L'ozonoterapia in medicina veterinaria - Ruminantia
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L’ozonoterapia in medicina veterinaria Le attuali applicazioni dell’ozono in medicina umana sono avanzate e supportate da numerosi studi mentre in medicina veterinaria sono ancora poco diffuse. L’ozono (O 3 ) è una forma triatomica dell’ossigeno (O 2 ), presente nell’atmosfera terrestre sotto forma di gas. La struttura chimica dell’ozono conferisce alla molecola un’attività ossidante potentissima (ha un potenziale redox standard di +2,07 V) capace di alterare e danneggiare i composti organici quali carboidrati, proteine e lipidi. Oltre all’effetto pro-ossidante, l’ozono può esercitare, paradossalmente, anche un effetto di tipo antiossidante. La somministrazione medica di ozono all’interno di una miscela gassosa O2/O3 con ozono a basse concentrazioni, prende il nome di ozonoterapia. In queste condizioni, quando l’O3 incontra i lipidi delle membrane cellulari, reagisce generando perossido di idrogeno (H2O2) e aldeide 4-idrossinonenale (4-HNE); tali molecole innescano una serie di reazioni a cascata che culminano con la produzione di enzimi antiossidanti come superossido dismutasi, glutatione perossidasi, catalasi e glucosio-6-fosfato deidrogenasi. Inoltre, l’attivazione di alcuni recettori sulle cellule immunitarie e la reazione con i loro lipidi di membrana, innesca la produzione di TNF, INF-γ, IL-8, IL-1β, IL6 e IL8, evidenziando, così, anche un importante effetto immunostimolante. Grazie al suo potenziale ossidante, l’ozono mostra un’importante attività microbicida che si esplica attraverso l’alterazione di pareti e membrane cellulari batteriche, perossidazione di envelope e capsidi virali, e danno diretto sul genoma. Gli stessi meccanismi ossidativi sono efficaci anche sulle macrostrutture di lieviti, muffe e protozoi.
Grazie al suo ampio spettro di azione sui microorganismi la Food and Drug Administration, nel 2001, ha approvato l’uso dell’ozono come disinfettante per superfici a contatto con alimenti, per l’applicazione diretta su prodotti alimentari, nonché per la disinfezione delle acque. L’O3 mostra anche un sinergismo di potenziamento con sostanze antibiotiche e disinfettanti e sembra che possa giocare un ruolo chiave nella prevenzione e nella lotta all’antibiotico- resistenza. L’ozonoterapia può essere effettuata per via sistemica o locale. La prima prende il nome di autoemoterapia (O3-AHT) e consiste nel somministrare una concentrazione precisa di una miscela gassosa di O 2 -O 3 in una quantità predeterminata di sangue autologo; il sangue, in tal modo ossigenato e ozonizzato, viene poi trasfuso al paziente. L’applicazione locale, invece, utilizza vari preparati farmaceutici (creme, paillette, schiume, perle, oli ozonizzati) che si adattano alla via di somministrazione (intramuscolare, intradiscale, paravertebrale, ma anche rettale, nasale, tubale, orale, vaginale, vescicale, pleurica e peritoneale). Nella medicina umana, l’ozonoterapia viene largamente utilizzata per trattare ascessi, ferite, acne, eczemi, psoriasi, fibromialgia, artrite, asma, tumori, malattie cardiache, disturbi epatici, uveite, cistite, dislipidemia, osteomielite, malattia di Raynaud, sepsi, sinusite, carie dentali, infezioni della cavità orale e del piede diabetico. Gli attuali usi dell’ozonoterapia in medicina veterinaria sono stati raccolti in una recentissima review pubblicata da Sciorsci et al. (2020) che include tutte le principali applicazioni, riportate dalla letteratura, dell’ozono sugli animali da reddito e da compagnia. Nella specie bovina l’O3 è stato utilizzato per il trattamento di mastiti cliniche-subcliniche, urovagina, metriti e
ritenzioni di placenta. Alcuni studi hanno anche riscontrato un’efficacia comparabile, o addirittura superiore, ai trattamenti antibiotici nei casi di ritenzione di placenta in capre e pecore. E’ opportuno, inoltre, segnalare che, attualmente, il nostro gruppo di ricerca sta effettuando una sperimentazione, mediante l’uso di ozono per il trattamento delle peritoniti nelle bovine da latte. I dati finora ottenuti sono assolutamente incoraggianti (dati non pubblicati). Nel cavallo, l’autoemoterapia permette di migliorare la capacità antiossidante prima dell’attività fisica. Inoltre, l’ozono si è dimostrato più efficace rispetto al trattamento con antibiotici nei casi di mastite. Anche nei soggetti affetti da osteoartrite l’O 3 potrebbe essere un’alternativa alle classiche terapie antiinfiammatorie. Nel maiale e nel cane la somministrazione di ozono per il trattamento dell’ernia del disco intervertebrale ha ottenuto risultati promettenti. Le applicazioni sul cane si sono dimostrate efficaci anche nel trattamento di patologie oculari (riduzione della carica batterica superficiale oculare, endoftalmiti, estrazioni di cataratta). In conclusione, l’uso dell’ozono in medicina veterinaria si rivela un’ottima soluzione terapeutica in quanto non presenta dei tempi di sospensione e permette di ridurre notevolmente l’uso di antibiotici e chemioterapici, abbattendo, così, il rischio di antibiotico-resistenza. Ozone therapy in veterinary medicine: A review Sciorsci R.L., Lillo E., Occhiogrosso L. e Rizzo A.
