L'ASSISTENTE SOCIALE OGGI: PROFESSIONALITA' E FORMAZIONE
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L’ASSISTENTE SOCIALE OGGI: PROFESSIONALITA’ E FORMAZIONE di Maria Dal Pra Ponticelli • PREMESSA L’AS è il professionista che opera nei servizi sociali pubblici e privati con l’obiettivo di promuovere, organizzare e gestire una rete integrata di intereventi atti a realizzare gli orientamenti della politica socio-assistenziale degli enti locali. Vi è quindi uno stretto legame fra gli orientamenti della politica sociale e la conseguente legislazione sociale soprattutto del settore assistenziale e il mandato istituzionale dell’AS come “tecnico dell’assistenza” degli enti territoriali. Il servizio sociale realizza la propria professionalità nell’ambito del mandato sociale assegnatoli ma orientandola secondo i principi, i valori, gli obiettivi della propria specificità professionale. L’integrazione pertanto fra richieste dell’ente, aspettative dell’utenza e i propri irrinunciabili principi e valori è uno sforzo continuo della professione di AS che si realizza solo a condizione di: - tenere presenti e conoscere a fondo gli orientamenti delle leggi nazionali e regionali che istituiscono e regolano i servizi e gli interventi socio-assistenziali calandoli nel proprio contesto istituzionale e socio-culturale - approfondire continuamente lo studio del territorio nel quale opera evidenziandone sia i bisogni che le risorse, soprattutto del privato sociale, per capire quali siano i problemi emergenti e i servizi necessari per affrontarli e risolverli - riconoscere l’importanza e la necessità di una formazione continua come strumento per approfondire, ampliare, migliorare il proprio sapere, saper-fare e saper-essere professionale specifico, formulando un proprio progetto formativo permanente sia attraverso il contatto con l’università e altre sedi formative, sia attraverso lo sviluppo di una supervisione in servizio, sia attraverso la frequenza di corsi seminari convegni che favoriscano la conoscenza di altre realtà operative anche straniere. Se questi sono, a mio avviso, i poli su i quali ogni AS deve cercare, soprattutto oggi, di muoversi, vediamoli più a fondo esaminando su quali binari le leggi nazionali e regionali dell’ultimo decennio, con particolare riferimento alla legge quadro 328/2000, tendono ad indirizzare la professionalità dell’AS. Successivamente approfondiremo le prospettive sulla formazione di base e permanente che la riforma universitaria può fare intravedere, avendo aperto finalmente anche agli AASS l’intero percorso della carriera universitaria dalla Laurea in Scienze del Servizio sociale, alla laurea specialistica fino al dottorato di ricerca e a progetti e programmi di formazione permanente e ricorrente. • LA PROFESSIONALITA’ DELL’ASSISTENTE SOCIALE SECONDO LA PIÚ RECENTE LEGISLAZIONE SOCIO-ASSISTENZIALE Sono state emanate nell’ultimo decennio alcune importanti leggi nel settore socio-assistenziale e soprattutto la legge quadro di riforma dei servizi sociali, che contengono una serie di indicazioni che orientano la professione di AS su strade nuove ma anche ribadiscono con forza e chiarezza lo specifico del servizio sociale. Basta pensare alla L.285/97 sullo sviluppo di progetti per la tutela dei diritti dei minori, la L.237/98 e la L.68/99 sull’importanza di progetti individualizzati per l’inserimento lavorativo di soggetti marginali e handicappati, la L.40/98 che apre grandi prospettive per una concreta azione del servizio sociale territoriale nel processo di integrazione degli immigrati, la recente legge sul diritto 1
dei minori ad avere una famiglia che regola finalmente l’adozione internazionale e perfeziona il processo di adozione nazionale e di affidamento familiare puntando sul ruolo del servizio sociale per lo sviluppo di una maggiore solidarietà nella comunità locale, stesso obiettivo che sembra indicare la L.53/2000 su i congedi parentali, l’istituzione delle “banche delle ore”, le iniziative di sostegno familiare autogestite. Se poi esaminiamo la legge di riforma dei servizi sociali possiamo vedere come tutti gli orientamenti delle precedenti leggi vengano ribaditi e si dia al servizio sociale professionale, sia nei servizi di base che nelle posizioni dirigenziali, un ruolo e uno spazio preminente e molto impegnativo. Non è possibile in questa sede esaminare nei dettagli le varie leggi anche perché gli operatori le conoscono bene; mi limiterò pertanto ad indicare quali sono, a mio avviso, le linee sulle quali il servizio sociale dovrà sempre più orientarsi nei prossimi anni: 1) Considerare la centralità del cittadino/utente, per cui conoscere-progettare-realizzare-valutare interventi e servizi deve essere sempre fatto nell’ottica del “customer satisfaction” come si dice in gergo aziendale. Questo significa per l’AS essere al servizio del cittadino, essere il suo “avvocato”, il suo difensore, progettare “con” lui percorsi individualizzati di superamento del disagio, seguendo il suo ritmo, organizzare e coordinare servizi e risorse rispettose della sua dignità, dei suoi valori, della sua cultura, delle sue credenze religiose, soprattutto se appartiene ad altre etnie e civiltà. Il patrimonio valorico del servizio sociale rimane un fondamento irrinunciabile che anche le prospettive aperte dalla legislazione sociale di questi ultimi anni ribadiscono ed esaltano. 2) Lavorare sempre in un’ottica progettuale e relazionale nel senso di riuscire a dotare ogni territorio di un sistema integrato di servizi e interventi realizzati attraverso progetti ideati e attuati da partners diversi (pubblico, privato sociale, privato informale, privato mercantile) coordinati in reti sinergiche attraverso un’azione di mediazione, concertazione, collaborazione realizzata proprio dagli AASS nella loro veste di responsabili zonali. 3) Operare per uno sviluppo, una maturazione, un”empowerment” della comunità locale, del 3° settore, della società civile nel suo complesso che la ponga in grado di percepirsi nelle sue varie articolazione ed espressioni di intervento socio-educativo non più solo come “tappabuchi” ma come promotore di iniziative e progetti da porre su un tavolo comune con tutti gli altri attori della politica sociale locale per dare un contributo originale e specifico ad un vero piano territoriale integrato e partecipato. E qui sta la capacità degli operatori sociali di conoscere e far conoscere risorse e servizi, proporre e promuovere, mettere in rete e connettere esperienze diverse sia per progetti individualizzati sia per interventi di prevenzione e promozione sociale di più ampio raggio. 4) Raccogliere e diffondere dati e informazioni sistematiche, continue, precise, sui bisogni reali, emergenti e latenti, delle comunità locali, sulle risorse esistenti e la loro capacità di far fronte alle esigenze del territorio, sulle risorse possibili da fare emergere in modo da elaborare piani e programmi su basi certe e scientificamente corrette. E’ l’impostazione di un sistema informativo locale, di osservatori sociali sui vari problemi sui quali insiste la legge Quadro e che vede l’AS come uno dei più avanzati “raccoglitori” di dati in quanto il suo lavoro si svolge proprio nel punto di raccordo fra bisogni della persona e le risorse della comunità. 