Associazione Italiana di Psicologia Giuridica - AIPG
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Associazione Italiana di Psicologia Giuridica Corso di Formazione in Psicologia Giuridica e Psicopatologia Forense Teoria e Tecnica della Perizia e della Consulenza Tecnica in ambito Civile e Penale, adulti e minorile “L'approccio Sistemico all'osservazione del minore in CTU” Candidata Federica, Alessandra Fierro CORSO 2020 1
“Non esiste un unico tipo di famiglia, ne esistono a centinaia a seconda del contesto geografico, sociale e culturale.. Quel che dobbiamo chiederci non è “qual è la famiglia ideale”, piuttosto come riuscire a essere bravi genitori, indipendentemente dalla forma famigliare” Salvador Minuchin Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) ad orientamento familiare nei procedimenti di separazione e divorzi Il presente lavoro illustra spunti teorico-clinici per descrivere una modalità sistemico-familiare di realizzare le Consulenze Tecniche nei procedimenti di separazione e divorzio. Essa si fonda su una concezione relazionale della genitorialità, intesa come una funzione triangolare che si determina nell’interrelazione tra i due genitori, il figlio ed i rispettivi sistemi relazionali di origine. In tale prospettiva il criterio valutativo preminente dell’adeguatezza genitoriale non si limita a considerare le capacità accuditive di ciascun genitore, ma pone al centro dell’attenzione la capacità e la volontà di ciascun genitore di promuovere l’accesso simbolico e fattivo dei figli all’intero contesto relazionale, ovvero la capacità di ciascuno, di mantenere e consolidare l’unità genitoriale nei riguardi del minore stesso. Il nuovo scenario normativo proposto dalla legge del 54/06, nell’introdurre la cultura del “legame parentale condiviso” ha posto alle famiglie e, in particolare, ai coniugi che affrontano la transizione critica della separazione e del divorzio, un’audace sfida. Con l’entrata in vigore di questa legge viene attribuita centralità alla funzione genitoriali versus quella coniugale ed è sancita la parità delle relazioni genitoriali e la continuità dei legami genitori/figli anche dopo la separazione coniugale. In ambito medico-psicologico, come in quello giuridico, l’interesse del minore è definito nella continuità dei legami genitoriali e con entrambe le famiglie d’origine; nella cooperazione del prosieguo del progetto genitoriale, affinché venga garantita al figlio un’educazione condivisa all’interno di una responsabilità congiunta. Con l’approvazione della legge n. 54/2006 sull’affido condiviso il nostro legislatore ha introdotto un’ importante riforma nel diritto di famiglia, ed in particolare ha innovato profondamente la disciplina della separazione e del divorzio sancendo principi che aprono la strada ad un nuovo intendere i rapporti tra genitori e figli anche dopo la separazione. Si parla di sfida perché l’affidamento condiviso implica la necessità da parte dei genitori di coordinarsi e cooperare per il 2
benessere dei figli, con l’obiettivo di stabilire e sperimentare accordi soddisfacenti per sé e per i figli, indipendentemente dalla qualità della loro relazione coniugale e dalla asperità dei loro conflitti. Concetti come bigenitorialità, condivisione, corresponsabilità, codecisione hanno mutato la dinamica dei rapporti familiari post-separazione. La cogenitorialità e la coordinazione triangolare divengono, quindi, concetti chiave a cui viene riconosciuto ora un ruolo fondamentale per favorire un sano ed armonico sviluppo dei minori all’interno di una famiglia. Il ricercatore McHale (1997) intende per cogenitorialità la regolazione reciproca dei genitori in relazione ai bisogni di crescita del figlio. La coordinazione triangolare è un valore aggiunto, con il quale si prende in considerazione la capacità della coppia coniugale di co-regolare le loro interazioni comportamentali e i loro affetti. Dalla ricerca emerge anche come la capacità genitoriale sia un costrutto complesso non riducibile alle qualità personali del singolo genitore ma che comprende anche un’adeguata competenza relazionale e sociale. Dunque l’idoneità genitoriale viene definita dai bisogni e dalle necessità dei figli in base ai quali il genitore attiverà le proprie risorse tali da garantirne lo sviluppo psichico, affettivo, sociale, fisico. A fronte delle complesse dinamiche familiari che si creano quando la coppia coniugale si separa, nasce la necessità di riconoscere nuovi ruoli, confini e spazi all’interno di un progetto educativo per il benessere dei figli. Per acquisire elementi utili ad individuare la soluzione più idonea da adottare nello specifico caso, il Giudice incaricato del procedimento di separazione o divorzio può avvalersi di ausiliari esperti con specifiche competenze tecniche diverse ed ulteriori rispetto a quelle tipiche del magistrato (psicologia, psichiatria, neuropsichiatria, etc.). Nominando un consulente tecnico d’ufficio (CTU) incaricato di compiere una specifica indagine di natura psicologica sulle capacità genitoriali dei coniugi e sui rapporti di entrambi i genitori con il figlio, il Giudice riesce così ad ottenere le informazioni e valutazioni necessarie per la sua decisione finale. Il CTU compare dunque sulla scena giudiziaria in una fase in cui il conflitto è spesso esasperato, la coppia genitoriale - non più coniugale o legata da un rapporto sentimentale - si contraddistingue ormai per complesse dinamiche disfunzionali, elevata incomunicabilità e clima relazionale altamente conflittuale, vedendo nel procedimento davanti al Giudice l’unica soluzione per individuare le ragioni di ognuno. Lo svolgimento della Consulenza Tecnica disposta dal Giudice assume, in tale momento, un particolare rilievo poiché, oltre a costituire un valido strumento di supporto tecnico per il magistrato, rappresenta altresì uno spazio in cui la famiglia coinvolta può acquisire consapevolezza 3
