La nascita della fantascienza in Italia: il caso "Urania"

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Pierpaolo Antonello (University of Cambridge)

La nascita della fantascienza in Italia: il caso «Urania»

         La fantascienza è probabilmente il genere letterario che nel Novecento italiano ha incontrato le
maggiori difficoltà per affrancarsi dal ghetto critico in cui è stato spesso e volentieri confinato. Se il
romanzo storico, il fantastico, il giallo, il noir — seppur con tempi diversi — hanno trovato posto sia
all’interno della discussione accademica che nelle collane principali delle case editrici italiani, la
fantascienza ha subito un destino di ostracismo insistito, spesso ingiustificato, nonostante abbia avuto
per lunghi periodi un pubblico costante e affezionato. Se si eccettuano i rari esempi di Sergio Solmi, e
più tardi di critici come Carlo Pagetti o Renato Giovannoli,1 di fatto non c’è stata pressoche nessuna
comunicazione fra una fandom attiva, organizzata, solerte, attenta, e un’élite culturale refrattaria se non
addirittura insofferente nei confronti sia del genere che di tutto quanto associabile in senso lato alle
scienze esatte.2 Le ragioni di questa marginalizzazione ovviamente sono varie e tutte ampiamente
documentate. Certamente non ha giocato a favore: 1) l’accentuata arretratezza educativa e di sviluppo
tecnologico-industriale dell’Italia che non ha mai seriamente posto l’urgenza della necessità strategica
della diffusione culturale del metodo e della conoscenza scientifici sia all’interno dei curricula
scolastici che della cultura nazionale in generale; 2) il dominio politico e culturale delle «due chiese»
che ha ritardato la discussione delle prospettive emancipatorie dell’evoluzione della società a partire da
premesse di ordine tecnologico, preferendo spesso un approccio pregiudizialmente negativo o
“apocalittico”;3 3) sfavorevole a questo proposito anche lo spostamento verso prospettive adorniane di
molti intellettuali e critici di sinistra che hanno visto in termini negativi i prodotti della cultura di massa
e la loro progressiva «americanizzazione», interpretata come una operazione ideologica conservatrice,
in un modo rigidamente «funzionalista, come un’agenzia più o meno diretta della classe dominante

1
  Uno dei primi interventi di Solmi è stato Divagazioni sulla «science fiction», l’utopia e il tempo, in «Nuovi argomenti»,
Nov.-Dic., 1953, pp. 1-28. Per un resoconto della critica italiana in riferimento alla SF si veda Carlo Pagetti, Twenty-five
Years of Science Fiction Criticism in Italy (1953-1978), in «Science Fiction Studies», VI (1979), pp. 320-25 e C. Pagetti,
Science-Fiction Criticism in Italy, In and Out of the University, in «Science-Fiction Studies», XIV (1987), pp. 261-66. A
Renato Giovannoli si deve poi un ottimo studio su La scienza della fantascienza, Milano, Bompiani, 1981.
2
  Secondo l’indicazione di Primo Levi, ad esempio, i critici italiani «storcono il naso […] non in quanto “fanta” ma in
quanto scienza»; Primo Levi, Conversazioni e interviste. 1963-1987, a cura di Marco Belpoliti, Torino, Einaudi, 1997, p.
150.
3
  Su questo problema numerose le pubblicazioni recenti. Si veda ad esempio Enrico Bellone, La scienza negata. Il caso
italiano, Torino, Codice, 2005; Carlo Bernardini e Tullio De Mauro, Contare e raccontare. Dialogo sulle due culture.
Roma-Bari, Laterza, 2003; T. De Mauro, La cultura degli italiani, Roma-Bari, Laterza, 2004.
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presieduta dai democristiani a bracetto con gli americani»;4 4) il rifiuto della fantascienza può essere
anche legato al fatto di essere un prodotto specifico della cultura statunitense. C’è stata nella cultura
italiana del ‘900 una corrente non minoritaria di nostalgismo ‘ruralistico’, di segno politico anche
antitetico, che è coinciso con un rifiuto spesso pregiudiziale della modernità vista come epoca di
barbarie. E della modernità la società americana ha rappresentato spesso l’immagine incarnata.5
         In ambito critico-letterario, la pregiudiziale anti-scientifica di molto crocianesimo culturale
italiano è rimasta poi una costante novecentesca e ha ritardato per anni l’esame critico anche di opere
fondamentali (pensiamo a Primo Levi). A questo proposito, Vittorio Curtoni sottolinea l’insistenza
della nostra cultura letteraria sui dettati manzoniani («L’utile per iscopo, il vero per soggetto e
l’interessante per mezzo»), che enfatizza oltre modo il momento «didattico» della letteratura,
escludendo quei testi che cercano «il puro e semplice divertimento».6 Riguardo a quest’ultima
indicazione, bisogna comunque precisare che i curatori delle primissime riviste di fantascienza, sia
italiane che americane, avevano tutti, nei loro intenti programmatici, un esplicito programma
pedagogico, considerando la fantascienza come una forma letteraria di intrattenimento capace di
avvicinare i lettori alle scoperte della scienza e della tecnica.7 Ma mentre la cultura americana si è
velocemente affrancata da queste premesse e da ogni forma di snobismo intellettuale nei confronti dei
prodotti dell’industria culturale, il processo in Italia è stato decisamente più lento.
         Quello che risulta evidente in questa discrasia critica è soprattutto un’incommensurabilità di
carattere esegetico, nel senso che il lettore e il cultore di fantascienza giudica un’opera letteraria di
genere secondo parametri estetici e stilistici affatto dissimili da quelli che un critico letterario, abituato
ad analizzare soprattutto testi di carattere realistico, normalmente impiega:

          Instead of style, SF texts often concentreate on concept, subject and narrative. Instead
          of the abstract, SF texts prefer the concrete [...] SF avoids the trappings of
          mainstream fiction so as not to distract its readership from the conceptual experiment

4
  David Forgacs, L’industrializzazione della cultura italiana (1880-2000), tr. it., 2a ed., Bologna, Il Mulino, 2000, p. 197.
Eloquente a proposito una dichiarazione di Franco Fortini sul clima culturale del dopoguerra: «Si avvertì ben presto che i
profitti dell’industria settentrionale avrebbero sempre più aperta la possibilità di ricche operazioni ideologiche e che le
forme più rozze dell’american way of life, diffuse in un primo tempo dall’industria culturale di massa, si sarebbero presto
trasformate in più sottili e pericolose imprese riformistiche», F. Fortini, Il senno di poi, in Dieci inverni 1947-1957.
Contributi ad un discorso socialista, Bari, Di Donato, 1973, p. 33.
5
  A proposito si può vedere Michela Nacci, L’antiamericanismo in Italia negli anni Trenta, Torino, Bollati Boringhieri,
1989.
6
  Vittorio Curtoni, Da qui all’ubikuità: vicende del mercato editoriale della fantascienza in Italia, in Massimiliano Spanu (a
cura di), SciencePlusFiction. La fantascienza italiana tra antiche visioni e nuove tecnologie, Torino, Lindau, 2000, p. 94.
7
  Questo risulta evidente dalle dichiarazioni e dagli editoriali sia di Hugo Gernsback, fondatore di «Amazing Stories», che di
Giorgio Monicelli, direttore della collana e della rivista «Urania».
                                                                   2
it represents; fine writing is «de-emphasised» in order to allow content and concept to
           come more obviously to the fore.

