconosciuto un ruolo,
 talvolta centrale, all’Italia e alla sua cultura. Non sono
 mai stato particolarmente affascinato dalle sfide cinesi
 piuttosto che russe. Sono interlocutori importanti però il
 posizionamento deve esser chiaro. Insomma, un filo-atlantismo
 chiaro per rivendicare la centralità        dell’Italia nel
 Mediteranneo, mettendola nel solco di una tradizione che è
 sempre stata riconosciuta strategicamente dagli USA. Mentre
 la Cina, ad esempio, vorrebbe utilizzare l’Italia e lo
 farebbe con un atteggiamento di non reciprocità, gli USA
 hanno sempre capito e apprezzato il ruolo del Bel Paese,
 senza metterle il guinzaglio». [sottolineatura nostra]

Sono affermazioni pesanti, per la precisione ideologicamente
pesanti, che hanno sollevato da più parti mugugni e sconcerto,
che stanno allontanando tanti cittadini sbigottiti, sia di
sinistra che di destra. Affermazioni prescrittive che
danneggiano il Partito dell’Italexit in quanto, invece di
distinguerlo, lo accodano a tutto il resto del circolo
politico di sinistra e destra.

Qui non si dice che, nella prospettiva dell’Italexit, sarebbe
auspicabile che Trump resti alla presidenza degli Stati Uniti.
Passi.

Qui siamo in presenza di una scelta di campo non solo
geopolitica ma ideologica. Il cosiddetto atlantismo altro non
è che un sottoprodotto dell’americanismo, quell’ideologia
tossica per cui gli U.S.A. non solo avrebbero raccolto
l’eredità della civiltà europea, ma sarebbero il moderno faro
di di una superiore civiltà, destinata quindi alla supremazia
mondiale. Una civiltà non solo capitalista, ma liberista e
imperialista nella sua stessa essenza.

Non   è   accettabile   sorvolare   sugli   orrendi   crimini
imperialistici compiuti dagli Stati Uniti, ad ogni latitudine,
a partire dall’attacco nucleare al Giappone. Non è possibile
dimenticare i fiumi di sangue versati da interi popoli e
nazioni sotto il giogo americano. Né è ammissibile dimenticare
quanti e quali sacrifici e supplizi abbiano sostenuto quegli
eroici popoli, a partire da quello vietnamita per finire con
quello iracheno, nel tentativo di liberarsi dall’occupazione
militare a stelle e striscie.

Se non è accettabile dimenticare, men che meno lo è condonare
gli inenarrabili crimini a stelle e striscie in virtù di un
presunto rispetto che la Casa Bianca avrebbe avuto per
l’Italia. Non si possono dire simile storiche bugie.

Dopo la seconda guerra mondiale il nostro Paese, non solo via
NATO, ha dovuto accettare una posizione brutalmente
subalterna, considerata una provincia suddita dell’impero
americano. E ogni volta che l’Italia ha cercato di svincolarsi
di trovare una sua propria strada, gli è stato impedito, non
solo con la pressione politica e diplomatica, ma a suon di
crimini di stato, di bombe e attentati sanguinosi. Non è un
segreto che la stessa catastrofe venuta con “mani pulite”,
ovvero la liquidazione di un’intera classe dirigente colpevole
di troppa esuberanza,    abbia   avuto   il   lasciapassare   di
Washington.

Che nella situazione drammatica in cui siamo si debba
combattere anzitutto la nuova colonizzazione euro-tedesca, che
l’uscita dalla NATO sia oggi una subordinata, questo è giusto.
Della NATO e delle basi americane sparse per il Paese ne
parleremo quando almeno saremo usciti dall’Unione europea.

Ma non c’è dubbio che quando avremo conquistato questo primo
pezzo di sovranità, non potremo che portarla fino in fondo,
liberandoci da ogni altro tipo di sudditanza geopolitica.
Quello che si deve dire è non solo che siamo per un Paese
pienamente sovrano, è che siamo per un diverso ordine mondiale
policentrico o multipolare, segnato da un equilibrio tra le
diverse potenze che rispetti l’autodeterminazione dei popoli.
Ed è ovvio che dentro questo nuovo equilibrio gli USA avranno
un posto decisivo, decisivo ma non di predominio. Com’è ovvio
che l’Italia nuova non accetterà né nuovi colonialismi né di
essere considerata provincia dell’impero, quale esso sia.