dei cambiamenti in atto, riconoscere e attivare le risorse necessarie per affrontare la situazione conflittuale e costruire un nuovo equilibrio familiare e genitoriale. Nell’ambito dei suddetti procedimenti, dunque, siano essi a carattere consensuale o giudiziale, l’interesse del minore è il principio guida per stabilire ogni condizione riguardo l’affidamento dei figli: il Giudice deve tener anzitutto presente che il figlio ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale (art. 315 bis c.c.). Nel corso dei procedimenti di separazione e divorzio di tipo giudiziale, la consulenza tecnica di carattere psicologico in ambito familiare viene dunque disposta dal giudice per reperire e poter disporre di dati informativi e conoscitivi specifici (sul nucleo famigliare in esame) ed ulteriori rispetto a quelli in suo possesso, maturati nel corso dello svolgimento del procedimento di separazione e divorzio attraverso gli altri mezzi di prova forniti dalle parti. Il Giudice nomina dunque, un consulente tecnico d’ufficio: un professionista esperto (psicologo, psichiatra, psicoterapeuta, neuropsichiatra) che svolga una indagine familiare approfondita, ovvero valuti la capacità genitoriale dei soggetti interessati, intesa in senso relazionale e, quindi, con riferimento non solo alle qualità del singolo genitore ma alla capacità effettiva di far fronte al complesso dei bisogni e delle necessità del minore. Con particolare riferimento ai procedimenti in materia di separazione e divorzio, ciò significa che in sede di consulenza tecnica d’ufficio e in tema di valutazione della genitorialità, il mandato del Giudice allo psicologo forense nominato CTU si traduce operativamente in un processo di osservazione critica, di raccolta e di organizzazione funzionale di una serie di informazioni rilevanti, per fornire al Giudice quegli elementi di valutazione che gli consentano di raggiungere decisioni o convinzioni nel modo più informato possibile. In particolare, il Giudice chiede al CTU un approfondimento sui temi legati alla qualità dei legami familiari tra il minore e gli adulti di riferimento, le migliori condizioni di affido per garantire, al bambino un sano sviluppo psico-fisico. La funzione del CTU è dunque esclusivamente ausiliaria: il consulente non ha alcuna responsabilità decisionale e non è, in nessun caso, sostituto del giudice, il quale resta “peritus peritorum”, ovvero l’unica figura legittimata in termini decisionali. Il CTU nel suo operare, farà riferimento a documenti che forniscono orientamenti metodologici e deontologici in ambito di psicologia giuridica per individuare poteri/limiti della propria attività di consulente e le scelte da effettuare durante lo svolgimento dell’incarico: • Codice Deontologico degli Psicologi Italiani (che ha valore giuridico/deontologico); 4
• Linee Guida Deontologiche per lo Psicologo Forense (redatte dall’AIPG, Associazione Italiana Psicologia Giuridica, non sono sostitutive del Codice deontologico, ma contengono indicazioni specifiche per l’attività psicologica in ambito forense); • a livello internazionale, vanno segnalate le Linee Guida per l’affidamento dei minori nei procedimenti di famiglia, dell’APA (American Psychological Association - Guidelines for child custody evaluations in family law proceedings, 2009) segnalano, in modo preminente, che il procedimento deve “garantire che il massimo focus di attenzione continui a essere l’interesse del figlio”. In materia di affidamento dei figli, la metodologia peritale deve infatti rilevare e integrare elementi di valutazione provenienti sia dai singoli soggetti che dalla relazione esistente tra loro, consentendo così lo studio approfondito delle caratteristiche psicofisiche dei figli, in modo da favorire la ricostruzione della storia individuale, familiare e del rapporto tra i coniugi e la formulazione di un’attenta descrizione e valutazione clinica/relazionale. Nello specifico il percorso di CTU ad orientamento familiare si articola in vari passaggi, che possono venire flessibilmente adattati in base alle specificità delle singole situazioni: incontri con la coppia genitoriale; incontri individuali con il padre e la madre e somministrazione di test psicologici; incontro con i figli ed eventuale somministrazione di test psicologici; incontro congiunto con il padre e i figli ed eventuale visita domiciliare presso l’abitazione del padre; incontro congiunto con la madre e i figli ed eventuale visita domiciliare presso l’abitazione della madre; incontro congiunto con i genitori e i figli ed eventuali test; incontri con le famiglie di origine di ciascun genitore. Qualora il CTU decida di impiegare test di valutazione (di personalità, neuropsicologici e proiettivi), dovrà utilizzare strumenti caratterizzati da elevata e comprovata affidabilità scientifica, adoperandosi comunque affinché le modalità dell’intervista siano attinenti ai protocolli di buona pratica suggeriti dalla letteratura internazionale: la scelta dei test da impiegare è affidata alla competenza dell’esperto, che dovrà dar conto, al Giudice e alle parti, del quadro teorico di riferimento, nonché di quali parti della valutazione del test sono il frutto di codifiche riconosciute e standardizzate e quali invece il frutto di ipotesi interpretative. Accanto ai colloqui con i soggetti, risulta essenziale l’osservazione diretta delle relazioni familiari: interazioni madre-padre-figlio, che permette di valutare la qualità e le caratteristiche della relazione 5
non solo sulla base delle rappresentazioni interne del genitore ma anche sulle dinamiche direttamente osservate. Le interazioni familiari solitamente vengono videoregistrate per consentire alle parti o al Giudice di accedere ai filmati nel momento in cui lo ritengano necessario e per effettuare una microanalisi particolareggiata delle dinamiche osservate. E’ importante che il CTU espliciti il quadro di riferimento teorico e la propria metodologia di indagine in modo da permettere una effettiva valutazione e critica sull’acquisizione ed interpretazione dei dati raccolti avendo sempre come referenti primari i criteri scientifici e metodologici della psicologia; impiegare criteri di valutazione riconosciuti affidabili dalla comunità scientifica di riferimento, al fine di ridurre al minimo l’interferenza soggettiva dell’osservatore valutatore, di ridurre l’autoreferenzialità alle proprie idee, alle proprie convinzioni e teorie. Il CTU fornisce un quadro completo del funzionamento familiare della famiglia separata, dei rischi che corre e delle risorse che può mettere in atto per fronteggiare e superare questo momento critico. In tal modo è possibile formulare ipotesi sulle triangolazioni in cui il bambino è coinvolto e individuarne possibili vie d’uscita; è possibile per il consulente osservare il figlio nel conflitto, tra alleanze, contese e abbandoni. Se nella relazione di coppia vi è un conflitto, una disfunzione relazionale, il minore si troverà esposto a una condizione di rischio in quanto egli verrà facilmente coinvolto in dinamiche “triangolari” disfunzionali (Minuchin, 1974; Haley, 1973). (successivamente in questa trattazione saranno ripresi ed approfonditi tali concetti teorico scientifici). I processi di triangolazione disfunzionali si verificano maggiormente nelle famiglie che vivono condizioni di disagio e conflitto: i figli coinvolti in queste dinamiche relazionali malate perdono la possibilità di godere appieno delle relazioni con entrambi i genitori e, sovente, sono indotti a scegliere tra uno o l’altro di questi, perdendo l’accesso ad una reale intersoggettività. L’analisi delle singole relazioni diadiche genitore-figlio non sono sufficienti a fornire indicazioni sul processo di riorganizzazione delle relazioni familiari. In quest’ottica diventa fondamentale l’incontro con tutta la famiglia, in cui il consulente potrà osservare i membri in relazione tra di loro e fornire una lettura complessuale delle relazioni co-parentali e intergenerazionali. L’osservazione delle relazioni familiari può aiutare il clinico nella formulazione di una diagnosi del funzionamento relazionale della famiglia separata e dei suoi diversi sottosistemi (coniugale, genitoriale, filiale..). Ciò oltretutto, consente di capire se e come i genitori riescono a cooperare nell’esercitare le rispettive funzioni genitoriali e a coordinare le loro azioni educative nella tutela dell’interesse dei figli (Malagoli Togliatti et al., 2006, 2011). Separazione e divorzio non sono eventi puntiformi, ma “processi” che comportano una evoluzione delle relazioni familiari: all’interno, nei diversi 6
