L'ambiente in cui viviamo. Conversazione con Richard Grusin - Fata Morgana WEB
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L’ambiente in cui viviamo. Conversazione con Richard Grusin a cura di Alessia Cervini e Angela Maiello Tutte le più recenti e autorevoli discussioni sui media sembrano andare in direzione di una progressiva riformulazione dell’idea stessa di medium. Ciò accade anche nella tua riflessione con il passaggio dall’idea di rimediazione a quella di premediazione, fino alla più recente tesi di una “mediazione radicale”. Alla luce di questo, vorremmo partire dalla messa a fuoco del concetto di medium per come esso si sta riformulando negli ultimi anni. Cos’è un medium oggi? Per me ci sono diverse definizioni di medium che, sotto alcuni aspetti, sono correlate. Almeno in inglese, si ricorre all’uso della parola “medium” – non so se sia così anche in italiano – per dire, ad esempio, «The fish lives in the medium of water» oppure «Air is the medium in which we breathe». Quindi in inglese una prima definizione di medium è quella di ambiente, ed è un uso significativo. L’altra è quella secondo cui il medium è un dispositivo, uno strumento di comunicazione, che ci connette reciprocamente, per cui il medium è qualcosa che si frappone tra due poli; usiamo, ad esempio, un “medium” della rappresentazione, se vogliamo esibire un’immagine del mondo, oppure usiamo il linguaggio come medium se vogliamo parlarci l’un l’altro. In questa seconda definizione il medium è un dispositivo della connessione. Ciò che provo a suggerire in Radical mediation è che la seconda nozione di medium coincide con la nozione generalmente accettata di mediazione, secondo cui la mediazione è qualcosa che, appunto, ci connette e ci riunisce attraverso un medium (che può essere la stampa, il film, la fotografia). Tuttavia c’è ancora un’altra definizione di medium, quella per cui il medium è ciò che è ovunque: il medium non è soltanto l’aria che respiriamo o l’acqua in cui vive il pesce, ma il nostro stesso corpo è un medium, attraverso cui interagiamo. Per me, e storicamente nell’uso della lingua inglese, il medium è innanzitutto qualcosa, appunto, come l’acqua, l’aria, un ambiente, ed è solo con lo sviluppo della stampa e della fotografia che è diventato lo strumento che usiamo, qualcosa in cui noi mettiamo idee o parole. FATA MORGANA 7
Alessia Cervini e Angela Maiello In questa stessa accezione, possiamo comprendere l’affermazione di McLuhan, secondo cui l’elettricità è un medium. Esattamente, per McLuhan i media sono gli ambienti in cui viviamo. Anche lui è uno studioso di lingua inglese, quindi, anche linguisticamente, la sua idea dei media è coerente con la prima definizione di medium di cui ho parlato. Se dunque consideriamo il medium o i media nel modo appena descritto, come forma del “tra”, origine dalla quale scaturisce ogni possibile rela- zione, dobbiamo anche ripensare i media nell’accezione tradizionale del termine. Nella tua teoria rintracci nell’evento epocale dell’11 settembre la miccia che ha innescato il passaggio da un fenomeno come quello della rimediazione (che giustificava ancora l’idea di un confronto dialettico fra vecchi e nuovi media) a quello di premediazione, in cui invece questa idea sembra ormai quasi del tutto inutile alla comprensione del panorama mediale contemporaneo. Rimediazione è un concetto più ampio di premediazione: Bolter ed io so- steniamo che tutti i media rimediano altri media e quindi non c’è mediazione che non sia già una rimediazione. Sotto un certo profilo, quindi, mediazione e rimediazione significano la stessa cosa, fatta eccezione per il fatto che la rimediazione enfatizza i processi di citazione, di remix e di campionatura. Ciò che cerco di sostenere con Premediation è che la premediazione è la forma predominante che la rimediazione assume dopo l’11 settembre. In tal senso, periodi storici diversi si caratterizzano per forme di rimediazione diverse: per esempio, per un certo periodo, nella tv in real time si incarnava un interesse diffuso per il presente, per il qui e ora, per l’immediatezza. La premediazione diventa