Research in Veterinary Science 130 (2020) 240–246 doi.org/10.1016/j.rvsc.2020.03.026 La kisspeptina e le cisti follicolari bovine Le kisspeptine (KP), molecole di recente scoperta, sono coinvolte nel controllo dell’asse riproduttivo (Gottsch et al., 2004). Si tratta di peptidi ipotalamici derivanti da un precursore, la prepro-kisspeptina, proteina di 145 amminoacidi codificata dal gene KISS 1 (Shahab et al., 2005). Dal suo clivaggio si formano diversi peptidi, tra cui la KP10 che sembra avere un ruolo essenziale nel differenziamento sessuale e nell’attivazione puberale. La KP10 promuove inoltre il rilascio di GnRH (Dhillo et al., 2005) e regola l‘ovulazione (Castellano et al., 2006). Brown et al. (2012) hanno dimostrato che, in un modello di policistosi ovarica nel ratto, vi è una anormale espressione della KP a livello cerebrale che potrebbe contribuire alle molteplici alterazioni osservate in questa patologia. Lo scopo del lavoro è stato quello di valutare le concentrazioni di KP10 in bovine con diagnosi di cisti follicolari (gruppo CF) e bovine normalmente cicliche (gruppo E). Le bovine con diagnosi di cisti follicolari sono state reclutate dopo avere eseguito due esami clinici, a 10 giorni di distanza l’uno dell’altro. Tali esami consistevano in esplorazione ed ecografia trans rettale eseguita con sonda lineare multifrequenza (5-10 MHz, settata a 7,5 MHz)
(SonoSite, MicroMaxx Bothell, WA, USA), e in un controllo ematologico per valutare la progesteronemia (P4 < 1 ng/mL). Il calore è stato desunto sulla scorta dell’osservazione dei segni tipici (aumentata fonazione, locomozione, irrequietezza e presenza di uno scolo sieroso, filante e trasparente che pende dalla porzione ventrale della commessura vulvare e giunge quasi a toccare il suolo senza rompersi) e a seguito di un esame clinico con esplorazione rettale (presenza di un utero tonico, follicolo con parete tesa e fluttuante di circa 2 cm). Su tutte le bovine sono stati eseguiti dei prelievi ematici: nel gruppo CF subito dopo la conferma di diagnosi di cisti follicolari; nel gruppo E, il giorno del calore. Il dosaggio della KP10 è stato effettuato con metodo radioimmunologico (RIA) con un kit destinato alla rilevazione della kisspeptina umana (Phoenix Pharmaceuticals, Inc. Burlingame, CA, USA; range 10-1280 pg/mL; specificità: 100%), poiché ad oggi non esistono test analoghi per la specie bovina. Si è preferito usare un kit specifico per l’uomo, in quanto la KP umana e bovina differiscono solo per un aminoacido (Oakley et al., 2009). Prima del dosaggio sui campioni di sangue, il kit è stato validato per il dosaggio della KP bovina, come descritto da Mondal et al. (2015). Gli estrogeni e il progesterone sono stati dosati rispettivamente con il 17-beta estradiolo ELISA kit (sensibilità 10 pg/mL; specificità del 100%) e progesterone ELISA kit (sensibilità 8.57 pg/mL; specificità 100%) (Enzo ® Life Sciences, Postfach, Svizzera). I dati ottenuti sono espressi come medie ± D.S. e sottoposti ad analisi statistica usando il programma IBM SPSS Statistics 19 (IBM Software Group Corporation, Somers, NY, USA). Per il
confronto tra gruppi è stato utilizzato il Test T di Student per variabili indipendenti e valori per p
Castellano JM, Gaytan M, Roa J, Vigo E, Navarro VM, Bellido C, Dieguez C, Aguilar E, Sá ncez-Criado JE, Pellicer E, Pinilla L, Gaytan F, Tena-Sempere M. Expression of KiSS-1 in rat ovary: putative local regulator of ovulation? Endocrinology 2006 147:4852–4862. Dhillo WS, Chaudhri OB, Patterson M, Thompson EL, Murphy KG, Badman MK, McGowan BM, Amber V, Patel S, Ghatei MA. 2005Kisspeptin-54 stimulates the hypothalamic–pituitary–gonadal axis in human males. Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism 2005 90: 6609–6615. Gottsch ML, Cunningham MJ, Smith JT, Popa SM, Acohido BV, Crowley WF, Seminara S, Clifton DK, Steiner RA. A role for kisspeptins in the regulation of gonadotropin secretion in the mouse. Endocrinology 2004 145:4073-4077. Mondal M, Baruah KK, Prakash BS. Determination of plasma kisspeptin concentrations during reproductive cycle and different phases of pregnancy in crossbred cows using bovine specific enzyme immunoassay. Gen Comp Endocrinol 2015 224:168–175. Mutinati M, Rizzo A, Sciorsci RL. Cystic ovarian follicles and thyroid activity in the dairy cow. Animal Reproduction Science 2013 138: 150– 154. Sciorsci RL, Rizzo A, Robbe D, Minoia P. Le cisti follicolari nella bovina. In: Proceedings of the 1st Congress of the Italian Society of Animal Reproduction (S.I.R.A.), Vico Equense, Napoli, Italy, pp. 98–107, 2003. Shahab M, Mastronardi C, Seminara SB, Crowley WF, Ojeda SR, Plant TM. Increased hypothalamic GPR54 signaling: a potential mechanism for initiation of puberty in primates. Proc Natl Acad Sci USA 2005 102: 2129–2134.
