Le "public utilities" italiane: liberalizzazioni incompiute

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Le «public utilities» italiane: liberalizzazioni
incompiute
di Massimiliano Pacifico

1.   Premessa

      La riforma dei servizi di pubblica utilità, avviata da qualche anno
in Italia e in tutti i paesi dell’Unione europea, ha come traguardo finale
la costruzione di mercati liberalizzati e regolamentati. Per riuscire a
perseguire i benefici auspicati dalla liberalizzazione dei servizi è neces-
sario uno sforzo per armonizzare le diverse discipline nazionali: si trat-
ta cioè di favorire la creazione di un unico grande mercato europeo di-
sciplinato da regole uniformi nei confronti di chiunque voglia compe-
tere per aggiudicarsi l’erogazione di un servizio. Una volta completata
la riforma dovrebbero essere favoriti in primo luogo i consumatori ai
quali verranno offerti prestazioni migliori e prezzi sempre più conve-
nienti.
      Ma a che punto è il processo di liberalizzazione in Italia? L’artico-
lo intende descrivere le principali tappe di un processo ancora in corso
di attuazione. La prima sezione è dedicata ai principi fondamentali
sanciti dall’Unione europea sui servizi di interesse economico generale.
La seconda parte ripercorre i momenti più importanti del percorso di
recepimento della disciplina europea nel contesto italiano.
      Visto che la strada delle liberalizzazioni in Italia è stata molto con-
troversa e ha avuto esiti differenti, è opportuno fare delle distinzioni
tra i servizi nazionali e i servizi locali. Mentre per i primi (telecomuni-
cazioni, elettricità, gas) si sono avviati significativi processi di apertura
dei mercati, aderenti ai principi europei, per i secondi (trasporto loca-
le, servizi idrici e ambientali) sono stati praticamente disattesi gli orien-
tamenti europei. Infatti, a seguito di deroghe concesse dalle istituzioni
nazionali, gli enti locali hanno potuto continuare ad adottare modelli
di gestione del passato, di fatto in contrasto con il disegno europeo. In
altre parole gli enti locali operano ancora in regime di monopolio, at-

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traverso le imprese di loro proprietà, grazie alle proroghe che hanno
consentito la prosecuzione degli affidamenti diretti e il rinvio a tempo
indeterminato del principio della concorrenza. L’evidenza di questo
approccio è dimostrato dalla quasi carenza di procedure competitive
per l’attribuzione dei servizi su scala locale.

2.    Il disegno europeo

     L’Ue riconosce un ruolo fondamentale ai servizi di interesse gene-
rale, ritenendoli elementi fondanti della cittadinanza europea, stru-
menti per la coesione sociale e territoriale e mezzo per la salvaguardia e
la promozione della competitività dell’economia. I servizi devono esse-
re accessibili, di buona qualità e a prezzi abbordabili. Indipendentemen-
te dal soggetto che eroga i servizi, pubblico o privato, l’autorità pub-
blica – oltre a definire obblighi e funzioni del servizio – è responsabile
della regolamentazione del mercato e deve garantire il rispetto delle
regole nello svolgimento del servizio da parte degli operatori. Per fare
questo, gli Stati membri dovrebbero avvalersi di autorità di regolamen-
tazione indipendenti con mansioni di controllo e poteri sanzionatori1.
     Non tutti i servizi di interesse generale però hanno caratteristiche
simili: esistono infatti delle differenze sostanziali tra i servizi sociali e
sanitari, e i servizi erogati dalle industrie a rete, detti anche servizi di
pubblica utilità2. La posizione delle istituzioni europee nei confronti
delle public utilities è piuttosto definita ed è sempre stata orientata alla
creazione di un unico mercato interno e competitivo che garantisca
una pluralità di offerte per i consumatori: come è già avvenuto in alcu-
ni settori liberalizzati – telecomunicazioni e trasporto aereo – ciò con-
tribuisce non solo all’abbassamento dei prezzi ma anche a stimolare
competizione tra operatori in termini di investimenti, per esempio me-
diante adeguamenti tecnologici, oltre a una diversificazione dell’offerta
da parte degli operatori. Qual è dunque la teoria di fondo che sta alla
base della politica europea di liberalizzazione delle public utilities?
Perché bisogna liberalizzare?
     In primo luogo occorre ricordare che si tratta di un tema presente
nell’agenda politica europea da diversi anni e che dalla fine degli anni
ottanta l’Ue ha puntato costantemente verso la graduale apertura dei
mercati per le grandi industrie a rete, a partire dalle telecomunicazioni.
Di seguito, l’interesse alla creazione di un mercato unico però si è este-
so anche ai servizi locali – trasporto locale, rifiuti, acqua – che tradi-
zionalmente venivano erogati in regime di monopolio da imprese pub-
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bliche di proprietà dell’ente locale.
      Il Trattato di Amsterdam del 1997 sancisce in modo formale
l’entrata della politica di liberalizzazioni nell’agenda europea, la quale
viene riconosciuta come uno degli strumenti più idonei per garantire
servizi migliori e meno costosi a favore dei cittadini e delle imprese.
Questi obiettivi sono raggiungibili attraverso una maggiore efficienza
nell’allocazione delle risorse e nella gestione dei processi produttivi;
l’idea che sta alla base dell’orientamento europeo è di produrre più
benefici per la collettività, più competitività delle imprese e quindi
dell’intero paese. Eppure non vi è un consenso unanime sugli effetti
positivi delle liberalizzazioni e vi è chi ne evidenzia gli aspetti più con-
troversi, in particolare la discrepanza tra attese iniziali e i benefici effet-
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tivamente accertati . Tuttavia, la legislazione comunitaria non si è mai
limitata alla semplice introduzione della concorrenza, ma ha sempre
previsto garanzie, per assicurare che i servizi continuassero a soddisfa-
re determinati standard qualitativi. Ove necessario, con le misure di li-
beralizzazione è anche prevista l’adozione di standard di salute e sicu-
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rezza e di obblighi nella determinazione dei prezzi .
      Il disegno europeo definisce pertanto la cornice entro la quale si
devono perseguire questi obiettivi in armonia con alcuni fondamentali
principi comunitari: la libertà di circolazione di beni, servizi e capitali
all’interno dell’Unione; la sana gestione delle imprese che erogano ser-
vizi e la trasparenza delle procedure per l’affidamento e il finanziamen-
to dei servizi; infine, l’attribuzione delle funzioni di sorveglianza a or-
ganismi indipendenti.
      L’Ue indica inoltre i caratteri essenziali che devono avere tali ser-
vizi: l’universalità, che varia nel tempo a seconda dei mutamenti sociali,
economici e tecnologici, inteso come il diritto per chiunque a ricevere
un insieme predeterminato e uniforme di prestazioni; la neutralità, ri-
spetto al regime di proprietà – pubblica o privata – del soggetto eroga-
tore del servizio; la sussidiarietà, che attribuisce agli Stati membri
l’individuazione del livello di governo più idoneo per la fornitura del
servizio al cittadino, nonché la definizione della natura e della portata
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del servizio che essi intendono assicurare , la proporzionalità garantisce
la non discriminazione tra imprese e il divieto di aiuti di Stato, ossia
l’assenza di restrizioni alla concorrenza se non in casi eccezionali.
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3.    Un processo graduale e non traumatico