la forma che la rimediazione assume dopo l’11 settembre, in larga parte a causa di quegli eventi terroristici; si tratta di un processo iniziato già tempo prima, sebbene non fosse visibile a livello popolare. L’11 settembre non è un punto di rottura, ma il momento in cui si può cogliere con più facilità come certe logiche culturali diventino domi- nanti, logiche che hanno certamente a che fare con il terrore, con lo shock prodotto da quell’evento, ma anche con le tecnologie capaci di raccogliere dati, estrarre informazioni per identificare modelli, e usare questi modelli per gestire il rischio. La premediazione ha a che fare con la gestione del rischio. Quando hai le tecnologie che te lo permettono, allora queste cominciano a funzionare anche in altri campi. Pensiamo alla medicina: oggi riguarda principalmente il futuro e la possibilità di prevenire malattie e danni, analo- gamente a quanto fanno le news cercando di anticipare un prossimo evento 8 FATA MORGANA
L’ambiente in cui viviamo. Conversazione con Richard Grusin catastrofico. Certamente vai dal dottore quando hai già un sintomo, come certamente le news coprono anche eventi passati, tuttavia basta un esame del sangue per scoprire che hai un valore alterato e che questo valore può portare a una malattia e a ulteriori rischi futuri. Non so come funzioni in Italia, ma negli Stati Uniti le persone assumono medicinali in virtù di questi dati e per prevenire qualcosa che potrebbe accadere in futuro. È lo stesso meccanismo legato anche al discorso sul cambiamento climatico: abbiamo queste tecnologie che rimediano dati passati, elaborano modelli e sulla base di tali modelli, ricavati attraverso degli algoritmi, vengono prescritte nuove regole comportamentali, sebbene la gente sia molto più incline a seguire le prescrizioni dei medici che non quelle dei climatologi. Ritengo, dunque, che stiamo assistendo ad un cambio di paradigma molto interessante. È significativo che entrambi gli esempi che fai enfatizzino l’importanza politica del medium, inteso anche come ambiente, e non soltanto come strumento. Qual è il rapporto tra la creazione di uno spazio politico e l’ambiente mediale? Se ci mettiamo nella prospettiva di storicizzare tale questione molto importante, possiamo osservare che i giornali o la radio sono media che nel XX secolo venivano usati anche per scopi politici. Hitler e Mussolini usava- no la radio, e naturalmente il cinema, Franklin Roosevelt faceva lo stesso; possiamo dire che questi media più tradizionali sono sempre stati usati in modo politico. Concordo con voi, tuttavia, che ciò che è interessante oggi è comprendere il modo in cui i media e la mediazione diventano quasi l’intero ambiente in cui noi viviamo. Non ci troviamo più nell’ambito dell’estetica o della rappresentazione in cui tradizionalmente i media hanno giocato un ruolo importante; o meglio forse sotto un certo profilo ci muoviamo ancora in quell’ambito e in quello che Benjamin descriveva con il concetto di po- liticizzazione dell’arte, sebbene in una modalità che Benjamin stesso oggi farebbe fatica a riconoscere. C’è sicuramente una forma di politicizzazione dei media, nel modo in cui ci siamo ormai abituati al controllo dei corpi, del clima o della finanza; qualcosa di simile si verifica nell’alta finanza, per esempio nella grande crisi del 2008, causata dalle sempre maggiori specula- zioni rese possibili dalle tecnologie dei dati. Possiamo dire che la mediazione ha come espanso i propri confini e quindi il proprio potere, dall’estetica – che naturalmente ha una propria valenza politica – ad ambiti che non sono più estetici, ma sempre più politici, come la salute, il cambiamento climatico, la finanza. In tutti questi ambiti vengono usate le stesse tecnologie digitali usate per la digital art o per il cinema digitale. Questa dunque è la portata politica di questo cambiamento tecnologico. FATA MORGANA 9
