LA GENETICA 8. REGOLAZIONE DELL'ESPRESSIONE GENICA - Maturansia

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LA GENETICA 8. REGOLAZIONE DELL'ESPRESSIONE GENICA - Maturansia
LA GENETICA
8. REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA
1) REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA NEI PROCARIOTI

Nonostante che il codice genetico sia comune a tutti gli organismi, di qualunque grado di complessità, esistono enormi differenze
riguardo ai meccanismi di regolazione dell’espressione genica.
Il cromosoma procariote, in particolare, è costituito da un’unica, grande molecola circolare di DNA, che, srotolata, raggiunge
dimensioni lineari ben superiori a quelle dell’intera cellula. Nel DNA vengono conservate tutte le informazioni utili per la produzione
di proteine ed enzimi necessari alla vita e al metabolismo della cellula ed ogni segmento che codifichi per una proteina è detto gene
strutturale. Di solito nel cromosoma procariote geni strutturali che codificano per proteine aventi funzioni correlate, come ad
esempio gli enzimi di una stessa sequenza biochimica, si trovano raggruppati e spesso vengono trascritti in un unico filamento di m-
RNA, in modo che le proteine di cui la cellula necessita contemporaneamente e in uguali quantità possano essere prodotte tutte
insieme.
Tuttavia, la cellula produce enzimi e proteine codificate nel suo DNA solo in caso di necessità: ad esempio, Escherichia coli produce
la β-galattosidasi, enzima necessario alla digestione del lattosio, solo in presenza di lattosio, condizioni in cui arriva a contenerne fino
a 3.000 molecole. Al contrario, in assenza di lattosio, ogni cellula contiene mediamente una molecola di β-galattosidasi.
Evidentemente nella cellula esistono sistemi in grado di attivare o disattivare la trascrizione e la traduzione dei geni strutturali a
seconda delle esigenze momentanee, ossia in rapporto al tipo di ambiente, alla presenza o assenza di alcuni nutrienti etc. In tal modo
la cellula non impegna inutilmente energia per produrre sostanze di cui non ha bisogno.
Nei procarioti la regolazione della sintesi proteica avviene essenzialmente a livello della trascrizione, secondo un meccanismo
esplicato dal cosiddetto modello dell’operone, proposto da F. Jacob e J. Monod. La trascrizione di un tratto di DNA inizia in seguito
all’adesione della RNA-polimerasi a una sequenza specifica del DNA, detta promotore. Di qui, scorrendo lungo il DNA, la RNA-
polimerasi copia un tratto che codifica per uno o più geni strutturali, fino ad incontrare una sequenza di terminazione. Secondo la
teoria dell’operone, tra il promotore e i geni strutturali si trova una sequenza, detta operatore, alla quale pu legarsi una proteina, a
sua volta codificata da un gene regolatore, denominata repressore. Legandosi all’operatore, il repressore impedisce lo scorrimento
dell’RNA-polimerasi lungo il DNA o addirittura ne evita il legame con il promotore, bloccando la trascrizione del gene strutturale. Il
legame del repressore con l’operatore dipende dalla presenza di altre molecole, indicate come corepressori o induttori: i primi
attivano il repressore, consentendogli di legarsi all’operatore; i secondi lo disattivano, impedendone il legame con l’operatore.
Nell’Escherichia coli, ad esempio, la produzione di β-galattosidasi è sotto il controllo dell’operone lac (fig. 1), regolato da un
repressore che ha come induttore l’allolattosio, il primo prodotto del metabolismo del lattosio. In tal modo, quando Escherichia coli
si trova in presenza di lattosio, le molecole di enzima presenti nella cellula ne avviano la digestione e l’allolattosio, prodotto come
primo intermedio, si lega al repressore dell’operone lac, determinandone il distacco dall’operatore e avviando la trascrizione del
gene strutturale della β-galattosidasi.

                                         Fig. 1 - L’attività dell’operone lac nell’Escherichia coli.
2) REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA NEGLI EUCARIOTI

