LA RIVOLUZIONE DEI NUOVI MEDIA - opportunità e rischi - Terenzio Del Grosso 2014 - WEBWEAVER
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Il divario formativo tra XX e XXI secolo L’uomo del primo Novecento e quello di oggi, sono tra loro diversissimi. A dividerli c’è il cinema, la radio, il telefono, la televisione, prima ancora del digitale e di Internet, ma alle spalle hanno lo stesso modello di formazione. Tratto da: «Roberto Maragliano - Immobile scuola - CastelloVolante|Mur – 2011»
L’approccio multimediale alla conoscenza La cultura non può più coincidere con la parola scritta e la stampa. Il mondo accademico e della scuola, al contrario, ha rifiutato il ben più complesso approccio multimediale e si è arroccato nella difesa di un modello chiuso che stride con quello che sta avvenendo ed è avvenuto nella società. Tratto da: «Roberto Maragliano - Immobile scuola - CastelloVolante|Mur – 2011»
Il riverbero della comunicazione multimediale Tv, multimedialità, web, non sono elementi distraenti, sono il nuovo paradigma culturale del presente e del futuro. Il problema consiste nell’acquisire una sostanziale consapevolezza di quanto è avvenuto e continua ad avvenire, non solo attorno, ma pure dentro di noi. Tratto da: «Roberto Maragliano - Immobile scuola - CastelloVolante|Mur – 2011»
La crisi della forma scritturale del mondo Molti ritengono che i nuovi media siano fondamentalmente «distraenti» e responsabili della corruzione dei giovani e dei più recenti orientamenti della politica. In realtà la rivoluzione della comunicazione multimediale di rete intacca il bagaglio delle più intime e storiche convinzioni quali la piramidalità del sapere fondato sulla trasmissione «ex cathedra» dei saperi. La crisi della forma scritturale del mondo, anticipata dall’arte letteraria e figurativa, ma anche dalla filosofia, comincia sempre più ad essere evidente. Tratto da: «Roberto Maragliano - Immobile scuola - CastelloVolante|Mur – 2011»
L’attacco al predominio della cultura scritta Già tra fine Ottocento e inizio Novecento, la fotografia, il cinema, il grammofono, la radio, il telegrafo, e il telefono determinarono uno stravolgimento delle modalità comunicative ampliando gli spazi dell’immaginario collettivo, portando un duro attacco al predominio della cultura scritta fondata sul processo egemonizzante dell’alfabetizzazione. Tratto da: «Roberto Maragliano - Immobile scuola - CastelloVolante|Mur – 2011»
Digitale e reti quali infrastrutture Digitale e rete vanno intesi come condizioni per l’esercizio dei media a un tempo nuovi e antichi, in quanto a questi forniscono le irrinunciabili infrastrutture. In quanto infrastrutture, il digitale sta ai media di nuovo e vecchio conio come l’alfabeto sta alla scrittura dei testi, e Internet sta ai nuovi media esattamente come la rete stradale sta ai veicoli su gomma. Tratto da: «Roberto Maragliano - Immobile scuola - CastelloVolante|Mur – 2011»
La convergenza digitale Sembrerebbe di poter sostenere che oggi non c’è mondo che non sia per una qualche parte coincidente con il mondo del digitale e della rete che costituiscono delle cornici infrastrutturali, atte ad accogliere e ospitare indifferentemente elementi di elevazione e di illusione, di nobiltà intellettuale e di intrattenimento sensuale. Tratto da: «Roberto Maragliano - Immobile scuola - CastelloVolante|Mur – 2011»
L’intelligenza della stanza Quando la conoscenza entra a far parte di una rete, la persona più intelligente della stanza non è la persona che tiene la lezione davanti a noi, né è la saggezza collettiva delle persone presenti. La persona più intelligente nella stanza è la stanza stessa: la rete che unisce persone e idee presenti e le collega con quelle all’esterno. David Weinberger Tratto da: «Gianni Riotta – Il web ci rende liberi? - Einaudi – 2013»
Il secolo personal Siamo in presenza di un sostanziale passaggio dall’età delle masse all’età delle persone ovvero all’età della produzione e diffusione di prodotti e contenuti personalizzati e non più distribuiti in Broadcasting Nella cultura e nei media, l’impatto del secolo personal ha rivoluzionato l’industria, dalla musica ai giornali, alle case editrici, alla tv e al cinema. Poi l’onda tocca la scuola, la religione, le famiglie. In ogni aspetto della vita umana i nuovi contenuti che esprimiamo segnano l’era digitale. La battaglia sull’egemonia dei contenuti è appena iniziata … Tratto da: «Gianni Riotta – Il web ci rende liberi? - Einaudi – 2013»