5) Operare perché i servizi esistenti, sia pubblici che privati, funzionino al meglio cioè rispondano in modo adeguato alle reali esigenze delle persone, abbiano requisiti di efficacia, efficienza e qualità; il che vuol dire per i servizi sociali essere rispettosi della dignità della persona, dei suoi valori, promuovere la sua partecipazione, tendere ad una migliore qualità della sua vita. Questo è l’impegno che da tempo l’AS ha nei confronti dell’accertamento, valutazione, miglioramento, monitoraggio della qualità dei servizi alla persona. Questo compito è divenuto tanto più importante oggi nel contesto di un sistema integrato di servizi pubblici e privati accreditati nel quale il pubblico (e in esso l’operatore sociale) deve farsi garante della qualità dei servizi ai quali ha demandato le sue competenze e che quindi operano per conto e in nome suo. Come abbiamo sempre sostenuto, e anche questi ultimi orientamenti di politica dei servizi sociali lo ribadiscono, il servizio sociale è una professione MULTIDIMENSIONALE nel senso che deve 2
essere in grado di svolgere interventi di tipo diverso, di occuparsi di molteplici problemi, collaborare con interlocutori differenti. Si parla infatti di OTTICA TRIFOCALE dell’operatività, cioè un’attenzione costantemente rivolta in modo sinergico al singolo/famiglia,all’istituzione,alla comunità. Nel quadro complessivo delle competenze dell’AS, le dimensioni integrate della sua operatività sono presenti sempre ai diversi livelli istituzionali:non possiamo infatti pensare che l’AS di base, di front-line si occupi solo ed esclusivamente della presa in carico dell’utenza lasciando l’attuazione delle altre dimensioni del lavoro professionale alle quali abbiamo accennato a chi opera a livello dirigenziale. Il servizio sociale è sempre multidimensionale sia pure con attenzioni e centrature diverse nei vari servizi, con conoscenze, competenze, strumenti differenti ai due livelli ma con lo stesso obiettivo che è quello indicato dall’art. 3 della Costituzione, eliminare gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione attiva della comunità locale. Certamente l’AS di base realizzerà questo obiettivo attraverso soprattutto la presa in carico dell’utenza e l’attivazione di progetti personalizzati di aiuto all’utente, l’AS dirigente perseguirà lo stesso obiettivo progettando e attuando reti di servizi, facendo ricerche, collaborando alla definizione e attuazione di piani di zona, promovendo la qualità dei servizi e il coinvolgimento della comunità nella politica sociale locale. Possiamo dire in modo sintetico che l’AS di base opera sul lato individui/bisogni, l’AS dirigente sul lato risorse/risposte ma solo insieme attraverso una sinergia costante di questi due versanti si può perseguire l’obiettivo del servizio sociale che è quello di creare un rapporto costruttivo fra individui e famiglie in situazione di disagio e le risorse come risposte di Welfare Mix nell’ambito di una comunità locale. Cercando di andare più a fondo su questa ipotesi si può tentare di individuare come si articolano ai due livelli del servizio sociale territoriale, AS di base e AS dirigente, le varie dimensioni che costituiscono, come abbiamo visto, lo specifico della professionalità dell’AS. • COMPETENZE DELL’ASSISTENTE SOCIALE DI BASE La legge Quadro di riforma dell’assistenza non conferisce a mio avviso all’AS di base, di territorio competenze diverse o ulteriori rispetto a quelle già delineate con il DPR 616/77 che indica il Comune come l’unico Ente gestore dei servizi assistenziali nel proprio territorio e ribadito dalle Leggi Bassanini in particolare la L.112/98. Come è noto le Leggi di Riforma Sanitaria succedutesi nel tempo (1978- 1992- 1999) hanno delineato la fisionomia dei servizi socio-sanitari delle ASL e le funzioni del Servizio Sociale al loro interno; il processo di integrazione socio-sanitaria realizzato in molte zone socio-sanitarie ha “accorpato” queste diverse competenze affidandone spesso la gestione alle ASL. Se vogliamo delineare pertanto il profilo professionale del Laureato in Scienze del Servizio Sociale, che dovrebbe ricoprire la posizione di AS di base, di territorio, front-line, possiamo indicare come irrinunciabili, illustrandole, alcune competenze. Il compito a mio avviso principale e più importante è la presa in carico dell’utenza e il conseguente case-management. L’AS infatti dopo un’accurata fase conoscitiva percorsa insieme all’utente cercando di evidenziare con lui la natura e le cause della situazione-problema, la sua reazione ad essa e i tentativi già fatti per affrontarla, elabora in base agli obiettivi dell’utente e con la sua concreta partecipazione, un progetto di superamento del disagio in cui il protagonista principale sia proprio l’utente stesso che si assume responsabilità e compiti specifici nel processo di problem-solving. Intorno al progetto si mettono in rete tutte le possibili risorse e l’AS diventa responsabile del management del caso, del coordinamento cioè di un set di aiuto al quale partecipano differenti operatori, servizi pubblici e privati, le risorse della rete primaria di sostegno, ecc., ognuno con proprie competenze e 3
responsabilità. La funzione dell’AS è a mio avviso quella di GUIDA RELAZIONALE nel senso di favorire le relazioni positive fra i vari nodi della rete e questo comporta alte capacità professionali di dialogo, di concertazione, di mediazione; la capacità di progettare in modo metodologicamente corretto e di realizzare i propri compiti, anche di natura amministrativa tenendo conto delle risorse reali e possibili ma anche dei limiti giuridici ed economici specifici dell’Ente pubblico all’interno del quale e per conto del quale opera. Quindi capacità relazionali a livello individuale e di gruppo, capacità di analisi di situazioni personali e ambientali, capacità progettuali e gestionali sostenute da specifiche competenze metodologiche, capacità amministrative che scaturiscono da conoscenze giuridiche e politico-sociali costituiscono il bagaglio fondamentale per svolgere questo aspetto prevalente e fondante del lavoro professionale dell’AS di base. La Legge quadro attribuisce a questo aspetto del lavoro sociale una sostanziale importanza e preminenza; infatti colloca fra le prestazioni da erogare obbligatoriamente in ogni territorio il “servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari” e il “servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari”. Vede inoltre indispensabili “l’assistenza economica”, le strutture residenziali e semi- residenziali per soggetti con fragilità sociali e i centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario in un disegno di servizi essenziali e indispensabili che l’AS di base è chiamato a integrare e gestire nel processo di “management del caso” (art.22). In vista della progettazione, organizzazione e gestione di un sistema integrato di servizi e interventi in relazione al territorio