Europei in America: dalla cosmografia all'etnografia: la scoperta dell''altro' - Tzvetan Todorov, La conquista dell'America. Il problema
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Europei in America: dalla cosmografia all’etnografia: la scoperta dell’’altro’ Tzvetan Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’”altro” (Parigi 1982), Torino, Einaudi, 1984
Tzvetan Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’”altro” (Parigi 1982), Torino, Einaudi, 1984 Parte prima SCOPRIRE (Colombo) Parte seconda CONQUISTARE (Cortés) Parte terza AMARE (Las Casas) Parte quarta CONOSCERE (Sepulveda, Duràn, Sahagun)
Colombo naturalista Scoprire : Colombo è attento molto più al mondo naturale che a quello umano; i nativi lo interessano poco; il suo sguardo è di superiorità e di indifferenza. Non riconosce il diverso, ma omologa il nuovo al noto. Todorov - due atteggiamenti in Colombo: - uno riconducibile alla mentalità fideistica medievale - l’altro alla mentalità empiristica moderna. «Questo tipo di interpretazione, fondata sulla prescienza e sull’autorità, non ha nulla di moderno. Ma... questo atteggiamento è compensato da un altro, che ci è molto più familiare: l’ammirazione intransitiva della natura, un’amministrazione di tanta intensità da sottrarsi ad ogni interpretazione e ad ogni funzione: è un godimento della natura che non obbedisce più ad alcuna finalità» (p. 28).
Colombo Ridenomina i luoghi senza preoccuparsi della toponomastica indigena, si impossessa dei territori in nome del regno di Spagna (Todorov, p. 34). Atteggiamento di totale disinteresse culturale nei suoi diari: “la percezione sommaria che Colombo ha degli indiani, miscuglio di autoritarismo e di condiscendenza; l’incomprensione della loro lingua e dei loro segni; la facilità con cui egli aliena la volontà dell’altro in vista di una migliore conoscenza delle isole appena scoperte; la preferenza per le terre rispetto agli uomini. Nell’ermeneutica di Colombo questi ultimi non hanno un ruolo a parte” (Todorov, 40).
Colombo «Colombo parla degli uomini che vede solo perché, dopotutto, fanno parte anch’essi del paesaggio» (Todorov, 41). «L’atteggiamento di Colombo nei confronti di questa cultura è, nella migliore delle ipotesi, quello del collezionista di curiosità, e non si accompagna mai a un tentativo di comprensione» (ivi, 43). «Misconoscimento dunque della cultura degli indiani e loro assimilazione alla natura» (ivi). Non comprende che anche i sistemi di valori sono relativi, che i valori sono convenzionali e agiscono all’interno di un contesto di scambi specifico (es. oro-vetri). Manca la percezione del «diverso». C’è o l’identico o il nulla, il mondo bestiale. «Il senso di superiorità genera un comportamento di tipo protettivo»(ivi, 46).
Conquistare
La colonizzazione ispano-portoghese dell’America centro-meridionale. Cronologia 1508 Portorico 1509 Giamaica 1510 Cuba 1519 Messico 1522 Nicaragua 1523 Guatemala 1531 Cartagena 1532 Perù 1540 Cile metà XVI s. Brasile 1570 circa occupazione territoriale America meridionale completata
Occupazione europea dei territori americani a metà XVIII secolo: verde scuro – Spagna viola – Portogallo verde chiaro – territori reclamati da Spagna blu – Francia rosso – Regno Unito azzurro – territori reclamati da UK marrone – Russia viola chiaro – territori non occupati
Colonie spagnole: assetti istituzionali 1503 Istituzione a Siviglia della Casa de Contrataciòn, alla quale sono attribuiti il monopolio e l'organizzazione del commercio spagnolo con il Nuovo Mondo. 1512 Leggi di Burgos (Ferdinando I), per l'organizzazione generale del Nuovo Mondo. 1524 Istituzione del Consejo Real des Indias. 1527 Istituzione della Audiencia di Messico. 1538 Istituzione della Audiencia di Panama. 1542 Istituzione delle Audiencia del Guatemala e di Lima. " Leggi Nuove, al posto delle Leggi di Burgos. 1547 Istituzione delle Audiencias di Guadalajara [Messico occ] e di Santa Fe de Bogotà [Colombia]. 1556 Interdizione ufficiale di usare i termini conquista e conquistadores che dovranno essere sostituiti con descubrimiento (Scoperta) e poblatores (coloni).
Hérnan Cortes Cortes è la conquista. Riesce a impadronirsi del sistema culturale degli aztechi e a usare efficacemente i loro segni, ma a fini di sopraffazione, utilitaristici. Secondo Todorov i conquistadores danno grande rilievo alla comunicazione, non però per desiderio di conoscere, ma per assoggettare.
Bernal Diaz del Castillo, Historia verdadera de la conquista de la Nueva Espana 1568
Cortés Perché, nonostante la disparità di forze (500 uomini contro un popolo intero), gli aztechi siano stati sconfitti? - per le divisioni etniche e politiche interne; - perché non possiedono cavalli e armi da fuoco; - ma anche perché i conquistadores si impossessano della loro cultura e la usano contro di loro - E’ Cortes ad alimentare negli A. la convinzione che lui sia Quetzalcoatl, il serpente piumato, un re-dio minore del pantheon tolteco, che secondo il mito era partito per l’oriente e che aveva espresso l’intenzione di tornare a riprender possesso dei propri beni. Cortes attribuisce grande importanza alla comunicazione con gli indigeni e alla comprensione del loro linguaggio.