Kisspeptin and bovine follicular cysts Rizzo A., Piccinno M., Ceci E., Pantaleo M., Mutinati M., Roncetti M., Sciorsci R.L. Veterinaria Italiana, 2018; 54(1): 29-31. doi: 10.12834/VetIt.1014.5413.3 Kisspeptine e cisti follicolari nelle bovine Una nuova famiglia di molecole, le kisspeptine (KP), interessate al controllo dell’asse riproduttivo, è stata scoperta di recente (Gottsch et al., 2004). Si tratta di peptidi ipotalamici derivanti da un precursore, prepro- kisspeptina, proteina di 145 amminoacidi, codificata dal gene Kiss1 (Shahab et al., 2005). Dal clivaggio di tale proteina, si formano diversi peptidi, tra cui la KP10 che sembra avere un ruolo essenziale nel differenziamento sessuale e nell’attivazione puberale. Tale molecola è uno straordinario promotore di rilascio di GnRH (Dhillo et al., 2005) e svolge un ruolo chiave nella regolazione dell’ovulazione (Castellano et al., 2006) e nel controllo metabolico della fertilità (Castellano et al., 2005). Brown et al. (2012) hanno dimostrato, in un modello di policistosi ovarica nel ratto, una normale espressione della KP, a livello cerebrale, che può contribuire alle molteplici alterazioni osservate in questa patologia. Sulla scorta di tali premesse, scopo di questo studio è stato quello di valutare le concentrazioni di KP10, in bovine con diagnosi di cisti follicolari (gruppo CF) e bovine normalmente
cicliche (gruppo E). Le bovine con diagnosi di cisti follicolari sono state reclutate dopo avere eseguito due visite cliniche a 10 giorni di distanza l’una dall’altra. Tali esami consistevano in un’esplorazione trans rettale completata da ecografia, eseguita con una sonda lineare multifrequenza (5-10MHz, settata a 7,5 MHz) (SonoSite, MicroMaxx Bothell, WA, USA), ed in un controllo ematologico per valutare la progesteronemia (P4 < 1ng/mL). Il calore è stato desunto sulla scorta dell’osservazione dei segni tipici (aumentata fonazione, locomozione, irrequietezza e presenza di scolo sieroso, filante e trasparente, che pende dalla porzione ventrale della commessura vulvare e giunge quasi a toccare il suolo senza rompersi) e con un esame clinico con esplorazione rettale (presenza di un utero tonico, follicolo con parete tesa e fluttuante, di circa 2 cm). Su tutte le bovine sono stati eseguiti dei prelievi ematici, nel gruppo CF subito dopo la conferma di diagnosi di cisti follicolari, nel gruppo E il giorno del calore. Il dosaggio della KP10 è stato effettuato con metodo radioimmunologico (RIA) con kit destinato alla rilevazione della kisspeptina umana (Phoenix Pharmaceuticals. Inc. Burlingame, CA, USA; range 10-1280 pg/mL; specificità: 100%) poiché ad oggi non esistono test analoghi per la specie bovina. Si è preferito usare un kit specifico per l’uomo, in quanto la KP umana e bovina differiscono solo per un amminoacido (Oakley et al., 2009). Prima del dosaggio sui campioni di sangue, il kit è stato validato per il dosaggio del KP bovina, come descritto da Mondal et al. (2015). Gli estrogeni e il progesterone sono stati dosati, rispettivamente, utilizzando il 17-beta estradiolo ELISA kit (sensibilità 10 pm/mL; specificità del 100%) e il progesterone ELISA kit (sensibilità 8.57 pg/mL; specificità 100%)
(Enzo Life Sciences, Postfach, Svizzera). I dati ottenuti sono stati espressi come medie ± D.S. e sottoposti ad analisi statistica usando il programma IBM SPSS Statistics 19 (IBM Software Group Corporation, Somers, NY, USA). Per il confronto gruppi è stato utilizzato il Test T di Student per variabili indipendenti e valori per p
ovary syndrome (PCOS). Brain Res, 1467, 1-9. Calder, M.D., Manikkam, M., Salfen, B.E., Youngquist, R.S., Lubahn, D.B., Lamberson, W.R., Garverick, H.A., (2001). Dominant bovine ovarian follicular cysts express increased levels of messenger RNAs for luteinizing hormone receptor and 3β-hydroxysteroid dehydrogenase 4, 5 isomerase compared to normal dominant follicles. Biol Reprod, 65, 471-476. Castellano, J.M., Gaytan, M., Roa, J., Vigo, E., Navarro, V.M., Bellido, C., Dieguez, C., Aguilar, E., Sánchez-Criado, J.E., Pellicer, A., Pinilla, L., Gaytan, F., Tena-Sempere, M., (2006). Expression of KiSS-1 in rat ovary: putative local regulator of ovulation? Endocrinology, 147(10): 4852-4862. Castellano, J.M., Navarro, V.M., Fernandez-Fernandez, R., Nogueiras, R., Tovar, S., Roa, J., Vazquez, M.J., Vigo, E., Casanueva, F.F., Aguilar, E., Pinilla, L., Dieguez, C, Tena- Sempere, M., (2005). Changes in hypothalamic KiSS-1 system and restoration of pubertal activation of the reproductive axis by kisspeptin in undernutrition. Endocrinology, 146: 3917–3925. Dhillo, W.S., Chaudhri, O.B., Patterson, M., Thompson, E.L., Murphy, K.G., Badman, M.K., McGowan, B.M., Amber, V., Patel, S., Ghatei, M.A., Bloom, SR. (2005). Kisspeptin-54 stimulates the hypothalamic-pituitary gonadal axis in human males. J. Clin. Endocrinol. Metab.; 90(12): 6609-6615. Gottsch, M.L., Cunningham, M.J., Smith, J.T., Popa, S.M., Acohido, B.V., Crowley, W.F., Seminara, S., Clifton, D.K., Steiner, R.A., (2004). A role for kisspeptins in the regulation of gonadotropin secretion in the mouse. Endocrinology, 145: 4073– 4077. Mondal, M., Baruah, K.K. & Prakash, B.S., (2015) Determination of plasma kisspeptin concentrations during reproductive cycle and different phases of pregnancy in crossbred cows using bovine specific enzyme immunoassay. General and Comparative Endocrinology, 224, 168-175.