e alla Comunità di competenze (zona socio-sanitaria), compito per lo più relativo alle strutture dirigenziali di un Comune o di una ASL, l’AS sociale di base svolge compiti molto importanti la cui realizzazione permette di raggiungere questo obiettivo fondamentale della Legge quadro (Piano di zona, art.19). Prima di tutto l’AS, attraverso il suo contatto quotidiano con i cittadini del suo territorio è in grado di raccogliere sistematicamente e capillarmente i dati sui bisogni e le risorse; dati da far confluire nel sistema informativo sociale e negli osservatori su aspetti particolari che gli uffici centrali dell’Ente hanno progettato e organizzato anche attraverso strumenti informatici tecnologicamente avanzati. E’ la sistematicità e la correttezza dei dati che provengono dalla base che implementa e rende valido un sistema informativo; quindi la competenza dell’AS di base in questo campo è fondamentale (art.21). Un sistema integrato di servizi e risorse si concretizza attraverso l’attuazione e la messa in rete, attraverso il “piano di zona”, dei vari progetti che i diversi attori della politica sociale locale sono stati in grado di elaborare. Mentre è compito dei dirigenti politici e tecnici dei vari Enti presenti sul territorio delineare, attraverso una lenta e costruttiva opera di concertazione e mediazione gli “accordi di programma” che dovrebbero portare alla stesura del piano di zona, l’azione dell’AS di base si svolge più a monte nel senso che dai continui contatti con la Comunità, i suoi bisogni, le sue risorse istituzionali, informali, di privato sociale, di privato mercantile è in grado di evidenziare le esigenze emergenti, promuovere iniziative, coordinare iniziative esistenti, sollecitare progetti per possibili servizi nuovi o da potenziare. E’ la dimensione del lavoro sociale che ha per obiettivo quello di aiutare la società civile (ma anche l’Ente pubblico) a percepire le esigenze emergenti, a intravedere nuove direzioni di risposta, a saper fare progetti concreti per realizzare nuovi servizi. Anche a questo livello è indispensabile una capacità di concertazione e mediazione ma è necessaria soprattutto la capacità di dialogare, sollecitare, negoziare, sostenere in modo che le varie articolazioni e istituzioni della società civile capiscano l’importanza di una risposta corale e integrata all’esigenze del proprio territorio e divengano capaci di elaborare progetti concreti e realizzabili. Anche l’Ente pubblico nel quale l’AS è inserito deve essere aiutato a capire le reali esigenze della propria popolazione; deve essere posto in grado di intravedere le linee di politica sociale locale sulle quali orientarsi e in base alle quali elaborare progetti fattibili e coerenti. Anche questo è compito dell’AS dell’Ente in quanto “tecnico dell’Assistenza”, “manager del sociale” ed è soprattutto compito dell’AS di base iniziare questo processo portando dati sui bisogni, sulle eventuali risorse da 4
mettere in rete, sulle soluzioni possibili per quel territorio, per quel tipo di utenza, per quel contesto socio-culturale. Sarà poi competenza dei livelli dirigenziali dell’Ente elaborare concretamente i progetti e negoziarli con gli organismi politico-decisionali competenti. Ma solo se nasce dal basso, da un’analisi concreta e reale dei bisogni, il progetto di un servizio, di un intervento ha possibilità di essere efficace e valido e quindi sta veramente alla sensibilità, alla competenza, alla professionalità degli AASS di base iniziare un processo realistico per dotare il territorio di un sistema integrato di servizi necessari e rispondenti all’esigenze degli utenti; obiettivo prioritario della nuova organizzazione assistenziale che il nostro paese intende darsi. Vi sono altri aspetti del lavoro sociale che la Legge quadro mette particolarmente in evidenza e che a mio avviso riguardano da vicino l’AS di base; uno è quello della promozione di un sistema qualità per i servizi sociali, l’altro è quello della vigilanza, controllo, accreditamento, monitoraggio dei servizi e delle strutture del settore privato (sociale e mercantile) che agiscono per conto dell’Ente pubblico, l’altro ancora riguarda la “carta dei servizi” quale strumento di informazione e di tutela per i cittadini utenti. Vorrei esaminarli insieme perché, a mio avviso, sono strettamente connessi. E’ competenza della regione (art. 8, L. 328/00) definire i criteri per “l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi “(comma 3, punto 7) a gestione pubblica e privata, definire i “requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni” (comma 3, punto 4), mentre è compito dello Stato predisporre “uno schema generale di riferimento della carta dei servizi sociali “ (art.13) ma è competenza, a mio avviso, dell’AS di base iniziare a sviluppare una sensibilità verso questi tre obiettivi, attuare iniziative per la promozione di un sistema di qualità soprattutto nelle strutture residenziali attraverso la collaborazione alla raccolta sistematica di dati sui requisiti necessari per l’autorizzazione e l’accreditamento di strutture private e successivamente utilizzare lo strumento della vigilanza e del monitoraggio per promuovere nelle strutture incontri e gruppi volti al continuo miglioramento invece di limitarsi a controllare che non si vada al di sotto dei requisiti minimi prescritti. E’ un lavoro nella quotidianità che però presuppone un atteggiamento di verifica e miglioramento continuo anche rispetto al proprio servizio e ai propri interventi professionali e presuppone anche una tutela della capacità decisionale dell’utente che può richiedere “titoli validi per l’acquisto di servizi sociali dai soggetti accreditati” del sistema integrato di interventi e servizi sociali, innovazione importante prevista dalla Legge quadro (art. 17), ma che deve essere gestita in modo da garantire all’utente la migliore risposta alle sue esigenze. Anche la carta dei servizi (art.13) prevista obbligatoriamente per ogni ente erogatore di servizi è indicato dalla Legge come uno strumento importante di informazione per gli utenti relativamente ai criteri di accesso ai servizi, al loro funzionamento, alla tutela dei diritti dei cittadini di ” partecipare al controllo di qualità dei servizi”, alla tutela della esigibilità dei loro diritti soggettivi. L’AS oltre a contribuire alla stesura della carta dei servizi del proprio Ente per il settore che lo riguarda ha il compito di rendere operativo tale strumento nei rapporti quotidiani con i cittadini- utenti prima di tutto mettendola in pratica anche per attuare il suo compito di “advocacy”, di difesa del cittadino-utente. Deve inoltre curarne la massima diffusione perché diventi veramente mezzo valido di informazione, deve aiutare l’utente a conoscere e utilizzare le procedure per eventuali “ricorsi nei confronti dei responsabili preposti alla gestione dei servizi”, deve poter trovare strumenti e modelli operativi per garantire ai cittadini il diritto di partecipare al controllo e alla promozione della qualità dei servizi. Sono tutti strumenti che tendono all’empowerment dei cittadini, della comunità locale, della società civile nelle sue diverse articolazioni e istituzioni; è lo sviluppo del settore del privato, del “3° settore” che può veramente rappresentare l’evoluzione del nostro stato sociale verso un sistema di welfare municipale, di caring-community per l’attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, reciprocità, solidarietà sociale sui quali la Legge Quadro insiste e si basa (art1). Concludendo mi sembra pertanto che la Legge quadro valorizzi in modo totale il ruolo dell’AS di base, gli attribuisca compiti essenziali per lo sviluppo di un sistema integrato di servizi, veda nel 5