Rappresentazione del Serpente piumato
Cortes Secondo Todorov il massacro è frutto di una caduta di valori, della perdita di principi morali da parte dei conquistatori, del venir meno di un tessuto culturale, in una terra lontana e a contatto con l’alterità degli indigeni. E’ giustificato da un’idea di ineguaglianza e di inferiorità degli indigeni e dalla missione di conversione religiosa.
Testimonianze della conquista del Messico: Bernal Diaz del Castillo, Historia verdadera de la conquista de la Nueva Espana [1568] “Mentre eravamo così impegnati nel combattimento, ecco spuntare in distanza i cavalieri di Cortés; gli indiani, furibondi com’erano contro di noi, non si accorsero del nuovo pericolo che li minacciava alle spalle; in pochi istanti li ebbero addosso, cosicché, presi tra due fuochi, furono costretti a darsi a precipitosa fuga. Essi non avevano mai visto un cavallo prima di allora e pensavano che cavallo e cavaliere formassero un solo animale. Si diedero a correre attraverso la savana e i campi, e in breve scomparvero nei boschi vicini. “Cortés ci raccontò che aveva combattuto contro altri squadroni di indiani; veniva infatti con tre cavalieri e cinque cavalli feriti. Riposatici alquanto, ringraziammo il Signore della vittoria che ci aveva dato, e siccome era il giorno della Madonna di marzo chiamammo quel luogo, dove sorse poi una città, Santa Maria della Vittoria. “E questa fu la nostra prima guerra che combattemmo con Cortés nella Nuova Spagna. “Curammo i nostri feriti legando loro le ferite, ché non avevamo altro; e in quanto ai cavalli, mettemmo sulle loro ferite del grasso ben caldo di un indiano morto. In tutto gli indiani morti furono circa ottocento, e più grande fu la strage dove avevamo usato le spade. Ritornammo al campo con cinque prigionieri; seppellimmo due morti, curammo qualche altro ferito col grasso dell’indiano, poi cenammo e ce n’andammo a riposare”. [da G. Dall’Olio, Storia moderna, Carocci, p. 89]
Testimonianze della conquista del Messico: Bernal Diaz del Castillo “Cortés … si recò a colloquio col cacicco … Dopo che si furono riabbracciati il cacicco fece portare i suoi regali, pochi oggetti d’oro e stoffe, e disse: ‘Grande signore accetta quel poco che ti posso offrire, che se avessi di più di gran cuore te lo darei’. Cortés rispose per mezzo di donna Marina e Aguilar, che avrebbe cercato di ricambiare con opere buone; dicesse pure intanto se aveva bisogno di qualche cosa, perché lui era vassallo di un grande imperatore che aveva sotto di sé molti regni e molte terre, e mandava appunto quella spedizione per far giustizia contro i malvagi, e anche perché non voleva che si facessero più sacrifici umani. “A queste parole il cacicco diede un grande sospiro, e cominciò a lamentarsi di Montezuma e dei suoi governatori, dicendo che da qualche parte li tenevano sottomessi e gli avevano portato via tutto l’oro, e tanto li tiranneggiavano che ormai non erano più padroni di niente, dovevano solo obbedire perché Montezuma era il più potente sovrano di quelle terre e comandava grandissimi eserciti. Cortés promise che gli sarebbe stata resa giustizia”. [da G. Dall’Olio, Storia moderna, Carocci, p. 89]
Le popolazioni mesoamericane e i simboli (Todorov, p. 77-119) Todorov esamina il ruolo che i simboli rivestono nella cultura azteca e conclude che: - gli aztechi ricorrono costante all’interpretazione simbolica: tutti i fenomeni rinviano a significati, dunque sono considerati come sono segni; - essi danno grandissima importanza al linguaggio, il quale però è altamente ritualizzato; - ogni fenomeno nella cultura azteca può essere spiegato in relazione all’ordine del cosmo; - l’ordine del cosmo abbraccia sia la società, sia lo spazio, sia il tempo, che è ciclico; - ogni fenomeno è predeterminato ed è stato previsto; - la narrazione degli eventi, che riguarda sia il passato sia il futuro, è contenuta nei discorsi rituali, che vengono appresi a memoria e tramandati oralmente;
Le popolazioni mesoamericane e i simboli - 2 (Todorov, p. 77-119) L’attribuzione di valori simbolici a tutti i fenomeni fa sì che gli aztechi siano assai più attenti e inclini alla comunicazione fra uomo e mondo, piuttosto che alla comunicazione fra uomo e uomo; Inoltre l’idea che gli accadimenti siano predeterminati e previsti rende le loro percezioni e le loro interpretazioni molto rigide, non consentendo di apprezzare appieno la novità dei fatti. La conquista è un fatto radicalmente nuovo, ma gli aztechi non riescono a percepire questa novità, perché sono preoccupati di inquadrare la vicenda nei loro schemi. Le vicende della conquista mostrano che essi sono svantaggiati a causa di questo: non colgono il significato di quanto accade se non in rapporto all’ordine cosmico prestabilito, per cui non sono in grado di interpretare i comportamenti in termini psicologici e politici, ponendosi su un piano di parità e di interrelazione con gli avversari. In ultima analisi essi non hanno una compiuta percezione dell’ALTRO.
