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                                        La cucina nei libri

                  Brevissima storia dei ricettari di cucina italiani

                                      dalle origini ai giorni nostri
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Progetto EAT:ING – Educare alla Responsabilità Agroalimentare nel Territorio:
Inchieste, Natura, Giornalismo

Un’iniziativa di educazione ambientale rivolta alle scuole secondarie di primo e secondo
grado e caratterizzata da un focus sulla sostenibilità alimentare.

Un progetto finanziato da Fondazione Cariplo e sviluppato da Fondazione Eni Enrico Mattei
in collaborazione con il Centro di Studi per la Storia dell’Editoria e del Giornalismo.

Tutti i materiali realizzati a supporto della didattica sono disponibili sul sito del progetto
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Questo capitolo è stato realizzato dai ricercatori del Centro di Studi per la Storia dell’Editoria
e del Giornalismo

Settembre 2008
La cucina nei libri

Indice

Che cosa raccontano i ricettari?................................................................................... 4

I primi ricettari.......................................................................................................... 4

Il quattrocento e Martino de’ Rossi............................................................................... 5

Il cinquecento e Cristoforo Messisbugo ......................................................................... 6

Il seicento e la regionalizzazione della gastronomia........................................................ 6

Il settecento e François Pierre de la Varenne................................................................. 6

Pellegrino Artusi ........................................................................................................ 7

Il novecento e i ricettari femminili ............................................................................... 8

I ricettari della prima guerra mondiale ......................................................................... 9

Il fascismo .............................................................................................................. 11

Dopo il 1945 ........................................................................................................... 12

Bibliografia ............................................................................................................. 14

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La cucina nei libri

CHE COSA RACCONTANO I RICETTARI?

I ricettari, oltre alla funzione per la quale sono stati concepiti, ovvero dare suggerimenti
per la preparazione degli alimenti, sono barometri della società che li ha generati: dimmi
come mangi e ti dirò chi sei. Dai ricettari infatti veniamo a conoscenza degli usi e
costumi di una data area geografica, delle sue vicende storiche, persino della sua
evoluzione linguistica. Sappiamo come vivono gli uomini e le donne a cui sono rivolti e
quali problemi possono avere. Ad esempio possiamo sapere se sono magri o grassi:
quanti ricettari sono indirizzati a persone che devono perdere peso?

Sani o malati, soprattutto negli ultimi anni sono stati pubblicati moltissime raccolte di
ricette per coloro che soffrono di colesterolo alto, pressione arteriosa alta oppure di
celiachia. Perché essi devono rinunciare ad una tavola ricca e variata quando è
sufficiente che prendano alcuni semplici accorgimenti per avere una vita normale anche
a tavola?

Possiamo sapere qual è la loro religione: un buddista apprezzerà a pieno un menù a base
di agnello?

A quale filosofia si ispirano: se qualcuno si rifiuta di consumare qualsiasi proteina di
origine animale compresi uova, latte e derivati, ci sono buone probabilità che egli sia un
vegano.

A quale area geografica appartengono: è difficile trovare nelle nostre librerie un manuale
su come si cucinano le cavallette, mentre è probabile trovarlo in qualche paese africano
dove questi insetti sono considerati una prelibatezza.

I PRIMI RICETTARI

Uno dei più antichi ricettari è quello scritto da Marco Gavio, detto Apicio, un ricco patrizio
che vive sotto gli imperatori Augusto e Tiberio. Per la verità, presunto autore, perché la
storia ci ricorda che a chiamarsi così sono ben tre personaggi, tutti in qualche misura
interessati all’arte della gastronomia. Più correttamente diciamo che, intorno al 230 d.C.,

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un cuoco di nome Celio compila una raccolta di ricette in dieci libri, il De re coquinaria1
(L’arte culinaria), attribuendola ad Apicio. L’opera raccoglie 450 ricette che spaziano
dalla preparazione delle carni tritate alla conservazione della verdura, della frutta, dei
formaggi, fino ad arrivare ai farinacei, base dell’alimentazione dei romani; dai
suggerimenti per cucinare la cacciagione (compresi struzzi, gru, fenicotteri, pavoni e
pappagalli) a come cuocere il pesce.