La quantità di DNA negli eucarioti è enormemente più grande che nei procarioti, anche se vi sono tantissimi segmenti ripetuti, molti
dei quali apparentemente non utilizzati. Inoltre, il DNA negli eucarioti mostra un’organizzazione molto più complessa, essendo
strettamente associato a proteine che determinano la struttura del cromosoma, influenzando, di conseguenza, l’espressione genica.
L’associazione di DNA e proteine nel nucleo cellulare è indicata col nome di cromatina (per la sua sensibilità ai coloranti), di cui le
proteine rappresentano oltre il 50% in peso. La maggior parte di queste è rappresentata da piccoli polipeptidi detti istoni, che
svolgono un ruolo fondamentale nel ripiegamento e nell’avvolgimento del DNA. La restante parte delle proteine associate al DNA
varia molto da un organismo all’altro ed è costituita di enzimi, proteine di regolazione, molte delle quali ancora sconosciute. Si
distinguono cinque tipi di istoni contenuti nel nucleo, quattro dei quali possiedono strutture assai simili anche in organismi
sensibilmente diversi e sono presenti in quantità doppia rispetto agli istoni del quinto tipo. Tali proporzioni risultano facilmente
comprensibili esaminando la struttura dell’unità fondamentale della cromatina, il nucleosoma (fig. 2), costituito da una parte
centrale, formata da otto molecole istoniche, due per ogni tipo, attorno alle quali è avvolto il DNA, e da una proteina istonica di tipo
diverso rispetto a quelle interne, affiancata esternamente. I nucleosomi posti in sequenza costituiscono una sorta di “collana di perle”
che, riavvolgendosi su sé stessa, forma una fibra del diametro di 30nm. Questa, a sua volta, si ripiega in domini ad ansa spiralizzati,
i quali si condensano fino a costituire il cromosoma, il cui spessore arriva a 1.400nm.

              Fig. 2 - Componenti strutturali del nucleosoma.

La cellula eucariote, contrariamente a quella procariote, esprime solo la piccola parte del suo DNA che viene permanentemente
attivata nel corso del differenziamento cellulare. Questo processo consente a cellule dotate dello stesso patrimonio genetico, in
quanto generate dallo stesso zigote, di differenziarsi, assumendo nell’organismo funzioni completamente diverse.
Numerose prove hanno dimostrato che l’espressione genica è strettamente collegata al grado di condensazione della cromatina.
Colorando il nucleo cellulare, infatti, si possono distinguere zone in cui la cromatina è più densa, dotate di colorazione più accentuata,
indicate come eterocromatina, e zone colorate più debolmente, caratterizzate da una maggiore dispersione della cromatina,
denominate eucromatina. Naturalmente il processo di trascrizione e la conseguente espressione di un gene dipendono dal grado di
accessibilità del gene stesso, per cui la parte di DNA che ogni cellula esprime è limitata alla porzione di eucromatina.
Inoltre, si è notato che, in seguito al differenziamento, il grado di condensazione di regioni diverse della cromatina varia da una cellula
all’altra e il rapporto tra eucromatina ed eterocromatina diminuisce, segno che ogni cellula differenziata esprime solo una piccola,
specifica porzione del proprio DNA.
Infine, anche negli eucarioti sono presenti sistemi di regolazione basati su proteine come nei procarioti, sebbene dotati di un
maggiore grado di complessità. Infatti, ogni gene è regolato solitamente da più proteine, alcune attivanti, altre disattivanti, i cui siti
di legame sono spesso molto lontani dal gene, il che rende la loro individuazione estremamente difficoltosa.

3) IL DNA EUCARIOTE

Si è detto che la quantità di DNA negli eucarioti è nettamente maggiore rispetto a quella dei procarioti e molto di questo DNA sembra
essere inutilizzato. Mentre i batteri esprimono praticamente la totalità del loro DNA, negli eucarioti meno del 10% del DNA codifica
per le proteine e nelle cellule umane questa percentuale potrebbe arrivare addirittura all’1%. Lo studio della struttura del DNA
eucariote ha permesso di individuare sequenze di diversa tipologia e funzione.
Il DNA a sequenza semplice è formato da sequenze di 5-10 nucleotidi che si ripetono testa-coda un gran numero di volte. Tali
sequenze non sono codificanti, ma sembrano avere importanza per la struttura del cromosoma. Lunghi tratti di questo tipo si trovano
nella zona del centromero o all’estremità dei cromosomi, dove formano una sorta di “cappuccio” di protezione che conferisce
stabilità al cromosoma. Il DNA umano è costituito per il 20-30% da brevi sequenze ripetitive.
Il DNA a sequenze ripetitive interposte è, invece, un tipo di DNA codificante per proteine, costituito da tratti di 150-300 nucleotidi
ripetuti più volte, raramente uno dopo l’altro, più spesso sparsi all’interno del DNA. Appartengono a questa classe i geni che
codificano per gli istoni o per l’r-RNA, presenti nella cellula in numero di 50-500 copie. Altri esempi di sequenze ripetitive interposte
sono le cosiddette famiglie geniche, costituite da sequenze non identiche ma molto simili tra loro, probabilmente originatesi da un
gene ancestrale. Un esempio di questo tipo è dato dalla famiglia delle globine, in cui il gene ancestrale codificava probabilmente per
una proteina simile alla mioglobina (proteina costituita da una sola catena polipeptidica con un solo gruppo eme), da cui, a seguito
di mutazioni casuali, si sarebbe originata l’attuale famiglia genica.
Il DNA a copia unica, infine, corrispondente al 50-70% di tutto il DNA, rappresenta la classe alla quale appartengono tutti i geni
strutturali, ossia quelli che codificano per proteine, anche se solo una piccola frazione di questo DNA (circa l’1%) viene effettivamente
espressa dalla cellula.
Una sorprendente scoperta riguardo alla struttura dei geni codificanti concerne il fatto che le sequenze codificanti all’interno di un
gene, dette esoni, non sono continue, bensì intervallate da sequenze non codificanti, denominate introni. Infatti, in molti casi la
lunghezza del gene è maggiore di quella dell’m-RNA che viene tradotto in proteina nel citosol.
La funzione degli introni non è stata ancora chiarita, ma si è osservato che spesso sono posti a separare esoni che codificano per parti
di una proteina aventi funzioni distinte: ad esempio, i geni della famiglia delle globine sono formati da tre esoni e due introni e l’esone
centrale codifica per la parte della catena che è associata al gruppo eme.