servizio sociale professionale, che pone al primo posto fra gli interventi obbligatoriamente presenti in ogni ambito territoriale (art. 22), la chiave di volta per la realizzazione e lo sviluppo di un sistema organico di prestazioni sociali erogabili costituenti il livello essenziale di assistenza da attuare in ogni territorio da parte dell’Ente locale (o ASL). Le prospettive aperte dalla Legge Quadro devono tuttavia trovare la loro attuazione soprattutto nelle Leggi regionali che recepiranno gli orientamenti della Legge Quadro, del “piano sociale nazionale”, gli orientamenti degli altri decreti cui fa riferimento la legge quadro, dall’atto di indirizzo e coordinamento relativo alla integrazione socio-sanitaria, al decreto sul rapporto tra Enti locali e terzo settore (art. 5 comma 3), al decreto sulla nuova disciplina delle IPAB (art.10), ecc. Le indicazioni più specifiche saranno contenute tuttavia nei decreti sulle “figure professionali” (art.12) che dovranno in concreto attuare la legge con le loro specifiche professionalità. La legge quadro indica chiaramente (art.22 comma 4) quali debbano essere le prestazioni da attuarsi “comunque” in ogni ambito territoriale e mette al primo posto, come si è già detto, il “Servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari”. In questo contesto il servizio sociale professionale va inteso, a mio avviso, come l’esercizio delle specifiche competenze professionali dell’AS che coordina intorno ad un progetto personalizzato per il singolo o il nucleo familiare le altre prestazioni elencate nelle quali operano altri operatori socio-sanitari (assist. domiciliari, infermieri, fisioterapisti, educatori, animatori, ecc.) con i quali si integra per la costituzione di un set di aiuto multidimensionale e multiprofessionale. Quelle indicate dalla Legge Quadro all’art. 12 comunque non possono essere considerate prestazioni indipendenti ma integrate se si tende a realizzare un “progetto di accompagnamento” che porti l’utente a superare situazioni di marginalità e disagio. La professionalità referente, responsabile del progetto non può che essere l’AS proprio per la sua posizione di raccordo fra bisogni dell’utente e risposte istituzionali, in base ad uno specifico “mandato” istituzionale che lo abilita a rendere fruibili al cittadino-utente attraverso la messa in atto di specifiche prassi amministrative, le risorse istituzionali e quindi a rendere esigibili i suoi diritti sociali. Mi sembra importante ribadire la specificità della figura dell’AS di territorio come “case manager” proprio per superare il rischio di moltiplicare le figure professionali e i loro ruoli e quindi di parcellizzare l’intervento sociale che invece chiaramente la Legge indica come “multidimensionale integrato”. Vorrei accennare infine ad un compito che già da tempo gli AASS di base svolgono con molto impegno ed è quello della formazione sul campo attraverso il rapporto di supervisione dei futuri assistenti sociali. E’ una forma particolare di docenza extra-moenia che integrandosi con i diversi insegnamenti professionali aiuta gli studenti a compiere la sintesi fra teoria e pratica, condizione indispensabile per una formazione universitaria professionalizzante. Infatti tutte le strutture universitarie che formano operatori in grado di integrare sapere, saper essere e saper fare hanno inserito nei loro curricula il tirocinio come intervento di immersione “nella” e di riflessione “sulla” esperienza professionale. La riforma universitaria in atto ne ha ribadito l’importanza per cui la figura del supervisore come “docente sul campo” capace di aiutare lo studente ad “apprendere dall’esperienza” diviene un elemento chiave dei nuovi percorsi formativi come da sempre è stato per il servizio sociale. Occorre però anche che il supervisore assuma consapevolmente gli impegni del proprio ruolo, ne approfondisca il lato teorico-operativo, acquisisca gli strumenti adeguati a trasmettere il sapere, ad indurre la riflessione sulla teoria dalla pratica, ad assimilare i valori e gli atteggiamenti professionali. • COMPETENZE DELL’ASSISTENTE SOCIALE IN POSIZIONE DIRIGENZIALE 6
A questo punto potremmo domandarci quali potranno essere le funzioni e le competenze della figura professionale in possesso di Laurea specialistica in “Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali”. La legge quadro dice espressamente che è compito dello Stato emanare un decreto che individui “per le figure professionali sociali le modalità di accesso alla dirigenza” (art.12), figure delle quali dovrebbero essere definiti anche i profili professionali. Vi è quindi molta incertezza per ora sia sulla denominazione che potranno assumere le figure professionali sociali che avranno accesso alla dirigenza, sia sulla loro formazione; tuttavia si può presumere che sarà prescritta per l’accesso alla dirigenza una formazione universitaria di livello specialistico anche se nel breve periodo, attraverso i previsti “riconoscimento e equiparazione dei profili professionali esistenti” potremo avere un periodo di transizione in attesa dei primi professionisti in possesso di Laurea specialistica. Tralasciando queste questioni, che non saranno di poco conto né di facile soluzione nel concreto, potremo cercare di vedere, anche sulla base delle esperienze già da tempo attuate, quali funzioni e competenze potranno attribuire le Leggi regionali in base alla Legge Quadro, alle figure professionali sociali a livello dirigenziale. Certamente uno dei compiti principali sarà quello di tradurre in un sistema integrato di interventi e servizi di varia natura (sanitari, abitativi, lavorativi, formativi) le sollecitazioni provenienti dal territorio e le richieste di tipo più politico derivanti dagli organismi decisionali politici delle varie istituzioni interessate all’attuazione del Piano di zona attraverso la realizzazione del quale il territorio dovrebbe riuscire a dotarsi di una rete integrata di servizi. Uno degli strumenti essenziali per realizzare questa funzione sarà l’impostazione di un sistema informativo sociale locale e di osservatori su problemi specifici ben finalizzato e organizzato in collaborazione con la provincia che ha, secondo la Legge Quadro, questa specifica competenza (art.7). E’ necessario pertanto per realizzare questo compito avere conoscenze e capacità relative all’impostazione di ricerche sociali, all’individuazione di indicatori per valutare la rispondenza dei servizi esistenti, le esigenze insoddisfatte, i bisogni