È con la fine del medioevo però che i ricettari iniziarono a comparire in modo più
frequente2. Il più celebre è il napoletano Liber de coquina, scritto fra il XII e il XIV
secolo. I piatti che presenta hanno tre elementi in comune: abbondante uso di spezie,
utilizzo di sapori apparentemente in contrasto tra loro come zucchero e aceto, iniziale
bollitura delle carni e solo successivamente impiego di una diversa cottura. Il Liber ha la
particolarità di essere stato utilizzato, ovviamente con alcune modifiche, fino al XV secolo
anche oltre confine, in Francia e in Germania.

IL QUATTROCENTO E MARTINO DE’ ROSSI

Il primo ricettario ad avere un autore certo è il Libro de Arte Coquinaria3, che Martino de’
Rossi, detto maestro Martino da Como, compila a Roma tra il 1464 ed il 1465. De’ Rossi,
ticinese di nascita, lavora prima in Lombardia, alla corte di Francesco Sforza, poi a
Roma, al servizio del patriarca di Aquileia, infine, di nuovo a Milano, per Gian Giacomo
Trivulzio. Questo suo errare per la penisola, fa sì che la cucina da lui proposta si sia
arricchita di influenze regionali, anche arabe, e abbia contribuito alla definizione del
modello italiano di cucina. Le ricette presentate, scritte in volgare, si distinguono dalle
precedenti per una più evidente cura nella descrizione dei procedimenti e per una
maggiore precisione terminologica. Il successo e la divulgazione, sia in Italia che in tutta
Europa, del testo di Martino, successo che durò fino alla metà del Cinqucento, è dovuto a
Bartolomeo Sacchi, detto il Platina (1421-1480), prefetto della Biblioteca Apostolica
Vaticana.

1
    Di questo volume esistono diverse edizioni moderne, eccone alcune: Apicio, L’arte culinaria : manuale di
gastronomia classica, a cura di G. Carazzali, Bompiani, Milano 2003; Apicio, De re coquinaria : antologia di ricette,
a cura di A. Del Re, Viennepierre, Milano2004; G. Gentilini, I cibi di Roma imperiale: vita, filosofia e ricette del
gastronomo Apicio. Con l’edizione critica del De re coquinaria, Medusa, Milano [2004].
2
    Atlante dell’alimentazione e della gastronomia, II vol., Cucine, pasti, convivialità, UTET, Torino 2004.
3
    Cfr. C. Benporat, Cucina italiana del Quattrocento, Olschki, Firenze 1996.

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IL CINQUECENTO E CRISTOFORO MESSISBUGO

È soprattutto nel Cinquecento che la gastronomia italiana, se così possiamo già definirla
geograficamente, raggiunge il suo apice coincidendo, in tal modo, con il fulgore
raggiunto dalle corti.

Cristoforo Messisbugo, non un cuoco professionista, ma un economo dispensiere della
corte estense di Ferrara, città in cui nacque alla fine del XV secolo, è l’autore di
Banchetti, composizioni di vivande e apparecchio generale. L’opera è scritta nel 1539,
ma viene pubblicata un anno dopo la sua morte avvenuta nel 1548. Il volume è
suddiviso in tre parti. Nella prima sezione l’autore elenca le cose necessarie
all’organizzazione dei banchetti, dai vari alimenti alle pentole e attrezzi; nella seconda
descrive le portate di undici cene, tre desinari e una festa organizzati a corte tra il 1529
e il 1548; nell’ultima parte presenta 323 ricette raggruppate in sei paragrafi (paste,
torte, minestre, salse, brodi, latticini). Tale suddivisione è molto apprezzata anche da
altri cuochi-scrittori come Domenico Romoli detto il Panunto (1560), Bartolomeo Scappi
(1570) e Bartolomeo Stefani (1662).