4) TRASCRIZIONE E TRADUZIONE IN PROCARIOTI ED EUCARIOTI

Negli eucarioti il processo di trascrizione è simile a quello dei procarioti solo in linea generale: l’RNA-polimerasi si attacca alla
sequenza iniziale (promotore) e, scorrendo lungo la molecola di DNA dall’estremità 3' a quella 5', sintetizza la molecola di m-RNA
complementare. Contrariamente a quanto accade nei procarioti, in cui più geni strutturali regolati dallo stesso operone sono trascritti
e tradotti contemporaneamente, nel cromosoma eucariote ogni gene strutturale viene regolato, trascritto e tradotto
indipendentemente dagli altri.
Inoltre, mentre nei procarioti la traduzione della molecola di m-RNA può avere inizio a partire dall’estremità 5' della molecola anche
mentre all’estremità opposta si sta completando il processo di trascrizione, negli eucarioti trascrizione e traduzione costituiscono
due processi completamente separati sia spazialmente che temporalmente.
Il processo di trascrizione (fig. 3) ha luogo nel nucleo e produce una molecola di m-RNA in cui vengono copiati sia esoni che introni.

             Fig. 3 - I processi di trascrizione e splicing
All’estremità 5’ della molecola viene legata una sequenza leader, la cui funzione è quella di congiungere la molecola di m-RNA al
ribosoma, mentre all’estremità 3’ viene aggiunta una sequenza trailer, costituita da un filo di nucleotidi di adenina. Successivamente,
prima che l’m-RNA venga esportato dal nucleo nel citoplasma, la molecola subisce una rielaborazione mediante un processo detto
di splicing, attraverso il quale vengono eliminate le sequenze relative agli introni. Esistono numerosi esempi di molecole di m-RNA
che, rielaborate attraverso splicing diversi, producono proteine diverse. In questi casi, in pratica, uno stesso gene strutturale viene
utilizzato per produrre più di una proteina, semplicemente cambiando il sistema di lettura, cosicché quello che era un introne per
una proteina può diventare un esone per l’altra, o viceversa. Tutto ciò conferma come nelle cellule eucariote il problema della
regolazione e dell’espressione genica sia nettamente più complesso rispetto alle cellule procariote.

5) SPOSTAMENTO DI GENI

Per molti anni i ricercatori sono stati convinti della sostanziale stabilità dei cromosomi, modificati unicamente in seguito a fenomeni
di crossing-over o mutazioni casuali. In realtà esistono molte altre cause che possono determinare modificazioni del DNA nei
procarioti e negli eucarioti.

5.1 PLASMIDI E CONIUGAZIONE

In tutte le cellule batteriche, oltre al grande cromosoma batterico, esistono molecole di DNA più piccole, contenenti da 2 a 30 geni,
dette plasmidi. Questi possono riprodursi contemporaneamente al cromosoma batterico, in modo che ogni cellula possieda una
copia del plasmide, oppure a velocità maggiore o minore, casi in cui, rispettivamente, ciascuna cellula può possederne più copie o
addirittura nessuna. I plasmidi possono essere trasferiti da una cellula all’altra attraverso il contatto cellula-cellula: una volta creato
un ponte citoplasmatico tra le cellule, un singolo filamento del DNA del plasmide viene trasferito dalla cellula donatrice a quella
accettrice mediante una duplicazione detta “a cerchio rotante”, e successivamente in entrambe viene ricostruito il filamento
complementare (fig. 4).

                                               Fig. 4 - Duplicazione “a cerchio rotante”.

