LA PENSIONE DEI DOCENTI UNIVERSITARI DOPO LA RIFORMA MONTI-FORNERO

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LA PENSIONE DEI DOCENTI UNIVERSITARI DOPO LA
              RIFORMA MONTI-FORNERO
Paolo Gianni (Comm. Sindacale CNU)

     Premessa
      Data la complessità delle norme che regolano l’erogazione della pensione ed i
requisiti per accedervi, è nostra intenzione fornire soltanto alcune indicazioni sulle
principali modifiche intervenute in materia, limitando l’interesse al caso dei dipendenti
pubblici, e più in particolare ai docenti universitari. Verranno quindi illustrati (1) i
nuovi vincoli età anagrafica e contributiva e (2) un metodo di calcolo
approssimato della entità della pensione, che permette di conoscere
immediatamente di quanto calerà la pensione rispetto all’ultima retribuzione in
servizio.
      Il metodo di calcolo esatto della pensione risulta troppo complicato per essere
trattato in modo chiaro ed esaustivo. Chi fosse alle soglie della pensione e desidera
conoscerne l’ammontare esatto può rivolgersi direttamente a un qualunque patronato
che, in virtù di specifiche convenzioni con l’INPDAP e gli atenei, è appositamente
finanziato dallo Stato per fornire questo servizio.

     Le novità
      La riforma Monti-Fornero, all’art. 24 del cosiddetto “Decreto Salva Italia” (D-L 201
del 6/12/2011, convertito nella L. 214 del 22/12/2011, GU n. 300 del 27/12/2011) ha
stabilito che a partire dal 1 Gennaio 2012 anche alle pensioni che avevano titolo ad
essere calcolate col metodo “retributivo” verrà applicato il calcolo “contributivo” pro-
rata. Ciò significa che gli anni dal 2012 in poi contribuiranno per tutti ad una quota di
pensione in ragione dei contributi effettivamente versati, fermo restando il vecchio
calcolo per la quota relativa agli anni precedenti.

       Sino ad ora l’età di pensionamento minima per non subire penalizzazioni era per
tutti 65 anni (per le donne 60). Si parlava di “pensione di vecchiaia” per chi cessava a
65/60 anni compiuti, o successivamente, e pensione di “anzianità” per coloro che
cessavano prima. Ora alla “pensione di vecchiaia” si affianca la “pensione anticipata”.
In pratica è come se ci fosse un tipo di pensione unica, flessibile, con possibilità di
uscita dal lavoro in un intervallo di tempo predefinito, con penalizzazioni economiche
per chi cessa prima. Nel Pubblico Impiego l’età di accesso alla pensione di vecchiaia
(limite ordinamentale) diventa 66 anni dal 2012, sia per gli uomini che per le donne, e
crescerà fino a 67 nel 2021. Il diritto alla pensione di vecchiaia scatta in presenza di una
anzianità contributiva minima di 20 anni. L’accesso alla pensione anticipata scatta con
una anzianità contributiva minima di 42 anni (41 per le donne), però in caso di
cessazione prima dei 62 anni di età sulla quota retributiva (ante 2012) si calcola una
penalizzazione del 1% per ciascuno dei primi due anni di anticipo e del 2% all’anno

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per gli anni di anticipo ulteriori. A partire dal 2013 per i dipendenti del settore privato
ci sarà un vantaggio a procrastinare la pensione fino a 70 anni, sotto forma di aumento
del coefficiente di trasformazione (in pensione) dei contributi versati. Tale regola non
vale per i dipendenti pubblici e quindi anche per gli universitari. Però i docenti
universitari che avevano già maturato il diritto alla pensione (40 anni di contributi)
prima del 2012, anche se soggetti al calcolo retributivo, si troveranno come incentivo a
rimanere ulteriormente in servizio il fatto che i contributi versati negli anni dal 2012 in
poi andranno a formare un montante contributivo che porterà a un piccolo aumento
della pensione.