emergenti; alla conoscenza degli strumenti informatici per la raccolta e l’analisi di dati nell’ambito della comunità locale. L’impostazione di un valido sistema informativo, che certamente si realizza con l’apporto anche di altre professionalità è la base per individuare gli ambiti di intervento, concludere accordi di programma, progettare servizi e interventi adeguati. Tuttavia la raccolta dei dati in vista della progettazione è un lavoro che va fatto sollecitando il più possibile la partecipazione della comunità nelle sue varie articolazioni, ponendo al centro gli utenti attraverso l’ascolto delle loro esigenze e quindi sono necessarie capacità di coinvolgimento, mediazione, concertazione, capacità di lavorare in gruppo ma anche conoscenze giuridiche, amministrative, economiche per sollecitare e avanzare progetti concreti e realizzabili. Gli interlocutori principali di un operatore sociale che opera a livello dirigenziale sono soprattutto i politici, gli amministratori legati spesso a logiche derivanti più da orientamenti socio-politici che dalla diretta conoscenza dei problemi sociali del territorio che invece un operatore possiede anche per il contatto quotidiano con gli operatori di base che coordina e dirige. Una capacità quindi richiesta ad un dirigente è quella di essere autorevolmente convincente in base alla sua specifica preparazione teorico-operativa ma anche essere capace di mediare senza rinunciare al proprio obiettivo fondamentale che è quello del benessere dei cittadini-utenti della Comunità in cui opera. Autorevolezza, assertività, capacità espressiva anche in forma scritta, capacità innovative e progettuali, capacità di collaborare, di lavorare in gruppo sono alcuni elementi della professionalità dell’AS sui quali da tempo si insiste perché sembrano costituire il profilo del “manager sociale” nome con il quale spesso si indica oggi la figura dell’AS dirigente. L’AS dirigente tuttavia a mio avviso non ha solo la funzione di affiancare gli organismi decisionali- politici del territorio sostenendo le loro scelte di politica sociale locale con dati vasti e approfonditi, conoscenze teoriche esplicitabili, progetti rispondenti alle esigenze e alle risorse disponibili, ipotesi e suggerimenti per soluzioni innovative e sperimentali derivanti dalla conoscenza di altre realtà, da 7
confronti con altri operatori, da analisi di esperienze fatte in altri paesi, ecc. Né ha solo il compito di far funzionare bene il proprio servizio coordinando e dirigendo il personale che vi lavora trasmettendo in modo sistematico le informazioni, coinvolgendo il più possibile i collaboratori, delegando in modo capillare responsabilità e compiti ma anche offrendo occasioni di confronto e di formazione continua attraverso attività di consulenza e supervisione interna ed esterna ecc. A mio avviso anche nel lavoro a livello dirigenziale la prospettiva della centralità dell’utente è irrinunciabile e pertanto un AS dirigente deve essere anche in grado di affrontare situazioni individuali e familiari particolarmente complesse nelle quali possono essere necessari interventi che presumono una professionalità di tipo specialistico soprattutto in certi settori. Un altro compito che viene sempre più richiesto agli AASS e sul quale anche la Legge quadro mi sembra che insista riguarda la loro partecipazione alla formulazione dei piani socio-sanitari regionali e anche delle leggi di riordino dei servizi sociali. Nel prossimo futuro sarà pertanto importante anche la loro partecipazione alla formulazione del Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali previsto per la prima volta in Italia e dei piani regionali conseguenti (art.18). La legge specifica che sullo schema di piano nazionale saranno richiesti i pareri delle “associazioni di rilievo nazionale che operano nel settore dei servizi sociali”. Certamente gli operatori che potranno partecipare ai tavoli di consultazione nazionale e regionale per l’elaborazione dei piani ma anche per l’elaborazione delle Leggi regionali di attuazione della Legge quadro, dovranno avere una formazione di alto livello e quindi essere dotati, si ritiene, della Laurea specialistica almeno nel futuro. In questo ambito si possono solo avanzare ipotesi dato che è compito dello Stato, come si è visto, la “determinazione dei requisiti e dei profili professionali in materia di professioni sociali” (art.9). Avanzando queste ipotesi tuttavia è importante sostenere l’idea che la formazione universitaria a tutti i livelli (compreso il Dottorato di ricerca) per gli assistenti sociali deve puntare ad una qualificazione nuova di tale figura, ad una percezione diversa delle sue competenze e capacità e quindi permettere agli assistenti sociali di venire considerati a pieno titolo “esperti del sociale”, “esperti di politiche e servizi sociali” e quindi essere chiamati a far parte (oserei dire obbligatoriamente) a livello nazionale, regionale e locale di tutti quei gruppi di lavoro, commissioni, tavoli di consultazione nei quali si affrontano problemi socio-sanitari-assistenziali e si impostano linee di politica dei servizi sociali. Ritengo che questo dovrebbe essere il risultato (finalmente) del conseguimento di una formazione universitaria completa che pone gli AASS sulla stessa linea di partenza delle altre professioni sociali che hanno raggiunto questo traguardo già da molto tempo (psicologi, sociologi, pedagogisti) e quindi hanno una “visibilità sociale” ormai consolidata e riconosciuta anche per merito delle loro associazioni rappresentative a livello nazionale e locale. E quindi anche in questo ultimo aspetto gli AASS hanno un più lungo cammino da fare che però fin da ora deve essere indirizzato nella direzione giusta; a mio avviso meno sul piano “rivendicativo” e più sul piano “contenutistico” volto allo sviluppo e alla diffusione di una cultura del servizio sociale quindi di una immagine professionale di alto livello sia negli ambienti accademici che in quelli politico-decisionali e professionali. Vorrei in conclusione accennare ad altre funzioni che a mio avviso possono essere connesse con una formazione universitaria di tipo specialistico. Prima di tutto la funzione di “supervisione interna” cioè nei confronti del personale dell’ente in cui opera (che è ben diverso dalla supervisione “didattica” nei confronti degli studenti in tirocinio). E’ un aspetto del servizio sociale che è stato trascurato nel nostro paese dopo i primi tentativi fatti in alcuni enti (es. ISSCAL) ma che potrebbe rispondere ad esigenze reali degli operatori che oggi vengono spesso soddisfatte ricorrendo ad operatori di altra professionalità (psicologi, sociologi) o ad agenzie formative non specifiche. Recenti studi su questo argomento hanno evidenziato come questo tipo di supervisione che viene spesso anche denominato “Gestione delle risorse umane” possa avere molteplici obiettivi. E’ innanzi tutto un ottimo strumento di formazione permanente degli operatori e quindi può validamente rispondere all’obiettivo che anche la Legge Quadro si pone 8