Fra i diversi tipi di plasmidi individuati, uno di particolare interesse è quello della resistenza ai farmaci, detto plasmide R.
Si era osservato che una popolazione di batteri sensibile a un antibiotico poteva diventare resistente in meno di un’ora se posta in
presenza di batteri resistenti. Successivamente si scoprì che il gene della resistenza, che generalmente conferisce al batterio la
capacità di produrre un enzima in grado di distruggere o rendere meno attivo l’antibiotico, risiede su un plasmide e ciò consente la
rapida produzione di copie del gene e il suo trasferimento da una cellula batterica a un’altra. I geni della resistenza ai farmaci possono
anche passare dal plasmide al cromosoma batterico, oppure essere trasferiti a virus o batteri di specie diverse.
5.2 VIRUS COME VETTORI DI INFORMAZIONE

I virus, costituiti da una molecola di DNA o di RNA racchiusa all’interno di un capside proteico, non possiedono citoplasma né organuli
cellulari e quindi non sono capaci di replicarsi se non all’interno di una cellula ospite.
Quando un virus infetta una cellula aderisce alla sua superficie mediante le proteine del capside e ciò spiega il motivo per il quale le
infezioni virali non si trasferiscono facilmente da una specie all’altra: ogni virus, infatti, riesce ad infettare solo le cellule che
possiedono sulla loro superficie recettori per le proteine del capside.
All’interno della cellula il DNA o l’RNA virale si duplicano e dirigono la sintesi delle proteine virali. Quando le nuove particelle virali
sono state assemblate vengono liberate attraverso la lisi cellulare, determinata da proteine codificate all’interno del cromosoma
virale. Questo tipo di meccanismo riproduttivo del virus prende il nome di ciclo litico. Tuttavia, esistono virus che si comportano in
maniera diversa e dopo il loro ingresso nella cellula restano silenti per un lungo periodo di tempo. Questi, infatti, inseriscono il
proprio cromosoma all’interno del cromosoma cellulare e si riproducono insieme alle cellule. Il ciclo litico viene innescato quando il
cromosoma virale fuoriesce spontaneamente da quello della cellula ospite. In questo secondo caso si parla di ciclo lisogeno.
I virus capaci di inserire il proprio cromosoma all’interno del cromosoma eucariote sono denominati provirus e tra questi figurano
virus a DNA e retrovirus a RNA, così chiamati perché prima di essere integrati nel cromosoma cellulare devono essere trasformati
nel corrispondente filamento di DNA, operazione resa possibile dall’enzima trascrittasi inversa, presente nel capside proteico. Si
ricordi, altresì, che un esempio di retrovirus a RNA è il virus dell’HIV.
I virus possono costituire vettori di informazione genetica poiché nel ciclo litico, dopo la frammentazione del DNA della cellula ospite
e l’assemblaggio delle nuove particelle virali, alcuni frammenti del DNA cellulare possono essere casualmente inglobati nel capside
proteico del virus e quindi trasferiti ad altre cellule. In tal caso i frammenti di DNA trasferiti sono del tutto casuali e si parla quindi di
trasduzione generale. Anche nel ciclo lisogeno possono essere trasferiti frammenti di DNA cellulare, che in questo caso saranno
quelli contigui al punto di inserzione del cromosoma virale, il quale, distaccandosi, può portare con sé frammenti del cromosoma
cellulare. Per questo motivo si parla allora di trasduzione specifica.
Mediante questi meccanismi i virus possono costituire veri e propri vettori attraverso i quali tratti di DNA vengono trasferiti da una
cellula all’altra, provocando modificazioni permanenti nel DNA cellulare.

5.3 I TRASPOSONI
Già negli anni ’50 Barbara McLintock, studiando le variazioni presenti nei semi di granturco attraverso la mappatura genica, avanz
l’ipotesi che esistessero geni, da lei chiamati trasposoni, in grado di cambiare posizione all’interno del cromosoma o addirittura di
saltare da un cromosoma all’altro. Solo trent’anni dopo, quando fenomeni analoghi furono riscontrati anche in organismi semplici
come virus e batteri, il suo lavoro ebbe il giusto riconoscimento con il conferimento del premio Nobel.
Nei procarioti sono stati individuati due tipi di trasposoni: semplici e complessi. In entrambi i casi si tratta di frammenti di DNA capaci
di spostarsi da una zona all’altra del cromosoma grazie alla presenza di un gene che codifica per un enzima, detto trasposasi. In
questo spostamento capita spesso che il trasposone non scompaia dal sito di provenienza, ma produca una nuova copia di sé che
viene inserita nel nuovo sito. I trasposoni semplici sono piccoli e contengono soltanto i geni necessari al processo di trasposizione,
mentre quelli complessi comprendono anche altri geni, il più delle volte situati tra due trasposoni semplici. Una volta inseriti nel DNA
i trasposoni possono inattivare geni codificanti, innestandosi all’interno della sequenza nucleotidica, oppure, se contengono
sequenze di promotori, possono attivare la trascrizione di geni precedentemente inattivi. I trasposoni presenti negli eucarioti sono
molto simili a quelli dei procarioti e come questi possono provocare mutazioni o alterazioni nel funzionamento dei geni.
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