Le popolazioni mesoamericane e i simboli - 3 (Todorov, p. 77-119) Secondo Todorov infine il comportamento simbolico degli aztechi è meno evoluto di quello degli europei. Nei loro simboli infatti si riscontra una forte vicinanza del significante con il referente: il segno comunica il suo significato attraverso un significante molto vicino al referente stesso [cioè l’oggetto a cui il significato fa riferimento]; in altri termini, il referente spesso non è solo evocato dal segno, ma deve essere presente. Mentre invece il simbolo serve proprio a far sì che il referente possa operare pur essendo assente. Questa immaturità della competenza simbolica sarebbe comprovata dall’assenza di scrittura e di moneta nella civiltà azteca, dall’uso scarso dei vestiti, così come dalla materialità del sacrificio religioso e dalla pratica del cannibalismo rituale, che prevede l’effettivo ingerimento del corpo della vittima affinché se ne possa trarre beneficio. [p. 190 ss.] LA TESI DI TODOROV E’ CHE L’INFERIORE CAPACITA’ SIMBOLICA ABBIA RESO GLI INDIGENI INDIFESI DI FRONTE AGLI EUROPEI E NE ABBIA DETERMINATO IN PARTE LA SCONFITTA.
Demografia della conquista CONTINENTE AMERICANO Popolazione stimata all’inizio del XVI secolo 80 milioni di persone Popolazione residente intorno al 1550 10 milioni di persone MESSICO Inizio XVI secolo 25 milioni di abitanti 1600 1 milione Cause di morte: - uccisione diretta - maltrattamenti (quota elevata) - malattie per choc microbico (quota maggioritaria) [Todorov, p. 163-164]
Amare
Il dibattito sull’umanità degli indigeni Mentre è in corso la conquista si apre una discussione circa l’umanità degli indigeni. Una parte degli autori la ritiene dubbia o comunque imperfetta [es. Tomas Ortiz secondo Pietro Martire d’Anghiera, De orbe novo, o Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés, Historia general y natural de las Indias y Tierra Firme del mar Océano]. Nel 1537 il papa emana una bolla in cui si riconosce formalmente l’appartenenza degli indios al genere umano. Resta però la percezione di un deficit, di un’inferiorità rispetto agli europei che consente ad alcuni autori di giustificare la guerra [es. Francisco de Vitoria, Luis de Sepulveda]
Bartolomé de Las Casas, Brevissima relazione della distruzione delle Indie, (1540 e 1552;)
Brevissima relazione compilata dal vescovo fra Bartolomé de Las Casas, o Casaus, dell’ordine di San Domenico, 1552 (trad.it. a cura di Cesare Acutis, Mondadori 1987) “Argomento della presente Epitome. Tutte le cose che sono accadute nelle Indie, dalla loro meravigliosa scoperta e fin dagli inizi, quando degli spagnoli vi si recarono pensando di prendervi dimora alcun tempo, e poi tutto ciò che è seguito fino ai nostri giorni, sono stati eventi così straordinari e sotto ogni rispetto incredibili per chi non li abbia visti, che sembrano avere oscurato e ridotto al silenzio, sprofondato invero nell’oblio, tutti quelli, per quanto memorabili, che nei secoli passati si son visti e uditi nel mondo. Vi sono tra queste cose gli scempi e i massacri di genti inoffensive, lo spopolamento dei villaggi, delle province e dei regni dove quei crimini sono stati perpetrati, e altri fatti ancora non meno spaventevoli. Quando venne alla corte, dopo aver preso gli ordini, per renderne informato l’imperatore nostro signore [Carlo V], il vescovo fra Bartolomé de Las Casas, o Casaus, che tutto aveva veduto coi propri occhi, ne parlò con diverse persone le quali nulla ne sapevano. Il suo racconto causò negli uditori una tal sorta di estasi e di sospensione degli animi, che fu subito pregato e supplicato di metter brevemente per iscritto alcuni di quegli avvenimenti. Egli lo fece, e vedendo poi qualche anno più tardi che molti uomini insensibili, degenerati dalla cupidigia e dall’ambizione e trascinati per riprovevoli vie dalle loro azioni facinorose, non contenti dei tradimenti e delle scelleratezze che già avevano commesso spopolando quel mondo con le più squisite forme di crudeltà, importunavano il re onde ottenere licenza e facoltà di commetterne ancora, e di peggiori, se mai fosse possibile, decise di presentare quel sommario che aveva redatto al Principe nostro signore [Filippo, figlio di Carlo], per convincerlo ad adoprarsi a far negare a coloro ogni autorizzazione. E gli parve cosa conveniente farlo stampare, perché Sua Altezza lo potesse leggere con maggiore facilità. Questa è dunque la ragione della seguente Epitome, o brevissima relazione” [ivi, pp. 23-24].
La rappresentazione degli indigeni americani in Las Casas Las Casas si pone al polo opposto dei sostenitori dell’inferiorità degli indigeni: egli li esalta, dandone una rappresentazione amorevole, estremamente positiva. Al contrario denuncia con molta lucidità la barbarie degli spagnoli. Tuttavia non si cura di penetrare nei caratteri delle culture indigene e applica schemi interpretativi desunti dalla cultura cristiano-europea; continua a procedere per analogia (Todorov). Las Casas resta dunque un assimilazionista, favorevole a un colonialismo morbido, compassionevole e paterno.