           [Invece che sullo stile, i testi di fantascienza spesso si concentrano sui concetti, sul
           soggetto e sulla narrazione. La fantascienza preferisce il concreto […], evita le
           trappole della narrativa d’autore, così da non distrarre I propri lettori dall’esperimento
           concentuale che sta rappresentando. La bella scrittura viene evitata per permettere al
           contenuto e ai concetti di veinire più facilmente in primo piano]. 8

          Inoltre, nei romanzi di fantascienza, c’è poco spazio per l’effettiva caratterizzazione in senso
romanzesco dei personaggi, «no because writers lack the skill (although they may) but because in the
final analysis the characters are not people, they are pieces of equipment… the same reductive effect is
at work on the plot, where naked, artless ur-scenarios of quest, death and desire are openly displayed».9
Tutte indicazioni che erano state esplicitate con notevole chiarezza anche da Sergio Solmi nella sua
nota introduttiva alla prima antologia di fantascienza pubblicata in Italia, Le meraviglie del possibile
(1959):

           il più autentico intenditore di fantascienza, il quale è spesso uno scienziato, un
           tecnico, o quanto meno un dilettante di scienza e di tecnica, non opera
           verosimilmente le sue scelte in base a criteri estetici, quanto piuttosto in relazione alla
           perspicuità, fondatezza e soprattutto novità dell’invenzione o dell’ipotesi affacciata in
           questi racconti.10

          Rispetto a queste premesse, Solmi conclude, «il critico letterario non può che declinare la
propria incompetenza».11 In realtà quella di Solmi è sia una indicazione esatta che un gesto retorico.

8
  Adam Roberts, Science Fiction, London, Routledge, 2000, p. 14. Questa indicazione è perfettamente visibile in un parere
di lettura di Giorgio Monicelli su Stowaway to Mars di John Beynon (WYNDHAM) (Newnes George – London): «Il
romanzo è interessante (…) Soprattutto se un pò sfrondato delle ridondanti eleganze verbali a cui Windham non sa
rinunciare nemmeno nei suoi libri più recenti»; Archivio della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Archivio
storico Arnoldo Mondadori Editore, Fondo autori esteri, fasc. SEE non ord b.23/A Wyndham, 9/3/1954, ds.
9
  Gwyneth Jones, Deconstructing the Starship: Science, Fiction and Reality, Liverpool, Liverpool University Press, 1999, p.
5. Allo stesso modo Isabelle Stengers, discutendo lo statuto filosofico della SF, spiega che i personaggi dei racconti
fantascientifici non sono dei semplici «personaggi concettuali», né tanto meno dei «tipi psico-sociali» come nei romanzi
realistici, ma degli «osservatori parziali»; le percezioni e i momenti affettivo-passionali dell’osservatore parziale non sono
quelli «di un essere umano, nel senso correntemente inteso, ma appartengono allo stato delle cose che egli studia»; I.
Stengers, Science-Fiction et expérimentation, in G. Hottois (a cura di), Philosophie et science-fiction. Annales de l’Istitut de
Philosophie de l’Université de Bruxelles, Paris, Vrin, 2000, p. 103. Non dissimile l’indicazione data da Calvino a proposito
delle sue Cosmicomiche: «La funzione del personaggio può paragonarsi a quella d’un operatore, nel senso che questo
termine ha in matematica. Se la sua funzione è ben definita egli può limitarsi a essere un nome, un profilo, un geroglifico,
un segno»; I. Calvino, Saggi 1945-1985, a cura di Mario Barenghi, 2 voll., Milano, Mondadori, 1995, p. 393.
10
   Sergio Solmi, Prefazione in Le meraviglie del possibile. Antologia della fantascienza (1959), a cura di Sergio Solmi e
Carlo Fruttero, Torino, Einaudi, 1992, p. xix.
11
   Ibid.
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Come critico Solmi è riuscito a compiere perfettamente delle scelte di carattere sia contenutistico che
estetico nel compilare una propria adeguatissima antologia. Inoltre ha fornito nella sua introduzione
alcune chiavi interpretative chiare e coerenti con quello che sarebbe stato lo sviluppo complessivo della
SF nel secondo Novecento. Ciònonostante, la maggior parte dei critici italiani si trovò comunque
spiazzata non solo per una questione di poca familiarità con scienza e tecnica, ma anche per la
mancanza digli strumenti categoriali adeguati a comprendere e descrivere un genere che può essere
inteso solo facendo riferimento a categorie extra-letterarie e tenendo conto che si tratta di un prodotto la
cui circolazione e successo era reso possibile dallo sviluppo montante della cultura di massa.12
         Per tentare di ricomporre questa discrepanza critica, può essere utile rifarsi alla definizione
compendiaria di Brian Attebery, che individua nella SF non solo «a mode of story-telling but also a
niche for writers, a marketing category for publishers, a collection of visual images and styles and a
community of like-minded individuals».13 Nonostante molte storie della fantascienza si aprano con il
recupero di antesignani classici, dal Viaggio alla Luna di Luciano di Samosata al Somnium di Keplero,
quello che caratterizza la SF, anche rispetto a altre narrative di genere, è appunto il fatto di essere un
fenomeno non solo letterario, ma soprattutto editoriale, culturale e sociale, espressione di un particolare
cambiamento di carattere economico e materiale, in un’epoca che potrebbe essere fatta coincidere con
una fase matura della modernità e che prelude già a quello che viene definito come postmodernità (in
senso jamesoniano). In questo senso la SF sarebbe un’espressione caratteristica della nascente cultura
di massa consentita dall’ampia circolazione di pubblicazioni a basso costo (i pulp negli Stati Uniti o i
«tascabili» in Italia); di un prodotto tipicamente low-brow che si sviluppa a partire da una sempre
maggiore debordanza dell’orizzonte tecnologico all’interno dell’esperienza quotidiana nelle società
occidentali avanzate; ma che incorpora anche istanze ibride (o sincretiche), dove trovano posto
narrazioni che rimandono a sottotesti pseudo-religiosi e/o mistici (si pensi ad autori come Ron Hubbard
o C.S. Lewis, ma anche a tutta la cinematografia di genere, da Guerre stellari a Incontri ravvicinati del
terzo tipo, da ET a Matrix).14