sottosistemi familiari (coniugale; genitoriale), e all’esterno, ambiente sociale (famiglie d’origine, amici) (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002). L’obiettivo della consulenza tecnica a impianto relazionale, non è quello di risolvere il problema familiare (anche se a volte uno degli effetti indiretti di tale procedura è proprio una trasformazione significativa delle modalità comunicative e comportamentali tra genitori), quanto piuttosto quello di definirlo, rendendolo così riconoscibile, aiutando le persone a procedere al di là della fine del rapporto coniugale portando, però, in salvo l’esercizio delle funzioni genitoriali (Cigoli, 1998). Questo, però, può essere fatto solo sapendosi servire di quel contesto di giustizia che le famiglie stesse a gran voce reclamano creando un “tempo sospeso” dove possa essere fatto un lavoro di comprensione della vicenda familiare e del dolore che la travaglia. Uno sguardo sulle relazioni familiari: il punto di osservazione dalla diade alla triade Già diversi decenni fa, alcuni psicologi nel loro lavoro clinico e terapeutico avevano cominciato a osservare i bambini all’interno del loro nucleo familiare e avevano iniziato a utilizzare per fini terapeutici le modalità con cui i membri del nucleo interagivano tra loro (Ackerman, 1954; Bell, 1962). Fino a quel momento nell’ambito della ricerca sulla psicologia dello sviluppo era diffusa la tendenza a considerare la famiglia come una rete di relazioni diadiche disconnesse (Hinde & Stevenson-Hinde, 1988). Tra i ricercatori che si occupavano di famiglia, andava formandosi un nuovo linguaggio, differente dall’immagine di famiglia vista come una serie di individui indipendenti o come una diade, per esempio mamma/bambino o coppia genitoriale; si pensava ad una nuova prospettiva che teneva conto della complessità delle dinamiche familiari. Le famiglie cominciano, quindi, a essere percepite come sistemi complessi, animati da regole e ritmi interni, nei quali i gruppi familiari possiedono l’abilità di formarsi delle personalità proprie più di quanto facessero i singoli membri. In altre parole, si comincia a ritenere che nelle interazioni riguardanti il gruppo familiare, i modelli di comportamento messi in atto dai singoli membri differiscono dal comportamento esibito dagli stessi all’interno del sistema familiare (McHale & Cowan, 1996). Partirei dunque dall’assunto teorico di famiglia come sistema: i sistemi sono strutture che si organizzano, si autoregolano, hanno una causalità circolare (teoria dei sistemi Bateson, 1979, cit. in Andolfi, 2015), intesi come “complessità organizzate” (teoria generale dei sistemi di Von Bertalanffy 1968, cit. in Andolfi, 2015). Dunque, un sistema non è la somma delle parti che lo compongono ma “un insieme di unità interagenti che sono in relazione tra di loro” (Miller, 1978 cit. Andolfi, 2015). 7
Nella storia della psicologia dello sviluppo, Elisabeth Fivaz-Depeursinge, superata la visione diadica delle relazioni, affronta per prima in modo sistematico lo studio delle interazioni triadiche che intercorrono tra il bambino e i suoi genitori. La Fivaz-Deperursinge introduce un cambiamento rivoluzionario nello studio delle forme precoci di interazione bambino–adulto. Secondo la teoria di Bowlby (1969) il ruolo svolto dai padri era quello di essere sostenitori della relazione madre/bambino; secondo questa nuova prospettiva, invece, considerare il padre solo come figura di attaccamento ausiliaria o sussidiaria, è sembrato sminuire il reale ruolo che gli uomini hanno nello sviluppo socio-emozionale del bambino (Bretherton, 1985; Bighin M., 2012, cit. in Simonelli A.,). La Fivaz-Deperursinge ipotizza l’esistenza di un processo di triangolazione primaria (mamma- papà-bambino) posto alla base delle comunicazioni intercorrenti tra il bambino ed entrambi i genitori fin dai primi mesi di vita. Nel panorama scientifico di riferimento diversi autori sono concordi nel definire la genitorialità come una funzione processuale composita (Fava Vizziello, 2003), risultato dell’interazione fantasmatica e reale tra quel particolare figlio, con bisogni specifici legati all’età, e quel genitore, diversa in ogni momento della vita, se pure con una sua stabilità di fondo. Essa ha a che fare, quindi, non solo con l’osservazione dell’hic et nunc della relazione che il genitore ha costruito con il figlio, ma anche con l’infanzia del genitore stesso e quindi con le influenza delle generazioni (Tafà, Malagoli Togliatti,1998). La genitorialità è funzione processuale, relazionale e storica, preesistente alla nascita del figlio. E’ altresì il risultato di una relazione triadica (madre – padre – bambino) ed è condizionata dai modelli culturali, dalla personalità del genitore, dalle relazioni che egli stesso ha avuto come figlio, dalla coniugalità e cogenitorialità della specifica coppia, nonché dal temperamento, da eventuali e specifiche problematiche riguardante i minori (eventuali disabilità fisiche/psichiche) e le loro fasi evolutive. In questo nuovo ordinamento della psicologia evolutiva viene sottolineata quindi, l’assoluta importanza ed influenza della qualità delle relazione tra i genitori sullo sviluppo dell’adattamento del bambino (Fivaz-Depeursinge e Corboz-Warnery, 1999; McHale e Fivaz-Depeursinge, 1999). In un sistema famiglia, un uomo e una donna oltre ad essere “coniugi insieme” saranno anche “genitori insieme”: si apre quindi la strada per il concetto della cogenitorialità, o bigenitorialità, concetto cardine nella teoria strutturale di Minuchin (1974). Per cogenitorialità si intende la capacità dei genitori di coordinarsi nell’esercizio della funzione genitoriale (McHale, Kuersten- Hogan e Launetti, 2001) e la capacità degli stessi di supportarsi a vicenda come leaders della 8