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tra il parto e la completa involuzione dell’utero (Sheldon et al., 2008). In questo particolare periodo della vita riproduttiva della bovina si verificano alcuni eventi importanti, quali l’involuzione uterina, l’eliminazione della contaminazione batterica, la rigenerazione endometriale e il ritorno del ciclo ovarico (Arthur, 2001). Diversi approcci farmacologici sono utilizzati per condizionare l’evolversi del postpartum, tutti incentrati sul modulare l’attività contrattile dell’utero. Attualmente, negli allevamenti bovini, sono ampiamente usati farmaci ecbolici quali ossitocina, farmaci ossitocino-simili e analoghi naturali/sintetici delle PGF2α (Giama et al., 1976; Lindell e Kindahl et al., 1983; Vigo et al., 2001). È stato dimostrato che il parasimpatico modula l’attività contrattile dell’utero, favorendo la vascolarizzazione e stimolando la secrezione dalle ghiandole cervicali (Hammarstrom, 1989; Yuko et al., 1996). Tali attività sono mediate dal neurotrasmettitore acetilcolina che si lega ai recettori muscarinici, M2 e M3. Il legame con il recettore M2 impedisce il rilassamento dell’utero, il legame con il recettore M3 ne promuove la contrazione (Kitazawa et al., 2008). La distribuzione del recettore è influenzata dall’ormone predominante: l’attività estrogenica stimola la sintesi del recettore M2, riducendo quella del recettore M3. Entro le 24 ore successive al parto, gli estrogeni sono ancora presenti in alte concentrazioni e, pertanto, i recettori M2 sono i sottotipi del recettore muscarinico maggiormente espressi (Katsuhiko et al., 2014). Recentemente, inoltre, è stato dimostrato che anche l’utero possiede un “attivatore” della contrattilità, simile a quelli presenti a livello cardiaco o intestinale. A differenza del cuore, l’utero presenta numerosi pacemakers distribuiti attraverso tutto l’organo che si devono contrarre in maniera coordinata (Young, 2018). Partendo da tali premesse, l’obiettivo di questo studio è
stato quello di valutare l’effetto della somministrazione, entro 24 ore dal parto, di un farmaco antimuscarinico, la scopolamina (Spasmolax®-ATI Srl-Ozzano dell’Emilia, Bologna, Italia), per indurre e regolarizzare l’involuzione uterina nelle vacche da latte. La scopolamina è un antagonista competitivo dei recettori muscarinici e svolge attività parasimpaticolitica, in quanto blocca il sistema parasimpatico. A differenza dell’atropina, altro farmaco parasimpaticolitico, la scopolamina risulta in forma non- ionizzata, presentando in tal modo una maggiore liposolubilità e, conseguente, miglior capacità di attraversamento delle membrane cellulari. La scopolamina è usata nel controllo degli spasmi della muscolatura liscia; per esempio, è utilizzata come spasmolitico contro ipermotilità gastroenterica, uterina, urinaria, biliare e bronchiolare (Booth et al., 1988; Rossi e Cuomo, 2005). Sono state selezionate 40 vacche dopo il parto, tra la terza e la quinta lattazione, tutte esenti da malattie infettive e infestive, con parti eutocici e senza ritenzione placentare. Le bovine sono state divise in due gruppi: gruppo T (trattato con scopolamina butilbromuro 40 mg/100 kg PV, entro 24 h dal ® parto Spasmolax , ATI, Srl- Ozzano dell’Emilia, Bologna, Italia) e gruppo C (trattato con 2 ml/q di soluzione salina, NaCl 0,9%). Le vacche sono state monitorate a T0, entro 24 ore dalla somministrazione, T7, T14, T28 e T40 rispettivamente al 7°, 14°, 28° e 40° giorno dopo il parto, misurando i livelli di idrossiprolina (HYP), un importante marker dell’involuzione uterina. Mediante esame ecodoppler sono state effettuate la misurazione del diametro del corno uterino e la valutazione dell’indice di pulsatilità e di resistenza, a livello di arteria uterina media. Sono stati, inoltre, considerati gli indici riproduttivi, monitorando l’intervallo parto- concepimento e le percentuali di gravidanza.
Dall’analisi dei dati ottenuti è risultato che l’HYP ha presentato concentrazioni più elevate nel gruppo T rispetto al gruppo C, con una differenza statisticamente significativa a T7 e T40. Ciò indica un maggiore riassorbimento della componente “collagene” e, quindi, una migliore involuzione uterina. Tale risultato è stato corroborato dai reperti ecografici che mostrano una riduzione del diametro uterino da T7 a T40, con valori più bassi nelle bovine trattate rispetto a quelle controllo. Per quanto riguarda l’indice di pulsatilità dell’arteria uterina media è stato riscontrato un aumento nel gruppo trattato rispetto al controllo, con una differenza statisticamente significativa a T7. È stato, infine, osservato un migliore intervallo parto-concepimento e una percentuale di gravidanza più alti nel gruppo T. Da questi risultati è possibile ipotizzare che la scopolamina abbia temporaneamente bloccato le contrazioni dell’utero, nel post partum, per la durata della sua emivita (2-3 ore) e, che, in seguito alla scomparsa dell’effetto farmacologico indotto dalla scopolamina, l’utero abbia iniziato a contrarsi più efficacemente e in maniera regolare (effetto rebound) (Teixeira, 2013). Pertanto, possiamo concludere che la scopolamina è una valida alternativa all’approccio farmacologico con sostanze ecboliche tradizionali, come prostaglandine e ossitocina, nella gestione del post partum delle vacche da latte. È preferibile, infatti, che si abbia una regolarizzazione della contrattilità uterina piuttosto che ipocinesia (contrazioni poco frequenti, o di breve durata o poco intense), o ipercinesia (contrazioni molto frequenti, prolungate o intense) o addirittura discinesia (contrazioni irregolari, propagazione anomala, o abnorme elevazione del tono basale). Tali aberrazioni della fisiologica contrattilità, non essendo funzionali, bloccano o ritardano la restitutio ad integrum del tessuto.