Alessia Cervini e Angela Maiello La rete e i social media rappresentano forse uno dei più importanti elementi di questo cambiamento. Si può pensare che, anche a prescindere dall’11 settembre, internet sia il fenomeno che meglio mette in luce il fatto che un medium non è tanto, o non solo, uno strumento, un mezzo, quanto piuttosto un luogo, un ambiente in cui tutti i media confluiscono. Qual è il ruolo dei social media nella premediazione dello spazio pubblico? Una delle cose interessanti della teoria delle premediazione è che ho cominciato ad elaborarla nel 2003, ovvero durante l’invasione dell’Iraq, quando i social media erano, potremmo dire, nella loro infanzia; Facebo- ok all’epoca ancora non era così diffuso e certamente non lo era Twitter. Un mio collega e amico, Jonathan Flatley, che si occupa di affect theory, utilizzava Facebook e mi disse che dovevo assolutamente provarlo, per- ché era fortemente collegato a quello che stavo studiando. Non penso che molte persone considerino i social media in relazione alla premediazione, piuttosto i social media vengono compresi a partire dalla loro capacità di connettere le persone quasi in tempo reale. Ritengo, tuttavia, che i social media abbiano a che fare con la premediazione perché si basano su for- mati che ci proiettano verso il futuro. Il formato è diverso dal dispositivo, per me la distinzione tra i due termini sta tutta nel fatto che il dispositivo designa qualcosa di tecnico, mentre il formato è collegato all’interfaccia. Facebook, Twitter o le email hanno formati diversi che sono tutti basati su un certo tipo di dispositivi tecnici; tali formati si prolungano sempre nel futuro, specialmente con applicazioni collegate al calendario, tipo Facebook Event, attraverso cui puoi premediare un evento. Il formato naturalmente ha delle restrizioni: ad esempio non puoi pubblicare nulla su Facebook che non sia collegato al box per i commenti (che ci aspettiamo di ricevere in futuro) o alle reazioni affettive, come l’amore, la rabbia, ecc. Certamente è un modo standardizzato di esprimere una reazione, eppure uno dei più efficaci spostamenti teorici compiuti dalla teoria dell’affettività è proprio quello di suggerire che gli affetti sono, in un certo senso, standardizzati. La teoria dell’affettività, soprattutto da una prospettiva psicologica, tende a ritenere che ci sia un gruppo di affetti che sono innati negli esseri umani, per esempio la gioia, la vergogna, la rabbia, ecc. Quindi sicuramente quello di Facebook è un formato ancora grezzo, da questo punto di vista, eppure l’introduzione delle reazioni lo rende meno grezzo di quanto non fosse prima con la sola possibilità del like. È evidente, allora, che l’obiettivo dei social media è quello di creare dei legami affettivi – ed è ciò che fa nascere una sorta di comunità sociale –, ma a volte finiscono per produrre anche quella che viene definita la camera dell’eco, ovvero un spazio in cui l’utente ascolta solo ciò che vuole ascoltare. 10 FATA MORGANA
L’ambiente in cui viviamo. Conversazione con Richard Grusin Qual è il ruolo del cinema nell’ambito di questo cambiamento mediale? Di nuovo, può essere utile storicizzare il discorso e ricondurlo fino a Benjamin. Il cinema nasce come medium di massa e credo che uno dei cambiamenti introdotti dal cinema sia da ricercare proprio nel rapporto con la massa. I social media non sono mass media: è interessante, perché ci sono centinaia di milioni di persone che usano Facebook e questo ci potrebbe far pensare che si tratti di un mass medium ma non è così, innanzitutto perché non viene fruito da persone che si trovano tutte contemporaneamente nello stesso spazio fisico. Uno dei passaggi che preferisco del saggio di Benja- min L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica è quello in cui Benjamin parla dell’esperienza di essere tra il pubblico di una sala cinematografica; in quella situazione c’è un movimento temporale molto complicato, perché, egli dice, la massa ha delle reazioni che sollecitano una risposta individuale, la quale crea a sua volta la reazione della massa. Di fatto sta descrivendo l’esperienza del riso al cinema, quando ascolti l’intera sala ridere. Un modo di comprendere quello che dice Benjamin è che la risata di massa è composta dalle risate dei singoli individui; ma, in realtà, quello che sostiene è che la