12
   A questo proposito, si è discusso a più riprese sulla lentezza da parte degli intellettuali e dei critici italiani nel dotarsi di
strumenti adeguati per analizzare i prodotti e i generi di intrattenimento di massa. Apocalittici e integrati di Umberto Eco,
uno dei primi assieme a Gillo Dorfles a a teorizzare a riguardo, pubblicato nel ’64, fu accolto con molto sospetto e con
altrettanta ironia.
13
   Brian Attebery, The magazine era: 1926-1960 in Edward James and Farah Mendlesohn (a cura di), The Cambridge
Companion to Science Fiction, Cambridge, Cambridge University Press, 2003, p. 32.
14
   Si veda per esempio Marcello W. Bruno, Epiphanie. L’isotopia religiosa nel cinema di fantascienza USA, in M. Spanu,
op. cit., pp. 87-91. In una lettera a Mario Soldati, Primo Levi si esprimerà in maniera particolarmente critica nei confronti di
questa fantascienza spettacolarizzata e di intrattenimento, tipica dei prodotti hollywoodiani, che basa il proprio successo su
forme simboliche di sostituzione del religioso, attraverso delle pseudo-iniziazioni messianiche, per uno spettatore «dedito ad
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Dal punto di vista sociologico, fa breccia soprattutto fra i ragazzi e gli adolescenti, come modo
letterario appartenente alla costellazione più ampia del genere avventuroso e fantastico — e che
obbedisce a dinamiche di nicchia caratterizzate da scambi informativi orizzontali che saltano i
mediatori culturali tradizionali e che istituisce le tipiche forme di socializzazione delle fandom (si pensi
agli appassionati di fumetti). Fra i lettori adulti è diffusa soprattutto fra imaschi, di cultura e formazione
tecnico-scientifica, interessati alla dimensione oggettuale della realtà più che a quella interpersonale, in
gran parte informati da un certo ottimismo pragmatico.15 Tutti elementi che faranno degli Stati Uniti il
contesto socio-culturale più fertile per lo sviluppo di queste invenzioni fantastiche.

Cose dell’altro mondo

         La fantascienza americana dal punto di vista di un autonoma espressione editoriale anticipa di
circa un quarto di secolo quella italiana. E lo fa attraverso l’opera pionieristica di alcune riviste ormai
entrate in una sorta di leggendaria genesi del genere. La data di nascita ufficiale della SF statunitense
viene fatta coincidere con la pubblicazione del primo numero di «Amazing Stories», nell’aprile 1926.
Si tratta di una rivista ideata e curata da Hugo Gernsback, un immigrato lussemburghese che nella veste
di direttore di alcune testate di divulgazione tecnico-scientifica quali «Modern Electrics» e «Science
and Invention», aveva cominciato a proporre ai propri lettori, a partire dal 1911, dei racconti
fantascientifici. L’intento di Gernsback era all’inizio essenzialmente didattico: voleva proporre delle
storie che fornissero «knowledge that we might not otherwise obtain — and … supply it in a very
palatable form»:«essentially science lessons clothed in simplistic adventures».16 La svolta editoriale
avvenne nel 1923 quando un intero numero di «Science and Invention» fu dedicato a quella che venne
allora chiamata «scientifiction»: il riscontro del pubblico fu tale da convincere Gernsback a lanciare sul

una religiosità talmente nativa da sfiorare l’eresia, […], che si rivolge al cielo perché è stanco dei vizi e dei peccati terrestri
e perché confonde il cielo del Padre Nostro col cielo delle galassie e delle astronavi»; P. Levi, Opere, a cura di Marco
Belpoliti, vol. I, Torino, Einaudi, 1997, p. 1232. Anche Carlo Formenti in Piccole apocalissi (Milano, Cortina, 1991), vede
nella fantascienza una forma di travestimento secolarizzato di proiezioni escatologiche, più accentuato nelle culture
protestanti, a giustificazione del maggiore sviluppo di questo genere nei paesi anglosassoni.
15
   Giuseppe Lippi, attuale direttore di «Urania», definisce in questi termini il lettore medio della collana, da un’indagine
condotta nel 1996: «Un uomo fra i trenta e i cinquant’anni con una discreta cultura, un reddito mediamente superiore alla
media,molto critico e parsimonioso nelle scelte.[…] Le lettrici, contrariamente a quanto accade per i genere giallo, sono
meno incuriosite dalla fantascienza e che i giovanissimi sono molto attratti dall’avventura miscelata al “fantastico”»;
Andrea Casazza, Un futuro da Urania, in «Il secolo XIX», 29 marzo 2002, p. 15. Desidero ringraziare Giuseppe Lippi,
Ernesto Veggetti e soprattutto Piero Giorgi per le utilissimi indicazioni fornitome su «Urania» e sugli albori della
fantascienza in Italia.
16
   Mike Ashley, The Time Machine: The Story of the Science-Fiction Pulp Magazine from the Beginning to 1950, Liverpool,
Liverpool University Press, 2000, pp. 49-50.
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mercato una rivista interamente dedicata al nuovo genere. Nacque così «Amazing Stories», una
pubblicazione di 96 pagine di formato in-folio, che ebbe un ottimo successo commerciale,
raggiungendo in poche settimane le 100mila copie di vendita. Sulla scorta di questa insperata ricezione
da parte del pubblico americano, seguirono, a distanza di qualche anno, altre due testate storiche come
«Wonder Stories», fondata ancora da Gernsback, e «Astounding Stories of Super-Science» che
diventerà successivamente «Astounding Science Fiction», quest’ultima una delle più longeve e
autorevoli testate fantascientifiche della storia editoriale statunitense.17
         Come in tutte le dinamiche di prestito culturale, anche i movimenti di contaminazione nel
campo della SF sono inizialmente reciproci, viaggiando in opposte direzioni fra l’est e l’ovest
dell’Atlantico. L’inizio delle pubblicazioni di fantascientifica negli USA è caratterizzato da principio
dalla diffusione della letteratura di genere soprattutto europea. I primi numeri di «Amazing Stories»
propongono, assieme all’autoctono Poe, soprattutto testi di Jules Vernes e H.G. Wells, mescolando il
fantastico al romanzo distopico alla narrativa d’anticipazione.18 In termini comparativi, le produzioni
europee si proponevano per il «forte potere emozionale», ma anche per la sofisticazione letteraria e
intellettuale e per una forte consapevolezza sociale e politica: mentre i Europa svettano pochi
autorevoli «giganti», negli Stati Uniti incontriamo, nell’opinione di R. Scholes e E.S. Rabkin, «un’orda
di pigmei».19

           Gli autori europei hanno una vasta cultura generale e partecipano alla vita artistica e
           intellettuale del loro tempo. In netto contrasto, in America troviamo lo sviluppo dei
           periodici di massa, con schiere di scrittori, malpagati e costretti a produrre
           incessantemente, la cui narrativa accentua gli aspetti del meraviglioso e dell’orrore, si
           diletta di nuovi congegni e nuovi concetti fisici, e mostra una innocente e quasi totale
           ignoranza di ognio impegno e preoccupazione sociale.20

         Del resto non bisogna nascondere che «many contributors to the early SF magazines were
experienced pulp writers, not specialists in scientific speculation but adaptable professionals willing to

17
   Gary K. Wolfe, Science fiction and its editors, in James e Mendlesohn, op. cit., 97.
18
   L’iniziale interesse per Verne da parte di Gernsback era dettato anche dal desiderio di proporre una stretta e forte
plausibilità fra tecnologia disponibile e visionarietà anticipatoria, ancorché l’attività editoriale del padre di «Amazing» si sia
alla fine dimostrata più flessibile e aperta rispetto a quanto inizialmente inteso, ospitando nelle pagine delle sue riviste autori
anche molto lontani dal profilo verniano, come nel caso di The Skylark of Space di E.E. “Doc” Smith, «barely qualified as a
science lesson at all», ma che alla fine «established the template for the “space opera”, which would become one of sf’s
most cherished sub-genres among fans, and damning evidence of the genre’s chronic sub-literariness among outsiders»;
G.K. Wolfe, op. cit., pp. 97-98.
19
   R. Scholes e E.S. Rabkin, Science Fiction. History-Science-Vision, Oxford, Oxford Universty Press, 1977; tr. it.
Fantascienza. Storia Scienza Visione, Parma, Pratiche, 1979, p. 42.