quando, a proposito dei compiti delle province, accenna ad iniziative di formazione e di aggiornamento d’intesa con i Comuni (art.7) e assegna alle Regioni la competenza per la “predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali” (art.8), ritenendola quindi una funzione indispensabile per il buon funzionamento dei servizi. La “supervisione interna” può rappresentare un mezzo per impostare e realizzare un “sistema qualità” nei servizi e nelle strutture utilizzando soprattutto le attività di gruppo per evidenziare le esigenze e progettare e realizzare i piani di miglioramento, sistemi di controllo e di gestione in senso ampio. Si è inoltre dimostrato un ottimo mezzo per affrontare i problemi di burn-out e di mobbing che possono divenire elementi di disagio grave e di difficoltà di gestione dei servizi, dei gruppi di lavoro. Altra funzione svolta da tempo da numerosi AASS che operano con alto grado di professionalità negli Enti è la docenza presso i Corsi di formazione per operatori sociali e nei Diplomi universitari in servizio sociale. Sarà una funzione che con l’istituzione del Corso di laurea in Scienze del Servizio Sociale andrà potenziata e valorizzata perché, data la caratterizzazione professionalizzante delle Lauree triennali sarà sempre più richiesta la presenza di docenti delle materie professionali (caratterizzanti) in grado di aver fatto una sintesi fra teoria e pratica e di saperla trasmettere con autorevolezza. Tuttavia questa funzione nel nostro sistema universitario sarà maggiormente regolamentata e potrà essere svolta in base ai requisiti da tempo previsti per le docenze a contratto e cioè alta professionalità dimostrata dalla posizione funzionale ricoperta nell’ambito lavorativo, crediti formativi e professionali acquisiti attraverso corsi riconosciuti o attività documentate, titoli didattici cioè esperienze di insegnamento e soprattutto pubblicazioni in grado di evidenziare la capacità di teorizzare e trasmettere esperienze professionali. E’ quindi importante per i futuri “AASS specialisti” acquisire e approfondire le capacità di rivedere, analizzare e trasmettere il proprio sapere professionale, partecipare ad iniziative culturali, convegni con relazioni pubblicabili, ecc. perché questo sarà inevitabilmente il bagaglio culturale richiesto ai docenti a contratto anche nell’ambito del corso di laurea in Scienze del Servizio Sociale. E vorrei infine accennare ad un’altra funzione che potrà svolgere l’AS in possesso della Laurea specialistica, quella di consulente; si tratta, a mio avviso, di una figura di esperto che viene “consultata” su problemi di natura sociale dagli organismi che devono prendere decisioni documentate, ben definite e importanti. Si può pensare alla richiesta di consulenze scritte (perizie) da parte dei servizi giudiziari per questioni di separazione, di affidamento di figli, di interdizione, oppure di consulenze richieste da organi decisionali-politici quando si devono impostare linee di politica sociale, tentare la “sperimentazione di modelli innovativi di servizi” anche da collegarsi “alle esperienze effettuate a livello europeo” ai quali accenna la Legge Quadro all’art. 8. Una consulenza di questo tipo può essere richiesta da istituzioni ed Enti nei quali l’AS non svolge il proprio servizio e quindi è implicito il riconoscimento della sua professionalità ed esperienza e non viene preso in considerazione solo il ruolo ricoperto nell’ente, la capacità relativa ai propri compiti d’ufficio. Come si può vedere quindi ci sono ampi spazi operativi per gli AASS “specialisti” anzi direi che ci saranno ancor più settori da esplorare ed aprire nel prossimo futuro sia nella fase complessa di prima attuazione della Legge quadro sia quando il nuovo sistema assistenziale sarà a regime. • LA FORMAZIONE DELL’ASSISTENTE SOCIALE OGGI Di fronte ai compiti previsti per il servizio sociale nel quadro delineato dalla Legge Quadro di riforma dei servizi sociali che abbiamo cercato di analizzare ci dobbiamo domandare che tipo di formazione di base e permanente occorre dare oggi ai professionisti del sociale. La formazione, come sappiamo, si articola in tre grandi obiettivi da raggiungere: conoscenze teoriche e metodologiche, competenze e capacità operative, atteggiamenti professionali che 9
scaturiscono dai valori e dai principi che si intende salvaguardare. Si tratta di tre aspetti strettamente connessi e integrati che possono essere trasmessi ed appresi solo attraverso un’integrazione fra base deontologica, base teorica e metodologica e prassi operativa. Solo se lo studente nel corso degli anni della formazione di base e il professionista nell’ambito di progetti di formazione continua e ricorrente, sapranno collegare in modo creativo e costruttivo questi tre aspetti si può veramente parlare di formazione e di educazione cioè valorizzazione delle proprie specifiche potenzialità intorno ad un progetto di professionalità integrata. Gli obiettivi verso i quali, a mio avviso, dovrebbe orientarsi oggi la formazione di base e permanente degli AASS riguardano alcune specifiche dimensioni: - Dimensione relazionale cioè sviluppo della capacità di entrare in contatto con interlocutori diversi (utenti, colleghi, altri professionisti, amministratori, politici, ecc) con reali atteggiamenti di ascolto, di empatia, di rispetto sia in una dimensione individuale che di gruppo, sia nei rapporti diretti che per scritto. Tali capacità devono essere sostenute da solide basi teoriche psicologiche, sociologiche, antropologiche, deontologiche che ribadiscono il valore assoluto dell’altro. Infatti sempre più l’AS è chiamato a compiti di mediazione (familiare, penale), di concertazione nel lavoro di territorio, di collaborazione nei servizi integrati, di accettazione e empatia nei confronti degli utenti soprattutto di altre etnie ecc. - Dimensione progettuale cioè capacità di pensare, organizzare, redigere progetti individualizzati per singoli utenti o per la creazione di servizi, seguendo un chiaro procedimento metodologico che parta dalla raccolta, analisi, valutazione di dati, dalla riflessione sulle risorse possibili, sui costi prevedibili, sulle strutture e il personale da coinvolgere per giungere a prospettare ipotesi di attuazione. Tutto questo deve fondarsi su basi scientifiche inerenti la metodologia del processo di programmazione e della ricerca sociale, l’uso di fonti statistiche e documentarie, conoscenza delle diverse competenze istituzionali, delle norme che regolano i servizi previsti, i fondi ai quali attingere e le prassi amministrative per accedervi (es. fondi strutturali europei). - Dimensione gestionale – amministrativa. Non possiamo infatti dimenticare che l’AS opera per lo più in un contesto istituzionale spesso rigidamente definito da norme e regolamenti (es. Settore giudiziario) che l’AS deve conoscere a fondo e, direi accettare, nel senso di saperne cogliere gli aspetti positivi, le possibilità di modificazione secondo criteri di coerenza e di legittimità. Ed è un contesto, oggi soprattutto, abbastanza rigidamente regolato dai bilanci, dal “budget” aspetto che l’AS non può assolutamente trascurare se non vuole rischiare