risata della comunità produce la risata del singolo che compone quella del pubblico più ampio. La massa diventa una sorta di premediazione o momento anticipatore di un momento individuale. Il cinema, quindi, ha svolto un ruolo importantissimo nel mettere insieme le persone nello stesso spazio – e certamente le sale erano molto più ampie di oggi, potevano contenere fino a cinque o seimila persone, quando ad esempio Kracauer scriveva il saggio La fabbrica del disimpegno. Noi oggi non abbiamo niente di simile e all’epoca il cinema era davvero un modo per controllare l’affettività su ampia scala. Oggi possiamo pensare che Facebook faccia qualcosa di simile, ma il dispiegamento di una certa affettività avviene attraverso spazi differenti. Di nuovo si impone la definizione di medium come ambiente: l’unico luogo in cui vi è una simultaneità affettiva è appunto l’ambiente mediale basato sui dispositivi e sui formati, come Facebook. Penso che il cinema sia stato, per un certo periodo di tempo, in compe- tizione con i media digitali; le persone continuano andare a vedere i film al cinema, ma nel frattempo sono emerse nuove forme di visione, guardiamo film sui nostri dispositivi mobili, sui tablet e sui televisori. Non è la stessa esperienza, ma una sorta di rimediazione del film attraverso i media digitali. Sotto questo profilo un film molto interessante è Unfriended, una storia dell’orrore raccontata attraverso gli schermi su cui si vedono i diversi pro- grammi usati dai protagonisti (Facebook, email, Skype). Mi pare un caso interessante per capire come il cinema cerchi di tenere il passo rispetto alle nuove tecnologie. Shaviro sostiene che esista un’affettività post-cinema- FATA MORGANA 11
Alessia Cervini e Angela Maiello tografica, ovvero che il cinema, attraverso l’utilizzo di strumenti digitali, invece che fotografici, si basi su un processo creativo molto diverso, ad esempio in termini di montaggio. Infatti Shaviro parla di post-continuità del montaggio: nelle scene d’azione prima potevi seguire l’azione, mentre ora è un’esplosione dopo l’altra e lo spettatore non sa neanche più bene dove collocarsi temporalmente. E quindi condivido l’opinione che il cinema, con le nuove tecnologie, sia cambiato molto. Tuttavia, penso che il cinema, piuttosto che essere in competizione con i social media, si trovi a competere più che altro con i prodotti seriali per la tv. Un numero sempre crescente di persone si appassiona alle serie tv perché in dieci episodi (o di più) la storia o i personaggi possono essere sviluppati molto più di quanto non possa fare un film in due ore o novanta minuti. Il problema del cinema oggi sembra essere proprio la necessità della narrazione, che era il problema del cinema alle origini. Il rizoma creato dai social media necessita di una narrativa e, di fatto, sui social network sei tu a doverne creare una. È interessante che proprio nel nostro ambiente mediale emerga in modo così marcato la necessità di una narratività forte. È interessante che per molto tempo i formati audiovisivi per la televi- sione sembrassero ridotti rispetto al cinema, mentre oggi il cinema assume la forma del racconto breve e i prodotti per la televisione diventano come romanzi. Ma la cosa interessante è che mentre il cinema rispecchia una sorta di arco narrativo – l’introduzione dei personaggi, il conflitto e poi la risoluzione (secondo un modello molto vicino al formato della stampa e quindi al romanzo) – i formati per la televisione invece permettono un di- verso approfondimento dei personaggi. Con le serie tv è possibile che, dopo quattro episodi, ce ne sia uno dedicato completamente a un personaggio, come se avessi la possibilità di cliccare un link che rimanda alla loro vita o aprissi la loro pagina Facebook. Come accade, per esempio, in The Leftovers: la premessa è che un giorno una grande percentuale di abitanti della Terra scompaia e, dopo un certo numero di episodi, personaggi che sembravano marginali vengono approfonditi. Per me questa dinamica narrativa ha molto a che fare con l’ambiente mediale basato sui social network. Facciamo tutti questa esperienza di superare il feed di Facebook e andare direttamente sulle singole pagine degli utenti e penso che questa esperienza sia collegata all’approfondimento dei personaggi che propongono le serie tv. Quindi ormai sei più interessato alle serie tv che ai film? No, io resto old fashion e rimango legato al formato cinematografico; 12 FATA MORGANA