Las Casas, Brevissima Relazione “Tutte queste universe e infinite genti, di ogni genere, Dio le ha create semplici, senza malvagità né doppiezze, obbedientissime e fedelissime ai loro signori naturali e ai cristiani che servono; e più di ogni altre al mondo umili, pazienti, pacifiche e tranquille, aliene da risse e da baruffe, da liti e da maldicenze, senza rancori, odi né desideri di vendetta. E sono di costituzione tanto gracile, debole e delicata, che sopportano difficilmente i lavori faticosi e facilmente muoiono di qualsiasi malattia … E’ poi gente poverissima, che assai poco possiede e ancor meno desidera possedere beni temporali: per questo non sono superbi, né avidi o ambiziosi. Il loro nutrimento è tale che quello dei Santi Padri nel deserto non dovette essere più scarso … Vanno in generale nudi …”. [traduzione a cura di Cesare Acutis, Mondadori, Milano 1987, p. 29-30]
Las Casas, Brevissima Relazione “Sono d’intendimento chiaro, libero e vivace, capaci di apprendere docilmente ogni buon insegnamento. Hanno dunque grandissima attitudine a ricevere la nostra santa fede cattolica e ad acquisire costumi virtuosi: nessun popolo creato da Dio nel mondo ha meno impedimenti a percorrere questa via. Non appena cominciano ad avere notizia delle cose della fede si fanno così importuni per saperne di più e per praticare i sacramenti della Chiesa e il culto divino, che a dire il vero occorre che i religiosi, per sopportarli, sian stati segnatamente provvisti da Dio del Dono della pazienza. Infine, in tanti anni ho sentito dire più volte da vari spagnoli, laici, i quali non potevano negare la bontà che in quelle genti si manifesta: ‘Veramente questo sarebbe stato il popolo più felice del mondo, se solo avesse conosciuto Dio’.” [ivi, p. 30]
Las Casas, Brevissima Relazione “Tra questi agnelli mansueti, dotati dal loro Creatore e Fattore di tutte le qualità di cui sono andato parlando, entrarono gli spagnoli, non appena ebbero notizia dlela loro esistenza, come lupi, come tigri e leoni crudelissimi che fossero stati tenuti affamati per diversi giorni. Altro non han fatto da quarant’anni a questa parte (e oggi continuano a fare) che straziarli, ammazzarli, tribolarli, affliggerli, tormentarli e distruggerli con crudeltà straordinarie, inusitate e sempre nuove, di cui non si è mai saputo, né udito né letto prima.” [ivi, p. 30-31] - prosegue dando notizia dettagliata dello spopolamento a cui sono state soggette le isole caraibiche e la terraferma mesoamericana – “Più di dodici milioni di anime, uomini, donne e bambini, son morti nel corso di questi quarant’anni per la tirannia e le opere infernali dei cristiani, ingiustamente e iniquamente. La valutazione è certissima e veridica; ma in realtà io credo, e non penso di ingannarmi, che ne siano periti più di quindi milioni”. [ivi, p. 32]
Las Casas, Brevissima Relazione - INDICE DELL’OPERA (edizione a stampa 1552) Argomento della presente Epitome Prologo del vescovo fra B. de Las Casas Brevissima Relazione della Distruzione delle Indie Dell’isola Spagnola Dei regni che v’erano all’isola Spagnola Delle isole di San Juan e della Giamaica Dell’isola di Cuba Della Terra Ferma Della provincia di Nicaragua Della scoperta della Nuova Spagna Della Nuova Spagna Della provincia e regno di Guatemala Della Nuova Spagna, di Panico e di Jalisco Del regno di Yucatan Della provincia di Santa Marta Della provincia di Cartagena Della costa delle perle e di Paria e dell’isola della Trinità Del fiume Yuyapari Del regno di Venezuela Della provincia della Terra Ferma dalla parte che si chiama Florida Del Rio de la Plata Dei grandi regni e delle province del Perù Del Nuovo Regno di Granada [ed. Mondadori 1987]
Conoscere
Conoscere Secondo Todorov [La conquista dell’America, p. 225] l’attitudine nei confronti dell’alterità si organizza attorno a tre assi: a. assiologico (valore) b. prasseologico (posizione) c. epistemologico (conoscenza)
Colombo: a. alto valore della cultura cristiana-europea / scarsissimo valore della cultura nativa b. distanza e superiorità c. indifferenza Cortes: a. alto valore della cultura cristiana-europea / scarso valore della cultura nativa b. identificazione ingannatoria / distanza e superiorità / violenza / dominio c. buona attitudine cognitiva, a scopo manipolatorio Las Casas: a. alto valore della cultura cristiana-europea / valore travisato della cultura nativa b. superiorità amorevole c. scarsa attitudine cognitiva Sepulveda: a. alto valore della cultura cristiana-europea / scarso valore della cultura nativa b. superiorità e dominio c. discreta attitudine cognitiva con funzione istruttoria Duran/Sahagun: a. alto valore della cultura cristiana-europea / medio valore della cultura nativa b. atteggiamento pedagogico c. buona attitudine cognitiva con fini pedogici ma anche comparatistici ed etnografici.
Diego de Durán Il problema dell’ibridazione Diego Durán, Historia de las Indias de Nueva Espana e Islas de Tierra Firme (1576-1581, inedita fino al XIX secolo) Nasce in Spagna nel 1537; Si trasferisce con la famiglia in Messico da 5 anni; Apprende il nahuatl; Entra nell’ordine regolare dei domenicani; Si impegna nell’evangelizzazione degli indigeni. La sua Historia, spesso citata come “Codice Durán” è una delle fonti indirette principali sulla cultura azteca precolombiana. Essa è dedicata: - alla religione azteca - alla storia del popolo azteco.
Diego de Durán Il problema dell’ibridazione Le ricerche di Durán muovono dal problema dell’ibridazione. Questo studioso viene in contatto con la cultura mesoamericana dopo un trentennio di colonizzazione. La situazione è la seguente: - la cultura originaria è stata superficialmente cancellata con metodi repressivi: uccisioni di massa, cristianizzazione forzata e coercizione dei comportamenti, distruzione di manufatti, rogo di documenti pittografici [Diego de Landa, vescovo dello Yucatan, compie l’autodafé di Manì il 12 luglio 1562, distruggendo gran parte delle testimonianze grafiche della civiltà Maya; nel 1566 raccoglie tutte le conoscenze disponibili sulla civiltà Maya nella Relazione sulle cose dello Yucatan] - alla cultura originaria si è sovrimposta quella cristiana; tuttavia questo dà luogo a forme ibride: la cultura dei nativi dopo la cristianizzazione è il prodotto di un processo di ibridazione. Durán è fra i primi a richiamare l’attenzione sull’IBRIDAZIONE, che egli giudica negativamente.