      Spesso il termine liberalizzazione è associato all’idea di deregula-
tion, ossia all’eliminazione totale di regole e/o alla determinazione dei
prezzi secondo criteri di libero mercato. A questo proposito, l’Ue riba-
disce in più momenti il concetto di liberalizzazione ‘controllata’, vale a
dire un’apertura graduale del mercato finalizzata all’aumento dell’of-
ferta di servizi per i consumatori, accompagnata da misure di tutela
dell’interesse generale e dalla nascita di strutture indipendenti che sor-
vegliano l’applicazione delle regole. Infatti, laddove istituite, le autorità
di settore hanno finora dimostrato buona capacità di assistere i proces-
si di apertura dei mercati contrariamente a quanto accade nei settori in
cui non esiste un soggetto terzo e indipendente.
      Di solito inoltre il tema della liberalizzazione è erroneamente as-
sociato a quello di privatizzazione; bisogna sottolineare che non sono
affatto termini sinonimi visto che hanno significato profondamente di-
verso. Privatizzare significa vendere a soggetti privati i beni delle im-
prese di proprietà pubblica, ad esempio le infrastrutture (le strade, gli
acquedotti, la rete telefonica, la rete ferroviaria) che sono indispensabi-
li per la fornitura di servizi alla collettività: la vendita può riguardare
una porzione o la totalità del capitale. Di solito si parla di privatizza-
zione quando il pacchetto azionario di controllo di un’impresa pubbli-
ca passa in mano ai privati. Può invece accadere che il controllo
dell’impresa rimanga in mano pubblica pur vendendo una parte del
capitale dell’impresa: è quello che è avvenuto in Italia con l’Enel, per
esempio, di cui il Ministero dell’economia continua ad avere il pieno
controllo. Diverso è invece liberalizzare ossia creare le condizioni per
una effettiva e trasparente competizione tra operatori e garantire una
pluralità di offerte da parte di molti operatori, nell’ambito di regole e
vincoli comuni a qualunque operatore. In altre parole, secondo questo
disegno, nessuna impresa – di qualunque natura – può usufruire di
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privilegi, posizioni di favore o aiuti . È questa la principale preoccupa-
zione dell’Ue che si sforza di creare un contesto di condizioni uguali
per le imprese e si riserva di intervenire solo quando esistono ingiusti-
ficate restrizioni al principio della concorrenza, non indispensabili al
conseguimento dell’interesse generale. In definitiva, la Commissione
europea rimane neutrale rispetto alla natura che deve avere il fornitore
di un servizio.
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4.   Le liberalizzazioni a due velocità

      In Italia, nel corso degli anni novanta, una combinazione di fattori
interni ed esterni ha permesso un processo di riforme radicali: il de-
nominatore comune di questa stagione di riforme è stato il risanamen-
to dei conti pubblici finalizzato all’entrata dell’Italia nell’Unione eco-
nomica e monetaria7.
      Vengono elaborate una serie di politiche volte alla razionalizza-
zione delle risorse pubbliche e al miglioramento della gestione dei ser-
vizi. Vi sono almeno tre fattori significativi che in Italia hanno accelera-
to questo processo che sinteticamente vanno enunciati: 1) la grave crisi
della finanza pubblica causata per lo più dai deficit statali, incluse le
imprese pubbliche che garantivano la fornitura dei servizi pubblici, e
quindi la drastica riduzione di trasferimenti dallo Stato agli enti locali;
peraltro questo fenomeno è comune anche ad altri paesi europei e co-
stituisce una delle principali spinte alla nascita di una politica europea
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della concorrenza e del mercato unico ; 2) la scoperta di un sistema di
illegalità e corruzione diffuso che legava il mondo politico, le imprese
pubbliche e la spartizione del potere – Tangentopoli – e che contribui-
va a far innalzare vertiginosamente il costo di beni e servizi; 3) il cam-
biamento del sistema elettorale sia a livello locale che nazionale e
l’introduzione di principi di sussidiarietà; ciò ha contribuito a una
maggiore stabilità delle politiche per un arco di tempo medio-lungo.
      L’intreccio di questi tre fattori ha prodotto alcuni importanti in-
terventi anche nel settore delle public utilities dando avvio ad una tra-
sformazione societaria delle principali imprese pubbliche, che tuttavia
non ha comportato automaticamente la privatizzazione come comu-
nemente si crede. Tali imprese sono diventate società per azioni, quin-
di soggetti privati che operano nell’ambito del diritto privato, cessando
così di essere vincolate dall’ordinamento di diritto pubblico. In alcuni
casi, specialmente per imprese nazionali, sono state collocate quote a-
zionarie anche significative sul mercato oppure si sono costituite ex
novo società miste che includono la presenza di capitali privati. Queste
trasformazioni hanno incoraggiato quindi una gestione imprenditoriale
delle nuove società che si è tradotta in riorganizzazioni aziendali, mag-
giore attenzione alla struttura dei costi e dei ricavi, insieme a un’enfasi
crescente sui risultati da conseguire, sia in termini economici, sia in
termini qualitativi. Inoltre, la disciplina europea sulla concorrenza e
sugli aiuti di stato è stata estesa anche alle imprese che forniscono ser-
vizi di interesse economico generale: non è più possibile coprire le
perdite di gestione con finanziamenti pubblici, ma vi è l’obbligo di ga-
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rantire la parità di bilancio.
      In aggiunta ai fattori connessi a vicende nazionali, il processo di
integrazione europea ha pertanto imposto un adeguamento della legi-
slazione italiana a quella comunitaria. Sono state così recepite le diret-
tive europee in diverse materie, seppur in più tappe e circoscritte ad
alcuni settori, ossia telecomunicazioni, trasporti, servizio postale, elet-
tricità, gas, e sono nate autorità indipendenti di settore, autorità per
l’energia e il gas e autorità per le comunicazioni, oltre all’autorità na-
zionale antitrust. In alcuni settori come il trasporto aereo e le comuni-
cazioni elettroniche si è giunti più facilmente a una pressoché totale li-
beralizzazione, mentre in altri settori – soprattutto quelli le cui caratte-
ristiche si configurano come monopoli naturali – è stato intrapreso il
processo di riforma che tuttavia deve ancora concludersi.
      Se si guarda al disegno nazionale di riforma, emerge come obietti-
vo prioritario da perseguire la separazione tra la proprietà delle reti da
una parte e la gestione dei servizi dall’altra. Il secondo obiettivo da
raggiungere è l’aumento dell’offerta di servizi attraverso l’entrata di
nuovi operatori a fianco dei gestori già esistenti. Si tratta dunque di
abbattere le barriere all’entrata e di ridurre lentamente i monopoli e le
rendite di posizione degli ex-monopolisti. In definitiva, uno degli scopi
di tale strategia è quello di modificare il ruolo dello Stato, e degli enti
locali, nell’economia. Tale disegno è orientato a trasformare il ruolo
dell’autorità pubblica, che oggi riveste tre distinte funzioni ossia pro-
prietario, gestore e regolatore, a un unico ruolo ovvero soggetto regola-
tore del mercato.
      Per capire in che misura questa strategia è stata portata avanti fino
ad oggi, occorre però distinguere tra servizi nazionali e servizi locali: si
tratta di due processi distinti che conducono anche a risultati differen-
ti. Da un lato, vi sono i mercati dei principali servizi nazionali in cui il
percorso è avviato e va ancora completato; dall’altro vi sono i servizi
locali che invece hanno avuto un cammino più contorto e negli ultimi
anni hanno addirittura invertito la rotta e registrato cambiamenti fina-
lizzati al ritorno di modelli di gestione del passato. Per questi ultimi, la
fase iniziale è stata caratterizzata da uno spirito di adeguamento alla di-
sciplina europea. Nel corso del 2003 però le istituzioni nazionali hanno
introdotto deroghe al disegno europeo concedendo la possibilità di
rinviare le gare per l’attribuzione dei servizi e quindi prorogando i re-
gimi di gestione con affidamenti diretti da parte degli enti locali. Tale
situazione non ha contribuito all’avanzamento del processo di libera-
lizzazione, al contrario ha aiutato a mantenere in capo all’ente locale
numerose funzioni. Ancora oggi gli enti locali, invece che limitarsi alla
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definizione dell’insieme di esigenze a cui i servizi devono rispondere,
continuano a essere coinvolti direttamente in tutte le fasi del processo.