I veri guai della privacy I veri guai della privacy vengono dalla scelta con cui, volontariamente , i cittadini mettono le loro vite in pubblico, in diretta, senza filtri. Su Facebook, su Twitter, sui blog, milioni di esseri umani raccontano le vicende e le gaffe più imbarazzanti di sé e dei propri cari, cadute, sciocchezze, tradimenti, che tutti immaginavamo avessero voluto celare al mondo. Tratto da: «Gianni Riotta – Il web ci rende liberi? - Einaudi – 2013»
La comunicazione «parassita» Habermas, sollevando numerosi commenti ostili online, conclude definendo questa nuova comunicazione «parassita». Per il filosofo che ha fondato la dottrina dell’opinione pubblica nelle democrazie di massa, il web è isolamento, rumore di fondo fondo. Per lui, non solo cade, malinconica foglia nell’autunno della comunicazione di massa, l’aggettivo «critica» dell’«opinione pubblica», ma troppe opinioni opposte, senza sintesi, senza razionalità, scatenano populismo ed estremismo. Tratto da: «Gianni Riotta – Il web ci rende liberi? - Einaudi – 2013»
La tecnologia e la necessità di contenuti La rivoluzione tecnologica ha necessità di contenuti altrettanto rivoluzionari, senza contenuti rivoluzionari la sola tecnologia non scatena svolte nella storia. Tratto da: «Gianni Riotta – Il web ci rende liberi? - Einaudi – 2013»
Il mondo digitale e i bisogni dei cittadini L’informazione si è diffusa online non perché «gratis» o accessibile ovunque, ma perché il web, con la sua duttilità, irriverenza, ubiquità, con la sua sfida all’autorità centrale o istituzionale, con la capacità di creare comunità e tenerle in contatto ventiquattro ore al giorno, risponde meglio ai bisogni dei cittadini del XXI secolo di quanto non riesca a fare la copia di un giornale. Tratto da: «Gianni Riotta – Il web ci rende liberi? - Einaudi – 2013»
La sindrome della celebrità Andy Warhol aveva predetto che tutti avrebbero potuto avere il oro quarto d’ora di celebrità, ma è molto peggio di quello che si poteva immaginare. In Facebook la sindrome della celebrità è diffusa, è un obiettivo a portata di tutti, i suoi confini sono però incerti visto che si richiede un aggiornamento compulsivo del proprio profilo e del proprio stato, una fiducia assoluta e una trasparenza radicale nei confronti delle macchine che ci conoscono meglio di quanto non ci conosciamo noi e possono facilmente consigliarci gadget prodotti apposta per noi. Lo stadio finale dell’involuzione psicologica sui Facebook è quindi la pornografia emotiva e relazionale. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
La pornografia emotiva Come già da tempo insegnano i talk show e i reality show televisivi, strapparsi i capelli, piangere, urlare, contorcersi, litigare e insultarsi di fronte ad un pubblico votante è fonte di grande piacere. Ci si sente famosi, anche quando nessuno ci conosce. Non serve avere competenze specifiche, saper recitare, cantare, ballare, o almeno parlare, e nemmeno esser belli: basta dare tutto alle telecamere, le emozioni allo stato puro, senza filtri. Facebook intensifica questo programma di pornografia emotiva su cala mondiale, introducendo strumenti di trasparenza eccezionali, sotto forma di caselle da validare, form da compilare o spazi vuoti da riempire. Qual è la tua situazione sentimentale? E’ importante che tutti sappiano se sei libero, occupato, divorziata, disposta all’avventura. Condividi il tuo stato emotivo, dicci ora, «A cosa stai pensando?». Sii trasparente! Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
Big Data I «Big Data» costituiscono la raccolta in grandissimi data set (insiemi di dati su un relativo argomento) di tutte le informazioni che vengono emesse nella rete. I Data Set si sviluppano su tre dimensioni: velocità, volume e varietà. Con velocità definiamo la capacità di un dato di fluire nei centri di elaborazione in modo veloce, permettendoci analisi in tempi ristretti. Con volume, invece, intendiamo la somma delle dimensioni dei vari dati che compongono un data set, mentre la varietà dipende dalle fonti di provenienza dei dati (immagini jpg, file di log, ecc.). I big data sono perciò dei grandi data set che, date le ingenti dimensioni, sono analizzabili solo con strumenti speciali. Sono molto importanti perché possono essere utilizzati non solo per la ricerca economico/finanziaria, bensì anche in altri ambiti, come ad esempio quello scientifico. Tratto da: http://blog.artera.it/curiosita-web/big-data-definizione-e-utilizzo-in-italia