famiglia (Katz e Low, 2004). Definizione che rimanda al mutuo investimento e coinvolgimento dei genitori nel far crescere congiuntamente i loro figli (McHale, 1995). Gli studi di McHale (McHale, Kuersten-Hogan e Launetti, 2001) hanno superato la visione comune che tendeva a ritenere la coniugalità e la cogenitorialità come costrutti del tutto sovrapponibili. Nei suoi studi la coniugalità e la cogenitorialità vengono considerati costrutti tanto correlati che distinti perché, pur essendo parte dello stesso sistema familiare, seguono delle traiettorie di sviluppo epigenetico in parte autonome. La relazione di coppia, infatti, spesso precede la nascita dei figli di vari anni, mentre, la relazione cogenitoriale si sviluppa più tardi ed è un legame che persiste anche dopo la fine del matrimonio. In secondo luogo, l’unità di analisi del comportamento cogenitoriale è triadica ed è familiare (include i figli) mentre l’unità di analisi del comportamento coniugale è solamente diadica (tra moglie e marito). Alla nascita di un figlio, una famiglia sviluppa una propria personalità specifica in cui giocano un ruolo fondamentale anche le aspettative individuali e le motivazioni dei singoli genitori rispetto alla nascita dello stesso, pattern di azione e affetto che contribuiranno alla costruzione congiunta di pattern di azione e interazione (di coordinazione, di disimpegno, intrusione e coordinazione errata) che andranno a caratterizzare la relazione cogenitoriale (McHale & Fivaz-Deperusinge, 1999). La cogenitorialità è un costrutto complesso che può includere diverse dimensioni: i comportamenti relativi alla promozione dell’integrità familiare e alla cooperazione; comportamenti conflittuali tra i partner e quelli che mirano a ridurre la credibilità dell’altro partner; la discrepanza nel coinvolgimento e nel potere genitoriale di ciascun genitore; le comunicazioni verbali e non verbali tra i genitori quando interagiscono da soli o insieme ai figli; la triangolazione funzionale o disfunzionale dei figli; la percezione dei genitori della loro alleanza parentale; il supporto reciproco. I comportamenti qui enunciati potranno essere espliciti, ad esempio comportamenti ostili tra i genitori di fronte ai figli, o potranno essere comportamenti coperti ed impliciti, non osservabili nel corso dell’interazione triadica o familiare e si verificano ad esempio, quando un genitore squalifica o rinforza l’altro genitore agli occhi del figlio. Così la cogenitorialità può diventare un’altra area in cui si gioca il conflitto coniugale e dove i figli sono coinvolti in scene di lealtà (McHale, Kuesten- Hogan & Lauretti, 1996) e si trovano a confrontarsi con messaggi “misti” e contraddittori provenienti dal sistema cogenitoriale, per cui i minori possono vivere uno stato di confusione ed 9
essere in difficoltà rispetto all’interiorizzazione delle capacità di autoregolazione (McHale & Rasmussen, 1998). In seguito a tali premesse, è possibile evidenziare come lo sviluppo del bambino sia influenzato dalle dinamiche della genitorialità paterna e materna e dalle modalità con cui la coppia entra in relazione con il figlio. In particolare, è importante analizzare come avviene all’interno di una famiglia la transizione della separazione e del divorzio. Il ciclo vitale della famiglia descrive l’evoluzione di tale sistema come un processo dinamico in cui vi è un costante cambiamento e seguente riorganizzazione dello stesso (Mattessich, Hill, 1987; Duvall, Miller, 1985; Carter e McGoldrick, 1980; Haley 1973, Walsh, 1982; Minuchin, 1974; Andolfi, Angelo, De Nichilo, 1989; cit. in Andolfi, 2015). Dal momento in cui la famiglia si costituisce deve affrontare un percorso evolutivo che prevede compiti cruciali di mantenimento del suo equilibrio e quindi funzionali alla sua evoluzione. Ogni passaggio evolutivo può rappresentare un momento di criticità che porta alla dissoluzione del sistema nel caso in cui la famiglia non riesca a far fronte al suo superamento o alla sua crescita. Tra i momenti critici di maggiore importanza possiamo indicare: • il costituirsi della coppia, convivenza/matrimonio: in questa fase, ciascun partner all’interno della coppia acquisisce un ruolo nuovo all’interno del quale deve ridefinire spazi e funzioni, introducendo nella sua identità, una nuova immagine di sé; • la nascita di un figlio: la transizione alla genitorialità introduce il ruolo e il legame genitoriale e implica il passaggio dalla diade coniugale alla triade familiare e richiede di stabilire dei confini fra il sistema coniugale e quello genitoriale (Scabini & Cigoli, 2000); • la famiglia con figli adolescenti: è una fase che richiede di incrementare la flessibilità dei confini familiari in modo da permettere l’indipendenza ed un progressivo svincolo dei figli; • la famiglia con figli adulti: in cui avviene lo svincolo del figlio dalla famiglia ed i genitori devono tollerare possibili sentimenti di abbandono e vuoto derivanti dalla separazione. In ogni fase evolutiva la famiglia deve effettuare delle scelte sia in base alle richieste dei propri membri interni, sia in base ad esigenze esterne del contesto socio-culturale in cui è inserita, le scelte in genere riguardano la modificazione dei ruoli, funzioni, nuove modalità relazionali, legami di lealtà, rinegoziazione del rapporto di dipendenza-autonomia (Andolfi, 2006). Queste fasi critiche della famiglia, definiti eventi critici normativi (Terkelsen,1980 e Carter, McGoldrick,1980; cit. in Andolfi, 2015), possono essere considerate normali perché risultato dell’evoluzione naturale del sistema e legati ai momenti cardine di ogni famiglia. Ci sono poi gli eventi critici paranormativi, imprevedibili, traumatici e destabilizzanti per la famiglia: morte e 10
problemi di salute di un membro familiare, separazioni e divorzi, e tutto ciò che crea squilibrio nel sistema. Diventa significativo evidenziare come l’evento separativo non sia circoscritto né limitato nel tempo, ma situato all’interno di una continuità di storia personale e familiare. La separazione, intesa come una transizione del ciclo di vita della famiglia, implica sentimenti di perdita e genera disorganizzazione e sofferenza ad ogni membro del sistema familiare (Cigoli, 1998). Durante la separazione il bambino non è solo osservatore, ma entra a far parte di un “gioco” familiare in quanto chiamato ad assumere ruoli differenti, spesso conteso e costretto a schierarsi con l’uno o l’altro genitore e a mediare il conflitto. Tollerare la separazione per i figli diventa maggiormente accettabile nel momento in cui i genitori riescono a dare continuità al legame parentale, si accordano sulle scelte più opportune per loro, si mantengono come un coerente riferimento affettivo ed educativo, conservano intatta nella mente dei figli quell’immagine rassicurante così importante per la loro crescita, e riescono ad offrire loro un aiuto per affrontare la sofferenza del cambiamento. La separazione dei genitori rappresenta, comunque, un’esperienza ad alto impatto emotivo per il bambino e, per questo motivo, è spesso causa iniziale di sofferenza psicologica. Gli studi effettuati hanno evidenziato che gli effetti della separazione sui minori hanno una genesi multifattoriale e si diversificano per una vasta gamma di variabili situazionali e relazionali reciprocamente