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supply the new market with variations on what they had been writing for detective, western and general
adventure magazines».21 Il risultato fu una serie di racconti che sotto una sottile patina pseudo-
tecnologica nascondevano trame tradizionali di «westerns, mysteries or lost-world romances»,22 fatto
che risultò però propedeutico nell’avvicinare i lettori, attraverso plot familiari e riconoscibili, a
tematiche e a paesaggi descrittivi e concettuali inusuali, come quelli della SF. E se negli anni venti
negli Stati Uniti, di fatto, non esisteva ancora una vera e propria scuola di scrittura fantascientifica, nel
senso che il genere non si era ancora cristallizzato, proprio l’esperienza delle riviste si dimostrerà lo
strumento più efficace per costruire molto rapidamente un pubblico fedele e attento, e per sollecitare
nuovi autori a cimentarsi con il genere, mettendo in moto un profiquo meccanismo di feed-back e la
progressiva costituzione di fandom e di parallele fanzines che faranno fare un salto qualitativo a questi
prodotti letterari. In poco più di un decennio la science fiction americana diventa un genere maturo, di
enorme successo e fortemente riconoscibile a livello mondiale, tanto da soppiantare i modelli europei.

Viaggi straordinari in Italia

         Rispetto alla storia di una ricezione della fantascienza americana in Italia, bisogna sottolineare
come questi testi non entrino nel nostro paese in un completo “vuoto” immaginativo o di genere. Non
mancavano infatti nel primo Novecento scrittori italiani che si fossero cimentati con un tipo di
narrazione che in senso lato possiamo definire come fantascientifica. Emilio Salgari, uno dei più
importanti e amati autori popolari nell’Italia di inizio secolo, aveva già pubblicato, nel 1903, un
romanzo distopico come Le meraviglie del duemila, più altri racconti quali Alla conquista della luna e
Negli abissi dell’oceano. Le opere dei grandi della tradizione tardo-ottocentesca, quali Jules Verne o
H.G. Wells, erano poi ampiamente tradotte e conosciute; e l’influsso di Verne in modo particolare
rimase visibilmente predominante nella produzione italiana del periodo. Tra coloro che ne appresero al
meglio la lezione, Enrico Novelli, uno scrittore che, con lo pseudonimo «Yambo», collaborava a varie
riviste popolari di viaggi e avventure e che esplicitamente riprendeva la vena divulgativa di Verne,
ispirandosi alla struttura dell’«avventura geografica» de Il giro del mondo in 80 giorni.23 Da ricordare

20
   Ibid.
21
   B. Attebery, op. cit., 35.
22
   Ibid., p. 34.
23
   Un altro autore di un certo rilievo è stato Luigi Motta, la cui collaborazione con Calogero Ciancimino, diede vita a opere
come Il Prosciugamento del Mediterraneo (1923) e La nave senza nome, ispirato al Nautilus di Verne. Per una ricostruzione
degli inizi della fantascienza italiana si può vedere Riccardo Valla, La fantascienza italiana, in tre parti, in «Delos Science
Fiction»: http://www.delos.fantascienza.com/delos/54/54214/.
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poi l’esperienza del Futurismo, che ha indubbiamente rappresentato una novità in termini di ricezione
dell’innovazione tecnologica, e che di converso ha prodotto alcuni esempi interessanti di «romanzi
d’anticipazione», tra i quali Volt, Filla e lo stesso Marinetti.
         Gianfranco De Turris ha inoltre recentemente raccolto un antologia di testi che testimoniano la
presenza di racconti «proto-fantascientifici» in varie riviste italiane dell’epoca,24 ancorché da una
rapida lettura è facilmente riscontrabile la sostanziale debolezza di questi testi nei presupposti di
carattere scientifico a cui fanno riferimento, soprattutto se confrontati con i loro omologhi anglosassoni
e d’oltralpe. Il fatto, inoltre, di non avere a disposizione dei periodici specifici dedicati al genere, e
l’inevitabile conseguente dispersione in riviste di avventure come «Viaggi e Avventure di Terra e di
Mare» o il «Giornale Illustrato dei Viaggi», fece sì che la fantascienza rimanesse una sotto-categoria
letteraria mal definita e in gran parte ancora sconosciuta ai lettori italiani fino agli anni cinquanta. Di
maggiore impatto immaginifico sulle generazioni che cominceranno a interessarsi di fantascienza a
partire dalla seconda metà del secolo furono invece i fumetti. La fantascienza americana e le tematiche
tipiche del genere hanno infatti potuto fare breccia nell’immaginario dei lettori italiani anche grazie alle
tavole di personaggi come Flash Gordon, fumetto firmato dallo statunitense Alexander Raymon che, a
partire dal 1934, cominciò a essere pubblicato nei grandi albi a colori del settimanale «L’Avventuroso»
dell’editore Nerbini di Firenze.25 La rivista, che raggiungerà in pochi anni tirature dell’ordine di mezzo
milione di copie, dovette presto subire le restrizioni imposte dalla censura fascista che avrebbe
progressivamente limitato la pubblicazione di autori e generi importati dai paesi anglosassoni. I fumetti
in particolare furono bersaglio esplicito del Ministro della Cultura Popolare, come si evince da un
promemoria del 1943, dove si lamentava la:

           a) quasi integrale americanizzazione, attuata attraverso la riproduzione di tavole
              illustrative o importate, o pedissequamente imitate da quelle straniere;
           b) quasi totale impostazione delle pagine su gesta delinquenziali, azioni violente,
              erotismo larvato o palese;