IL SEICENTO E LA REGIONALIZZAZIONE DELLA GASTRONOMIA

Il Seicento, per i ricettari, è il secolo della regionalizzazione come fattore qualificante.
Questo elemento emerge soprattutto per quanto riguarda la produzione gastronomica
napoletana. Tra gli autori di spicco si ricordano i partenopei Battista Crisci, il suo Lucerna
de corteggiani (1634) e Antonio Latini, autore dello Scalco alla moderna, ovvero l’arte di
ben disporre i conviti (1692-1694)

IL SETTECENTO E FRANÇOIS PIERRE DE LA VARENNE

Come la società del Settecento è conquistata dalla magnificenza d’oltralpe, anche la
gastronomia, e di conseguenza le opere che la trattano, sono farcite – è il caso di dirlo –
di francesismi. A segnare il passaggio da una cucina ricca di spezie, tanto amate nel
Rinascimento e nell’età barocca, ad una più semplice, fatta di brodi e di salse a base di

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erbe aromatiche fresche, è François Pierre de La Varenne con il suo Il cuoco francese4.
L’opera, sebbene pubblicata a Parigi nel 1651, viene edita in Italia, a Bologna per
l’esattezza, nel 1682. L’importanza di questo testo è da commisurare alle numerosissime
ristampe e aggiornamenti che conosce fino al 1826.

Più in generale la cucina del Settecento ripudia l’uso smodato delle spezie e degli
accostamenti azzardati di salato e dolce e di dolce e aspro, e incomincia a preferire
equilibrati dosaggi di sapori relegando, ad esempio, il dolce a fine pasto.

PELLEGRINO ARTUSI

Alla base di una inconfutabile verità che vuole le donne ai fornelli e gli chef nei ristoranti,
al di là della questione del lavoro femminile, da sempre considerato marginale, resta il
fatto che per molto tempo i ricettari sono stati un’esclusiva dei cuochi professionisti,
mentre alle massaie i segreti delle buona tavola, vengono trasmessi all’interno della
cerchia domestica, tramandati oralmente di madre in figlia. D’altra parte il tasso di
analfabetismo nel nostro paese è a lungo decisamente alto – ancora nel 1921 a non
saper leggere sono il 33% degli uomini e il 38% circa delle donne – e quindi, anche solo
scorrere una ricetta diventa un affare per pochi. Quella delle donne, comunque, è
sempre stata una cucina popolare che ha come fine il nutrire, più legata, in generale,
all’obbligo quotidiano, mentre quella degli uomini rasenta l’artistico, il professionale e ha
come fine l’appagamento di tutti i sensi.

A confermare quanto detto, il ricettario più conosciuto in Italia è La scienza in cucina e
l’arte di mangiar bene5 di Pellegrino Artusi, un uomo, appunto.

4
    François Pierre de la Varenne, (1615 circa- 1678) nonostante la diffusione del suo ricettario e la fama acquisita,
muore in estrema povertà.
F.P. de La Varenne, Il cuoco francese oue e insegnata la maniera di condire ogni sorte di viuande, e di fare ogni
sorte di pasticcierie, e di confetti, conforme le quattro stagioni dell'anno. Per il signor De La Varenne cuoco
maggiore del sig. marchese d’Vxelles. Trasportato nuouamente dal francese all'italiana fauella, Davico, Bologna
1682.
5
    P. Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Tip. Di
Salvadore Landi, Firenze 1891.