Diego de Durán Il problema dell’ibridazione Secondo Durán l’ibridazione va combattuta perché produce un SINCRETISMO RELIGIOSO che non è accettabile, perché la purezza e l’integrità del cristianesimo vengono perdute. “Gli indiani non troveranno Dio finché non saranno state strappate le radici, e persino l’ultimo ricordo dell’antica religione … Se vogliamo seriamente cancellare la memoria d’Amalech [capostipite di una popolazione che aggredì gli ebrei al ritorno dal Mar Rosso – Genesi], non potremo mai riuscirci se non avremo prima considerato tutte le modalità della religione nella quale essi vivevano” (Libro I, Introduzione, cit. in Todorov, 247).
Diego de Durán Il problema dell’ibridazione La religione antica può essere sradicata solo se le sue tracce diventano intellegibili a chi ha la responsabilità del culto religioso dei nativi . Quindi deve essere nota. Duran si propone di fornire conoscenze di questa cultura, per facilitarne l’eliminazione. “Il mio unico intento era e resta quello di mettere in guardia i nostri preti contro le divinazioni e le pratiche idolatriche di questa gente, sì che essi siano coscienti e vigilanti verso le sopravvivenze delle antiche credenze”.
Diego de Durán Il problema dell’ibridazione Duran deplora sia la profonda ignoranza della lingua di cui danno prova i religiosi spagnoli emigrati in America, sia della distruzione delle testimonianze culturali della civiltà azteca operata dai primi vescovi. “Coloro che, all’inizio, con fervido zelo (ma con scarso discernimento) hanno bruciato e distrutto tutti i disegni contenenti le antiche tradizioni degli indiani, hanno commesso un errore. Ci hanno lasciato senza una luce che ci guidi; in questo modo, gli indiani adorano gli idoli alla nostra presenza, e noi non comprendiamo nulla di quanto avviene nel corso delle loro danze, nei loro mercati, nei loro bagni pubblici, nei loro canti (quand’essi piangono i loro antichi déi e signori), nei loro pasti e banchetti”.
Diego de Durán Il problema dell’ibridazione Duran è rigorista: difende la purezza religiosa e pretende una conversione totale; Esiste però un altro indirizzo, più conciliatorio, che accetta i comportamenti sincretici come inevitabili.
Diego de Durán Il problema dell’ibridazione Con questi obiettivi Duran si dedica allo studio della cultura degli indios con molta attenzione e serietà. Nota che il sincretismo si innesta sulle analogie: - La pasqua come festa di primavera; - il sacrificio umano e l’eucaristia; - la simbologia legata all’acqua e i rituali di purificazione; - le costellazioni divine che ricordano la trinità Le analogie sono tante che Duran sospetta che il cristianesimo sia stato predicato in America prima degli spagnoli: “O, come ho detto, la nostra santa religione cristiana era conosciuta in questo paese, o il demonio, il nostro maledetto avversario, costrinse gli indiani a compiere – un suo onore e culto – le cerimonie della religione cristiana cattolica, venendo in tal modo onorato e servito”.
Diego de Durán Il problema dell’ibridazione Secondo Todorov il testo di Duran evidenzia un processo di ibridazione in atto nello stesso autore: in alcuni passaggi la sua identificazione con la cultura indigena è evidente; Inoltre a volte Duran è tentato di rinunciare alla sua opera di rifondazione culturale e di rispettare le inclinazioni degli indigeni. In ogni caso la sua analisi della religione azteca è molto approfondita e ne viene tentata non solo la descrizione, ma anche l’interpretazione. L’atteggiamento di Duran evolve nel corso della scrittura. L’ultimo libro, dedicato alla storia del popolo, diventa una narrazione a testimonianza e gloria del popolo azteco stesso. Nel racconto della conquista i due punti di vista, azteco e spagnolo, si fondono.
Diego de Durán Il problema dell’ibridazione IDENTIFICAZIONE EMOTIVA “Ascoltai molte volte quei canti durante le danze pubbliche; e sebbene celebrassero i loro signori, ero ben contento di ascoltare quelle lodi e quelle gesta … Vidi talvolta accompagnare con danze quei canti, insieme ad altri indirizzati alla divinità; sono così tristi che fui colto da un senso di malinconia e di mestizia” (Todorov, p. 257). ATTITUDINE A COMPRENDERE SUL PIANO CULTURALE “Tutti i loro canti sono pieni di metafore così oscure che a malapena si capiscono, a meno di non studiarle in modo specialissimo per spiegarle e renderne accessibile il significato. Mi misi perciò di proposito ad ascoltare con grande attenzione ciò che veniva cantato; e mentre all’inizio le parole e i termini metaforici mi sembravano privi di senso, a poco a poco, dopo averli discussi e dibattuti, mi accorsi che si trattava di ammirevoli sentenze, e ciò sia nei canti religiosi che gli indiani oggi compongono, sia in quelli che concernono le cose umane” [T. p. 258].