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Shalit, 2003). Diversi studi hanno, inoltre, dimostrato che la terapia antibiotica è in grado di influenzare la contrattilità della muscolatura liscia (Paradelis et al., 1982; Paradelis et al., 1982a; Tagaya et al., 1995; Di Nucci et al., 1998; Granovsky-Grisaru et al., 1998; Celik et al., 2001; Celik et al., 2002; Celik e Ayar, 2002; Ocal et al., 2004; Akar et al., 2010). L’eritromicina, per esempio, è in grado di stimolare l’attività contrattile delle fibrocellule muscolari lisce di stomaco e duodeno, probabilmente agendo sui recettori della motilina (Peeters et al., 1989; Collard et al., 1999) e sembra, inoltre, determinare un aumento dell’ampiezza e della frequenza di contrazione anche nel miometrio di ratto; probabilmente, l’effetto è mediato dai recettori istaminergici H1 e dai canali del calcio (Liu et al., 2003). Secondo altri studi questo antibiotico, così come la claritromicina, la neomicina, la gentamicina e la clindamicina, determinerebbe, al contrario, un rilassamento della contrattilità miometriale (Phillipe 1994; Kadanali et al. 1996; Celik e Ayar, 2002). L’utilizzo nella pratica buiatrica di antibiotici dotati di un effetto miorilassante sulla muscolatura uterina potrebbe, pertanto, compromettere i fisiologici fenomeni di self- cleaning e ritardare la restitutio ad integrum dei soggetti trattati (Slama et al., 1991; Hirsbrunner et al., 2002; Ocal et al., 2004). D’altro canto, la possibilità di utilizzare farmaci antimicrobici in grado di stimolare la contrattilità miometriale potrebbe, in virtù dell’azione antibatterica e per l’azione meccanica di drenaggio dei fluidi, facilitare la sterilizzazione dell’utero durante il post-partum (Ocal et al., 2004). Sulla base di tali premesse, si è voluto testare, in vitro, l’attività di alcuni antibiotici di uso comune nella pratica buiatrica sulla contrattilità dell’utero bovino nelle diverse
fasi del ciclo estrale. In particolare, è stata valutata l’attività di amoxicillina, rifaximina ed enrofloxacin, antibiotici appartenenti rispettivamente alle β-lattamine, alle rifamicine e ai fluorochinoloni e, notoriamente, impiegati nel trattamento delle metriti (Drillich et al., 2001; Minoia et al., 2004; Markandeya et al., 2010). Dai risultati è emerso che tutti e tre gli antibiotici hanno manifestato un’attività modulatoria sulla contrattilità uterina, differente per effetto e durata d’azione. L’amoxicillina ha indotto una riduzione della contrattilità basale in entrambe le fasi del ciclo. In virtù di tali risultati, l’uso dell’amoxicillina in gravidanza, potrebbe coadiuvare e intensificare la quiescenza indotta dal progesterone (Leonhardt e Edwards, 2002). Al contrario, l’utilizzo della stessa nel post-partum potrebbe inficiare il self-cleaning uterino. Per quanto riguarda la rifaximina, la sua azione modulatoria sulla contrattilità dell’utero bovino ha manifestato un duplice effetto: in fase follicolare essa modula positivamente (incremento dell’attività tonica del tessuto) la contrattilità miometriale, mentre, in fase luteale, induce un rilassamento della muscolatura uterina. E’ ipotizzabile che l’effetto indotto dalla rifaximina sia sotto il controllo degli ormoni steroidei predominanti nelle diverse fasi del ciclo, rispettivamente estrogeni (fase follicolare) e progesterone (fase luteale). Alla luce di quanto esposto, la rifaximina potrebbe, quindi, trovare una duplice indicazione: favorire il self-cleaning uterino in corso di metrite subacuta e risultare utile nel trattamento della gravidanza. Ciò, è possibile in quanto la rifaximina, oltre ad agire selettivamente sull’RNA polimerasi della cellula procariote, è in grado di intensificare la quiescenza indotta dal progesterone sulla contrattilità uterina. Ulteriori studi sono, invece, necessari per chiarire
l’utilizzo di questo antibiotico nel trattamento della metrite acuta, dove non è presente un quadro ormonale preponderante, in quanto la patologia si realizza prima della riattivazione funzionale dell’asse riproduttivo. L’enrofloxacin è, invece, responsabile di un’azione eccitatoria sulla contrattilità e, pertanto, potrebbe rappresentare un’ottima scelta per il trattamento della ritenzione placentare e di tutte le forme di metrite, compresa la metrite cronica in associazione alle ProstaglandineF 2α . L’effetto contratturante dell’enrofloxacin non risente, infatti, di alcun condizionamento dettato dagli ormoni steroidei. E’, inoltre, ipotizzabile che, come dimostrato sull’intestino (Serio e Daniel, 1989; Mulholland e Simeone, 1993), tale fluorochinolone possa determinare, anche a livello uterino, il rilascio di ProstaglandineF2α, utili a stimolare la contrattilità miometriale e innescare il processo di luteolisi. Da un punto di vista clinico, il nostro studio fornisce, per i tre antibiotici testati, un punto di partenza per nuove indicazioni in ambito buiatrico. Ulteriori studi sono, tuttavia, necessari per valutare il meccanismo d’azione degli antibiotici testati e valutarne l’effetto in associazione con sostanze ecboliche, normalmente utilizzate nel post-partum della bovina da latte. Estratto da Piccinno M., Rizzo A., Maselli M.A., Derosa M., Sciorsci R.L. (2014). Modulatory effect of three antibiotics on uterus bovine contractility in vitro and likely therapeutic approaches in reproduction. Theriogenology. 82(9): 1287-1295. Bibliografia Akar Y., Kara H., Servi K., Yildiz H. (2010). The effect of danofloxacine on in vitro rat myometrium. Pak. Vet. J. 30(4):
