La fallimentare strategia alla "Speriamo bene" del Pd sul ddl Zan

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La fallimentare strategia alla "Speriamo bene" del Pd sul ddl Zan
La fallimentare strategia alla
“Speriamo bene” del Pd sul ddl
Zan
written by Elisa Ghidini | 28 Ottobre 2021

Volendo, si può continuare a dare la colpa alla
destra o ai magheggi di Renzi. Ma siamo davvero
sicuri che il Pd sul ddl Zan abbia fatto la cosa
giusta nel modo giusto?

I politici si distinguono dagli ideologi o dai filosofi
essenzialmente perché dovrebbero conoscere le logiche
interne ai partiti e alle istituzioni di cui fanno
parte: è necessario che abbiano, accanto a idee e
contenuti, anche strategie precise per non fare
naufragare miseramente ciò in cui credono. Ecco perché
quello che è accaduto ieri in Senato con la tagliola al
ddl Zan non può essere semplicemente liquidato con
“colpa della destra” o “maledetto Renzi”. Se infatti
accanto a una destra indegna che esulta con cori da
stadio quando toglie i diritti a qualcun altro, il
segretario di Italia Viva sa sempre farsi trovare nel
posto sbagliato al momento sbagliato, bisogna anche
considerare la strategia fallimentare del Partito
Democratico, per non diventare, a tutti i costi, degli
ultrà di sinistra accecati dall’ossessione verso Renzi.
Ricominciamo da capo, quindi.

La votazione di ieri
L’aula del Senato, dicevamo, ieri ha chiuso
definitivamente con il disegno di legge Zan: 154 persone
hanno votato per la sospensiva, meglio nota come
“tagliola”. 131 persone invece si sono espresse per
proseguire con i passaggi necessari alla discussione e
all’approvazione, mentre 2 senatori si sono astenuti.
Partiamo proprio dal concetto di tagliola: innanzitutto
è uno strumento a norma di Regolamento del Senato,
quindi perfettamente valido, con cui si chiede all’Aula
di sospendere l’esame di un disegno di legge e di
rimandarlo in Commissione. Se siete alla ricerca di un
approfondimento in merito, lo spiega bene il giornalista
Ettore Maria Colombo, sul suo blog.

Ieri, comunque, si votava su questa sospensiva, che deve
essere richiesta da almeno venti senatori. Sempre questo
rimane il numero minimo di richiedenti per ottenere il
voto segreto. Bingo: entrambe le condizioni si sono
verificate ieri, con un impegno particolare profuso dal
senatore Roberto Calderoli, a cui la democrazia
parlamentare riconosce questa possibilità. La
conseguenza? La stessa proposta di legge non potrà
essere esaminata dall’Aula per altri sei mesi.

Appuntamento a maggio 2022?
Il nuovo orizzonte per il ddl Zan è quindi fissato per
il maggio del 2022. Ma non è tutto: la Commissione
Giustizia da cui l’esame della legge dovrà ripartire è
quella presieduta dal senatore leghista Ostellari,
quello che appunto già nel luglio scorso aveva proposto
di stralciare dal testo il riferimento all’identità di
genere. Realisticamente, però, che possibilità ha la
legge di venire ridiscussa, rivotata e approvata da un
Senato in cui i numeri e le persone non cambieranno? Tra
sei mesi, infatti, i componenti di Palazzo Madama
saranno ancora gli stessi, visto che le Camere almeno
fino a gennaio non si potranno sciogliere per via
dell’elezione del Presidente della Repubblica, e, anche
correndo dietro a una crisi di governo che all’orizzonte
non si profila, le elezioni politiche non si
improvvisano. Insomma: fantapolitica.

Prima di guardare al futuro, però, diamo ancora
un’occhiata al recentissimo passato di ieri pomeriggio.
Sarebbe facile, infatti, scaricare sulla destra la colpa
di un Paese dell’UE che è rimasto solo con Polonia e
Ungheria (non proprio due baluardi di tolleranza) a non
avere una legge contro l’omotransfobia. La destra, però,
può fare quel che crede: la Costituzione e la democrazia
glielo consentono. Il buongusto, forse, dovrebbe
impedire certe esultanze, ma per quello non c’è testo
costituzionale che tenga.

 “voi persone lgbt avete già tutto” e infatti oggi sono
 qui a vedere un video dove dei politici esultano,
 applaudono, fanno quasi dei “cori” perché hanno
 affossato la legge che mi avrebbe tutelata in quanto
 donna lesbica #ddlzan pic.twitter.com/IDXfrzhGL7

 — Luce (@lucesilverhawk) October 27, 2021

La tentazione, subito dopo, è puntare il dito contro
Matteo Renzi, segretario di Italia Viva, ieri assente in
Senato per impegni in Arabia Saudita: ora, abbiamo già
scritto sull’incredibile capacità di Renzi di indossare
con orgoglio la veste luccicante di capro espiatorio per
i fallimenti della sinistra. Spesso, anche laddove non
si attivi per far naufragare personalmente qualcosa, ha
comunque la naturale propensione a farsi trovare nel
posto sbagliato al momento sbagliato. Anche i più
ossessionati dalle colpe dell’ex sindaco di Firenze,
però, concorderanno su un punto: non basta però Renzi o
il suo sparuto gruppo di senatori assenti a giustificare
il fallimento della sinistra.