      Per i docenti universitari dopo la Legge Gelmini (L.240/2010) l’età di
collocamento a riposo obbligatorio è stabilita in 70 anni per i professori (anche per gli
associati, a patto che abbiano optato per il regime della Legge Moratti, L. 230/2005) e
in 65 anni per i ricercatori di ruolo. Per questi ultimi l’età del pensionamento dovrebbe
venire innalzata gradualmente a 67, analogamente agli altri dipendenti pubblici,
mentre rimarrà inalterata a 70 per i professori. Purtroppo è stata prorogata a tutto il
2014 (vedi art. 1, c.6, del D.-L. 138/2011) la norma che permette il pensionamento
forzoso dei ricercatori che hanno raggiunto i 40 anni di contributi.

     Un cenno alla “liquidazione”
      Per quanto riguarda la liquidazione (alias buonuscita o trattamento di fine
servizio,TFS), in base all’art. 12, comma 10, del D.L. n. 78/2010, a partire dal 1 Gennaio
2012 dovrebbe essere equiparata al trattamento di fine rapporto (TFR) del settore
privato, e quindi calcolata e liquidata secondo le regole valide per i pensionati INPS.
Però l’INPDAP continua a fare la ritenuta a favore dell’Opera Previdenziale sugli
stipendi di tutti i dipendenti pubblici (vedi circolare n. 17 del 8/10/2010), nonostante
nel caso del TFR i contributi previdenziali siano a carico del solo datore di lavoro.
D’altra parte anche secondo il Ministero della Finanze (messaggio 29 del 13/2/2012) la
norma del D.L. 78/2010, alla luce di altre norme vigenti, andrebbe interpretata nel
senso che viene modificato solo il modo di calcolo del TFS, senza modificare le norme
di prelievo dei contributi. Però in una recente sentenza il TAR di Reggio Calabria (n.
564 del 18/1/2012), ha condannato l’Amministrazione della Giustizia a restituire il
maltolto ad alcuni magistrati che avevano fatto ricorso avverso le illecite ritenute,
sostenendo la tesi che se la legge avesse inteso modificare solo il modo di calcolo del
TFS, e non le ritenute, lo avrebbe detto esplicitamente. In molti atenei i colleghi hanno
prodotto regolare diffida al Rettore avverso tali prelevi, ritenuti illegittimi.
      Risulta arduo capire come andrà a finire. L’unica cosa certa è che la faccenda
interessa circa tre milioni di dipendenti pubblici e l’eventuale blocco della ritenuta
previdenziale in questione produrrebbe una diminuzione delle entrate dello Stato non
indifferente. Nel caso molti altri TAR si esprimessero come il Tar Calabro, e con numeri
di ricorrenti molto alti, forse il Governo interverrebbe in qualche modo.

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In base al D-L 78/2010 la buonuscita continua ad essere erogata col ritardo di un
anno per le quota compresa tra 90000 e 150000 euro, e di due anni per la quota
superiore a 150000 euro.

      Istruzioni per il calcolo della liquidazione (valide ovviamente per il periodo ante
2012)      sono     riportate     sul    blog     dell’amico    Pagliarini    all’indirizzo:
http://alpaglia.xoom.it/alberto_pagliarini/calcololiquidazione.htm .

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Un calcolo approssimato della pensione per professori e ricercatori universitari
                                          di ruolo

I dati vengono forniti come percentuali rispetto all’ultima retribuzione netta percepita
in servizio.

   (1) Docenti che avevano più di 18 anni di contributi al 31/121995 e che quindi hanno
       diritto al calcolo “retributivo” (contributivo a partire dal 1/1/2012)
       Nel 2011 sono andati in pensione coloro che avevano 24 anni di contribuzione
       ante ’95. Quelli che ne avevano 18 andranno in pensione nel 2017, ed avranno
       tutti una pensione dell’ordine del 91% rispetto allo stipendio. Tutti coloro che
       sono in posizione intermedia percepiranno una pensione di circa il 91%
       dell’ultimo stipendio.