5.   Un ritorno al passato: i servizi locali

      A partire dal 2003 anche quei settori che gradualmente si stavano
aprendo al mercato a livello locale hanno subito una brusca frenata.
Molte amministrazioni locali che erano già pronte per avviare le gare
per l’affidamento dei servizi hanno archiviato o sospeso le procedure
avvalendosi della nuova disciplina introdotta dall’art. 113 del Tuel. La
nuova disciplina ha definito tre modalità per la gestione dei servizi
pubblici: l’affidamento diretto a società a capitale interamente pubbli-
co; l’affidamento a società mista pubblico-privato in cui il socio privato
è stato scelto mediante gara; la gara nella versione tradizionale che
mette in competizione qualunque operatore, sia esso pubblico o priva-
to. Queste modificazioni della disciplina, che di fatto agevolavano il
prolungamento delle situazioni esistenti, ha permesso agli enti locali di
continuare a decidere unilateralmente chi dovesse gestire il servizio,
eludendo il meccanismo competitivo per l’assegnazione dei servizi. I-
noltre, in virtù di queste modifiche molte società ex-municipalizzate si
sono rafforzate sui rispettivi mercati grazie alla partecipazione di un
socio privato di minoranza che ha sostenuto finanziariamente i piani di
sviluppo dell’azienda. In breve, le nuove norme introdotte hanno per-
messo agli enti locali di mantenere il controllo sulle imprese di loro
proprietà e hanno favorito il mantenimento delle condizione di mono-
polio di queste imprese sul mercato.
      Ciononostante nel periodo tra il 2000 e il 2005 alcuni enti locali
hanno comunque fatto ricorso a procedure competitive per l’aggiudi-
cazione dei servizi. Nel settore idrico sono state effettuate undici gare
per l’attribuzione del servizio e dodici bandi per selezionare il socio
privato di una società mista nella quale di solito la maggioranza è
dell’ente pubblico. Nel settore del gas a partire dal 2000, con l’entrata
in vigore della disciplina nazionale per la liberalizzazione, si sono effet-
tuate trenta gare e per lo più in piccoli Comuni. La durata media degli
affidamenti è di dodici anni. Per quanto concerne invece il trasporto
pubblico locale, il meccanismo competitivo si è avviato a partire
dall’attuazione dei provvedimenti legislativi nazionali prima del 1997 e
poi del 1999 che introducono l’obbligo alle gare per la gestione del
servizio. Una serie di deroghe ha però consentito l’estensione delle
vecchie concessioni, stipulate prima dell’entrata in vigore della nuova
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normativa, fino alla fine del 2003. Anche tale scadenza però è stata ini-
zialmente rinviata di due anni ed è successivamente decaduta a causa
del ritorno agli affidamenti in house. Il panorama del trasporto pubbli-
co locale pertanto si presenta ancora disomogeneo e si registrano signi-
ficative differenze tra aree del paese. Nel Sud si verifica un grave ritar-
do sia sul fronte della programmazione regionale, sia sul versante delle
gare mentre nelle regioni del Centro-Nord c’è una situazione più di-
namica: quasi ovunque sono state adottate normative regionali di set-
tore o piani regionali dei trasporti con cui si fissano criteri di organiz-
zazione del servizio e in qualche caso sono state attribuite funzioni im-
portanti anche alle Province.
      Premesso che nel trasporto locale, come in altri settori, si è utiliz-
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zato più frequentemente l’affidamento in house , laddove si sono effet-
tuate le gare si è verificato in primo luogo un risparmio economico per
le amministrazioni, oltre a una riorganizzazione sul fronte dell’offerta
dei servizi: in Lombardia, per esempio, il numero delle aziende è dimi-
nuito, ma è aumentata la loro dimensione media10. Gli esiti di queste
gare però non riservano grosse sorprese visto che molto spesso è il
soggetto già operante (incumbent) a vincere con ribassi piuttosto mo-
desti. Nei pochissimi casi in cui hanno vinto nuovi operatori si sono
registrati ricorsi alla magistratura che hanno portato alla sospensione o
all’annullamento della gara. In pratica, non conta soltanto fare o non
fare la gara, ma anche le modalità con cui si predispongono le gare. Se
a vincere le gare sono sempre gli stessi operatori, probabilmente an-
drebbe approfondito anche il meccanismo con cui avviene l’aggiudica-
zione dei servizi. Non è dunque esclusa l’ipotesi che alcune competi-
zioni siano predisposte e disegnate su misura per il concorrente che si
intende favorire.
      Da questo quadro si ricava che il processo di liberalizzazione è o-
stacolato dagli enti locali o almeno vi è un forte impegno a rinviarne
l’attuazione il più a lungo possibile. Ma perché gli enti locali avrebbero
interesse a farlo? Studi di matrice economica e studi di matrice giuridi-
ca hanno individuato come ragione di questa resistenza il fatto che
l’ente locale sia titolare di troppe funzioni, inevitabilmente in contrasto
tra loro e causa di sovrapposizioni, confusioni e ingerenze11.
      L’ente locale è al tempo stesso proprietario della rete, gestore del
servizio e regolatore del mercato. Ciascuno di questi ruoli è portatore
di un interesse diverso e difficilmente riesce a conciliarsi in modo effi-
cace in un unico soggetto: chi è proprietario delle reti in un regime di
monopolio tende a massimizzare le rendite e quindi gli utili; chi è ge-
store in un mercato monopolista tende a minimizzare i costi – rispar-
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miando per esempio sulla manutenzione – anche a scapito della qualità
del servizio e comunque rimane esentato dal misurarsi con gli altri o-
peratori del mercato; infine, chi deve regolare il funzionamento del
mercato ha obiettivi di miglioramento della qualità e di riduzione dei
costi e tende a minimizzare la rendita del monopolista a vantaggio de-
gli utenti. Per risolvere questo conflitto di interessi è possibile operare
almeno su tre fronti: a) separare la proprietà delle reti dalla gestione; b)
avviare realmente procedure competitive per la gestione dei servizi; c)
rafforzare il ruolo di regolazione dell’ente locale.
      Con il ritorno all’affidamento in house il legislatore italiano si è
esposto nuovamente al rischio di creare ampie aree di inefficienze: ta-
riffe più alte per i consumatori e non basate solo sui costi, al punto che
si potrebbe parlare di tasse occulte, massimizzazione delle rendite di
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monopolio e quindi strategie aziendali poco coraggiose , scarsi incen-
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tivi all’investimento e all’innovazione . Peraltro anche laddove esisto-
no monopoli naturali – si pensi ai servizi idrici o ai servizi ambientali
che funzionano meglio quando l’intero ciclo di produzione è integrato
verticalmente e gestito da un solo soggetto –, la competizione per
l’attribuzione del servizio può comunque avvenire e garantire in ogni
caso un piano di investimenti sulle infrastrutture e un elevato livello
qualitativo del servizio erogato. Anche nei monopoli naturali, dunque,
può essere innescato un comportamento virtuoso e competitivo nei
confronti di chi è tenuto a gestire il servizio purché gli affidamenti non
abbiano una durata troppo lunga. Attualmente la durata media di affi-
damento dei servizi idrici è di trenta anni. Questo significa creare nuo-
ve situazioni di monopolio difficilmente intaccabili e a esclusivo van-
taggio dell’operatore vincitore della gara.