24
   AA.VV., Le aeronavi dei Savoia. Protofantascienza italiana 1891-1952, a cura di Gianfranco De Turris, Milano, Editrice
Nord, 2001.
25
   «In Gordon c’era un po’ di tutto di ciò che compone il classico filone della “Science Fiction”: c’erano le astronavi, le armi
atomiche ed i raggi disintegratori, le razze aliene ma comunque umanoidi, i mostri, gli ambienti incontaminati, fiabeschi e
accattivanti come il Regno di Arboria, ma anche gli ambienti tetri e oppressivi come le fucine atomiche del Re Vultano o le
prigioni del perfido e malvagio Imperatore Ming, e c’erano le città volanti, e tanto altro ancora, per la gioia degli occhi dei
lettori grandi e piccoli, il tutto grazie alla maestria di un illustratore e soggettista che si chiamava Alexander Raymond»; P.
Giorgi, Un Omaggio ai Cinquant’anni della Fantascienza in Italia, in «Nova SF», in corso di pubblicazione. Ringrazio
sentitamente Piero Giorgi per avermi concesso di leggere in anticipo molto del suo materiale inedito e per numerose
indicazioni riguardo a «Urania» e «Scienza fantastica».
                                                                     8
c) assoluta indifferenza e estraneità rispetto ai problemi più vivi dell’ora storica che
             la Nazione attraversa.26

        Queste restrizioni, neanche tanto paradossalmente, portarono alla nascita, nel 1937, del primo
fumetto di fantascienza italiano, sceneggiato da Cesare Zavattini e disegnato da Giovanni Scolari:
Saturno contro la Terra — un fumetto dalla vita breve, ma che ebbe una notevole fortuna visto che
divenne la prima serie italiana a essere pubblicata negli Stati Uniti nella testata Future Comics (1940).27

Annicinquanta

        L’inizio di una fortuna editoriale della fantascienza in Italia può cominciare quindi solo a partire
dal dopoguerra e in particolare dalla metà degli anni cinquanta e questo avviene grazie al complessivo
mutamento storico, politico e sociale occorso nell’immediato dopoguerra, caratterizzato dall’apertura,
più o meno imposta dal nuovo quadro geo-politico, nei confronti dei prodotti di consumo degli Stati
Uniti. Dopo la depressione economica degli anni successivi al secondo conflitto mondiale, il decennio a
partire dal 1952 fu un periodo di straordinaria crescita economica per l’Italia che corrispose a «un
rinnovamento e un’espansione delle attività di molte delle industrie culturali, comprese la RAI, le
principali case editrici librarie e periodiche e le case discografiche, e vide l’espansione o l’introduzione
di forme culturali popolari moderne, come i rotocalchi e la televisione».28 Si modificarono rapidamente
sia gli stili di vita, che «le forme culturali e i modelli di consumo in cui tali stili di vita trovavano
espressione».29 Ci fu conseguentemente una notevole diffusione delle riviste che permisero di penetrare
culturalmente anche in quegli strati della popolazione che erano stati solo marginalmente toccati dai
mass media. Come ricorda Vittorio Spinazzola, gli anni cinquanta coincisero con la nuova presenza
delle masse alla ribalta della scena nazionale, con una espansione dell’educazione elementare e media
che implicò che «un gran numero di nuovi cittadini si accosta finalmente al mondo della lettura, e
incontra i fumetti».30 Questo genere popolare costituirà, come detto, un elemento di traino anche per la
letteratura di evasione o di genere fantastico, con un’ampia diffusione sociale e una espensione di

26
   Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Cultura Popolare, b. 29 bis f. 426 s. 7.3, Direzione Generale Stampa e
Propaganda, Sezione IV, Appunto per il Ministro, 15/2/1943. Citato in D. Forgacs, op. cit., p. 116.
27
   Da ricordare inoltre che nel processo di italianizzazione di testate come Flash Gordon, alcune puntate del fumetto
vennero sceneggiate addirittura da autori quali Federico Fellini.
28
   D. Forgacs, op. cit.,, p. 162.
29
   Ibid., p. 191
30
   V. Spinazzola, Da «Grand Hotel» a «Diabolik» in Il successo letterario, a cura di V. Spinazzola, Milano, UNICOPLI,
1985, p. 312.
                                                                  9
tirature straordinarie: considerando complessivamente i periodici a fumetti, sia per adulti che per
bambini, settimanalmente ne venivano pubblicati due milioni nel 1950 (un numero pari alle vendite
totali di tutti i libri di Salgari), quattro milioni verso la metà degli anni cinquanta e sei milioni verso la
metà degli anni sessanta. Negli anni sessanta le vendite annuali di 34 periodici per adulti e di 120
fumetti totalizzarono dieci miliardi.31
         Dal punto di vista della formazione dell’immaginario collettivo poi, la presenza di una sempre
più larga proporzione demografica di giovani, psicologicamente più curiosi e più pronti a investire
energie e aspettative verso un futuro che, nonostante la guerra fredda, sembrava comunque meno
minaccioso di quello dei loro padri, contribuirà ad alimentare un generale ottimismo nei confronti della
modernizzazione industriale e tecnologica. In risposta a questo clima favorevole cominciarono a fiorire
in Italia, a partire dal 1952 e per tutti gli anni cinquanta, una miriade di collane e riviste di fantascienza,
«molte delle quali dalla vita effimera (a volte si tratta di soli due, tre numeri), con titoli imporbabili
come “I narratori dell’Alfa Tau”, “Atroman”, “Cosmic”, e non di rado autori italiani camuffati sotto
pseudonimi stranieri».32 Tra queste la più nota rimane sicuramente «Urania», la più antica e longeva
collana italiana di romanzi di fantascienza, che dall’ottobre 1952 a oggi, con scadenza prima
quindicinale e poi mensile, ha superato i cinquanta anni di vita arrivando nel 2005 ai 1500 numeri.
Questo interesse e questo proliferare di titoli riuscì a convincere anche la più prestigiosa casa editrice
italiana, Einaudi, a pubblicare nel 1959 una antologia di racconti di fantascienza curata da Carlo
Fruttero e Sergio Solmi, Le meraviglie del possibile, alla quale seguirà nel 1962, Il secondo libro della
fantascienza, avvertendo in questo modo gli intellettuali italiani dell’esistenza di un nuovo genere e di
una serie di autori, soprattutto americani, che aspiravano a un pieno riconoscimento sia critico che di
pubblico.

31
   Cfr. L. Becciu, Il fumetto in Italia, Firenze, Sansoni, 1971.
32
   V. Curtoni, op. cit., p. 95. L’elenco delle riviste pubblicate alla fine degli anni cinquanta è quanto mai nutrito. Oltre a
«Urania» e «Scienza fantastica», di cui parleremo diffusamente, sono state pubblicate: «Astroman» (Collana di autori
italiani. Casa Editrice Raid, Milano, 2 numeri, anni 57-58); «Cosmic» (Collana di autori italiani. Casa Editrice Muraro,
Roma; 3 numeri, 1957-58); «Galassia» (Collana di autori americani. Casa Editrice Galassia, Milano; 3 numeri, 1953),
«Fantascienza» (Selezione della rivista americana «The Magazine of Fantasy and Science Fiction», Garzanti, Milano, 7
numeri, 1954-55); «Fantascienza» (Collana di autori francesi, Casa editrice SAIE, Torino, 9 numeri, 1957-59); «Galassia»
(Collana di autori americani, Casa editrice Galassia, Udine; 5 numeri, 1957); «Cronache del Futuro» (Collana di autori
italiani sotto pseudonimo, Edizioni Kappa, Roma, 24 numeri, 1957-58), «I Narratori dell’Alfa Tau» (dal 1957: 9 numeri),
«Le Cronache del Futuro» (Collana di autori italiani sotto pseudonimo, Casa Editrice Maya, Roma, 11 numeri, 1958-59).
Altre pubblicazioni specializzate hanno avuto invece vita meno effimera: «Oltre Il Cielo» (dal 1957: 155 numeri), «I
Romanzi del Cosmo» (dal 1957: 202 numeri), «Galaxy» (Edizione italiana della rivista americana «Galaxy SF», Casa
Editrice Due Mondi, Milano e La Tribuna, Piacenza, 72 numeri, 1958-1964).
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Hugo Gernsback all’italiana: Giorgio Monicelli