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Pellegrino Artusi6 nasce a Forlimpopoli (Forlì) il 4 agosto 1820 da una famiglia di
droghieri. Trasferitosi a Firenze, avvia una lucrosa attività commerciale che gli procura
una ricchezza tale che, a soli 45 anni, può ritirarsi dagli affari e dedicarsi alla letteratura
e alla gastronomia, i suoi maggiori interessi. La prima edizione de La scienza in cucina
che, per inciso, dedicò ai suoi due gatti (Biancani e Sibillone), viene pubblicata nel 1891,
a sue spese, dal tipografo Landi. Il volume raccoglie ben 790 ricette legate alla
tradizione romagnola e toscana. Oltre ad esse, il libro contiene digressioni varie: norme
d’igiene, aneddoti, spiegazioni di voci – ovvero la traduzione dal toscano all’italiano dei
vocaboli usati –, commenti ai piatti. Una nota interessante del volume è anche il
racconto che Artusi fa delle difficoltà incontrate per la pubblicazione del ricettario, a
cominciare dal commento poco incoraggiante del suo amico Francesco Trevisan che,
senza mezzi termini, gli preannuncia uno scarsissimo successo. È solo grazie alla critica
benevola di Paolo Mantegazza – illustre fisiologo, antropologo e politico del periodo – che
il volume “decolla”.

Il merito di Artusi, sostiene Alberto Capatti, uno dei maggiori studiosi dell’argomento, è
di aver dato una lingua, una didattica ed un ordine ai libri di casa delle famiglie italiane,
fino ad allora – tra l’altro – orientate esclusivamente verso la cucina francese. Va
ricordato che de La scienza in cucina sono state fatte 111 edizioni pari ad un milione di
copie vendute.

La fortuna di Artusi è determinata anche dal contesto socio-economico dal quale
scaturisce. Nella seconda metà dell’Ottocento, con l’affermarsi di un ceto borghese
cittadino, si assiste all’esplosione di tutta quella parte di editoria indirizzata a questa
classe, diciamo di parvenu. Grazie a questi manuali, infatti, i “nuovi ricchi” imparano, in
sostanza, a vivere in società, apprendono cioè il galateo con tutti gli annessi e connessi:
da come si ricevono gli ospiti a come si apparecchia la tavola, da quale menù scegliere a
come si preparano e si presentano le pietanze.

IL NOVECENTO E I RICETTARI FEMMINILI

Fino alla fine dell’Ottocento i ricettari, come si è visto, sono per lo più di competenza

6
    P. Artusi, Autobiografia, a cura di A. Capatti, A. Pollarini, Il Saggiatore, Milano 1993; A. Roncuzzi, Profilo
biografico di Pellegrino Artusi e osservazioni su La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, Cassa rurale ed
artigiana, Forlimpopoli 1990.

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maschile. È con l’inizio del Novecento che prendono avvio quelli scritti da donne.

La prima è Giulia Ferraris Tamburini che, con l’editore milanese Hoepli, presenta nel
1900, Come posso mangiare bene?7 Tanto per dare un’idea di quello che propone si
possono citare il pasticcio di piccione, il pavoncello cotto allo spiedo intartufato e il
manzo in salsa di lepre.

La casa editrice Sonzogno, sempre di Milano, è la più prolifica nel settore. Nel 1906 dà
alle stampe la serie Le 100 maniere di al prezzo di 50 centesimi. Le raccolte sono
monotematiche e contengono solo piatti di cui vengono elencati esclusivamente gli
ingredienti, senza le dosi e il metodo di cottura, senza i tempi e senza alcuna
illustrazione8. Ad aprire la collana Le 100 maniere di è Come si cucinano i legumi,
seguono Come si cucina il manzo, poi le uova, le salse, le minestre, le zuppe, ecc., fino
ad arrivare ai liquori e alle conserve. L’ultimo, sulle vivande di magro, è del 1934, ed è la
riedizione di un opuscolo uscito per la prima volta nel 1906.

Anche l’editrice fiorentina Salani pubblica manualetti molto simili, alla modicissima cifra
di 15 centesimi. Il re dei cuochi, ad esempio, dopo la prima uscita del 1886, viene riedito
fino al 1917, 14 volte. Inutile dire che questo genere rientra in quel filone che voleva
essere di formazione delle donne, verso la cura della casa e della famiglia. Questi
ricettari conquistano fasce di pubblico sempre più numeroso e il loro successo è ribadito
dalle continue ristampe, pubblicate solo con piccole varianti, fino agli anni trenta.