interconnesse tra loro: storia familiare; cambiamento e ristrutturazione delle dinamiche familiari; presenza o meno di conflittualità manifesta e latente tra gli ex coniugi; qualità dei rapporti tra i singoli partner e il proprio figlio; condizioni di salute psichica del genitore affidatario e non; pregresse esperienze luttuose; rete relazionale e familiare; contesto sociale e culturale nel quale la famiglia ormai disgregata vive o vivrà. Tali variabili si intrecciano a quelle psicologiche e individuali del minore, quali la struttura di personalità/temperamento; fase di sviluppo psicoaffettiva e il sesso. L’approccio teorico e metodologico sistemico familiare aiuta il consulente a comprendere la complessità familiare, «rappresenta un punto di confluenza tra dimensioni intraindividuali affettivo- cognitive ed aspetti intersoggettivi, e come tale è posta alla base dell’organizzazione familiare» (Greco e Iafrate, 2001). La famiglia è quindi considerata un soggetto fatto di relazioni, di legami e che genera legami connettendo tra loro le persone. La relazione costituisce la base sulla quale prendono vita le interazioni dei soggetti nel presente, ma essa rimanda sempre ad altro rispetto a ciò che si osserva, «rimanda a un legame che precede l’interazione in atto e ne costituisce il contesto significativo» (Scabini e Iafrate, 2003). Accanto alla dimensione relazionale è sempre presente, infatti, anche una dimensione simbolica, che si riferisce al tessuto di miti, tradizioni e valori che vengono passati tra le generazioni. 11
In tale prospettiva, la CTU è intesa come uno «spazio tempo che, pur rimanendo, per così dire, incastonato all’interno del procedimento giudiziario, rispettandone le finalità e i vincoli procedurali e di scopo, si qualifica come un intervento clinico teso ad accogliere e riconoscere le modalità specifiche (e dolorose) della dinamica familiare; si propone di svelare e dare significato ai bisogni e alle attese proiettate dalle parti in causa nel conflitto; cerca di rimetterle in gioco e di operare per una riassunzione delle responsabilità, in modo particolare per quel che riguarda l’esercizio delle funzioni genitoriali» (Marzotto e Tamanza, 2010). La CTU è vista, quindi, come un intervento focalizzato su un compito conoscitivo che si propone di rendere riconoscibile il problema familiare, coinvolgendo, però, in tale processo di svelamento/riconoscimento le parti, sollecitandole a riattivare risorse che possano sostenere il rilancio generativo. La genitorialità è infatti concepita come una “funzione triangolare”, che si determina e si realizza non soltanto nell’ambito diadico della relazione tra ciascun genitore ed il figlio, ma nella sistemica interrelazione tra i due genitori ed il figlio, che, unitamente ai sistemi relazionali di origine, costituiscono l’ambito simbolico ed affettivo all’interno del quale il minore fonda e sviluppa la propria identità. A livello metodologico tutto questo si traduce in un’indagine multi-dimensionale e multi- metodologica che prevede: la raccolta di informazioni relative ai vissuti ed alle percezioni delle persone implicate (genitori e figli); la produzione di informazioni a livello relazionale diadiche e gruppali attraverso le interazioni effettive tra ciascun genitore e suoi figli; le interazioni effettive tra entrambi i genitori insieme ai figli, strutturate attorno a compiti congiunti; la discussione con la coppia genitoriale dei risultati emersi. Inoltre, la presenza di momenti congiunti con tutti i membri della famiglia alle prese con un compito comune permette l’emergere di dinamiche familiari latenti ed è metafora di quella collaborazione necessaria per la crescita mentale dei figli. L’ascolto del minore nella CTU di separazione e divorzio Tra le attività svolte dal CTU nell’ambito della sua indagine, come già osservato, rientra sovente quella inerente all’ascolto del minore coinvolto nel procedimento di separazione/divorzio avanzato dai genitori. 12
La tematica dell’ascolto del minore all’interno delle procedure giudiziarie che lo riguardano ha assunto, negli ultimi anni, una particolare rilevanza. Se è vero che il diritto all’ascolto del minore è ormai contenuto da tempo in numerosi documenti internazionali (tra i quali vanno ricordati la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, nonché la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, redatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996), è pur vero che soltanto di recente le scienze giuridiche ed il legislatore hanno cominciato a considerare realmente il minore come soggetto titolare di autonomi diritti (e non più soltanto come mero oggetto di tutela). Appare evidente come all’interno di questa procedura consulenziale ad orientamento sistemico- familiare, l’incontro/ascolto del minore non sia un evento asetticamente isolato, ma avvenga all’interno di un percorso più ampio, lungo il quale la storia familiare è già stata in gran parte rievocata e una relazione di lavoro tra i genitori e il consulente è stata, per quanto possibile, intessuta (Marzotto e Tamanza, 2010). Sappiamo quanto sia difficile per un genitore separato, soprattutto in presenza di alta conflittualità, mantenere presente nella mente del figlio, la figura dell’altro genitore. In questi casi, il lavoro del Consulente in sede di ascolto dovrà prestare particolare attenzione alle dinamiche osservare ed avere in mente i reali bisogni del minore, comprendere se il rifiuto ha a che fare con un suo vissuto personale; e capire se il genitore, con cui il bambino ha un rapporto funzionante, si sottrae al suo compito in seguito a possibili difficoltà di gestione della propria sofferenza interna anche legata alla conflittualità di coppia. Appare chiaro come la finalità di questo tipo di ascolto non sia tanto e solo quella di prendere atto del punto di vista oggettivamente espresso dal minore, quanto piuttosto quella di «mettere in luce la posizione che il minore occupa all’interno del “gioco relazionale” cercando, laddove necessario, di ricollocarlo nella sua giusta posizione filiale, affinché tutti, in primo luogo i genitori, possano riconoscere i suoi veri bisogni» (Timms J., 2003). L’ascolto viene proposto come scelta metodologica e procedura specialista tesa a dare voce a bambini e adolescenti al fine di esercitare il loro diritto di essere parte attiva dei procedimenti giudiziari che li riguardano e quindi risorsa partecipativa della propria vita relazionale: uno spazio per consentirgli di partecipare attivamente ad una fase critica del loro ciclo di vita (M. Scali, 2009). Quello dell’ascolto è un momento molto utile per conoscere i desideri del bambino, i suoi timori e il suo disagio. Può essere utile che il consulente renda comprensibile il suo ruolo e definisca tra i suoi obiettivi quello di voler aiutare i genitori a litigare meno, chiedendo al bambino se ha già fatto tentativi in merito. L’atteggiamento che il minore assume verso il consulente è, il più delle volte, 13