        Rispetto a un’analisi comparata sull’introduzione e sulla nascita della fantascienza nei contesti
nord-americano e italiano, ci sono alcuni elementi di sviluppo che ovviamente corrispondono a
specifiche caratteristiche culturali, sociali e materiali propri di ciascun contesto nazionale, mentre altri
rispondono a dinamiche più generali e omogenee. Gary K. Wolfe individua in particolare una
specificità della fantascienza rispetto a qualsiasi altro genere popolare e rispetto all’editoria in generale:

          sf’s editors and publishers have from the beginning played a highly visible and
          sometimes controversial role in the evolution and ideology of the field and its
          readership. While relatively few readers of other genres such as mystery and romance
          are even aware of the names of the magazine and book editors who select and
          sometime shape the texts that collectively define those fields, sf editors ave from the
          beginning played a more visible and sometimes even celebrated role. It is perhaps
          indicative of this that the leading American mystery award is named the Edgar, after
          Edgar Allan Poe, while the most publicized sf award, the Hugo, is named after an
          editor and publisher, Hugo Gernsback.33

        Questa peculiare posizione dei direttori e dei curatori delle riviste di fantascienza, omologa per
molti versi a quella dei fumetti, è stata rispettata anche nel contesto italiano, dove collezionisti, fandom
e addetti ai lavori non hanno mai mancato di tributare doverosi omaggi alla persona che introdusse e
impose la fantascienza in Italia: Giorgio Monicelli (1910-1968).34 Figura carismatica e controversa
della cultura milanese di quegli anni, Giorgio Monicelli, fratello del regista cinematografico Mario e
nipote di Arnoldo Mondadori, è stato l’ideatore e ispiratore di quella che sarebbe diventata la più
famosa collana di fantascienza in Italia: «Urania». Sempre a Monicelli si deve inoltre il neologismo
«fantascienza», termine coniato alla fine degli anni quaranta e che appare per la prima volta a pagina 2
del primo numero de «I romanzi di Urania», in data 10 ottobre 1952.
        Come premessa generale rispetto all’avventura editoriale e personale di Monicelli all’interno
della Mondadori, bisogna sottolineare come questa sia stata caratterizzata in maniera decisiva dal suo
interesse per i prodotti culturali americani. In tutte le iniziative in cui è stato coinvolto all’interno della
Mondadori, Monicelli ha costantemente proposto e lavorato su prodotti letterari e di consumo importati
dagli Stati Uniti. E questo pur avendo avuto solo rari contatti con autori americani (ha brevemente

33
  G. Wolfe, op. cit., p. 96.
34
  Si veda ad esempio l’editoriale di Giuseppe Lippi, Urania, la musa di Giorgio Monicelli, in Urania, n. 1412, 22 Aprile
2000, pp. 318-321.
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corrisposto con Hemingway per la traduzione di Avere e non avere e con Robert Lowry)35 e senza mai
avere soggiornato negli USA. Dalle testimonianze della seconda moglie, si apprende poi che, come
accadeva spesso in quegli anni (si pensi ai casi di Pavese o Vittorini), la conoscenza dell’inglese da
parte di Monicelli era stata coltivata in maniera idiosincratica, da perfetto autodidatta: Monicelli non
aveva mai studiato l’inglese accademicamente, non lo parlava, e la sua competenza linguistica era tutta
filtrata attraverso la letteratura.36 Questo non gli impedì comunque di diventare uno dei traduttori di
riferimento per la Mondadori, non solo relativamente alla narrativa di genere,37 ma soprattutto per la
letteratura anglosassone contemporanea. Nella prestigiosa collana «Medusa», Monicelli ha infatti
firmato la versione italiana di diversi capolavori americani e inglesi. Tra gli autori da lui tradotti
figurano: William Faulkner, George Orwell, Gertrude Stein, John Steinbeck, Saul Bellow, Henry
Miller, Francis Scott Fitzgerald, James Joyce, William Golding, Pearl S. Buck, Somerset Maugham,
Ray Bradbury, Ernest Hemingway, John Dos Passos, Christopher Isherwood. Dato questo bagaglio di
esperienza pregressa non sorprende che, tra gli appassionati di fantascienza, sia pressoché unanime il
riconoscimento della bontà delle traduzioni di Monicelli.
        Tanto è riconosciuta la sua abilità e pignoleria in fatto di traduzioni, quanto è rimasta
proverbiale la sua innaffidabilità sul posto di lavoro. La carriera di Monicelli ha infatti avuto numerosi
movimenti sussultori, con forti dissidi con i Mondadori e grossa inquietudine progettuale: già all’inizio
degli anni trenta Monicelli faceva parte della redazione della Mondadori come collaboratore esterno e
viene assunto nel ’35 come dipendente fisso alla divisione Disney dove collabora con Cesare Zavattini
per l’edizione italiana di «Topolino». Tra il 1935 e il 1936 passa poi a dirigere il periodico «Il Cerchio
Verde», un «settimanale di grande formato che presentava racconti americani del genere giallo, del
genere avventuroso, ed anche di fantascienza, e che dedicava anche un certo spazio a resoconti di fatti
misteriosi, del soprannaturale e del paranormale».38 Molti di questi resoconti, stando alle testimonianze
di Itala Buzzi, seconda moglie di Monicelli, «li scriveva personalmente […] perché a lui sono sempre
piaciuti quei temi».39 Per questa rivista comincia a tradurre e a proporre al pubblico alcuni racconti
tratti dalle numerose riviste americane di fantascienza che arrivavano periodicamente nella redazione