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Paradelis A.G., Triantaphyllidis C., Tarlatzis B.C., Tsouras J.S., El-Messidi M.M., Papaloucas A.C. (1982a). Interaction of aminoglycoside antibiotics with oxytocin and prostaglandin E2 on uterine contractility. Methods Find. Exp. Clin. Pharmacol. 4(5): 343-345. Peeters T., Matthijs G., Depoortere I., Cachet T., Hoogmartens J., Vantrappen G. (1989). Erythromycin is a motilin receptor agonist. Am. J. Physiol. 257(3 Pt 1): G470-474. Phillippe M. (1994). Neomycin inhibition of hormone-stimulate smooth muscle contractions in myometrial tissue. Biochem. Biophys. Res. Commun. 205(1): 245-250. Serio R., Daniel E.E. (1989). Eicosanoids and peripheral neurotransmission. Prostaglandins Leukot. Essent. Fatty Acids. 38(4): 237-246. Slama H., Vaillancourt D., Goff A.K. (1991). Pathophysiology of the puerperal period: Relationship between prostaglandin E2 (PGE2) and uterine involution in the cow. Theriogenology. 36(6): 1071-1090. Tagaya E., Tamaoki J., Takemura H., Chiyotani A., Konno K. (1995). Effect of ciprofloxacin on contractile responses of canine airway smooth muscle. Kansenshogaku. Zasshi. 69(4): 404-407. Autori: Piccinno M., Rizzo A., Maselli M.A., Derosa M., Sciorsci R.L. Corpora non agunt nisi fixata Corpora non agunt nisi fixata è la frase che sintetizza il pensiero e l’intuizione di Paul Ehrlich che definisce, in modo
chiaro e preciso, il concetto di “Recettore”, pietra miliare della farmacologia molecolare. Il termine recettore si riferisce a macromolecole (proteine) in grado di “captare” un segnale chimico, trasdurlo e indurre una variazione cellulare, tissutale o di organo. In pratica, indica il bersaglio molecolare degli ormoni e dei farmaci, con riferimento ad azioni “specifiche” degli stessi. Le attività ormonali e/o farmacologiche “specifiche” presuppongono alcuni requisiti fondamentali, che possono essere riassunti come segue: Elevata specificità tra ormone e/o farmaco e recettore; Selettività di legame; Amplificazione del segnale ormonale; Capacità di trasduzione del segnale biochimico; Reversibilità del legame. L’ormone riconosce un sito allosterico specifico del recettore, si stabilisce un legame chimico e si innesca la catena di eventi che porterà all’amplificazione del segnale, alla trasduzione dello stesso e, infine, alla risposta biologica. La selettività del legame è determinata dalle caratteristiche del recettore e del farmaco, cioè dalla loro “geometria” molecolare, dalla particolare posizione dei rispettivi gruppi reattivi e dalla flessibilità configurazionale. Attualmente, esiste l’evidenza che alcune piccole molecole possono, a loro volta, attivare o inibire i recettori per gli ormoni glicoproteici (FSH, LH, TSH…), attraverso il legame su siti allosterici del recettore stesso (Nataraja et al., 2015). L’interazione degli ormoni e/o dei farmaci con i recettori specifici presuppone un’azione di tipo reversibile. Infatti, i legami chimici che si possono formare in una frazione acquosa extra e intracellulare, tra sostanze che giungono a contatto, possono essere ad alta o bassa energia. Questi ultimi sono i
più comuni e sono rappresentati da legami ionici con carica opposta, ponti idrogeno, forze di Van Der Waals e interazioni idrofobiche. Questi legami sono relativamente poco stabili e hanno in comune la caratteristica di richiedere un’energia di 20-200 volte inferiore rispetto a quella necessaria per rompere i legami covalenti (legami ad alta energia che tengono insieme gli atomi di una stessa molecola). Affinché il contatto tra un farmaco o un ormone e il suo recettore persista per il tempo necessario e sufficiente a generare l’effetto biologico, occorre che il numero dei legami a bassa energia sia relativamente elevato (Paoletti et al., 1996). Inoltre, il fatto che l’ormone e il recettore siano collegati tra loro da forze chimiche deboli, risulta determinante in quanto l’attività, nella maggior parte dei casi, ovvero in condizioni fisiologiche, è limitata nel tempo. L’interazione ormone-recettore è in questo caso reversibile e provoca scissione del legame. Quando, invece, il numero dei legami chimici deboli è estremamente elevato o si verificano variazioni strutturali a livello di recettori, l’energia presente nel sistema biologico può non essere sufficiente a provocare la reazione desiderata. In tal caso, il legame è più stabile e, spesso, si tratta di legami covalenti tra ormone e recettore. L’incapacità di scissione del complesso ligando- recettore provoca un’attivazione prolungata del sistema stesso che determina uno stato di patologia più o meno conclamata. Per quanto concerne la trasduzione del segnale ci si riferisce, invece, alla capacità del recettore di “leggere” il messaggio ormonale e trasformarlo in effetto biologico. Questa complessa e coordinata attività recettoriale riconosce e definisce a livello clinico una specifica situazione, responsabile dello stato fisiologico e/o patologico del soggetto. E’ noto infatti come numerose patologie endocrine siano determinate da alterazioni della funzione recettoriale, per cui gli elementi riceventi (recettori) diventano incapaci di “sintonizzarsi” correttamente sul segnale. Tali patologie