La socialità automatica La socialità automatica gestita dalle macchine è una bufala. Anche senza entrare nel dettagli della critica, possiamo affermare con certezza che i dati in generale, e i Big Data in particolare ( raccolta in grandissimi data set (insiemi di dati su un relativo argomento) di tutte le informazioni che vengono emesse nella rete), non sono intelligenti. La quantità di informazione non genera socialità. I Big Data non sono socievoli. I Big Data non ci rendono automaticamente liberi, felici. L’intelligenza collettiva delle reti è un sogno di controllo reazionario. Quando l’individuo smette di autoriconoscersi, di riflettere su di sé, approda ad un immaginario collettivo cristallizzato che da luogo a istituzioni oppressive. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
Il mondo dei soli amici Quello che comporta la partecipazione di massa di Facebook è la costruzione di un mondo illusorio in cui esistono solo amici, ma nessun nemico: quel che è peggio è che per tenersi stretti gli «amici», invece di incontrarli, è necessario passare più tempo possibile a ritoccare il proprio profilo, in una spirale di autoreferenzialità ossessiva. Secondo Facebook, il privato dovrebbe tendere a diventare il più possibile pubblico. Pubblico nel senso di gestito da Facebook, pubblicato da Facebook, reso disponibile da Facebook, che è una società privata. Sostenere la libera circolazione dei saperi non ha nulla a che fare con questo genere di condivisione, automatica e forzata, di qualsiasi cosa. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
L’impronta digitale L’impronta personale e di gruppo è derivabile dai dati conservati dai nostri browser, specialmente se non cancelliamo mai la cronologia dei siti visitati, i cookies, i da ti di login sui nostri social network. Per ottenere questi dati si fanno convergere gli utenti su un sito web civetta, promettendo qualche vincita favoloso o pornografia gratuita… Il codice nascosto (javascript o simili) si occupa di scaricare, immagazzinare e incrociare i dati del browser utilizzato, la storia di navigazione, le password, i cookies, la versione utilizzata, ogni cosa. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
I socialbots I socialbots sono programmi che imitano i comportamenti di utenti reali. Questi programmi creano profili fasulli e inviano richieste di amicizia, rispondendo in maniera adattiva alle reazioni degli utenti reali. Quando un socialboot si guadagna la fiducia, può, come il corrispettivo umano, accedere ai dati protetti; in questo modo, i dati degli utenti sono ancora più esposti rispetto a un accesso completamente pubblico, per il fatto che gli utenti ritengono quei programmi loro amici, e non pezzi di codice programmati per accumulare i loro dati. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
La sezione merceologica dell’identità Un account su Facebook, su Google+, su Twitter, non è proprietà dell’utente. È uno spazio messo gratuitamente a sua disposizione in cambio della sua disponibilità a farsi sezionare in porzioni merceologicamente interessanti. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
Il simulacro che maschera l’assenza Nei social network il tatto, il gusto, l’odorato sono completamente esclusi, e del resto sono utilizzati poco anche offline. L’udito viene nutrito da suoni di bassa qualità, dagli mp3 alle suonerie dei cellulari, un abisso rispetto alla stereofonia analogica. Eppure ciò che si ricerca nei social media è pur sempre un contatto con gli altri, e quindi un contatto fisico, per quanto mediato. In questo senso, tutti i media sociali sono mezzi per surrogare la presenza, per mostrare un simulacro che mascheri un’assenza e una lontananza fisica. Per rendere concreto l’evanescente ricordo dell’altro. L’esperienza della solitudine è diventata rara, come quella del silenzio, della lentezza e della profondità. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
Un’affollata solitudine I siti «social» rappresentano delle nuove, potenti droghe da cui molte persone sono ormai dipendenti. Nel nostro mondo imprevedibile, incessantemente sorprendente e tenacemente imperscrutabile, la prospettiva di essere lasciati soli può generare infatti un vero e proprio senso di terrore, e sono svariati i motivi che rendono la solitudine profondamente sgradevole, minacciosa e orribile. Quando si evita a ogni costo di ritrovarsi soli, si rinuncia all’opportunità di provare la solitudine: quel sublime stato in cui è possibile raccogliere le proprie idee, meditare, riflettere, creare e, in ultima analisi, dare senso e sostanza alla comunicazione. Certo, chi non ne ha mai gustato il sapore non saprà mai ciò che ha perso, ha lasciato indietro, a cosa ha rinunciato. Tratto da: «Zygmunt Bauman - Cose che abbiamo in comune - Laterza - 2012»