determinato dalle reazioni degli adulti e dalle informazioni che ha ricevuto; talvolta il consulente si può trovare di fronte ad un bambino che è stato istruito. E’ importante quindi che il CTU attraverso la disponibilità e l’ascolto, instauri con il minore un rapporto di fiducia, tale da essere percepito come una persona che può capirlo e aiutarlo a esprimere i suoi bisogni e che tiene riservate le confidenze che il piccolo gli affida. Alcuni strumenti di osservazione sistemico-familiare con bambini e adolescenti Nell’incontro congiunto tra il minore e i genitori risulta particolarmente efficace il ricorso a strumenti che impegnano la famiglia in un compito comune, che porti l’intero gruppo familiare a confrontarsi con uno spazio ed un obiettivo condivisi e, essendo per sua natura non facilmente controllabile a livello cognitivo, permetta l’emergere della dinamica familiare. Inoltre, la parola/gesto che il figlio esprime in questo contesto è particolarmente preziosa e illuminante, non solo perché essendo prodotta all’interno dell’interazione congiunta è più facilmente interpretabile, ma perché essendo prodotta in tale maniera diviene più accessibile e comprensibile ai genitori stessi che sono in definitiva i veri destinatari della parola del figlio, ma anche quelli che in queste circostanze spesso sono più in difficoltà ad ascoltarla e comprenderla (Marzotto e Tamanza, 2011). Secondo la visione di Fivaz-Depeursinge (1989), entro il sistema familiare considerato nel suo insieme, e non scomposto nelle diadi che lo costituiscono, le funzioni di co-costruzione degli scambi e di regolazione interattiva vengono rilette in termini qualità delle competenze interattive triadiche. La studiosa definisce la capacità dei protagonisti di cooperare allo scopo di costruire l’interazione: per raggiungere tale obiettivo, i partner attingono a capacità regolatorie individuali, inter-diadiche e triadiche che consentono la strutturazione di specifici pattern interattivi familiari. Secondo l’autrice il nucleo delle nostre relazioni intime è la comunicazione affettiva e l’unità base in cui si sviluppano tali relazioni è proprio il triangolo primario costruito dal padre, madre e bambino (Fivaz-Depeursinge, et al., 1999). La triade familiare viene vista come un sistema co-evolutivo non riducibile alla somma delle singoli parti che lo compongono: l’insieme di tutte queste parti farà emergere una proprietà nuova ossia la capacità dei membri della famiglia di coordinarsi e co-regolarsi insieme per riuscire a raggiungere uno scopo comune. “La famiglia crea un’alleanza comunicativa che serve da filo conduttore per mantenere il suo funzionamento attraverso i cambiamenti provocati dall’ambiente sociale e dallo sviluppo del bambino” (Fivaz- Depeursinge, 1989). Di seguito propongo alcuni test e strumenti psicodiagnostici che comunemente vengono utilizzati nelle CTU con orientamento sistemico relazionale e familiare. 14
Il Lousanne Trilogue Play clinico Il Centro di Studi e Ricerche per la Famiglia dell’Università di Losanna, coordinato da Elizabeth Fivaz-Depeursinge ha messo a punto il Lousanne Trilogue Play una procedura standardizzata di osservazione delle dinamiche familiari. Presupposto di base a questo strumento è che, attraverso l’osservazione dei comportamenti della famiglia, sia possibile accedere al livello dell’intersoggettività: alle intenzioni, ai sentimenti e ai significati che sono espressi nelle relazioni familiari ed alla qualità del funzionamento familiare (Fivaz-Depeursinge & coll. 2004). Il paradigma del Lousanne Trilogue Play permette, infatti, di descrivere il funzionamento familiare in relazione al livello di coordinazione che i membri della famiglia ottengono nel raggiungere insieme uno scopo condiviso, suggerito dallo sperimentatore. La procedura permette di osservare e registrare come i genitori e il loro figlio giocano insieme in un sistema di triangolazione in cui i partecipanti (madre, padre e figlio) occupano idealmente i vertici di un triangolo equilatero. Lo strumento è stato poi revisionato in Lousanne Trilogue Play clinico presso l’Università La Sapienza di Roma dal gruppo di ricerca di Marisa Malagoli Togliatti e Silvia Mazzoni. L’utilità di tale strumento si è esteso anche in ambito giudiziario: nelle consulenze tecniche d’ufficio, negli interventi di mediazione e nei vari interventi a sostegno dei minori e delle loro famiglie. L’ LTP clinico è utile a sostenere le relazioni genitoriali e valutare le capacità dei coniugi di favorire l’accesso ad un esercizio congiunto della genitorialità (Micci, Vismara 2006): l’intervento consulenziale mira a diventare un’occasione per favorire una salutare riorganizzazione delle relazioni familiari che permanga anche dopo il processo separativo. Lousanne Trilogue Play clinico è uno strumento atto a valutare le capacità dei genitori di cooperare tra loro per portare a termine un compito e per valutare la tipologia di alleanze familiari presenti. L’osservazione fornisce informazioni ai consulenti circa la capacità della famiglia di riorganizzarsi in maniera funzionale dopo l’evento separativo, le dinamiche che mette in atto, il livello di funzionalità presente e le risorse di cui dispone. Si può, infatti, osservare come ciascun genitore rispetta il proprio ruolo e sostiene l’altro nel suo, oppure lo ostacola, mettendo in atto strategie competitive o addirittura distruttive. L’ipotesi sottostante a questa scelta metodologica è che lavorando con l’intero nucleo familiare si possa fare diagnosi sul sistema familiare e si pongano le basi per attivare le risorse esistenti per agire fattivamente sul problema, consapevoli di quanto non sia pensabile aiutare un bambino senza coinvolgere la sua famiglia. Lo strumento consente in breve tempo di delineare i pattern interattivi caratteristici delle famiglie esaminate e permette di individuarne le risorse e gli aspetti di problematicità. Il metodo LTP clinico prevede alcune modifiche rispetto al metodo della Fivaz- Depaursinge: se la 15