di fare progetti e interventi irrealistici, difficilmente accettabili dagli organismi decisionali dell’ente. Sono quindi necessarie basi teoriche di tipo giuridico, amministrativo, economico, politologico. Ma dobbiamo anche accennare ad un aspetto sempre più centrale nella dimensione gestionale ed è la “gestione delle risorse umane” cioè la valorizzazione delle capacità e competenze di ogni operatore, qualunque sia il suo compito e il suo livello nell’istituzione. Collaborazione, coordinamento, integrazione, ma anche direzione del personale, sono aspetti del lavoro professionale sempre più evidenti e quindi comportano conoscenze e competenze da sviluppare e potenziare (es. sociologia dell’organizzazione, psicologia sociale, del lavoro ecc). - Dimensione promozionale – educativa. Il servizio sociale ha come obiettivo di fondo quello di aiutare le persone, le famiglie, i gruppi, le comunità ad “aiutarsi da sé”, ad acquisire cioè competenza, responsabilità, capacità di vedere e affrontare i problemi. E’ l’azione “maieutica” di chi si pone “accanto” all’altro per sostenerlo nello sforzo di ritrovare o apprendere ex novo la capacità di fare un proprio progetto di vita e di realizzarlo anche utilizzando tutte le risorse che uno stato sociale cerca di attivare per il “benessere” dei propri cittadini. L’AS è il professionista che lavora “insieme” ai cittadini non “sulla loro testa”; questa azione è fondamentale nel lavoro con le persone ma anche con le comunità che devono sempre più divenire protagoniste attive del loro benessere. E’ compito quindi 10
dell’AS conoscere, sostenere, promuovere iniziative del privato sociale, del volontariato, delle istituzioni non-profit perché imparino a fare progetti e a realizzarli nel contesto di una rete integrata di intereventi e servizi sul territorio. A questo fine sono indispensabili conoscenze psicologiche, demo-antropologiche, sociologiche, pedagogiche, ecc. Il raggiungimento di conoscenze e competenze in queste quattro direzioni è ciò che richiede oggi lo stato sociale agli AASS ma è anche ciò che richiedono gli AASS futuri e già in servizio all’Università sede privilegiata di formazione di base e permanente. Possiamo quindi domandarci se l’impostazione che viene data al corsi di laurea in Scienze del servizio sociale sarà in grado di rispondere alle aspettative del mondo del servizio sociale. • LA RIFORMA UNIVERSITARIA DI FRONTE ALL SFIDA DEL NUOVO SISTEMA ASSISTENZIALE ITALIANO La formazione degli operatori sociali, come ben sappiamo si è realizzata in Italia ai margini del sistema universitario in strutture private seguendo percorsi più vicini a esperienze di altri paesi, soprattutto di lingua inglese (USA, Inghilterra) che al modello universitario italiano. Nel progetto formativo per gli AASS è stato possibile quindi introdurre fin dall’inizio (anni ’40-’50) elementi certamente innovativi rispetto al panorama universitario italiano dell’epoca quali il tirocinio, cioè la formazione sul campo, la figura del supervisore come docente extra-moenia, la figura del monitore-tutor che affianca gli studenti nel loro percorso formativo, il docente- operatore in grado di offrire agli studenti un sapere professionale che nasce da un’integrazione fra teoria e pratica, insegnamenti di materie psico-sociali e sociologiche scarsamente presenti almeno fino agli anni ’50 nei curricula universitari italiani. I progetti formativi per gli AASS elaborati fra gli anni ’50 e ’70 anche se non totalmente rispondenti alle esigenze degli Enti assistenziali e locali nei quali gli AASS venivano inseriti, hanno permesso tuttavia di raggiungere competenze professionali serie e di buon livello. La crisi dei sistemi formativi e del sistema assistenziale avvenuto in Italia, come in tutti i Paesi europei, negli anni ’70, ha coinvolto come sappiamo anche il servizio sociale sia sul versante operativo che formativo. Dopo un lungo periodo (anni ’80-’90) in cui si è tentato gradatamente di modificare il sistema formativo universitario e professionale con l’introduzione di alcuni aspetti sicuramente innovativi anche se marginali rispetto all’impronta globale del sistema universitario (quali il riconoscimento delle scuole dirette a fini speciali e la loro successiva trasformazione in Diplomi universitari - strumenti più adeguati per una formazione universitaria “professionalizzante” e quindi meglio rispondente alle esigenze del mondo del lavoro anch’esso in profondo mutamento soprattutto negli anni ’90 e il trasferimento della formazione professionale alle Regioni), siamo giunti ora ad una impostazione del sistema universitario che dovrebbe essere veramente e radicalmente innovativa mentre al contempo si sta mettendo a punto anche una diversa visione della formazione professionale sia pre che post secondaria superiore. Il servizio sociale in questo periodo di transizione fra il vecchio e il nuovo ha potuto inserirsi gradatamente nell’ambito universitario rimanendo però sempre collocato in strutture formative un po’ separate come i diplomi universitari nei quali è stato possibile tuttavia mantenere gli elementi più qualificanti per la formazione ormai quarantennale degli AASS (tirocinio supervisione, docenti professionali a contratto, ecc.). La formazione conseguita nei diploma Universitari in Servizio Sociale almeno quelli di più alto livello ha manifestato una buona corrispondenza con la professionalità richiesta dai cambiamenti avvenuti nel sistema assistenziale in Italia dagli anni ’70. Si è cercato di formare professionisti in grado di operare negli Enti locali e nelle USL con una visione integrata e organica delle diverse dimensioni del lavoro sociale (lavoro con l’utenza, con la comunità, con 11
l’istituzione; la nota ottica trifocale) approfondendo anche aspetti più tipicamente manageriali come il lavoro per progetti, il lavoro di rete, la conoscenza approfondita dei bisogni e delle risorse della comunità che vi risiede. Certamente la formazione attuata fino ad ora è di primo livello, di base ed è stato grazie all’impegno e alla buona volontà di moltissimi operatori se gli AASS negli Enti locali, nelle ASL, nei Servizi Giudiziari hanno raggiunto i livelli dirigenziali conseguendo nelle sedi più varie pubbliche e private una formazione più “specialistica” che ne permettesse l’accesso. Una ulteriore formazione e anche un titolo universitario più alto del Diploma è stata una esigenza molto sentita in questi ultimi anni come ha chiaramente dimostrato il grande numero di iscritti al IV anno della Laurea in servizio Sociale istituito dall’Università di Trieste. E non è stato, a mio avviso, solo il desiderio, giusto, di accedere a più alti livelli della propria carriera che ha spinto molti assistenti sociali a proseguire, in qualunque modo, la propria formazione ma la percezione dell’inadeguatezza di una formazione di base a livello di Diploma rispetto ai nuovi compiti che si stanno profilando per gli operatori sociali nel progressivo evolversi del sistema assistenziale in Italia. Ora finalmente si sono completati i due percorsi fondamentali per il servizio sociale: la formazione