Una produzione ipertrofica di merce/contenuto Nell’ambito dell’opulenza mediatica e dell’esorbitanza della comunicazione «social» atta a non perdere il contatto, ciò che emerge è lo spreco e la condizione di rifiuto contenutistico che assume la stragrande maggioranza dei post. Siamo di fronte al principio di «crescita illimitata», dell’espansione senza fine che per sostenersi ha bisogno di una produzione ipertrofica di merce/contenuto che a sua volta implica una continua emarginazione ed espulsione di ciò che è subito vecchio. Paradossalmente quando abbiamo troppe informazioni e relazioni comunicative, difficilmente riusciamo a trovarne un senso. La quantità di dati e la rapidità con cui le informazioni ci piovono addosso, rende farraginosa qualsiasi analisi, o la protrae per un tempo potenzialmente infinito, rendendola vana e impossibile. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
L’inconsistenza di 1000 amici Le dimensioni contano eccome. Al di là di una certa dimensione, la gerarchia fissa è necessaria per gestire i rapporti tra gli esseri umani e gli altri esseri viventi e non. Questo perché tutto è relativo, cioè «in relazione a». Se invece di dieci persone in spazi limitati che intrattengono relazioni del tutto uniche fra di loro, abbiamo a che fare con centinaia, migliaia o milioni di persone, la relatività cede il passo all’omologazione. Avere mille amici non ha senso, non abbiamo il tempo né le energie per valorizzarli. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
Data retention La data retention sancita con la direttiva europea direttiva 2006/24/CE è una minaccia. I tempi di conservazione troppo lunghi atterrirebbero il cittadino, la mancata regolamentazione riguardo alla conservazione dei dati esporrebbe a rischi la vita privata dei cittadini. La Direttiva Europea sulla data retention, secondo l'avvocato Generale della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, è da riscrivere. Se accorpati e analizzati questi dati possono ricostruire l'identità di un individuo e suggerire molto a proposito della sua vita di relazione: creano, secondo Villalón "una mappatura tanto fedele quanto esaustiva di una parte importante dei comportamenti di una persona facenti strettamente parte della sua vita privata, se non addirittura un ritratto completo e preciso della sua identità privata" Tratto da: http://punto-informatico.it/3956305/PI/News/ue-data-retention-una-minaccia.aspx
La profilazione digitale dell’identità Ovunque un utente di servizi e strumenti digitali lasci una traccia, questa può essere oggetto di profilazione mediante operazioni di controllo e archiviazione dei dati. Noi utenti siamo i «pesci da pescare» e pertanto da individuare e conoscere a fondo per poter predire i nostri desideri e soddisfare la nostre brame compulsive con oggetti sempre nuovi e subito obsoleti. Non siamo più noi a costruire un discorso, sono i dati ad avere la parola. Sarà un algoritmo a dirci che cosa vogliamo davvero; come già ci consiglia quale libro comperare su Amazon, corregge le nostre ricerche su Google, suggerisce quale nuovo film, quale musica meglio si adatta ai nostri gusti. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
La clonazione del vissuto L’aspetto paradossale è che per poter essere più attivi socialmente, per esercitare e far crescere il nostro io digitale, dobbiamo necessariamente essere più passivi fisicamente. È in atto una mutazione antropologica governata dai media, capaci di far dimenticare la propria caratteristica di mediazione, di interpolazione fra i corpi. I surrogati di presenza allontanano la realtà e tendono a sostituirsi alla realtà stessa in maniera più convincente e meno impegnativa. È in atto una clonazione del vissuto, non nel senso che i media possono sostituire l’esperienza ma nel senso che essi si pongono come condizioni necessarie di essa: si impongono a noi con la seduzione della suadente tecnologia , la cui carta vincente è sempre stata il lascivo sussurro all’orecchio «io ti servo» Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