versione originaria era stata progettata per bambini molto piccoli, questa nuova è stata adattata per la partecipazione di figli di età compresa fra i 2 e i 17 anni, sono stati introdotti dei cambiamenti nel sistema di codifica e sono stati individuati specifici indicatori comportamentali per descrivere i quattro livelli funzionali: 1. Strutturale, in cui si osserva il grado di partecipazione e il grado di inclusione di tutti i membri della famiglia; 2. Organizzazione, considera l’adeguatezza dei ruoli di ciascun componente; 3. Attenzione focale, che valuta il grado di attenzione rispetto al gioco e ai partecipanti; 4. Contatto affettivo, osserva il grado di condivisione delle emozioni e del clima emotivo. Come per il metodo proposto dal gruppo di Lousanne, le parti del gioco seguono un ordine naturale simile ad uno scambio narrativo: da una situazione iniziale si arriva ad un picco di condivisione, per poi diminuire l’intensità. La consegna varia a seconda dell’età dei minori: con bambini di età compresa tra 2 e 10 anni vi è un compito di costruzione con blocchi, invece, con famiglie che hanno bambini di età maggiore di 11 anni la consegna rimanda ad un compito narrativo in cui viene chiesto di scrivere una storia su un fine settimana immaginario, in cui i genitori si allontanano da casa e il figlio rimane solo e deve organizzarsi autonomamente; in entrambi i casi le famiglie devono seguire le quattro fasi di gioco. E’ suddiviso in 4 parti (o configurazioni), legate tra loro da transizioni attraverso le quali la famiglia delinea il passaggio tra le quattro parti del gioco. Parte 1: due+uno; un genitore gioca con il figlio/i mentre l’altro si trova in una posizione di osservatore partecipante; Parte 2: due+uno; i genitori si scambiano i ruoli; Parte 3: tre insieme; entrambi i genitori aiuteranno il figlio/i nella costruzione del gioco; Parte 4: due+uno; entrambi i genitori parlano dell’attività svolta mentre il figlio/i è nella posizione di osservatore partecipante (Malagoli Togliatti, Mazzoni, 2006; Fivaz et al, 1999) Negli ambiti consulenziali la peculiarità di questo strumento consiste nella sua straordinaria semplicità e rapidità di somministrazione e, nel contempo, nella precisione e nella chiarezza della valutazione. L’efficacia dello strumento è peculiare proprio nei casi in cui i genitori appaiono molto difesi verso la proposta di valutazione e intervento nella coppia; la scelta di focalizzarsi sulla relazione genitore-bambino può, infatti, fungere da base per la costruzione di una migliore alleanza terapeutica e permette, in un secondo momento, di focalizzare con maggiore successo l’intervento terapeutico su altri importanti contenuti e problematiche della famiglia. Il gioco triadico viene, quindi, considerato come una metafora delle diverse configurazioni relazionali messe in atto quotidianamente nella regolazione delle relazioni tra genitori e figli: 16
secondo questo presupposto teorico la metodologia di osservazione permette quindi, di riprodurre “in laboratorio” nell’hic et nunc quello che accadrebbe frequentemente nelle quotidiane interazioni domestiche. Questa procedura permette da un lato di “fotografare” le modalità interattive della triade e consente, altresì, di evidenziare ed attivare le possibili risorse della famiglia. Inoltre, l’osservazione diretta delle relazioni consente di “dar voce” anche a bambini molto piccoli o che, comunque, non sono in grado di fornire attraverso il linguaggio una descrizione del loro modo di percepire se stessi e gli altri nelle relazioni familiari. Questo lavoro clinico che coinvolge genitori e figli permette di osservare e valutare gli aspetti di difficoltà e problematicità della famiglia ed essere aiutati ad avviare un processo di consapevolezza e di cambiamento. Tale procedura può consentire al CTU di accedere ai significati espressi nella relazione familiare tra i figli ed i suoi genitori secondo il costrutto delle alleanze familiari (ovvero secondo la capacità dei genitori e del figlio di coordinarsi insieme) e la qualità del suo funzionamento. Secondo il gruppo coordinato da Marisa Malagoli Togliatti e Silvia Mazzoni, questa nuova metodologia riuscirebbe a far integrare le necessità giuridiche e quelle psicologiche; viene proposta quindi, una nuova prassi di lavoro negli interventi con le famiglie che entrano in contatto con il sistema giudiziario. Per esempio tale prassi potrebbe essere integrata negli interventi con le famiglie multiproblematiche, nelle quali si procede alla valutazione delle capacità genitoriali e le abilità a provvedere alle funzioni di allevamento dei minori, o negli interventi con famiglie che si avviano a modificare la propria composizione attraverso l’affido etero-familiare o l’adozione, o nel contesto di famiglie in cui i coniugi sono in separazione, ancor di più se conflittuali. La necessità di assumere una prospettiva allargata o di tipo sistemico, che tenga cioè conto che (soprattutto nel caso di separazioni altamente conflittuali) il figlio non può che essere fortemente sollecitato dal conflitto medesimo, secondo dinamiche triangolanti ed invischianti ben conosciute (Lubrano Lavadera, 2010). Gli studi condotti nel 1998 da Elizabeth Fivaz-Depeursinge hanno dimostrato che un’alleanza familiare funzionale costituisce un contesto più o meno favorevole allo sviluppo socioaffettivo del bambino. Tali studi sono stati applicati anche nel periodo precedente alla nascita del bambino, ritenendo che l’alleanza familiare sia già in formazione tra i genitori durante la gravidanza e che i futuri genitori possono sperimentare, già durante la gravidanza, esperienze di cooperazione in relazione al figlio che dovrà nascere, alleanza definita dalla Fivaz-Depeursinge: “alleanza genitoriale prenatale”. La valutazione dell’alleanza familiare deriva dalla coordinazione che i partners manifestano quando giocano insieme: l’alleanza è funzionale quando le interazioni della famiglia sono ben coordinate e 17
manifestano più o meno regolarmente dei momenti di piacere nello stare insieme; è problematica invece quando le interazioni della famiglia sono poco coordinate, chiuse in schemi di reciprocità negative. L’alleanza familiare include, infatti, il contributo attivo del bambino nel coordinarsi per raggiungere un obiettivo, quindi è una proprietà che emerge dall’intero sistema familiare (Lubrano, 2005;Malagoli Togliatti, Mazzoni, 2006; Fivaz et al., 1999; Fivaz‐Depeursinge, 2003). E’ possibile stabilire per ogni alleanza familiare un framework triangolare; in altre parole, per arrivare a giocare tutti insieme, stabilendo un contatto affettivo, ciascun elemento della triade deve avere un buon livello di partecipazione, deve essere nel proprio ruolo e deve prestare attenzione al focus dell’interazione. Le alleanze familiari possono essere: Alleanze cooperative; Alleanze in tensione; Alleanza collusive; Alleanze disturbate. La procedura LTP consente di valutare le alleanze familiari, come proprietà specifiche della famiglia, distinta dall’alleanza coparentale. Il gioco triadico ci consente di collocare le famiglie lungo un continuum che va dal più alto grado di funzionalità al più alto grado di disfunzionalità. (Malagoli Togliatti, Mazzoni, 2006; Fivaz et al., 1999). Nell’alleanza funzionale la famiglia gioca insieme come una squadra, raggiungendo l’obiettivo stabilito di condivisione affettiva. Le famiglie disfunzionali, come quelle che sono spesso osservate in CTU, non riescono a raggiungere l’obiettivo di gioco e divertimento condiviso; solitamente l’alleanza transgenerazionale è “patologica”: si parla di triadi rigide e triangolo perverso (Lubrano Lavadera, 2005; Malagoli Togliatti, Mazzoni, 2006). Test della Doppia Luna Il Test della Doppia Luna (O. Greco, 1999): un test proiettivo-costruttivo, afferente all’area clinica, sui confini e sulle appartenenze familiari teso ad indagare le dinamiche psichiche ed affettive legate ai processi di separazione, divorzio e ricomposizione familiare. Il test chiede ai soggetti di eseguire una rappresentazione grafica all’interno di uno spazio simbolico, un rettangolo pre-disegnato su un foglio bianco che rappresenta il mondo della persona e le persone per lei importanti; mentre lo spazio esterno al rettangolo è tutto ciò che c'è al di fuori di questo mondo. Si chiede poi al soggetto di osservare le persone che ha disegnato e di racchiudere in uno stesso cerchio le persone che secondo lui/lei fanno parte della stessa famiglia. Se uno dei due elementi cruciali del conflitto di appartenenza non è stato collocato spontaneamente dal soggetto, il 18