sono caratterizzate da una resistenza periferica all’ormone e possono dipendere da alterazioni genetiche (selezione), dall’incapacità delle cellule di regolare la quantità e la sensibilità dei recettori (down, up-regulation e desensitizzazione), da anomalie dei meccanismi di trasduzione (presenza di proteine allosteriche in grado di alterare i meccanismi di trasduzione) o dalla presenza di anticorpi anti- recettori (Cella, 2004). E’, ad esempio, il caso dell’eccessivo e sconsiderato uso di GnRH che, quando somministrato in dosi massive e inappropriate, non induce alcun effetto, o addirittura provoca un effetto opposto e controproducente. In tale ottica, risulta fondamentale eseguire, prima di qualsiasi trattamento ormonale, una visita clinica completa e accurata perché, come già osservato, a un determinato quadro clinico, corrisponde una particolare situazione recettoriale. Ad esempio, nella bovina, un follicolo preovulatorio “normale”, di dimensioni da 1.7 a 2.0 cm, con parete tesa e fluttuante, riconosce sulla parete follicolare un adeguato numero di recettori per l’LH, a livello di teca interna e di FSH, sulla granulosa. Su quest’ultima, al momento dell’ovulazione, vi sarà la comparsa di recettori per l’LH, che innesca il vero e proprio processo ovulatorio. E’ questo, peraltro, il momento opportuno per un trattamento terapeutico con GnRH o hCG teso a indurre o favorire l’ovulazione. In questa fase, i recettori sono in numero sufficiente e assolutamente “responsivi” allo stimolo ormonale. Al di fuori di questo particolare momento, il trattamento ormonale inteso ad indurre l’ovulazione potrebbe, nella migliore delle ipotesi, non funzionare o, se ripetuto nel tempo, determinare una vera e propria “patologia recettoriale”. In altri termini, i trattamenti di sincronizzazione e/o induzione dell’estro, con fecondazione artificiale a tempi prestabiliti, senza un’idonea visita clinica, sono, nella maggior parte dei casi, destinati a non funzionare, rappresentando solo un aggravio economico per l’allevatore. Le terapie ormonali e la
fecondazione artificiale alla cieca, effettuate, come già osservato in precedenza, senza un esame clinico adeguato, comportano un’asincronia tra ovulazione e presenza di spermatozoi nella tuba, con conseguente ipofertilità della mandria. In conclusione, la capacità delle cellule, dei tessuti e degli organi di rispondere a stimoli esterni, ormonali e/o farmacologici, non può e non deve prescindere da un’accurata e completa visita clinica, previa l’inefficacia e/o il danno indotto dai trattamenti farmacologici. Bibliografia: Cella SG. Il segnale endocrino nella comunicazione cellulare. In: Paoletti R., Nicosia S., Clement F., Fumagalli G. “Biologia, farmacologia clinica del sistema endocrino”. Ed. UTET Torino, 2004. Nataraja SG, Yu HN, Palmer SS Discovery and development of small molecule allosteric modulators of glycoprotein hormone receptors. Front. Endocrinol. 6: 142, 2015. Testi consultati: Paoletti R., Nicosia S., Clement F., Fumagalli G. Farmacologia generale e molecolare. Ed. UTET Torino, 2004. Segre G. “Principi biologici e matematici” In: Genazzani E., Giotti A., Mantegazza P., Pepeu G., Periti P. Trattato di farmacologia e chemioterapia. Ed USES, Firenze, 1986. Autori: Sciorsci R.L., Rizzo A. Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti d’Organo – Università degli Studi Degli Studi di Bari “Aldo Moro” DOI: 10.17432/RMT.2015-2020
Clinica Mobile Veterinaria: Struttura medico veterinaria di pronto intervento per il miglioramento della didattica e la conservazione del patrimonio zootecnico pugliese La zootecnia costituisce un aspetto produttivo cardine dell’economia Pugliese. Dati ISTAT 2010 riportano una media di bovini censiti pari a 170000, 7500 bufalini, e ben 270000 ovi- caprini. Negli ultimi decenni, tuttavia, l’aumento tout court della pressione produttiva è esitato, per quel che attiene al comparto zootecnico, in un aumento dell’incidenza di patologie stress correlate che minano la fisiologia funzionale del sistema immunitario e alterano la sfera metabolica inducendo, di conseguenza, turbe ostetrico-ginecologiche. A fronte del dilagare di questa situazione, il pur congruo numero e la pur adeguata preparazione e validità professionale dei Veterinari Liberi Professionisti, non sempre riescono a farsi garanti della completa risoluzione delle complesse patologie degli animali d’allevamento. In tale ottica si inquadra l’Unità di Clinica Mobile Veterinaria, coordinata dal Prof. Raffaele Luigi Sciorsci e afferente alle strutture universitarie dell’ex Facoltà di
Medicina Veterinaria di Bari. Tale presidio, nato nel Giugno del 2013, si avvale di un pulmino a 9 posti, corredato di complete attrezzature veterinarie mediche, ostetriche e chirurgiche (tra cui un eco-colordoppler) necessarie all’espletamento delle attività di campo. Essa punta ad offrire, negli allevamenti zootecnici presenti sul territorio pugliese, un servizio di pronto intervento, con la referenza del Veterinario Aziendale. Sin dagli esordi ad oggi, l’Unità di Clinica Mobile Veterinaria ha affrontato ben 351 casi su bovini, bufali, ovi- caprini e suini, con approcci terapeutici clinici e chirurgici d’elezione. In dettaglio, gli interventi più frequenti e rappresentativi dell’attività svolta riguardano l’apparato riproduttivo (taglio cesareo, anche in presenza di macrosomia fetale, macerazione fetale o torsione completa dell’utero, ovariectomie, orchiectomie in soggetti criptorchidi, rimozione chirurgica di fibro-papillomi penieni, colpo-vulvo-retto- plastica per la risoluzione di fistole retto-vaginali), tegumentario (ricostruzioni del capezzolo, rimozione chirurgica di fibro-papillomi mammari), digerente (glossectomie, esofagotomie, ruminotomie contestuali o meno a risoluzione della dislocazione abomasale), risoluzione chirurgica di ernie inguinali e ombelicali, ecc. L’esigenza di soddisfare le direttive dell’European Association of Establishments for Veterinary Education (EAEVE) in termini di educazione e formazione degli studenti, ha funto da sprone per l’istituzione dell’Unità di Clinica Mobile Veterinaria che rappresenta, per i futuri veterinari, un’occasione rara ed imperdibile di apprendimento, caratterizzata dall’affiancamento sistematico dei docenti e dalla possibilità di partecipare direttamente alle attività clinico-chirurgiche, ostetrico-ginecologiche e mediche svolte, in un continuum tra le nozioni teoriche apprese e la loro messa in atto. Peraltro, la Clinica Mobile, fornisce agli studenti l’occasione di interfacciarsi con l’industria agro-