La distrattenzione tecnologica Ogni sms, ogni squillino, ogni post, mail, tweet, oltre alla cosiddetta funzione comunicativa, ha anche una funzione primaria di rassicurarci della nostra esistenza all’interno di una rete sociale. La distrattenzione frenetica derivata dall’uso dei media sociali è, almeno in parte, dovuta alla relativa novità di queste tecnologie. Stiamo ancora imparando a confrontarci con la vita in tempo reale. Se abbiamo bisogno di essere rassicurati, significa che viviamo in un timore perenne della solitudine e dell’abbandono. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
FOMO (Fear Of Missing Out) Paradossalmente, i media sociali sono al contempo fonte di rassicurazione e di frustrazione. Abbiamo bisogno di controllare di esistere soprattutto a livello sociale perché è sempre possibile che gli altri si riuniscano senza di noi, che si stiano divertendo altrove. Gli psicologi parlano di FOMO (Fear Of Missing Out). L’esperienza della solitudine è diventata rara, come quella del silenzio, della lentezza, della profondità. Forse perché avendo gettato tutto online, rimanere soli significherebbe fare i conti con un vuoto interiore insopportabile, oltre con un corpo mutilato dei suoi strumenti di connessione. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
Saper-fare VS Far-sapere Solo individui che hanno acquisito un saper-fare che vada oltre il far-sapere, cioè competenze che non siano forme di mera autopromozione, possono avere qualcosa di interessante da comunicare e condividere. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
I data center La leggerezza impalpabile dei bit va di pari passo con la pesantezza dei data center sparsi in giro per il pianeta. I data center sono enormi capannoni industriali ricolmi di hard disk collegati tra loro, fragili monumenti di memoria totale che consumano quantità straordinarie di energia con un forte impatto ambientale. Ogni volta che accediamo da remoto ai nostri profili online per controllare di esistere, da qualche parte c’è un computer acceso oltre al nostro, e molti altri computer che mediano il nostro percorso in rete, migliaia e miglia di chilometri di cavi, per collegarci al nostro computer online. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
Il default power Occupare molto spazio online significa gestire un corpo che oltrepassa i limiti della fisicità. Un corpo che, nel caso dei social media, è sottoposto al default power, cioè a modifiche forzose non richieste. Un corpo digitale che non appartiene agli utenti, e che gli utenti possono gestire solo seguendo regole imposte dall’esterno. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
La de-corporeizzazione L’affermarsi delle reti sociali online è un fenomeno che può essere inquadrato in un processo di lunga durata di de-corporeizzazione e di investimento nella vista a discapito degli altri sensi, attraverso l’invenzione di tecnologie mediatiche. È da molto tempo che cerchiamo di allontanare la realtà e dominarla dall’esterno con uno sguardo onnipotente, cercando nel contempo di parteciparvi, senza farci ferire. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
Il controllo tecnologico In Cina, i cloni analoghi di Facebook, Twitter e Google sono controllati direttamente dal governo, invece che tramite accordi ad alto livello e collaborazioni più o meno segrete come negli USA. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
Frammentazione e semplificazione La spinta alla trasparenza, combinata alla frammentazione convulsa dei messaggi online e al calo tendenziale delle capacità di attenzione, favorisce l’emergere di messaggi estremistici, per loro natura semplificatori, e rende più difficile articolare ragionamenti complessi. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
Il circo contemporaneo globalizzato I telegiornali di oggi, così come i blog, i video di Youtube e i tweet, sono il circo contemporaneo globalizzato, un modo comodo e de-corporeizzato per vivere la realtà in presa diretta senza alzare un dito, senza polvere, senza sangue, toccando solo con gli occhi la tragedia. Conosciamo molti particolari degli tsunami che sconvolgono luoghi lontani e non sappiamo quasi nulla di quello che accade attorno a noi. Quello che non è su Google non esiste, e ciò che non lascia nemmeno un tweet dietro di sé non è degno di nota. Ma neanche quando il voyerismo si eleva a politica dell’indignazione, l’afflato di protesta lascia il tempo che trova e si riduce presto a sterile rivendicazione, spesso ancora prima di subire la repressione. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