I RICETTARI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Una perfetta padrona di casa è anche una donna che sa gestire al meglio i denari del
proprio sposo. Se, in tempi normali, questo non implica generalmente un onere
eccessivo, diventa un’impresa eroica in tempo di guerra. I primi libri di cucina per i
“magri tempi di guerra” risalgono a poco dopo la Rivoluzione francese. In Italia appaiono
invece solo verso la fine della prima guerra mondiale. In quegli anni escono Cucina

7
    G. Ferraris Tamburini, Come posso mangiar bene? Libro di cucina, con oltre 100 ricette di vivande
comuni, facili ed economiche per gli stomachi sani e per quelli delicati, Hoepli, Milano 1900.
8
    Sarà solo dopo il 1945 che, con lo sviluppo della tecnologia e la riduzione dei costi di produzione, i volumi si
arricchiranno di immagini, elemento oggi per noi fondamentale per i libri di cucina.

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buona in tempi cattivi, Cento ricette di cucina igienica senza carne, l’Orto di guerra9,
Cucina di guerra10, e così via. L’arte dell’arrangiarsi a quel punto non riguarda più solo le
donne, ma anche le istituzioni. Alcune di esse, come la Commissione provinciale per la
propaganda patriottica e per la limitazione dei consumi di Bergamo, si sentono in dovere
di “dare gli opportuni aiuti alla classe popolare, esposta alle più dure prove della guerra”,
e lo fanno chiamando in soccorso l’Associazione nazionale cucinieri, perché mandi loro
ricette economiche e pratiche, che vengono pubblicate nel volume Cucina di guerra del
1917. Si tratta di ricette dove, ovviamente, zuppe, minestre, polente, frattaglie, aringhe
e baccalà la fanno da padrone.

9
    L’orto di guerra, espediente tipico di un’economia di sopravvivenza, è un minuscolo appezzamento di terreno
ricavato in un giardino o addirittura nella vasca da bagno o dentro scatole di scarpe dove potervi coltivare ortaggi,
verdure, legumi e sfamare la popolazione.
10
     Commissione provinciale per la propaganda patriottica e per la limitazione dei consumi, Cucina di guerra, Tip.
Fratelli Bolis, Bergamo 1917.

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IL FASCISMO

Dopo le privazioni dovute alla guerra, è quindi inevitabile che tutti si immergano in quel
bagno di follia che sono gli anni venti. Ad approfittarne furono soprattutto le donne che, con
gli uomini al fronte, conoscono per la prima volta una breve stagione di autonomia11.
Purtroppo si tratta di una parentesi, il crollo della borsa di Wall Street nel 1929, obbliga tutti
ad un brusco risveglio e le “maschiette”12 degli anni venti sono costrette ad abbandonare
l’indipendenza raggiunta. Con l’avvento del regime fascista, che impone un ritorno ai valori
tradizionali, il tema del saper cucinare viene posto tra le virtù indispensabili delle future
spose. L’editoria che, come la comunicazione in generale, durante il fascismo acquista
nuovo slancio, è prodiga di pubblicazioni. Lo stile adottato nei ricettari diviene confidenziale
e le autrici non celavano il fatto che un buon piatto possa essere un ottimo mezzo per
conquistare un fidanzato o un marito. In questo senso il titolo per eccellenza fu Il talismano
della felicità di Ada Boni13 che, dal 1927 ad oggi, non conosce tramonto. Tra le tante
colleghe della Boni, vale la pena di ricordare Petronilla, al secolo Amalia Moretti Foggia della
Rovere14, nota anche con lo pseudonimo di dottor Amal, con il quale firma gli articoli sulla
“Domenica del Corriere” e altri libretti tra lo scientifico (è stata la terza donna medico,
specializzata in pediatria, in Italia) e il saggio consiglio della nonna. Nel 1935 la situazione
economica del paese è già in tale regresso che l’uscita de Il nuovo ricettario domestico di
Lidia Morelli, edito ancora da Hoepli, sembra quasi un’offesa. Il volume è di fatto una piccola
enciclopedia che offre, oltre a 5.390 ricette, consigli di ogni genere, comprese indicazioni su
come si catalogano le ricette stesse.