Del resto non è forse vero che il Patto di Varsavia e l’Unione
sovietica sono scomparsi? Contro chi la NATO punta i suoi
micidiali missili? Contro la Russia, che invece dovremmo avere
come grande nazione amica. E chi se non la NATO, dopo il 1991,
ha provocato la Russia allargando la NATO ed Est circondando
la Russia? Chi se non la NATO ha sostenuto la “rivoluzione
colorata” e filo-nazista in Ucraina?

Saremmo dei ben strani sovranisti, dei sovranisti straccioni
se, oltre a rifiutare l’ideocrazia suprematista americana, non
dicessimo che la NATO è un blocco militare che ci danneggia,
se non dicessimo che la nostra futura politica estera si
svolgerà all’insegna della neutralità, della pace e della
fratellanza tra i popoli.

Non si tratta solo di mera strategia geopolitica, si tratta di
avere dei principi, si tratta di immaginare il mondo che
sorgerà dopo questa turbolenta fase di transizione, e quindi
la missione storica dell’Italia nuova e del posto centrale che
necessariamente dovrà occupare.

Si tratta, in tutta evidenza, di questioni complesse ma
imprescindibili, che il Partito dell’Italexit dovrà trovare il
modo di affrontare e risolvere, proprio perchè si assegna una
missione tanto ambiziosa.
DOPO LA BREXIT, LA RUSSIA
COME ALTERNATIVA? di Manolo
Monereo

Manolo Monereo

Enric Juliana è un giornalista unico e, per molti versi,
diverso. Il suo stile è quello di collocare storicamente il
fatto, i dati, le notizie; cercando di andare oltre il giorno
per giorno, inquadrando ciò che accade in un contesto più
ampio. Qualche giorno fa ha collegato la Brexit alla
geopolitica assumendo come riferimento Halford Mackinder. Non
ha detto molto di più. Mi aspettavo che sviluppasse questa
idea, ma non l’ha fatto. Quindi tiro questo filo sapendo che,
sicuramente, il noto giornalista catalano non sarà d’accordo
con molte delle cose che scrivo.

Sir Halford Mackinder (1861-1947) fu un notevole geografo
britannico e un politico molto influente. Questa doppia
condizione deve essere sempre presa in considerazione; egli ha
cercato di conoscere la realtà, sempre al servizio degli
interessi strategici del suo paese. Sebbene non abbia mai
usato il termine geopolitica, ha influenzato in modo decisivo
questa disciplina che alcuni considerano la scienza e altri
un’arte politica dello Stato. Nel 1904 pubblicò una noto
saggio dal titolo “Il perno geografico della storia”. Nel 1919
sviluppò queste idee in un libro molto importante ai suoi
tempi, chiamato “Idee e realtà democratica”. Non è facile
spiegare in un articolo come questo la complessità, la
profondità e le ipotesi di una concezione geografica che ha
segnato, per più di un secolo, i dibattiti strategici e
politici di un mondo in perpetuo cambiamento. Forse questo è
ciò che sorprende di più. Il “problematico Mackinder” ritorna
ancora e ancora, e ritorna — precisamente — quando i teorici
della globalizzazione ritengono che il territorio e la
geografia abbiano perso la loro rilevanza nelle relazioni
internazionali.

Per capire bene cosa Mackinder continua a dirci oggi, dobbiamo
partire da due idee centrali. La prima è l’opposizione
strutturale della geopolitica mondiale tra potere marittimo
(talassocrazia) e potere terrestre (tellurocrazia); Questa
opposizione è sostanziale e influisce sulle strategie
politiche e militari e ha conseguenze per la costruzione e lo
sviluppo degli Stati. La seconda, ampiamente sviluppata nel
saggio sopra citato di Mackinder, ha a che fare col
sopraggiungere di una nuova fase della geografia mondiale,
fase che potremmo chiamare post-colombiana. Le scoperte di
Cristoforo Colombo segnarono un’intera fase storico-sociale
delle potenze dell’Europa (che è una penisola dell’Eurasia)
che si espansero in tutto il mondo attraverso gli oceani
diventando vasti imperi in collisione permanente. Mackinder
crede che questo stadio si sia cocnluso. Il mondo si era
chiuso, essendo distribuito tra le grandi potenze, con una
chiara egemonia dell’impero britannico. La chiave — siamo così
in cuore del dibattito — è che i poteri talassocratici avevano
perso parte del loro vantaggio strategico e che il territorio
era ancora una volta un eleme