La distrazione comunicativa Internet ha portato in molte società autoritarie proprio quel genere di distrazione che le persone cercano per evadere da una realtà deludente: pornografia a basso costo, gossip, innocue serie televisive, quiz, gioco d’azzardo, videogiochi, chat per incontri fra cuori solitari, forum per chiacchierare di argomenti apolitici sotto la vigile sorveglianza governativa. Esattamente lo stesso tipo di distrazioni che serve ai cittadini dei regimi democratici per evadere dalla loro realtà. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
La tecnocrazia La tecnocrazia si fonda sulla delega ad altri della gestione dei saperi, dei poteri tecnici. In assenza di meccanismi di delega condivisi, le gerarchie tendono a strutturarsi in maniera autoritaria, e a perdere la coscienza del proprio carattere storico, frutto di convenzioni e accordi sociali. La tecnolatria è una conseguenza inevitabile della tecnocrazia. Tratto da: «Ippolita – Nell’acquario di Facebook – ippolita.net – 2012»
La conoscenza reticolare L’idea che capire e sapere significhino entrare in profondità in ciò che studiamo, fino a raggiungerne l’essenza, è una bella idea che sta morendo: la sostituisce l’istintiva convinzione che l’essenza delle cose non sia un punto, ma una traiettoria, non sia nascosta in profondità ma dispersa in superficie, non dimori dentro le cose, ma si snodi fuori da esse, dove realmente incominciano, cioè ovunque. In un paesaggio del genere, il gesto di conoscere dev’essere qualcosa di affine al solcare velocemente lo scibile umano, ricomponendo le traiettorie sparse che chiamiamo idee, o fatti, o persone. Nel mondo della rete, a quel gesto hanno dato un nome preciso: surfing (coniato nel 1993, non prima, preso in prestito da quelli che cavalcano le onde su una tavola). Tratto da: «A. Baricco – I barbari, saggio sulla mutazione – Feltrinelli – 2006»
Superficie al posto di profondità La vedete la leggerezza del cervello che sta in bilico sulla schiuma delle onde? Navigare in rete, diciamo noi italiani. Mai nomi furono più precisi. Superficie al posto di profondità, viaggi al posto di immersioni, gioco al posto di sofferenza. Sapete da dove viene il nostro caro vecchio termine cercare? Porta nella pancia il termine greco kìrkos, cerchio: avevamo in mente quello che continua a girare in cerchio perché ha perso qualcosa, e lo vuole trovare. Capo chino, sguardo su un fazzoletto di terra, tanta pazienza e un cerchio sotto i piedi che sprofonda a poco a poco. Che mutazione, ragazzi. Tratto da: «A. Baricco – I barbari, saggio sulla mutazione – Feltrinelli – 2006»
Nella corrente della mutazione «Ognuno di noi sta dove stanno tutti, nell’unico luogo che c’è, dentro la corrente della mutazione, dove ciò che ci è noto lo chiamiamo civiltà, e quel che ancora non ha nome, barbarie. A differenza di altri, penso che sia un luogo magnifico.» Non c’è mutazione che non sia governabile. Abbandonare il paradigma dello scontro di civiltà e accettare l’idea di una mutazione in atto non significa che si debba prendere quel che accade così com’è, senza lasciarci l’orma del nostro passo. Quel che diventeremo continua a esser figlio di ciò che vorremo diventare. Così diventa importante la cura quotidiana, l’attenzione, il vigilare. Tratto da: «A. Baricco – I barbari, saggio sulla mutazione – Feltrinelli – 2006»
Nella corrente della mutazione Tanto inutile e grottesco è il ristare impettito di tante muraglie avvitate su un confine che non esiste, quanto utile sarebbe piuttosto un intelligente navigare nella corrente, capace ancora di rotta, e di sapienza marinara. […] Detto in termini elementari, credo che si tratti di essere capaci di decidere cosa, del mondo vecchio, vogliamo portare fino al mondo nuovo. Cosa vogliamo che si mantenga intatto pur nell’incertezza di un viaggio oscuro. I legami che non vogliamo spezzare, le radici che non vogliamo perdere, le parole che vorremmo ancora sempre pronunciate, e le idee che non vogliamo smettere di pensare. E’ un lavoro raffinato. Una cura. Nella grande corrente, mettere in salvo ciò che ci è caro. E’ un gesto difficile perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo. Tratto da: «A. Baricco – I barbari, saggio sulla mutazione – Feltrinelli – 2006»
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