test prevede che il somministratore richieda esplicitamente se manca qualcuno nel disegno, se c’è qualche persona che a lui/lei piacerebbe fosse in un'altra posizione o che vorrebbe aggiungere. Nel rispondere alle cinque consegne del test, gli intervistati disegnano se stessi, le persone che considerano significative per la propria vita, e individuano i diversi nuclei familiari “percepiti” (quindi non necessariamente corrispondenti a quelli reali). I costrutti principali valutati mediante il test sono: il costrutto di confine, fondamentale per la comprensione delle dinamiche familiari complesse, nelle quali il nucleo originario subisce delle trasformazioni che inducono il soggetto a dover ridisegnare i confini a livello cognitivo ed affettivo, a dover prendere posizioni, a definire gerarchie, a stabilire chi sta “dentro“ e chi sta “fuori” dal sistema familiare; il conflitto di lealtà-appartenenza, che accompagna il processo di ridefinizione dei confini familiari: i soggetti coinvolti sono tutti chiamati ad affrontare non solo una perdita dolorosa (di uno o entrambi i genitori, del nucleo familiare unito, del proprio partner, dei riti e delle consuetudini, del sentimento di continuità degli affetti, ecc.) ma anche la presenza di un “doppio” (una doppia casa intesa nella sua accezione reale e simbolica, un duplice riferimento genitoriale per i figli, indipendente e spesso conflittuale, una doppia identità che si snoda fra passato e presente, ecc.) che confonde, che turba e addolora. Le reazioni e le risposte dei soggetti all’universo familiare sconvolto dalla presenza della “doppia luna” sono diverse e molteplici: tuttavia, la soluzione auspicabile consiste proprio nel mantenere in vita l’ambiguità, l’incertezza che si accompagna alla presenza di due elementi opposti all’interno dello stesso mondo, senza dover necessariamente definire, delimitare, chiarire. È l’intersezione delle due lune, delle due appartenenze, la loro unione pur mantenendo le differenze e le distinzioni, che rivela il superamento del dolore e del conflitto intrapsichico legato alla perdita; al contrario, chi tenta di fare chiarezza, escludendo uno dei due poli, chi si schiera o chi evita di prendere posizione, dichiarandosi estraneo al problema, o arrivando a negarlo, mostra una sofferenza ancora viva, un disagio ed un’angoscia non ancora affrontati. Anche partendo dall’ottica genitoriale, dunque, ci troviamo al cuore di relazioni che lasciano intravedere un inizio, una frattura e la ripresa di una storia che in qualche modo deve tener conto di ciò che c’è stato e che in diversi modi può ancora influire sul presente. La complessità infatti verte sempre intorno al fatto che “qualcosa che c’era prima e non c’è più, o non c’è ancora” e che a questo qualcosa va trovato nel mondo psicologico uno spazio ed un senso (Greco, 2006). 19
Disegno congiunto della famiglia Un'altra tecnica utilizzata nell'ambito giuridico e di mediazione familiare è il disegno congiunto della famiglia (Cigoli et al., 1988) che consiste in un disegno dell’intero nucleo familiare svolto insieme da tutti i membri della famiglia. Il Disegno congiunto è uno strumento messo a punto negli anni settanta in uno studio di E. Bing, che cercava di combinare i vantaggi di una tecnica proiettiva con quelli di un compito interattivo focalizzato sul comportamento non verbale. Anche il disegno è risultato un canale preferenziale per permettere ai bambini di esprimersi, rispetto a quello verbale, tipico degli adulti (Cannoni, 2009). Attraverso il disegno il bambino esprime i suoi stati d’animo e può segnalare la presenza di conflitti familiari, offrendo una via per comunicare con gli adulti (Melosi, 2008). Il disegno congiunto ha quindi trovato applicazione anche in ambito peritale e di mediazione familiare: Cigoli, Galimberti e Mombelli lo hanno impiegato nella consulenza tecnica introducendo alcuni adattamenti quali la modifica della consegna. In particolare i periti si concentreranno sulla dimensione relazionale, osservando in particolare come i due ex coniugi affrontano il compito, come guidano i figli e se si creano alleanze, sottoinsiemi. L’utilizzo del disegno congiunto all’interno della CTU, non viene proposto solamente come ‘esperienza nuova’ per la famiglia in fase separazione, in grado quindi di attivare da un lato vissuti significativi e dall’altro di evidenziare le risorse del sistema, ma anche come situazione che può immediatamente, attivare ciascun membro della famiglia, attraverso domande, su quanto è emerso nel corso dell’interazione e sui possibili significati. Viene data ai partecipanti una consegna volutamente ambigua, in modo da lasciare la massima libertà di decisione nell’esecuzione e strutturazione del compito alle famiglie, permettendo di cogliere il più dettagliatamente possibile le caratteristiche della famiglia. Viene chiesto loro di fare un disegno assieme, di rappresentarsi come una famiglia, mentre stanno facendo qualcosa, è possibile disegnare le persone in qualsiasi posizione sul foglio. Questa tecnica è indicata per famiglie con bambini a partire dai 5 anni in su. Le uniche due limitazione sono il mantenere lo stesso colore durante tutto il disegno e lo spazio di realizzazione limitato al foglio fornito. Nella traduzione italiana Cigoli, Mombelli e Galimberti hanno introdotto una modifica rispetto alla consegna iniziale proposta da Bing (1970), che introduce un aspetto cinetico riprendendo il Kinetic Family Drawing, introdotto da Burns e Kaufman, in cui si chiede al bambino di rappresentare la propria famiglia in movimento per andare ad individuare i tipi di interazione e come il bambino vive i rapporti più significativi (Di Leo, 1992). Le istruzioni fornite sono poco vincolanti, fatta eccezione della necessità di tenere lo stesso pennarello dall'inizio alla fine dell’attività, cosicché la famiglia è libera nella scelta del procedimento da adottare e deve necessariamente prendere delle decisioni per organizzarsi. 20
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