zootecnica, rappresentando, quindi, un trait d’union tra mondo accademico e lavorativo, nell’ottica di apprendere conoscenze e tecniche veterinarie all’avanguardia e di integrarsi, nel modo meno traumatico possibile, nel mondo del lavoro. A quanto detto finora, bisogna aggiungere che tale attività, oltre alle esigenze accademiche a cui ottempera, risponde anche alle richieste sanitarie territoriali, favorisce l’economia dell’allevatore, in termini di riduzione del numero di capi destinati al macello, e agevola il Veterinario Libero Professionista che mantiene la gestione di un caso clinico “difficile”, al quale avrebbe dovuto, in alternativa, rinunciare. Inoltre, essendo la Clinica Mobile una gemmazione accademica, rappresenta la chiave di volta di una sinergia tra ricerca e attività in campo, in cui entrambe le parti si potenziano, si stimolano e si accrescono mutuamente. In tale sinergia rientra, senza ombra di dubbio, l’adozione puntuale di sistemi di dosaggio, in campo e in tempo reale, di diverse sostanze quali antiossidanti, radicali liberi, ormoni, al fine di ridurre le tempistiche diagnostiche e, di conseguenza, l’approccio terapeutico alle disfunzioni metabolico-endocrine eventualmente in atto. Oltre a quanto fin qui esposto, l’adozione, laddove richiesto e in presenza di compatibili condizioni cliniche, di farmaci fito- e omo-terapici da soli o in associazione ai farmaci tradizionali, consente all’allevatore la contemporaneità della terapia e del recupero del latte dell’animale trattato, con una riduzione dell’impatto ambientale dell’allevamento stesso. Da quanto su descritto, si evince che la Clinica Mobile Veterinaria diviene ingranaggio strategico nel processo di ottimizzazione della didattica, facendosi requisito fondamentale per una reale e raffinata formazione veterinaria, e implica ricadute positive in termini di tutela del patrimonio zootecnico, dell’economia degli allevatori,
riduzione dell’impatto ambientale degli allevamenti e ausilio imprescindibile per i Veterinari Liberi Professionisti. Autori: Raffaele Luigi Sciorsci, Annalisa Rizzo Effetti dell’acido mefepronico Effetti dell’acido mefepronico sulla stimolazione perossisomiale epatica ed il miglioramento dell’attività riproduttiva, nella bovina da latte. Il periodo di transizione, nella bovina da latte, è il periodo compreso tra le ultime tre settimane di gravidanza e le tre settimane successive al parto. In tale periodo la bovina, per soddisfare l’aumentata richiesta energetica, mobilita dal tessuto adiposo gli acidi grassi a lunga catena che vanno in circolo come acidi grassi non esterificati (NEFA) . L’eccessiva lipomobilizzazione può comportare l’accumulo di trigliceridi in sede epatica con sviluppo di steatosi e di patologie correlate, quali chetosi e dislocazione abomasale . Nel metabolismo lipidico e nella differenziazione degli adipociti sono coinvolti numerosi geni la cui azione è modulata dai peroxisome proliferators-activated receptors (PPARs), appartenenti alla superfamiglia dei recettori nucleari e presenti in tre isoforme (α, β/δ e γ). I PPAR α, abbondantemente espressi nei tessuti ad elevato
catabolismo lipidico, sono attivati da numerosi agonisti tra i quali l’acido mefepronico (MA) che promuove la ß-ossidazione perossisomiale e la gluconeogenesi epatica. Inoltre, nella bovina da latte, vi è una stretta relazione tra le disfunzioni epatiche e i disordini riproduttivi. D’altra parte, in questa specie, i PPARα e la β-ossidazione perossisomiale sono importanti per il catabolismo dei NEFA nel periparto. L’MA, commercializzato come Hepagen® (Fatro, Bologna, Italia), è utilizzato nella pratica clinica veterinaria per il trattamento della chetosi, delle malattie epatiche e nei casi di sindrome della vacca grassa. Uno studio recente, condotto da Rizzo et al. , ha voluto indagare l’efficacia dell’MA (Hepagen®) nel supportare la funzionalità epatica e metabolica e, di conseguenza, le performancesriproduttive nella bovina da latte. Il protocollo prevedeva la somministrazione di 50 mL di Hepagen® (corrispondenti a 5 g di MA) entro 24 ore e a distanza di 3 e 5 giorni dal parto. Il trattamento con MA stimolerebbe la secrezione di insulina da parte delle cellule β-pancreatiche, la sua attività a livello di recettori specifici e, più in generale, le funzioni metaboliche dell’organismo. Inoltre, nello stesso gruppo, a livello di epatociti, si evidenziava la progressiva diminuzione del contenuto lipidico, l’incremento del glicogeno, nonché una maggiore espressione dei recettori PPAR α (Figg. 1-3). Circa i parametri riproduttivi, il loro miglioramento, dopo somministrazione di MA (Tab. 1), sembrava dipendere dalla migliore funzionalità epatica, con incremento del colesterolo (noto precursore del P4), della funzionalità ovarica e del microambiente tubarico/uterino e con riduzione di patologie nel post partum. Gli Autori concludevano che l’MA si potrebbe considerare un
valido presidio veterinario nel migliorare la funzionalità epatica, in quanto in grado di ottimizzare il metabolismo ed i parametri riproduttivi nella bovina in postpartum. Fig. 1: Sezioni di fegato bovino colorate con blu di toluidina a D15 (15 giorni postpartum) e D30 (30 giorni postpartum) che evidenziano il contenuto di lipidi. B,C: Group CTL (bovine controllo); E,F: Group MA (bovine trattate con MA). CV: vena centrolobulare, frecce: vacuoli lipidici.
Fig. 2: Sezioni di fegato colorate con Ematossilina-PAS in cui si evidenzia il contenuto di glicogeno (rosso magenta), a D15 (15 giorni postpartum) e D30 (30 giorni postpartum). B, C: Gruppo CTL; E, F: Gruppo MA. CV: vena centrolobulare; frecce: vacuoli lipidici.
Fig. 3: Epatociti PPARα immuno-positivi a D15 (15 giorni postpartum) e D30 (30 giornipostpartum) nel Gruppo trattato (MA) e controllo (CTL). Gruppo MA vs Gruppo CTL: A, P
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