6.   Le reazioni degli enti locali alle spinte verso la liberalizzazione

     Una ricostruzione dello stato dell’arte in tema di servizi locali
compiuta da Confservizi14 ci dice che soltanto il 3,4% delle società è
controllata interamente da privati: nel restante 73% dei casi il Comune
è l’unico proprietario della società e nel 23,6% il Comune ha comun-
que la maggioranza e quindi controlla la società. Inoltre, l’ente locale –
in virtù del ruolo di socio unico o maggioritario – decide le strutture di
governo delle imprese e designa (in media nell’85% dei casi) il top
management, spesso di provenienza proprio dal settore pubblico.
     I timori di vendita delle imprese locali ai privati o la nascita di
monopoli privati al posto di quelli pubblici, sono stati scongiurati e
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addirittura si è verificato un fenomeno opposto: in questi anni gli enti
locali hanno rafforzato la loro posizione sul mercato attraverso acquisi-
zioni di imprese private o mediante alleanze strategiche con altri ope-
ratori, per esempio con altre imprese di proprietà pubblica operanti in
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aree limitrofe . È quanto accaduto per esempio nella distribuzione del
gas, nella produzione e distribuzione di elettricità, nell’acqua e nei ri-
fiuti. A conferma di questo fenomeno di espansione dell’attività im-
prenditoriale degli enti locali si può citare il caso, peraltro non isolato,
del Comune di Roma: secondo una recente indagine il patrimonio tota-
le delle partecipazioni comunali supera i 2 miliardi di euro e solo nel
2004 avrebbe generato 318 milioni di euro di utili per il bilancio della
città16.
      In alcuni casi le alleanze riguardano imprese dello stesso settore e
hanno lo scopo di ampliare l’area geografica di gestione mentre in altri
si tratta di alleanze tra soggetti che operano in settori differenti: la stra-
tegia dell’impresa è quella di espandersi anche in altri settori dando vi-
ta cioè alle società multiutility.
      Se a questo nuovo disegno delle imprese di proprietà pubblica si
aggiunge il rinvio, ma sarebbe meglio dire il rifiuto, di metodi competi-
tivi come le gare per l’aggiudicazione dei servizi17 abbiano prevalso sui
principi sanciti dal Trattato18. Infatti, le ex-municipalizzate hanno po-
tuto operare e usufruire dei diritti concessi ai soggetti privati, ma al
tempo stesso, hanno goduto dei tradizionali vantaggi concessi a favore
dei soggetti pubblici: tale combinazione di strategie ha prodotto finora
il massimo dei benefici. Da questo quadro emerge che tale situazione
non soltanto penalizzerebbe altri eventuali operatori del settore ma in-
cide negativamente sulle stesse imprese affidatarie del servizio:
l’autorità nazionale antitrust ha evidenziato che la capacità di crescita
delle imprese operanti in settori concorrenziali è maggiore delle impre-
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se in cui la concorrenza è ridotta o assente .
      Dunque, mentre il disegno europeo è teso a intaccare le rendite di
posizione degli ex-monopolisti innescando maggiore competizione, il
Parlamento nazionale adotta provvedimenti che stravolgono i principi
comunitari creando ulteriori strumenti a vantaggio dei monopolisti.