   (2) Docenti che avevano meno di 18 anni di contributi al 31/12/1995 e che quindi sono
       soggetti al calcolo “misto”.

               % = 53.9 + 1.82 x nR

              dove nR = numero anni col calcolo retributivo, cioè ante 31/12/1995 (0 <
       nR < 18)
              (pensione da un minimo di 54% ad un massimo di 87% dell’ultimo
       stipendio).

   (3) Docenti assunti dopo il 1/1/1996, soggetti al 100% del calcolo “contributivo”

               (a) Docenti già in ruolo prima del 2012, senza contributi prima dell’entrata
                   in ruolo:

               Pensione = 54-55% dell’ultimo stipendio

               (b) Docenti che entreranno in ruolo non prima del 2020, con contributi
                   prima dell’entrata in ruolo corrispondenti alle figure di assegnista e
                   ricercatore a tempo determinato:

               Pensione = 59% dell’ultimo stipendio

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Tutte le percentuali dell’ultimo stipendio netto sopra riportate vanno aumentate
      di circa l’1% nel caso in cui la quota di stipendio che eccede la pensione fosse
      tassata con una aliquota IRPEF più alta.
      La precisione del calcolo si può stimare in circa 1 punto percentuale . Una
      maggiore incertezza si riscontra col metodo contributivo, a causa della grande
      variabilità dei contributi versati durante i periodo di precariato.

Criteri e approssimazioni usate per il calcolo:

- è stata presa come riferimento la figura del Professore Associato, nella constatazione
che, a parità di evoluzione della carriera economica (in termini di aumenti %), le
conclusioni saranno applicabili anche agli Ordinari e ai Ricercatori a tempo
indeterminato. I calcoli sono basati sulle tabelle stipendiali del Prof. Pagliarini (vedi
sopra) relativi alle retribuzioni del 2010, rimaste bloccate nel triennio successivo

- si presuppone che il docente abbia una normale carriera, tutta a tempo pieno, in
assenza di altri cespiti, con pensionamento dopo aver maturato il massimo di 40 anni di
contribuzione . L’allungamento a 42 anni del periodo contributivo minimo per avere
diritto al massimo della pensione, previsto dalla Legge Monti-Fornero, non toglie
validità ai risultati finali ma comporta solo la conseguenza che l’entità della pensione
calcolata potrà essere percepita come tale (senza penalizzazioni) soltanto dopo
ulteriori due anni di contribuzione

- si prende come unità di base lo stipendio mensile lordo a fine carriera (lordo IRPEF),
assumendo che in media l’ultima classe stipendiale raggiungibile prima del
pensionamento sia la classe 14/2. L’entità della pensione verrà calcolata sempre in
termini di percentuale rispetto all’ultimo stipendio. In caso di pensionamento prima di
raggiungere la classe 14/2 cala ovviamente lo stipendio finale, e la conseguente
pensione, restando però quest’ultima una sua percentuale pressappoco costante

- si assume che la attualizzazione dei contributi con il criterio dei coefficienti ISTAT
riproduca esattamente la perdita di valore della moneta, il che equivale a permettere
di calcolare i contributi versati negli anni passati come se gli stipendi fossero tutti stati
erogati nel corso dell’ultimo anno di servizio, senza necessità di attualizzazione

- i calcoli valgono per la retribuzione netta, in quanto si è tenuto conto che sulla
pensione non gravano le ritenute previdenziali che operano invece sulla retribuzione
del personale in servizio attivo.

- la procedura di calcolo resterà valida (salvo piccole oscillazioni) anche una volta
introdotta la nuova progressione economica basata sulle classi triennali, in quanto
questa manterrà gli stipendi praticamente inalterati.

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Commento finale

I docenti la cui pensione è calcolata col calcolo misto, e a maggior ragione i più
giovani col solo calcolo contributivo, sono ovviamente quelli più penalizzati. Sono
questi ultimi che dovranno esaminare la possibilità di attivare eventuali forme di
pensione integrativa.

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