35
   E. Hemingway, Avere e non avere (trad. di Giorgio Monicelli), coll. Narratori contemporanei, Torino, Einaudi, 1946.
36
   Luigi Cozzi, Giorgio Monicelli. L’uomo che inventò “Urania”, in «Mystero» n. 25, giugno 2002, pp. 58-59.
37
   Oltre che numerosi romanzi di fantascienza, Monicelli ha tradotto anche alcuni «Gialli» come: Ellery Queen, The Devil to
Pay, New York, Stokes, 1938 (Hollywood in subbuglio, «Libri Gialli» n. 202, 1939) e Stout Rex, The Hand in the Glove,
New York, Farrar and Rinehart, 1937 (Un paio di guanti, «Libri Gialli» n. 203, 1939).
38
   Piero Giorgi, Urania. Ovvero quando la Fantascienza, in Italia, era ai suoi primi passi, parte 1, in «Nova SF», n. 55,
luglio 2002, p. 6.
39
   Luigi Crozzi, I Mondi Invisibili di Giorgio Monicelli, su «Mystero» n. 24, maggio 2002, p. 57.
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Mondadori e a cui il solo Monicelli sembrava prestare attenzione. Alla fine degli anni trenta, Monicelli
viene poi chiamato dal cugino Alberto Mondadori a collaborare alla nuova divisione milanese della
casa editirice che, su intenzione del fondatore Arnoldo, avrebbe dovuto occuparsi dei periodici per
entrare specificamente in concorrenza con la Rizzoli. Attraverso la mediazione e l’amicizia ancora di
Zavattini, tra il 1939 e il 1940, Monicelli inizia a collaborare a «Il giornale delle meraviglie», una
rivista che in senso lato possiamo definire di divulgazione scientifica, e cerca di convincere i
Mondadori a pubblicare una rivista di fantascienza sul modello dell’americana «Astounding Science
Fiction», proposta che venne ripetutamente bocciata.40
         Come già detto, bisogna attendere il dopoguerra perché il clima politico, culturale ed economico
del paese cambi al punto tale da rendere plausibile un’operazione editoriale come quella di «Urania».
All’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, i Mondadori propongono proprio a Monicelli
di trasferirsi a New York come responsabile della sede statunitense per seguire meglio l’evolversi del
mercato editoriale americano che aveva finalmente potuto aprirsi agli editori italiani dopo la stretta
operata dalla censura fascista. Entusiasta della prospettiva di sperimentare da vicino quella società e
quella cultura ammirate solo a distanza, Monicelli vede però vanificare i propri propositi quando
l’Ambasciata Americana gli rifiuta il visto d’ingresso come persona non gradita. Monicelli era infatti
iscritto al PCI e dopo la caduta del fascismo era stato nominato, sempre su iniziativa del partito
comunista, questore di Varese.
         Sfumato il trasferimento newyorkese, Monicelli si ributta nell’avventura di «Urania», tentando
da prima di proporre il progetto a due editori minori (nella prospettiva di riservarsi una parte degli
utili), che però si ritirano subito, riproponendola infine ancora a Mondadori che in questa occasione
accetta. Il cugino Alberto era stato nel frattempo negli Stati Uniti dove si era reso conto della diffusione
e dell’interesse per le riviste di SF, decidendo alla fine di accogliere le richieste di Monicelli, e anzi
proponendogli di raddoppiare lo sforzo editoriale affiancando alla rivista una collana parallela, «i
Romanzi di Urania» — ribatezzata semplicemente «Urania», quando la pubblicazione della rivista fu
interrotta, nel dicembre 1953 — che nelle attese dell’editore avrebbe dovuto affiancare i «Gialli» come
ulteriore collana di intrattenimento popolare da vendersi nelle edicole.41 Monicelli ovviamente fu

40
  Cfr. Luigi Cozzi, I mondi invisibili di Giorgio Monicelli, in «Mystero» n. 24, maggio 2002, pp. 56-60.
41
  Bisogna infatti ricordare che i romanzi di «Urania» non venivano venduti nelle librerie ma in edicola, permettendo
ovviamente una penetrazione di mercato superiore, ma rafforzando l’idea tra i dettrattori che non si trattasse affatto di
letteratura, ma di un genere paraletterario più vicino al fumetto. Si è dovuto attendere il 9 giugno 1996 e il n. 1285 della
collana perché questa, in una nuovo formato tascabile, entrasse per la prima volta nelle librerie. E analogamente la grande
editoria generalista ha ignorato per decenni la fantascienza a livello di volumi rilegati o in brossura da libreria. Solo alla fine
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nominato direttore di entrambe le testate e, non essendo stato affiancato da una vera e propria
redazione, cominciò a occuparsi di tutto quanto riguardasse sia la rivista che la collana, dalla scelta dei
testi alle traduzioni, arrivando persino a disegnare i bozzetti di copertina per i primi numeri che
vennero poi completati dall’illustratore tedesco Kurt Caesar.42
         Stando alle testimonianze di Orlando Bernardi, che alla fine degli anni cinquanta collaborò con
Monicelli in Mondadori, «la preparazione di Urania fu lunga anche perché Giorgio volle assolutamente
accumulare un piccolo patrimonio di contratti prima di debuttare: infatti, quando la collana dei romanzi
esordì, c’erano già almeno cinquanta o sessanta testi acquistati […] anche per tagliare le gambe alla
concorrenza, prima ancora che potesse nascere».43 Molte di queste opere venivano sottoposte
automaticamente a Mondadori da varie agenzie, quali l’ALI di Erich Linder e la DIMT di Milano, dalla
Agenzia letteraria Fabio Coen di Roma e dall’ufficio di rappresentanza di New York. Gli autori erano
nella maggioranza americani, con l’aggiunta di qualche inglese (Clarke, Wyndham) e francese.44 Come
avveniva già per i «Gialli», Mondadori era riluttante a pubblicare autori italiani, non tanto per
snobismo, ma perché avevano notato dei flessioni nelle vendite in coincidenza con la pubblicazione di
autori italiani. Durante la gestione Monicelli su 267 numeri di «Urania», vennero pubblicati solo 7
autori italiani, dei quali quattro sotto pseudonimo. Il primo italiano che appare nella collana diretta da
Monicelli fu Franco Enna con L’astro lebbroso nel n. 73 del marzo 1955 e si dovettero attendere ben
35 anni per vedere un altro nome italiano in copertina: Vittorio Catani, Gli universi di Moras (n. 1120
del 1989). Nell’immaginario collettivo, sia il giallo che la fantascienza appartenevano infatti a un
territorio dell’immaginazione che aveva un preciso profilo anglo-sassone, prodotti di una cultura più
tecnologicamente avanzata e più razionalmente costretta. Invalse quindi l’abitudine da parte di molti
autori italiani di usare pseudonimi di derivazione anglosassone.45

degli anni ottanta editori come Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Sperling hanno cominciato a pubblicare sistematicamente
autori di fantascienza, soprattutto stranieri, all’interno di collane di letteratura generale.
42
   Cfr. Luigi Cozzi, Monicelli contro tutti, in «Mystero» n. 9, Febbraio 2001, pp. 52-54.
43
   Luigi Crozzi, Tra le sabbie di Marte con Giorgio Monicelli, in «Mystero» n. 13, giugno 2001, p. 46.
44
   Dalla ricostruzione di Piero Giorgi si apprende che la scelta di vari titoli francesi non fu dettata da una precisa scelta
editoriale e di gusto, ma soprattutto da necessità contingenti e da problemi economici e di gestione della collana. All’epoca
Monicelli si era separato dalla moglie e conviveva con Maria Teresa “Mutti” Maglione, autrice di romanzi rosa e traduttrice
dal francese. Considerato che Monicelli gestiva praticamente da solo la collana, e avendo optato per rimanere un
collaboratore esterno di Mondadori, la doppia esigenza di mantenere all’interno del nucleo familiare i compensi delle
traduzioni, e di avere un po’ di respiro con le proprie traduzioni dall’inglese, portò Monicelli a selezionare per «I romanzi di
Urania» ben 63 autori francesi su 267 numeri pubblicati. A riprova il fatto che dopo l’abbandono della direzione da parte di
Monicelli, gli scrittori francesi letteralmente spariscono, e nella collana vengono pubblicati quasi esclusivamente autori di
lingua inglese. P. Giorgi, manoscritto inedito.
45
   Alcuni esempi: Samuel Balmer (Sandro Sandrelli), J.R. Johannis (Luigi Rapuzzi), Robert Rambell (Roberta Rambelli),
John Bree (Gianfranco Briatore), Louis Navire (Luigi Naviglio), Hugh Maylon (Ugo Malaguti). Una lista completa di
                                                                    14
Da «Scienza fantastica» a «Fantascienza»