Diego de Durán Il problema dell’ibridazione APPREZZARE IL VALORE DELL’ALTRA CULTURA “Il re fece scolpire e consacrò delle statue in pietra per perpetuarne la memoria [della famiglia reale], poiché lo Stato azteco aveva da loro ricevuto, quand’erano in vita, grandi benefici. Gli storici nelle loro storie e i pittori coi loro pigmenti e col pennello della curiosità dipinsero a vivaci colori la vita e le imprese di quei valorosi signori e cavalieri. In questo modo la loro gloria si diffuse, come la luce del sole, in tutti i paesi del mondo. In questa mia storia ho voluto anch’io narrare la loro gloria e perpetuare la loro memoria, affinché esse durino quanto durerà il mio libro. Così questi uomini saranno imitati da tutti coloro che amano la virtù e il loro ricordo sarà benedetto, poiché sono amati da Dio e dagli uomini; e, nella loro apoteosi, saranno simili ai santi” [Todorov, p. 260].
Il contributo dei meticci e delle figure transculturali Un importante contributo alla “conoscenza dell’altro” proviene dall’opera letteraria dei meticci o degli amerindi adottati dalla comunità spagnola, o dagli spagnoli precocemente americanizzati. Attraverso la loro esperienza personale, essi creano dei ponti culturali, più o meno originali ed efficaci, così come in qualche misura già avevano fatto gli interpreti utilizzati da Cortés, l’azteca donna Marina e lo spagnolo naturalizzato messicano Aguilar. Es.: per l’America centrale Gonzalo Guerrero e Alvar Nunez Cabeza de Vaca (Todorov p. 237 ss.); per l’area andina Garcilaso de la Vega (Wachtel, p. 11) e Felipe Guaman Poma de Ayala (Wachtel, p. 247 ss.)
Bernardino de Sahagún Bilinguismo Nasce in Spagna nel 1499; Entra nell’ordine francescano; Nel 1529 si trasferisce in Messico, dove trascorre il resto della vita E’ in origine un grammatico; Apprende molto bene il nahuatl; Insegna grammatica latina nel collegio francescano di Tlatelolco dal 1536; I suoi allievi appartengono all’antica nobiltà indigena. Scrive una Historia general de las cosas de la Nueva Espana per motivi simili a quelli di Duran. La prima versione di questo lavoro fu scritta da Sahagun non in castigliano ma in nahuatl. Raccoglie i racconti indigeni della conquista e i discorsi rituali della cultura azteca precolombiana Traduce in nahuatl testi cristiani
Bernardino de Sahagún Bilinguismo “Gli spagnoli e i monaci di altri ordini, saputa la cosa, ridevano di cuore e ci prendevano in giro, ritenendo per certo che nesusno sarebbe stato in grado di insegnare la grammatica a gente che possedeva così scarse attitudini. Ma, dopo due o tre anni di lavoro con noi, i nostri allievi giunsero a impadronirsi di tutte le materie concernenti la grammatica, a parlare, capire e scrivere il latino, e persino a comporre versi eroici” (Todorov, p. 268)
Bernardino de Sahagún Historia general de las cosas de la Nueva Espana “Sebbene molti abbiano scritto in volgare della conquista di questa Nuova Spagna in base al racconto di coloro che la conquistarono, io volli scriverla in lingua messicana, non tanto per portare alla luce talune verità dal racconto degli stessi indiani che vissero durante la conquista, quanto per fissare il linguaggio delle cose della guerra e delle armi che usano gli abitanti del luogo. Così se ne potranno trarre vocaboli e modi di dire, propri della lingua messicana in questo campo. A ciò si aggiunga pure il fatto che quelli che furono conquistati conobbero e riferirono molte cose avvenute fra di loro durante la guerra. Tali cose i conquistatori le ignorarono e, quindi, mi sembra che non sia stato lavoro superfluo l’avere tradotto questa storia, compilata ai tempi in cui erano vivi coloro che parteciparono alla conquista. Queste persone che ne hanno riferito erano tutte importanti e assennate, sicché è cosa certa che dissero la verità” (da Bernardino de Sahagun, Storia indiana della conquista di Messico, Palermo, Sellerio, 1983, p. 15)
Bernardino de Sahagún Secondo Todorov (p. 272), Sahagun è preoccupato innanzitutto dell’aspetto cognitivo, cioè della veridicità delle informazioni raccolte. Opera pertanto una scrupolosa critica delle fonti, selezionando i testimoni che ritiene maggiormente degni di fede, con l’aiuto dei notabili delle comunità messicane. La traduzione è aggiunta, ma le informazioni sono raccolte nella lingua originale, immediatamente disponibile alla lettura.
Bernardino de Sahagún Historia general de las cosas de la Nueva Espana 12 libri 1. Gli dei 2. Il calendario, feste e cerimonie, sacrifici e solennità 3. Origine degli dei 4. Astrologia e arte divinatoria per individuare giorni fasti e nefasti 5. Pronostici tratti dall’osservazione degli animali 6. Retorica e filosofia morale della gente messicana; curiosità sulla bellezza della lingua; virtù morali dei messicani 7. Astronomia 9. Istituzioni: re e signori e loro modo di elezione; modo di governo 9. Mercanti e ufficiali che si occupavano dell’oro, delle pietre preziose e delle piume pregiate 10. Vizi e virtù della gente indiana; malattie; caratteri delle popolazioni diverse 11. Proprietà di animali, piante, metalli e pietre, colori 12. Della conquista di Messico
Bernardino de Sahagún Historia general de las cosas de la Nueva Espana Vicenda del testo: I superiori di Sahagun vi vedono non un supporto all’evangelizzazione, ma “lo smarrimento di un loro religioso troppo attratto da quanto sarebbe stato suo dovere indagare senza coinvolgersi” (Morino, postfazione edizione parziale in trad. it. Sellerio). Le carte di Sahagun sono disperse, poi vengono da lui recuperate e il lavoro viene completato. La Historia General è spedita manoscritta a Madrid in volumi in folio. Filippo II ne vieta la pubblicazione. Il testo spagnolo migrò per varie biblioteche religiose. Viene riscoperto nel tardo Settecento in un convento di Tolosa. Fu pubblicato per la prima volta nel 1830 dallo studioso irlandese Edward King, visconte di Kingsborough In Italia è’ conservata una versione manoscritta con il testo in nahuatl, detta “Codice fiorentino”, perché custodita nella Biblioteca Laurenziana di Firenze.