7.    Le ragioni degli enti locali

     Che cosa può spingere gli enti locali a esercitare tanta resistenza al
cambiamento? Le motivazioni sono di varia natura. In primo luogo,
bisogna chiedersi perché può creare tanto scompiglio il fatto che
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un’impresa diversa dalla ex-municipalizzata possa aggiudicarsi un ser-
vizio. Ogni amministratore locale potrebbe temere l’avvicendamento
nella gestione di un servizio in termini di perdita dei posti di lavoro: gli
addetti dell’impresa ex-municipalizzata di solito sono cittadini-elettori
dello stesso territorio. Prima di fare ricorso alle gare gli amministratori
sono quindi preoccupati di tutelare i posti di lavoro degli addetti im-
piegati presso le ex-municipalizzate e infatti in alcuni casi sono richiesti
vincoli contrattuali specifici: per esempio, nel recente decreto ambien-
tale la disciplina sull’affidamento dei servizi di raccolta e smaltimento
dei rifiuti impone al nuovo soggetto affidatario di assumere le stesse
persone che lavoravano nell’impresa uscente, in base al comma 6
dell’articolo 202, d.lgs. 152/2006.
      In secondo luogo, vi può essere il timore da parte dell’ente locale
che le prestazioni e la qualità dei servizi del nuovo operatore non siano
soddisfacenti e quindi non rinegoziabili o modificabili una volta con-
clusa la gara. Anche questo aspetto può essere affrontato attraverso la
stesura di contratti di servizio che disciplinino in modo dettagliato tut-
te le caratteristiche del servizio che il gestore è tenuto a offrire, come
pure le procedure di controllo e le eventuali sanzioni a fronte delle ir-
regolarità rilevate: c’è invece da chiedersi se il personale delle pubbli-
che amministrazioni locali ha le competenze professionali che occorro-
no per stilare bandi di gara e contratti di servizio in maniera puntuale.
Infatti, a partire dalla trasformazione delle ex-municipalizzate in socie-
tà per azioni gran parte delle figure professionali più competenti di
ciascun settore si è spostato nell’organico delle nuove società lasciando
di fatto un vuoto di competenze nella pubblica amministrazione origi-
naria. Ciò non è indifferente soprattutto se si pensa alle funzioni di
controllo e regolazione che l’ente locale dovrebbe esercitare. Per ov-
viare a tali inconvenienti occorre investire nella formazione e nel reclu-
tamento di nuove figure professionali all’interno della pubblica ammi-
nistrazione.
      Il terzo fattore è squisitamente politico. Fino a oggi gli organismi
di vertice delle imprese di gestione sono decisi dalle forze politiche lo-
cali. Si tratta cioè di cariche definite genericamente di sottogoverno: i
vertici delle aziende vengono individuati sulla base di affiliazione poli-
tica, ma anche per competenze manageriali. Con l’avvento delle pro-
cedure competitive tale condizione verrebbe meno con tutte le riper-
cussioni che il mutamento implica nel sistema politico.
      Infine, va segnalato un aspetto finanziario e contabile di primo ri-
lievo. In un periodo contraddistinto da continue riduzioni e tagli alla
spesa degli enti locali, le più importanti voci del bilancio comunale,
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che fanno registrare forti entrate, sono l’Ici, le addizionali comunali Ir-
pef e i dividendi delle società partecipate. In altre parole, la gestione
dei servizi di pubblica utilità produce utili che l’azionista di maggio-
ranza, ossia lo stesso ente locale, può utilizzare per la fornitura di altri
servizi ai cittadini o coprire i disavanzi di bilancio.
      Come sciogliere questi nodi? Non tutti i problemi evidenziati
hanno la stessa importanza e per questo possono essere affrontati e ri-
solti con un unico strumento. Tuttavia finora l’intreccio ha contribuito,
indipendentemente dal colore politico delle coalizioni cittadine, a
bloccare i tentativi di riforma del settore.
      L’intenzione di risolvere alcuni problemi si registra anche in due
recenti circostanze. Nel corso della sua relazione annuale al parlamen-
to, il presidente dell’autorità garante per la concorrenza e il mercato,
ha puntato l’attenzione sul conflitto di interessi in capo alle ammini-
strazioni e sulle modalità di affidamento degli enti locali in materia ser-
vizi pubblici: Spesso l’autorità rileva l’esistenza di privilegi accordati,
in settori estranei all’esclusiva, dai Comuni alle proprie aziende con-
cessionarie di servizi, soprattutto di trasporto. Per ora l’autorità si è li-
mitata all’attività di segnalazione, ma non si può escludere una confi-
gurazione della fattispecie come illecita20. In secondo luogo, il decreto
legge 223 del 4 luglio 2006, pur non affrontando direttamente il tema
dei servizi pubblici locali, ha previsto alcuni provvedimenti finalizzati
ad «assicurare un assetto maggiormente concorrenziale dei servizi pub-
blici di trasporto locale»21.

8.    Una liberalizzazione parziale: il settore elettrico in Italia

     In Italia il fabbisogno di energia è soddisfatto per il 70% da idro-
carburi (petrolio e gas) e in misura minore dal carbone e da fonti rin-
novabili che coprono solo una parte minima della domanda. La pro-
duzione di energia con centrali nucleari non è più praticabile a seguito
del referendum nazionale che si è svolto dopo il grave incidente di
Cernobyl. Da queste premesse emerge che il prezzo dell’energia italia-
na è correlato strettamente al prezzo degli idrocarburi.
                                                                          22
     Il settore elettrico si configura di solito come monopolio naturale
e le imprese che operano nella filiera del settore elettrico controllano
spesso tutte le fasi dell’attività integrata verticalmente, ossia produzio-
ne, trasmissione e commercializzazione: in Italia dal 1963 le principali
imprese del settore sono di proprietà dello Stato. A partire dagli anni
ottanta la diffusione di nuove tecnologie informatiche però ha permes-
LE   «PUBLIC   UTILITIES» ITALIANE   307