I conti non tornano
I numeri di ieri, infatti, sono enigmatici per tutti i
partiti: nel centrosinistra chi ha fatto i conti pensava
di poter vincere con 8 voti di scarto. Dopo il voto
segreto, però, sono mancati all’appello 16 misteriosi
senatori. Il centrodestra, invece, si è trovato 20 voti
in più. Gli assenti erano 11, ma bisogna dare ragione a
Salvini (aspettate che ci riprendiamo un attimo da
questa affermazione): sì. Bisogna dare ragione a
Salvini, quando dice che nel Pd non sono in grado di
fare i conti: lo ribadisce questa mattina anche
Francesco Costa nel suo podcast. Anche se infatti tutti
i presenti, al di là del voto segreto, avessero votato
coerentemente con l’indicazione dei loro partiti, si
sarebbe raggiunta al massimo la parità con il centro
destra. Senza considerare, tra le altre cose, i voti
dirimenti dei senatori a briglia sciolta, appartenenti
al gruppo misto.

Per colpa di chi?
Quindi, per colpa di chi? Forse anche il Partito
Democratico dovrebbe fare un’analisi seria della sua
strategia. Il ddl Zan alla Camera è stato approvato in
scioltezza perché a Montecitorio i numeri sono altri,
rispetto a quelli del Senato. Qui, invece, le
discussioni e le votazioni che si sono svolte a partire
da luglio, hanno evidenziato una maggioranza
risicatissima di un paio di voti per la coalizione a
favore dello Zan: cosa fare quindi? Rischiare e
scommettere, con l’all in politico del tirare dritto e
vedere quel che accade? Questa sembrava la linea del Pd,
che per bocca di Enrico Letta si è sempre dichiarato
fermamente convinto della necessità di non modificare il
testo, per non svuotarlo di significato. Legittimo.

Più aperta, invece, è sempre stata la posizione di
Italia Viva, pronta a discutere e a stralciare frasi
indigeste alla destra ma che, effettivamente, avrebbero
privato il disegno di legge di una certa sostanza. La
discussione è sempre quella tra i sostenitori dell’uovo
oggi e i fan della gallina domani: meglio una legge
incompleta ma approvata o una legge perfetta ma
rispedita al mittente?

La pausa di questi mesi
La questione è stata però accantonata per qualche tempo:
il Pd ha detto che sarebbe stato meglio tornare a
discuterne dopo le elezioni amministrative per evitare
di ostacolare con anche questa battaglia i candidati già
alle prese con questioni spinose riguardanti le loro
città. Qualche giorno fa, però, fulmine a ciel sereno:
Enrico Letta si presenta da Fazio e dice che il Pd è
pronto a trattare sul ddl Zan. Pronto? Come? Ma la
discussione è tra tre giorni! Come si fa ad avviare una
trattativa seria su un argomento così divisivo nello
spazio di 72 ore? E infatti la trattativa nemmeno parte.
Non si chiede nemmeno di rinviare la discussione.

Fare la cosa giusta nel modo sbagliato
Ora: il discorso è semplice. Se il Partito Democratico
avesse creduto davvero nella trattativa, l’avrebbe
avviata prima e con maggiore serietà: un’apertura di
questo genere non si improvvisa. Non è serio per la
battaglia in sè, per i propri elettori e nemmeno per i
propri avversari. In cosa si è tradotto, infatti,
l’atteggiamento del Partito Democratico? In un
incrociare le dita e sperare di avere i voti. È giusto
che una battaglia di civiltà di questo genere venga
affidata a una strategia politicamente kamikaze?
La strategia mancata del Pd sul ddl Zan
Sì, perché le cose sono due: o ci credi e non apri a
nessuna mediazione o bluffi. Magari della legge non ti
interessa poi così tanto. Forse la consideri una sorta
di test per verificare gli equilibri del Parlamento in
vista dell’elezione del Presidente della Repubblica.
Sulle spalle di chi in questa lotta crede davvero.
Oppure c’è una terza opzione: non conosci le logiche del
Senato e sei, appunto, un kamikaze delle votazioni, che
si fa il segno della croce prima di tirare la
cordicella. Tanto, in ogni caso, potrai rivendere agli
elettori la rinfrancante storiella della colpa della
destra e di Renzi.

                                           Elisa Ghidini
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