Il geografo britannico identifica un territorio fondamentale
che chiama l’isola del mondo composta da Europa, Asia e
Africa. Al suo centro, un perno geografico che, in seguito,
avrebbe chiamato Heartland o Cuore Continentale. Da questo
centro nascono due grandi linee, una interna e una esterna.
L’Heartland occuperebbe un ampio spazio di ciò che chiamiamo
Siberia e Asia centrale; cioè, dal Volga allo Yangtze e
dall’Himalaya all’Oceano Artico. La conclusione di Mackinder
segna un’intera era ed è ben nota.

 «Quando i nostri statisti stanno conversando con il nemico
 sconfitto, qualche angelo alato dovrebbe sussurrare loro di
 volta in volta: chiunque domini l’Europa orientale controlla
 il cuore continentale; chi domina il cuore continentale
 controlla l’isola del mondo; che domina l’isola del mondo,
 controlla il mondo».

Una piccola nota: ciò che si stava decidendo in quel momento
(1919) era il nuovo ordine concordato a Versailles.

Torniamo alla Brexit. Questo mese ho pubblicato su El Viejo
Topo un saggio sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione
europea. Mi riferisco ad esso per le altre considerazioni. Una
cosa vorrei sottolineare: la ferocia della classe dirigente e
dei media europei contro una decisione democratica e legittima
non ha una spiegazione facile. Insulti e disprezzo hanno
raggiunto limiti difficilmente sopportabili, al punto che la
secessione della Scozia è incoraggiata in un momento in cui la
questione territoriale è un grave problema in Spagna. A ciò
hanno partecipato sia la destra che la sinistra. Nessun leader
importante si è chiesto perché, dal 1992 (referendum
francese), nessuna consultazione sull’Europa abbia vinto. E’
accaduto solo in Spagna, il che non è un caso. La mancanza di
autocritica delle élite europee è allarmante. Il paradosso di
tutto questo dibattito è che per gli europei più federalisti
la partenza dalla Gran Bretagna avrebbe dovuto essere vissuta
come un’opportunità. La costruzione neoliberista dell’Europa è
stata giustificata, in larga misura, dalla presenza della Gran
Bretagna; l’involuzione sociale, la predominanza delle libertà
comunitarie e la deregolamentazione dei mercati sono state
tradizionalmente attribuite alla presenza di un’isola
percepita più come una quinta colonna che come costruttore
leale di un processo di integrazione unitaria.

Si può capire cosa sta succedendo negli Stati Uniti e in Gran
Bretagna sulla base del fatto che nel mondo stanno cambiando
le basi geopolitiche e che siamo (in questo mondo chiuso) di
fronte a una grande transizione che ha al suo centro una
grande ridistribuzione del potere. Per dirla in altro modo,
ciò che abbiamo chiamato globalizzazione è alò tramonto. Non
sarà facile capire le mutazioni che stiamo vivendo; non sarà
facile capirle e, tanto meno, avere una piattaforma ideo-
politica in grado di guidarci in un mondo in rapido
cambiamento. Ciò che sta accadendo lo abbiamo davanti ai
nostri occhi: un potere (USA) che rifiuta di accettare la sua
decadimenza, che non è disposto a condividere, in nuove
condizioni, la sua egemonia mondiale e che affronta un potere
emergente (Cina) che è destinato a cambiare l’ordine mondiale.
Lo dirò come lo disse Kaplan: gli Stati Uniti non accetteranno
il dominio di una grande potenza nell’emisfero orientale. Lo
combatterà con ogni mezzo e fino alla fine. La “trappola di
Tucidide” è ancora presente.

In questo mondo che cambia, le grandi potenze economiche
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