so a soggetti diversi di operare in maniera indipendente nell’ambito
della stessa rete: in pratica è possibile contabilizzare e fatturare separa-
                                               23
tamente i flussi di energia di ogni operatore .
     Per ridurre il debito pubblico italiano è stato anche avviato un
processo di parziale privatizzazione delle imprese elettriche, parallela-
mente all’avvio del processo di liberalizzazione. Il primo momento di
questo percorso è costituito dalla trasformazione in società private dei
due principali monopolisti del settore – Enel ed Eni – e poi la succes-
siva vendita delle loro azioni sul mercato. Il controllo delle società però
è rimasto saldamente nelle mani dello Stato.
     La seconda tappa doveva essere contraddistinta dall’imposizione
                                                          24
di separazione tra la proprietà e la gestione delle reti , ma i provvedi-
menti adottati si sono rivelati molto deboli. Le direttive nazionali infat-
ti obbligarono solo alla separazione societaria delle reti e non proibi-
rono perciò alle nuove società, costituite per la gestione della rete elet-
trica e del gas, di far parte dello stesso gruppo industriale. Gli ex-
monopolisti non hanno avuto dunque né motivo né dovere di cedere il
controllo delle reti. Eppure l’Enel, ex-monopolista per l’elettricità, pur
non potendo controllare più del 50% del mercato, rimane in posizione
dominante; anche nel mercato nazionale del gas il controllo è nelle
mani di un unico operatore pubblico, Eni, che controlla i due princi-
pali gasdotti d’importazione provenienti da Russia e Algeria. Un tassel-
lo fondamentale della riforma è la nascita dell’autorità indipendente
per la regolazione dei settori energetici, istituita nel 1996, a cui sono
originariamente affidati forti poteri di intervento. Negli anni più recen-
ti però i poteri dell’autorità sono stati limitati a favore di un ritorno di
competenze al Ministero competente, che ha preferito una regolazione
diretta delle politiche dell’energia25. In sintesi, rispetto al processo di
liberalizzazione dell’energia lo Stato è in conflitto di interessi: se cresce
il grado di apertura dei mercati, diminuisce il valore e la redditività
delle imprese di proprietà pubblica e quindi la loro capacità di contri-
buire alla riduzione del debito pubblico.
     I risultati ottenuti fino ad oggi nel campo dell’energia sono soddi-
sfacenti solo parzialmente. Tra gli obiettivi raggiunti vi sono: maggiore
offerta per i grandi consumatori con vantaggi in termini di prezzo e di
condizioni di fornitura; maggiore protezione per i piccoli consumatori
grazie a norme più chiare sui loro diritti, all’azione dell’autorità indi-
pendente e al generale miglioramento servizio; aumento degli investi-
menti per la generazione elettrica, che favoriranno la nascita di nuove
centrali e il rinnovamento di quelle esistenti, e quindi una maggiore ef-
                                                26
ficienza che consentirà la riduzione dei costi .
308     MASSIMILIANO PACIFICO

      Il mercato tuttavia non sembra ancora avviato a una vera concor-
renza. Rimane una condizione di duopolio. Per il gas, le politiche di
settore sono concordi nel ritenere necessario un aumento dell’offerta
attraverso l’importazione di gas liquido. Il principale vantaggio del gas
liquido consiste nella possibilità di acquistarlo anche dai paesi produt-
tori non collegati con reti di gasdotti all’Italia e quindi nella possibilità
di essere trasportato via mare. Per realizzare il disegno servono però
diversi impianti di rigassificazione, da dislocare in varie aree del terri-
torio nazionale. Oltre ad avere un iter burocratico abbastanza lungo, i
rigassificatori sono molto osteggiati da comunità e autorità locali. Co-
me avviene per altre opere di interesse generale, si verifica la sindrome
Nimby (Not In My Back Yard) degli abitanti del territorio identificato
per l’installazione dell’impianto. La vicenda del rigassificatore di Brin-
disi si protrae da diversi anni e vede alleate le amministrazioni locali,
peraltro di colore politico differente, nell’osteggiare l’apertura dell’im-
pianto e anche a Livorno sono iniziate da qualche mese le proteste
                                                   27
contro l’eventuale installazione di un impianto . Anche per l’elettricità
bisognerebbe aumentare in modo significativo la capacità di importa-
zione di energia dall’estero, limitata solo al 12%. In altri termini, è op-
portuno estendere i confini del mercato elettrico attraverso l’intercon-
nessione e quindi l’interscambio con altri mercati nazionali confinan-
ti28.

9.    Gli altri paesi e la politica energetica europea

     Che cosa è successo nei paesi in cui la liberalizzazione si è comple-
tata? Per rispondere a questa domanda si può guardare a Gran Breta-
gna e paesi scandinavi. In entrambe le aree si è creato un clima favore-
vole alla liberalizzazione e la normativa europea non ha riscontrato
grandi resistenze da parte degli attori nazionali. Al di là delle diverse
tradizioni di welfare esistenti la liberalizzazione dell’energia è stata
completata. Nell’arco di quattro anni, dal 1995 al 1999, i costi di pro-
duzione delle imprese si sono ridotti, generando un aumento dello
0,3% del Pil.
     Nei paesi scandinavi molte imprese elettriche locali sono rimaste
pubbliche, ma si sono adattate a operare in un contesto concorrenziale,
abbattendo i regimi monopolistici nazionali. Nel caso della Gran Bre-
tagna le reti sono state separate in modo netto, cioè conferite a società
indipendenti e quotate in borsa e nessuna impresa detiene più del 20%
del mercato. Misure analoghe sono state adottate nei mercati all’in-
LE   «PUBLIC   UTILITIES» ITALIANE   309

grosso e al dettaglio del gas nei quali attualmente vi è forte competi-
zione. I risultati possono ritenersi positivi visto che i prezzi dell’energia
si sono ridotti soprattutto grazie alla concorrenza e ai miglioramenti di
efficienza. Sul fronte dell’occupazione si è registrato un calo nelle im-
prese di produzione, trasporto e distribuzione, mentre nelle imprese
che operano in attività commerciali e finanziarie connesse si è avuto
incremento di addetti. Il mercato dell’energia britannico vede operare
diverse imprese di varie nazionalità e in tutte le fasi di attività, con
                                             29
grandi benefici anche per gli investimenti .
      Emerge con evidenza la necessità di una politica energetica co-
mune europea. Per la prima volta nel 2005 è stata affermata l’esigenza
di creare interconnessioni delle reti e mettere in comune le riserve e i
rischi, non su scala nazionale, ma europea. Il libro verde sull’energia
della Commissione (marzo 2006) conferma peraltro questo orienta-
mento. Nessun paese europeo è in grado di ovviare in maniera auto-
noma al fabbisogno energetico. Serve ragionare in termini di mercato
unico.