Bernardino de Sahagun, Codice fiorentino (1575- 1577), libro IX, pagina 51; Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze. Testo in nahuatl traslitterato in caratteri fonetici latini
Bernardino de Sahagún Historia general de las cosas de la Nueva Espana I. Dei segni e pronostici che apparvero prima che gli spagnoli giungessero in questa terra, né si avesse notizia di loro II. Delle prime navi che approdarono in questa terra, le quali si dice fossero di Jan de Grijalva III. Di ciò che Mocthecuzoma dispose dopo ché ebbe udito le notizie di coloro che avevano visto le prime armi IV. Di ciò che dispose M quando venne a sapere per la seconda volta che gli spagnoli erano ritornati e questa fu la volta di don Hernando Cortes V. Di ciò che avvenne quando i messaggeri di M salirono sulla nave di don HC VI. Di come i messaggeri di M ritornarono a Messico per riferire ciò che avevano visto VII. Di ciò che riferirono a M i messaggeri ritornati dalle navi VIII. Di come M inviò i suoi incantatori e fattucchieri affinché danneggiassero gli spagnoli IX . Del pianto che versarono M e tutti i messicani quando seppero che gli spagnoli erano tanto forti X. Di come gli Spagna cominciarono ad addentrarsi nell’interno e di come M lasciò il palazzo reale e si ritirò nella propria dimora XI. Di come gli spagnoli giunsero a Tlaxcala che allora si chiamava Texcalla XII. Di come Mocthe. inviò un suo importante dignitario insieme ad altri, i quali si recarono ad accogliere gli spagnoli e offrirono un ricco dono al capitano, nel mezzo della Sierra Nevada, vicino al vulcano XIII. Di come M inviò altri negromanti fra gli spagnoli e di quanto avvenne durante il cammino XIV. Di come M ordinò di sbarrare le strade affinché gli spagnoli non potessero raggiungere Messico XV. DI come gli spagnoli partirono da Itztapalapan per entrare a Messico XVI. Di come M si avviò in pace ad accogliere gli spagnoli nel luogo chiamato XOluvco, o anche Vitzillan, vicino a quel canale dove oggi c’è la casa di Alvarado XVII. Di come gli spagnoli arrivarono con M al palazzo e di tutto ciò che là accadde XVIII. Di come gli spagnoli entrarono sin nella dimora di M e di ciò che lì avvenne XIX. Di come gli spagnoli ordinarono agli indiani di celebrare la festa di Vitzilopuchtli. Ciò avvenne durante l’assenza del capitano don HC, il quale si era recato sulla costa a causa dell’arrivo di Panfilo de Marvaez XX. Di come gli spagnoli fecero un grande massacro degli indiani che stavano celebrando la festa nel cortile stesso del tempio di Vitzil… XXI. Di come iniziò a Messico la guerra fra spagnoli e messicani
Bernardino de Sahagún Historia general de las cosas de la Nueva Espana XXII. Di come giunse la notizia che il capitano don HC, dopo avere vinto Panfilo de Narvaez, stava ritornando a Messico con molti altri spagnoli appena sbarcati XXIII. Di come Mocthe e il governatore di Tlatilulco vennero gettati morti fuori dal palazzo dove si erano gettati gli spagnoli XXIV. Di come gli spagnoli e i tlaxcaltechi fuggirono di notte da Messico XXV. Di come gli abitanti di Teucalhiucan accolsero in pace gli spagnoli che stavano fuggendo da Messico e offrirono loro provviste XXVI. Di come gli sagnoli raggiunsero la città di Teucalhuican e della buona accoglienza che ricevettero XXVII. Di come i messicani raggiunsero gli spagnoli che stavano alla retroguardia XXVIII. Della prima festa che celebrarono i messicani dopo la fuga notturna degli spagnoli da questa città XXIX. Della pestilenza di vaiolo che si abbatté sugli indiani dopo la ritirata degli spagnoli da Messico XXX. DI come i brigantini costruiti dagli spagnoli a Tezcuco si diressero verso Messico XXXI. Di come i brigantini dopo avere messo in fuga le canoe, che si erano mosse contro di loro, arrivarono a terra, vicino alle case XXXII. Di come i messicani si arresero e, per paura degli spagnoli, comunicarono a uscire dalla città XXXIII. Di come vennero in aiuto dei messicani i chinampanechi, che sono gli abitanti di XOchimilco di Cuitlaoac e di Itzapalapan XXXIV. DI come i messicani catturarono 15 spagnoli XXXV. Di come i messicani catturarono 53 altri spagnoli e molta gente di … Tutti li uccisero davanti ai loro idoli XXXVI. Della prima volta che gli spagnoli arrivarono sino al tianquiztli di Tlatilulco che è la piazza del mercato XXXVII. Di come di notte aprivano i canali che di giorno gli spagnoli chiudevano XXXVIII. Del trabucco che gli spagnoli costruirono per sconfiggere la gente di Tlatilulco XXXIX. Di come la gente di Tlat, durante l’assedio si vide cadere addosso dal cielo un fuoco color del sangue XL. Di come gli abitanti di Tlatil… si arresero agli spagnoli, insieme a quelli di Messico e al loro signore XLI. Del discorso che fece don HC ai signori di Messico, di Tezcuco e di Tlacupan dopo la vittoria, interrogandoli sull’oro che era andato perso durante la fuga degli spagnoli da Messico
La visione dei vinti Nathan Wachtel, La visione dei vinti. Gli indios del Perù di fronte alla conquista spagnola (1971), Torino, Einaudi, 1977
FONTI Mentre sono scarse le fonti dirette della storia dei popoli americani prima della conquista, a causa della distruzione sistematica della documentazione operata dai conquistatori e dagli ecclesiastici, l’esperienza della conquista è documentata sia da parte spagnola, sia da parte indigena. Nathan Wachtel, antropologo e storico, ha lavorato sulla esperienza dei conquistati e sulla sua rappresentazione, focalizzando l’analisi sulla vicenda peruviana, ma ricorrendo anche a fonti relative alla conquista del Messico. Per il Messico sono importanti le fonti raccolte nel Codice fiorentino di Sahagun, per lo Yucatan i libri del Chilam Balam de Chumayel (la cui genesi risale al XVI secolo), per il Perù il lavoro di Guaman Poma de Ayala.