universitaria degli assistenti sociali ha raggiunto la propria completezza e così pure il sistema assistenziale ha ora uno schema di riferimento unitario e globale sul quale orientarsi a livello regionale e locale. Ci troviamo quindi al raggiungimento di due tappe importanti di un lungo cammino che rappresentano certamente un punto di arrivo ma anche l’inizio di un nuovo percorso pieno di speranze e di incognite la cui realizzazione di penderà in gran parte dalla capacità di orientarsi verso prospettive nuove costruendole consapevolmente sul terreno di un passato che non deve essere dimenticato o rifiutato ma rivisto, aggiornato e valorizzato. • RIFLESSIONI SUL CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DEL SERVIZIO SOCIALE E’ importante a questo punto esaminare le possibilità che può avere il corso di laurea in scienze del servizio sociale, nella prospettiva più ampia della riforma universitaria di perseguire una formazione degli AASS rispondente ai compiti che devono affrontare. E’ necessario innanzi tutto essere convinti che questo nuovo corso di studi ha molti elementi positivi che tuttavia devono essere approfonditi, sperimentati e potenziati; vediamoli un po’ più nei dettagli. Il profilo professionale e gli obiettivi formativi qualificanti delineati dal corso di laurea in scienze del servizio sociale, mi sembra che in linea di massima, aldilà dell’inevitabile linguaggio un po’ “generico” dei documenti ufficiali, siano rispondenti alle competenze che un AS di base deve possedere tenendo presenti le varie dimensioni del lavoro professionale che sono già state illustrate. E’ stata messa in risalto la centralità dell’acquisizione di un’adeguata conoscenza teorico- disciplinare o di una “sicura padronanza” dei metodi (avrei preferito la parola al singolare) e delle tecniche del Servizio Sociale, prevedendo anche l’obbligo di attività esterne, come tirocini formativi presso strutture di servizio. E’ stata predisposta un’ampia gamma di “attività formative” in discipline di base e caratterizzanti comprendenti numerosi ambiti disciplinari (sociologici, psicologici, giuridici, economici, storici, antropologici, linguistici) ribadendo le linee portanti di un progetto formativo valido per l’acquisizione di una professionalità necessariamente implicato in un vasta gamma di contesti sociali e che deve affrontare molteplici problemi sociali sia individuali che comunitari e istituzionali. Sono da apprezzare anche le indicazioni inerenti gli ambiti disciplinari delle 12
attività formative affini e integrative tendenti esplicitamente ad una formazione ancor più interdisciplinare che sottolinea la necessità di conoscenza in campo medico, ma anche pedagogico, filosofico, politologico ecc. La vastità dei settori scientifico-disciplinari indicati rappresenta certamente una ricchezza e quindi un aspetto positivo perché sottolinea la caratteristica della multidisciplinarietà che ha sempre contraddistinto la formazione degli AA.SS. ma può anche rappresentare un rischio se viene gestita dalle facoltà con la logica dell’ ”utilizzo delle risorse esistenti” cioè a costo zero perdendo di vista la centralità degli obbiettivi formativi qualificanti indicati. Sottolineerei sicuramente come positiva l’obbligatorietà del tirocinio anche se occorrerà stare molto attenti nella sua organizzazione e gestione per non confonderlo con gli stages da tempo inseriti nei curricula di molti corsi di Laurea, per non trascurare le convenzioni con gli Enti che gestiscono servizi sociali in quanto strumenti necessari per definire accordi e specifiche responsabilità istituzionali. Ma l’elemento da valorizzare al massimo riguardo al tirocinio è la figura del supervisore quasi sconosciuto nell’ambito universitario almeno fino all’avvento di diplomi universitari nei quali era previsto (es. diplomi per infermieri, fisioterapisti, AS, etc.) Il supervisore è un docente extra-moenia, un docente sul campo e questa dimensione ineliminabile di docenza deve venirgli riconosciuta dalle strutture universitarie, deve essere valorizzata ma anche regolamentata. Il supervisore è una figura importante del percorso formativo degli AASS, per cui è necessario saper svolgere questa funzione con competenza e in base a requisiti specifici. Da tempo l’ordine professionale, giustamente, si è posto questo problema ed ora di fronte all’attivazione del corso di laurea in servizio sociale è necessario affrontare insieme agli organi accademici la delineazione di questa figura e le sue competenze. Vorrei indicare come positiva anche la sottolineatura della necessità di “ulteriori conoscenze” oltre che linguistiche e informatiche anche “relazionali” di cui parla il progetto ministeriale della laurea in scienze del servizio sociale. A mio avviso possono rientrare in questo ambito una vasta gamma di attività formative da “inventare” visto che non vengono date indicazioni specifiche. Penso ad attività di monitoraggio, a lavori di gruppo in classe per la teorizzazione dell’esperienza di tirocinio, seminari sulla comunicazione interpersonale, sperimentazione di attività di gruppo, ecc.; sono tutte attività didattico-formative da tempo attuate con successo nelle varie sedi formative per AA.SS. e che possono, anzi direi, devono poter proseguire ed essere valorizzate nell’ambito del corso di laurea. Così come devono poter essere orientate e valorizzate in modo “creativo” le attività formative a libera scelta dello studente in modo che non consistano solo nella frequenza di altri corsi di insegnamento per solito scelti dagli studenti perché considerati “più facili”. La riforma offre inoltre la possibilità di svolgere gli insegnamenti attraverso l’articolazione in moduli tenuti da docenti diversi; anche questo, a mio avviso, è una valida possibilità da utilizzare appieno, soprattutto nei “ corsi professionali” cioè negli insegnamenti di servizio sociale dove la presenza di più “esperti” può rappresentare sicuramente una ricchezza. Vorrei accennare infine al sistema dei crediti (CFU) che rappresenta l’innovazione più significativa della Riforma. Come si sa un credito è per solito corrispondente a 25 ore e comprende “attività didattica frontale” cioè lezioni del docente ma anche “studio personale o altre attività formative di tipo individuale pari almeno al 60% dell’impegno orario complessivo”. Il piano ministeriale della Laurea in scienze del servizio sociale fa a questo proposito una sottolineatura a mio avviso estremamente importante quando dice che la percentuale del 60% di studio personale può essere diminuita nel caso di “attività formative ad elevato contenuto sperimentale e pratico”. Questa precisazione può aprire, a mio avviso, ampie prospettive per un progetto formativo che comprenda attività di esercitazioni, di ricerche sul campo, di seminari basati su role-playing, simulate etc. cioè tutta una gamma di attività didattiche “attive” integrative delle lezioni teoriche già ampiamente sperimentate nella formazione degli AA.SS. e che possono trovare spazio nell’ambito di un corso di Laurea. Inoltre 13
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