10. Conclusioni

      La liberalizzazione dei servizi pubblici va inclusa tra le politiche
generate dal processo di europeizzazione, inteso come l’insieme di in-
fluenze che si producono tra le strutture europee e quelle nazionali sia
nelle istituzioni della politics che nelle polizies30. Tali influenze si tradu-
cono – da parte dell’Ue nei confronti degli Stati – in vere e proprie
pressioni all’adattamento e non hanno conseguenze uguali ovunque. Il
risultato di tali pressioni è connesso al grado di compatibilità tra strut-
ture europee e nazionali: nei paesi in cui il grado di compatibilità è al-
to, la pressione è minore; laddove il grado di compatibilità è basso, la
pressione sarà maggiore. In altre parole, gli effetti della pressione – e
quindi il successo o meno di una politica europea – dipendono in cia-
scun paese dall’esistenza di fattori facilitanti e fattori ostacolanti31. Tra i
fattori facilitanti vi sono attori che condividono la scelta europea e le
ragioni della pressione; tra i fattori ostacolanti vi è la presenza di attori
interni che non condividono le ragioni europee e hanno un interesse a
neutralizzare il processo per continuare a massimizzare le proprie utili-
tà.
      Nel contesto italiano la liberalizzazione raccoglie più ostilità che
favori: il sostegno a queste politiche non è affatto esteso e l’idea che
occorra una massiccia presenza dello Stato nell’economia è ancora
310    MASSIMILIANO PACIFICO

prevalente. In definitiva, vi sono alcuni attori forti, ben organizzati e
con interessi non trascurabili, che finora hanno prevalso sugli altri at-
                                                                         32
tori, più numerosi, molto frammentati e non ancora compatti . Per
spiegare questa ostilità è sufficiente considerare almeno tre questioni.
      La prima è costituita dal costante conflitto sotteso ai processi di
privatizzazione e liberalizzazione. Le imprese di proprietà pubblica che
erogano servizi di pubblica utilità hanno una doppia veste: da un lato,
sono società private e possono reperire capitali privati allo scopo di e-
spandersi o consolidarsi sul mercato; dall’altro, traggono vantaggio in-
debitamente dal fatto di continuare ad operare in contesti di monopo-
lio, o comunque in posizioni fortemente dominanti sul mercato, grazie
alle protezioni garantite dalle stesse autorità pubbliche che ne deten-
gono il controllo. Infatti, i tassi di redditività di tali imprese registrano
una crescita più elevata rispetto ad imprese che operano in settori a-
                          33
perti alla competizione . Tale situazione favorevole contribuisce a in-
crementare il valore patrimoniale e i risultati di gestione (utili e divi-
dendi): ciò va a favore di investitori privati e azionisti pubblici. Questo
è uno dei motivi per cui le autorità pubbliche si prodigano nella difesa
delle imprese nazionali e/o locali rinviando l’apertura dei mercati.
      In secondo luogo la liberalizzazione è ostacolata perché costitui-
sce una minaccia per gli interessi corporativi degli attori più forti: go-
verni, sindacati e gestori. Per il potere politico, che continua a mante-
nere un legame diretto con le imprese controllate, liberalizzare signifi-
ca ridurre le entrate per il bilancio pubblico e minor possibilità di in-
gerenza nell’attività di tali società; per gli attuali gestori l’avvio di un si-
stema competitivo intaccherebbe le rendite di posizione; i sindacati
degli attuali operatori sanno che con la liberalizzazione vi è rischio
concreto di riduzioni degli organici, come accaduto nel Regno Unito, o
la fine di condizioni più favorevoli per i lavoratori che essi rappresen-
     34
tano . Esistono per contropartita vantaggi e soprattutto altri stakehol-
der che attualmente hanno un minore potere di pressione: i consuma-
tori ai quali verrebbe garantita una maggiore offerta di servizi – proba-
bilmente migliore in termini di qualità e di prezzo – e le altre imprese
del settore. A fronte di una riduzione del personale dell’incumbent vi
sarebbero incrementi occupazionali nelle altre imprese che entrano nel
mercato. Ciononostante, tutti gli interventi legislativi degli ultimi anni
sono stati disegnati per tutelare gli interessi di alcune tipologie di atto-
ri.
      L’ultimo elemento necessario al completamento della riforma
concerne il difficile passaggio dallo Stato gestore allo Stato regolatore.
Se il vantaggio principale dell’assetto liberalizzato dovrebbe essere
LE   «PUBLIC   UTILITIES» ITALIANE    311

svincolare le istituzioni dal ruolo di fornitrici dirette o indirette di ser-
vizi, mettendole nella posizione di garanti del buon funzionamento del
mercato, in Italia questo orientamento stenta a consolidarsi. Probabil-
mente è ancora carente una cultura della regolazione, in particolare
quella indipendente, e continua a prevalere un modello promiscuo di
regolazione e gestione dello Stato. Fino a quando coloro che fissano le
regole continuano ad essere anche i giocatori non è possibile
l’imparzialità. Bisogna rafforzare non solo il peso, ma anche la qualità
della regolazione, dal momento che ormai l’interesse pubblico si tutela
                                                        35
più con le regole, che con la proprietà delle imprese .