L’ambiente in cui viviamo. Conversazione con Richard Grusin o forse semplicemente il problema è che mi annoio molto facilmente. Recentemente hai visto un film che ti ha colpito come o di più di quanto avrebbe potuto fare una serie tv? L’ultimo di Tarantino, The Hateful Eight, l’ho visto due volte; ed è un film molto singolare perché Tarantino ha usato un formato dell’im- magine molto largo ed ha realizzato il film in pellicola e non in digitale. Inoltre il film è molto interessante perché opera una sorta di rimediazione dell’immaginario western; stilisticamente è significativo, perché nella prima parte c’è una rilettura dell’immaginario western, mentre poi nella seconda esplode il tratto più “tarantiniano” del film. Detto ciò, concordo che c’è un importante discorso sui formati mediali e sulle piattaforme che va fatto: il cinema è un medium, ma il medium può essere visto su diverse piattaforme. Quando ci chiediamo cosa accadrà al cinema, oggi, nell’ambiente mediale in cui viviamo, parliamo del cinema, inteso come l’esperienza della sala, cioè vedere un film al cinema, o parliamo del film come medium? Perché il cinema come medium può essere visto sullo smartphone, su un tablet o sullo schermo di un computer. Ci sembra la domanda perfetta con cui concludere la nostra intervi- sta: cosa caratterizza quella che fin qui abbiamo chiamato “esperienza cinematografica”? Per me, che, ripeto, sono old fashion, l’esperienza cinematografica è l’esperienza della sala, è la proiezione pubblica di un film. Anche quando faccio una lezione su un film, preferisco proiettarlo in classe e guardarlo insieme agli studenti, piuttosto che chiedere ad ognuno di guardarlo in au- tonomia. Perché c’è molto da guadagnare dall’essere insieme nella stessa stanza. Per esempio quando ho visto Il mucchio selvaggio, in pellicola 70 millimetri, in una proiezione d’essai, mi sorprendeva scoprire che le persone ridevano per scene che Peckinpah non aveva previsto dovessero far ridere. La proiezione di un film come Il mucchio selvaggio è, di per sé, un altro aspetto molto stimolante, poiché le persone sono ormai così interessate ai media e ai formati mediali, che assistiamo al recupero di vecchi film e formati, cioè assistiamo ad una nuova forma di cinefilia. Per me quindi ciò che resta distintivo del cinema è l’esperienza della sala, della proiezione al buio, seduto accanto a persone che non conosci. Spero che il futuro dell’esperienza del cinema non sia simile a quello dell’opera sinfonica, ovvero un’esperienza rivolta solo a un pubblico vecchio; credo, tuttavia, che vada, paradossalmente, proprio nella dire- FATA MORGANA 13
Alessia Cervini e Angela Maiello zione di una nuova dimensione auratica, e quindi che il cinema possa svolgere un ruolo importantissimo nella definizione di nuovi e inediti valori cultuali, nell’epoca del remix, della condivisione e dei contenuti generati dagli utenti. Testi citati durante la conversazione BENJAMIN W., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, tr. it., Einaudi, Torino 2014; GRUSIN R., Premediation: Af- fect and Mediality After 9/11, Palgrave, New York 2010; ID., Radical mediation. Cinema, estetica e tecnologie digitali, a cura di A. Maiello, Pellegrini, Cosenza 2017; KRACAUER S., La fabbrica del disimpegno, tr. it., L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2001; MCLUHAN M., Gli strumenti del comunicare, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1964; SHAVIRO S., Post-Cinematic Affect, John Hunt Publishing, Philadelphia 2010. Film citati durante la conversazione Il mucchio selvaggio (Peckinpah, 1969); Unfriended (Gabriadze, 2014); The Leftovers – Svaniti nel nulla (2014-2017); The Hateful Eight (Tarantino, 2015). 14 FATA MORGANA
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