11
     La prima guerra mondiale ha significato, per milioni di donne, sperimentare un livello di autonomia fino ad allora
impensabile, vivendo sole e sostituendo i propri uomini – fratelli, mariti, padri, figli – ovunque ce ne fosse bisogno,
non solo come capofamiglia, ma anche in fabbrica. Anche se solo apparente e momentaneo, il grado di
indipendenza da loro conquistato in quel periodo è comunque di tutto rispetto e il conflitto rappresenta per molte
davvero uno spartiacque.
12
     L’indipendenza femminile in quegli anni si manifesta anche nell’abbigliamento – le donne iniziano, ad esempio,
ad indossare i pantaloni – e nel taglio corto dei capelli, alla “maschietta” appunto. Una conseguenza del crollo della
borsa americana, avvenuto nell’ottobre 1929, e della depressione economica che ne segue, è l’estromissione delle
donne dal mondo del lavoro in favore degli uomini.
13
      A. Boni, Il talismano della felicita: [trattato di gastronomia]. Opera premiata alla Mostra
Internazionale dell’economia domestica, Edizioni della Rivista Preziosa, Roma [1928].
14
     Amalia Moretti Foggia della Rovere (Mantova 1872 – Milano 1947) per approfondire la figura cfr. R. Dall’Ara,
Petronilla e le altre: il mestolo dalla parte di lei, Tre lune, Mantova 1998.

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Di fatto però tutte queste specialiste in “forni e fornelli”, a metà degli anni trenta,
devono fare i conti, non in senso figurato, con le sanzioni15. Come durante il primo
conflitto, si rispolverarono e si aggiornarono tutti i trucchi necessari affinché la famiglia
mangiasse senza mangiare. Vennero “sfornati” ricettari come Le massaie contro le
sanzioni16 a firma di Lidia Morelli, che suggerisce come utilizzare le bucce per fare le
minestre o gli acini di uva tostati per fare il caffè e chiude il suo libro con un
mussoliniano “credere obbedire combattere”. A questo seguirono: Sapersi nutrire, Come
si cucina il riso, Vivere bene in tempi difficili, Cucina autarchica, tanto per elencare alcuni
titoli.

Dai piatti autarchici si ripassa in breve ai ricettari per il tempo di guerra, il secondo
tempo di guerra. Escono: La cucina del tempo di guerra, Economia in tempo di guerra,
Ricette di Petronilla per i tempi eccezionali, 200 suggerimenti per… questi tempi, Mangiar
bene e spendere poco, ricettari che ovviamente pongono in primo piano il problema delle
tessere annonarie e della borsa nera17.

DOPO IL 1945

Ancora per diversi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale gli italiani sono
costretti a stringere la cinghia; il passaggio da un’economia di guerra ad una di pace è
quasi inavvertito. È con gli anni sessanta che i consumi iniziano a risalire e la mitica
bistecca arriva quotidianamente sulle nostre tavole. I ricettari comunque continuano ad
essere “opere di valorizzazione delle massaie”. La trasformazione, il salto di qualità, dei
libri di cucina avviene negli anni ottanta quando entra, anche tra le pentole, quella
componente edonistica che caratterizza il decennio. Alla “cucina del fare”, come l’ha
definita qualcuno, si contrappone la cucina-spettacolo, la cucina evento, che prima che
con il palato si assapora con la vista.