NOTE
      1
          Libro bianco sui servizi di interesse generale, 2004. Comunicazione della Com-
missione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo
e al Comitato delle regioni, del 12 maggio.
       2
         Su questo punto si veda Cartei, I servizi di interesse economico generale tra riflusso
dogmatico e regole di mercato, in «Rivista italiana di diritto pubblico comunitario», 2005,
5.
       3
          Cfr. Noaksson, Taking stock of the liberalization of public utilities. Can structural
reforms bring the Lisbon strategy back on track?, Brussels, 2005.
       4
          Relazione della Commissione sui servizi di interesse generale presentata al Consi-
glio Europeo di Laeken, 2001.
       5
          Relazione della Commissione del 27 novembre 2002 sullo stato dei lavori relativi
alle linee direttrici in materia di aiuti di Stato per i servizi di interesse economico genera-
le.
       6
          Per esempio, nel caso delle imprese pubbliche attraverso la copertura delle perdi-
te di gestione con denaro pubblico e quindi a carico della fiscalità generale
       7
          Cfr. Ferrera, all’interno del volume di Fabbrini (a cura di), L’europeizzazione
dell’Italia, Roma-Bari, 2003, p. 243 e ss.
       8
         Cfr. Giraudi, in Fabbrini (a cura di), L’europeizzazione dell’Italia, cit., p. 140 e ss.
       9
          Sull’istituto giuridico dell’in house providing, si veda Greco, Imprese pubbliche,
organismi di diritto pubblico, affidamenti «in house»: ampliamento o limitazione della con-
correnza?, in «Rivista italiana di diritto pubblico comunitario», 2005, 1.
       10
          Osservatorio Hermes, Le gare per l’affidamento del servizio di trasporto pubblico
locale in Italia, a cura di Cambini e Galleano, rapporto aggiornato a maggio 2005.
       11
          Su questo punto si vedano i numerosi contributi all’interno del volume De Vin-
centi - Vigneri (a cura di), Le virtù della concorrenza. Regolazione e mercato nei servizi di
pubblica utilità, Bologna, 2006.
       12
          Ogni impresa continua a operare sul proprio territorio di riferimento senza ten-
tare di espandersi e affermarsi su un mercato europeo.
       13
          Cfr. Monti, I servizi pubblici locali nel quadro della politica di concorrenza comu-
nitaria, relazione presentata al convegno su «Le liberalizzazioni e le privatizzazioni nei
servizi pubblici locali», dalla Fondazione Montedison, il 20 marzo 2000 a Milano.
       14
           Si veda Servizi Pubblici, sviluppo, regolazione, compatibilità sociale e ambientale,
Quaderni Confservizi, Rapporto sui servizi pubblici locali, 2004.
       15
          Cfr. L’ora del municipio-padrone, in «Il Sole 24 Ore», 15 marzo 2006.
312        MASSIMILIANO PACIFICO

      16
           L’Adam Smith Society ha condotto un’indagine in merito alle partecipazioni a-
zionarie – e ai relativi dividendi incassati – in alcune delle più popolose città italiane. I
dati possono però essere incompleti – e probabilmente sottostimati per difetto – a causa
della reticenza delle amministrazioni nel rilasciare tali informazioni e più in generale al
contesto poco trasparente. Per maggiori dettagli si rinvia al testo integrale Convincere i
riottosi. Come incentivare le privatizzazioni degli enti locali (2006).
        17                                                                                       1
           E nelle poche circostanze in cui si fanno vedono come vincitori i vecchi gestori)
e il sistematico ricorso all’affidamento in house, si può concludere che non vi è né libera-
lizzazione, né privatizzazione. In pratica, sembra che gli interessi corporativi degli enti
locali e delle società ex-municipalizzate (inclusi quelli delle organizzazioni sindacali di
queste imprese).
        18
           Con riguardo alle ostilità degli enti locali alle liberalizzazioni, Lanzillotta Contro-
liberalizzazioni: il caso del trasporto locale a Roma, in «Mercato concorrenza e regole»,
2004, 3.
        19
           Si veda la relazione annuale 2005 del presidente dell’autorità garante per la con-
correnza e il mercato (30 aprile), p. 8 e ss.
        20
           Relazione annuale del presidente dell’autorità garante della concorrenza e del
mercato, Antonio Catricalà, Roma 11 luglio 2006, p. 19.
        21
           L’articolo 12 stabilisce, in materia di trasporto locale, che i Comuni possono
prevedere lo svolgimento dei servizi di trasporto, in tutto il territorio o in tratte e per
tempi predeterminati, anche da parte dei soggetti in possesso dei necessari requisiti tec-
nico-professionali.
        22
           Le reti, infatti, non si possono duplicare o moltiplicare se non a costi proibitivi.
        23
           Cfr. Ranci, Concorrenza e liberalizzazione: il caso dei servizi energetici a rete, in
Torchia - Bassanini (a cura di), Sviluppo o declino, Firenze, 2005.
        24
           L’accesso alla rete deve essere consentito a tutti i soggetti interessati a trasportare
energia per venderla o per comprarla. Per garantire il principio di non discriminazione
nell’accesso, chi controlla una rete non dovrebbe avere interessi nel campo dell’energia e
per questo bisogna separare le reti dalle attività che richiedono l’uso delle reti stesse.
        25
           Sul coinvolgimento diretto del governo nelle decisioni regolative e sull’erosione
dei poteri delle autorità indipendenti si veda Napolitano, Regole e mercato nei servizi
pubblici, Bologna, 2005, p. 24.
        26
           Cfr. Ranci, Concorrenza, cit.
        27
           Sui movimenti di protesta e sulla capacità di difesa delle comunità locali rispetto
alle opere di interesse generale, si veda l’articolo di L. Bobbio, Discutibile e indiscussa:
l’Alta Velocità alla prova della democrazia, «il Mulino», 2006, 1, p. 124-132.
        28
           Biancardi – Fontini, Liberi di scegliere? Mercati e regole nei settori dell’energia,
Bologna, 2005, p. 88 e ss.
        29
           Ranci, Concorrenza, cit.
        30
           Su questo punto di veda Fabbrini, L’europeizzazione dell’Italia, Roma-Bari, 2005,
p. 7 e ss., e Graziano, Europeizzazione e politiche pubbliche italiane, Bologna, 2004.
        31
           Cowles - Caporaso - Risse, Transforming Europe. Europeanization and domestic
change, Cornell, 2001.
        32
           Ovvero tutti i consumatori che beneficerebbero di servizi migliori e le imprese
che aspirano a competere nei servizi forniti dalle imprese pubbliche.
        33
           Il buon andamento di queste società, sia su scala locale che nazionale, è confer-
mato anche nel 2005. Ad esempio, il gruppo Acea – holding del Comune di Roma che
fornisce servizi idrici ed elettrici – registra un aumento del 19,7% dei ricavi, +13,9% de-
gli utili e un dividendo del 24,3% in crescita rispetto al 2004: questo significa che verserà
nelle casse del Comune di Roma 53,3 milioni di euro («Corriere della Sera», Cronaca di
Roma, 16 marzo 2006, p. 5). Lo stesso vale per altre ex-municipalizzate che segnano in-
LE   «PUBLIC   UTILITIES» ITALIANE   313

crementi dei ricavi: Aem Milano +11%, Asm Brescia +34,7%, Hera +41%, Enìa +18%
– multiutility nata dalla fusione di ex-municipalizzate di Parma, Piacenza e Reggio Emi-
lia – (fonte www.clickutility.it). La società nazionale Terna, che gestisce la rete elettrica
nazionale, chiude il 2005 con un utile netto in crescita del 28,9% e un aumento dei divi-
dendi del 13%.
       34
          Si pensi per il settore aereo all’Alitalia.
       35
          Ranci, Battere l’instabilità con una politica europea, in «Global Competition»,
2006, 3, p. 31.
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