         Nonostante gli anni trascorsi a incubare l’idea, Monicelli non riuscirà a diventare il padre della
prima rivista di fantascienza pubblicata in Italia. Fu infatti anticipato di pochi mesi da Lionello Torossi,
un giornalista free lance con qualche esperienza nel mondo editoriale, che aveva scoperto la science
fiction in India nei cinque anni trascorsi in un campo di prigionia inglese (fornito di un’ottima
biblioteca) durante la seconda guerra mondiale. Al ritorno a Roma decise di intraprendere questa
avventura editoriale e di pubblicare una rivista intitolata «Scienza fantastica», sollecitato anche da un
amico italo-americano, Vittorio Kramer, trasferitosi da poco in Italia:

          Di comune accordo decidemmo che, per essere certi di avere successo, dovevamo
          pubblicare qualcosa che qui da noi non si conoscesse ancora, ma che fosse già
          affermato in America: pensammo ovviamente alla science fiction, che negli Stati
          Uniti stava conoscendo un periodo di grande fulgore, mentre in Italia era sconosciuta.
          […] E così ci trasformammo in editori e lanciammo la prima rivista specializzata.
          Per farla avevamo acquistato i diritti in esclusiva di quella che era allora la più nota
          rivista statunitense, «Astounding Science Fiction». […] «Scienza Fantastica» non era
          altro che l’edizione italiana di «Astounding», che ricalcava anche nel titolo, perché
          sui fascicoli la testata statunitense metteva in evidenza soprattutto la denominazione
          Science Fiction, che noi traducemmo appunto con Scienza Fantastica. 46

«Astounding SF» è stato il primo vero pulp di fantascienza a uscire negli Stati Uniti, a partire dal
gennaio 1930, diventando «the undisputed leader in content as well as circulation» [un leader
indiscusso sia a livello di contenuti che di vendite]47 delle riviste di genere. Un salto di qualità venne
fatto in particolar modo a partire dal 1937, quando John W. Campell, uno degli editor che hanno scritto
la storia della fantascienza americana, cominciò a dirigere «Astounding». La direzione di Campbell
innaugura infatti la fase più fortunata delle riviste di SF: «The period that begins with his editorship is
often called the Golden Age of sf, and many of the best-known writers in the field first appeared in his
magazine»,48 [il periodo che inizia con la sua guida editoriale è comunemente chiamato l’Età d’Oro
della fantascienzxa, e molti degli autori più conosciuti nel campo furono pubblicatai nella sua rivista]
quali Isaac Asimov, Ted Sturgeon, Lester Del Rey.

pseudonimi si trova in G. Pilo, Catalogo generale della fantascienza in Italia (1930-1979), Roma, Fanucci, 1980, pp. 433-
447.
46
   Luigi Cozzi, Dossier Fantascienza: L’Uomo che inventò la fantascienza, in «Mystero» n° 6, novembre 2000, p. 47.
47
   Frank M. Robinson, Science Fiction of the 20th Century. An Illustrated History, Portland, Collectors Press, 1999, p. 66.
48
   B. Attebery, op. cit., p. 37.
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Nonostante la bontà dei suoi contenuti, l’esperienza di «Scienza fantastica» si esaurisce in breve
tempo, cessando le pubblicazioni dopo appena sette numeri: dall’aprile del 1952 al marzo del 1953. Le
vendite effettive si aggirano fra le tremila e le cinquemila copie a numero, un risultato tutto sommato
soddisfacente, «tenuto conto che quella che presentava ai potenziali lettori era una forma di narrativa
per essi del tutto nuova, e tenuto anche conto che la rivista, come riconosce lo stesso Torossi, non
aveva una veste editoriale attraente»49:

          Penso che la causa dell’insuccesso sia stata la nostra impreparazione a fare gli editori.
          «Scienza Fantastica» ricalcava infatti in tutto e per tutto la consorella americana, sia
          nei testi che nell’impaginazione: e siccome come aspetto «Astounding Science
          Fiction» era abbastanza squallida, anche la nostra pubblicazione risultò assai poco
          attraente. Solo che, mentre in America i lettori ormai conoscevano quella testata da
          vent’anni e l’accettavano per come era badando solo ai contenuti, in Italia si trattava
          di una pubblicazione del tutto nuova, che sfigurava per la sua veste dimessa accanto
          alle altre riviste in edicola.50

         Se certamente ha giocato a sfavore il fatto di non avere una struttura editoriale solida alle spalle
e dei capitali che potessero sostenere adeguatamente l’impresa, l’analisi di Torossi rimane solo
parzialmente convincente visto che altre riviste del periodo, certamente più sofisticate dal punto di vista
grafico e sostenute da gruppi editoriali più attrezzati, ebbero vita altrettanto breve. Il riferimento va in
particolar modo, oltre che a «Urania», a «Fantascienza», periodico della Garzanti diretto da Sergio
Spini che, uscito nel 1953, si interromperà l’anno successivo dopo solo 7 numeri. Anche in questo caso
si trattava della versione italiana di una rivista di ampio successo negli Stati Uniti, «The Magazine of
Fantasy and Science Fiction», pubblicata da Lawrence Spivak e curata da Anthony Boucher.51

Da «Galaxy SF» a «Urania»

         L’esperienza di «Urania» merita ovviamente una discussione a parte, sia per la sua importanza
storica, sia per l’inedito sdoppiamento dell’iniziativa editoriale della Mondadori che ha voluto
affiancare alla rivista vera e propria una collana di romanzi ad essa collegata. Innanzitutto serve

49
   P. Giorgi, «Scienza fantastica». Ovvero la Nascita Ufficiale della Fantascienza in Italia, parte II, in «Nova SF». In corso
di pubblicazione.
50
   Luigi Cozzi, Dossier Fantascienza: L’Uomo che inventò la fantascienza, cit., p. 48.
51
   «The magazine was edited for adults, dedicated to literacy, and had few taboos […] also had a lighter, more sophisticated
tone. […] The magazine collected Hugos like it was gathering nuts in May. It won eight for the Best Professional Magazine
and when that category was discounted, the editors picked up four more»; F.M. Robinson, op. cit., pp. 109-110.
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