L’oggi è noto a tutti. Da suor Germana a Sofia Loren è una costante fioritura di consigli e

15
     La Società delle Nazioni, nel novembre 1935, condanna l’Italia per aver invaso l’Etiopia infliggendole pesanti
sanzioni economiche, cioè vieta il commercio con l’Italia a tutti gli stati membri della Società stessa.
16
     L. Morelli, Le massaie contro le sanzioni, S. Lattes e C., Torino 1935.
17
     La tessera annonaria è una tessera nominale consegnata ad ogni cittadino per ottenere i viveri previsti dal
razionamento, mentre la borsa nera è un mercato illegale e clandestino di prodotti resi irreperibili dal
razionamento.

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di condivisione di segreti tra star – e non star – e pubblico.

Insomma, come si suol dire, ora ce n’è davvero per tutti i gusti!

Tra i ricettari citati nel testo:

Il re dei cuochi ovvero la maniera di fare una buona cucina con poca spesa, Salani,
Firenze 1874

100 maniere di cucinare i legumi, Sonzogno, Milano 1906

Manuale di 150 ricette di cucina di guerra, Tipografia sociale, Cremona 1916

G.C. Monti, Cucina buona in tempi cattivi : norme pratiche e raccolta di ricette per una sana
alimentazione del bambino e dell’adulto, Treves, Milano 1917

N. Ferrari, L’orto di guerra : come si coltivano e si cucinano gli ortaggi, Soc. Ed.
Commerciale, Bergamo 1917

G. Galleani, Come si cucina il riso? Tutti i modi di accomodarlo, dagli antipasti ai dolci, ad
uso della cucina casalinga e professionale, Hoepli, Milano 1929

F. Momigliano, Vivere bene in tempi difficili: come le donne affrontano le crisi
economiche, Hoepli, Milano 1933

L. Morelli, Nuovo ricettario domestico: enciclopedia moderna per la casa, Hoepli, Milano
1935

A. Moretti Foggia della Rovere, Ricette di Petronilla, Olivini, Milano 1935

Sapersi nutrire, a cura di Cesare Alimenti per l’ufficio propaganda del PNF, Editoriale Arte
e Storia, Roma [19..]

Cucina in tempo di guerra: 250 ricette di cucina e vari consigli pratici per preparare una
buona mensa, a cura di R. Petrali Cicognara e A. Zuccardi Merli, Unione Editoriale d’Italia,
Roma 1941

A. Moretti Foggia della Rovere, Petronilla: ricette per tempi difficili, [Cecotti, Massa]

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1997; Ristampa anastatica di: Ricette di Petronilla per i tempi eccezionali, Sonzogno,
Milano 1941

E. Valvassori Baldassarre, Economia in tempo di guerra: consigli di cucina e di economia
domestica, IDEA, Udine 1941

E. Randi, La cucina autarchica: nozioni teoriche e pratiche di autarchia alimentare,
Cionini, Firenze 1942

A. Moretti Foggia della Rovere, 200 suggerimenti per... questi tempi, Sonzogno, Milano
1943

S. Loren, In cucina con amore, Rizzoli, Milano [1971]

Suor Germana, Quando cucinano gli angeli, Piemme, Casale Monferrato 1983

BIBLIOGRAFIA

Occhio al cibo: immagini per un secolo di consumi alimentari in Italia, a cura di A.
Capatti, C. Colombo, Coop, Milano 1992

Biblioteca Nazionale Braidense, La cucina della biblioteca : libri e immagini del territorio
milanese e lombardo-veneto, a cura di S. Baldelli Capasso, G. Baretta, P. Ferro,
Viennepierre, Milano 1994

A. Capatti, A. De Bernardi, A. Varni, Storia d’Italia, Annali XIII, L’alimentazione, Einaudi,
Torino 1998,

A. Capatti, M. Montanari, La cucina italiana: storia di una cultura, Laterza, Roma 1999

TaccuiniStorici.it, rivista multimediale di alimentazione e tradizioni
(http://www.taccuinistorici.it)

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