L’accoglienza Il primo discorso di Moctezuma a Cortès (tramandato oralmente e raccolto da Sahagun): “Signore … sei giunto infine alla tua città: Messico. Sei venuto per prendere posto sul tuo trono, sotto il tuo baldacchino reale … No, non è un sogno, io non esco, ancor tutto torpido, da un sogno: io non ti vedo in sogno, non sto sognando … Ma ti ho già visto, ho gettato lo sguardo sul tuo viso! … Questo era il mandato e il messaggio dei nostri re, di quelli che hanno comandato, di quelli che hanno governato la città: Secondo loro, tu dovevi prender posto sul tuo seggio, sulla sedia della maestà, dovevi arrivare in questi luoghi … In questo momento il fatto s’è compiuto: ora sei arrivato con grande fatica, eccoti arrivato con lunghi sforzi. Vieni nel tuo paese: vieni e riposati; prendi possesso delle tue reali dimore … Siete giunti nel vostro paese, signori! [Wachtel, p. 27-28]
La violenza e la sconfitta “Il pianto si spande, le lacrime scorrono, laggiù, a Tlatelolco. … Dove andiamo? Oh!, amici! Allora era vero? Eccoli che abbandonano la città di Messico: Il fumo s’alza a poco a poco, poco a poco s’estendono le brume … Piangete, amici miei cari, E capite che con questa sconfitta Abbiamo perduto la nazione messicana”. [Cantares mexicanos, in Wachtel, p. 38]
La morte degli dei Secondo Wachtel sia le popolazioni mesoamericane, sia quelle andine sperimentano “la morte degli dei”, cioè il collasso del loro sistema religioso e culturale, la disintegrazione del cosmo, dell’ordine del mondo su cui le loro società si fondavano. Gli europei dapprima sono identificati con gli dei, poi agiscono con violenza e distruggono non soltanto le persone e il loro ambiente, ma anche la religione, pretendendo di convertire i sopravvissuti al proprio credo. Questa esperienza genera nei nativi una sorte di morte spirituale, che per W. fu corresponsabile del disastro demografico delle popolazioni amerindie.
La morte degli dei “Lasciateci dunque morire, lasciateci dunque perire, i nostri dei sono ormai morti! … Ci dite che i nostri dei non sono veri. E ci dite una parola nuova che ci turba che ci intristisce. Perché i nostri antenati, quelli che sono stati, quelli che hanno vissuto sulla terra, non usavano parlare così. E ora dovremmo distruggere l’antica norma di vita? … Non possiamo crederci davvero, non l’accettiamo come verità, anche se ciò vi offende”. Libros de los coloquios de los Doce, in Wachtel, p. 39
Rimpianto e denuncia “Allora tutto era buono, e loro, [gli dei] vennero abbattuti. C’era saggezza, in loro. Non c’era peccato, allora. C’era in loro una santa devozione. Vivevano sani. Non c’erano malattie, allora; non c’erano dolori d’ossa, non c’era febbre per loro, non c’era vaiolo, non c’era bruciore di petto, non c’era dolore di ventre, non c’era consunzione, Allora i loro corpi camminavano dritti ed eretti. Non è ciò che hanno fatto i signori bianchi quando sono arrivati qui. Hanno insegnato la paura e sono venuti a far appassire i fiori. Per far vivere il loro fiore, hanno rovinato e aspirato il fiore degli altri. “… La vita è avvizzita, e il cuore dei fiori è morto … Falsi sono i loro re, tiranni sui loro troni, avari dei loro fiori … Distruttori di giorno, oltraggiatori di notte, seviziatori del mondo! … Non c’è verità nelle parole degli stranieri … “Solo per colpa del tempo folle, per colpa dei sacerdoti pazzi, la tristezza è entrata in noi, il cristianesimo è entrato in noi. Perché i cristianissimi sono arrivati qui con il vero dio; ma è stato l’inizio della nostra miseria, l’inizio del tributo, l’inizio dell’elemosina, la causa della miseria da cui è scaturita la discordia occulta, l’inizio delle risse con le armi da fuoco, l’inizio delle offese, l’inizio della spoliazione, l’inizio della schiavitù per debiti, l’inizio dei debiti incollati alle spalle, l’inizio della rissa continua, l’inizio della sofferenza”. Chilam Balam de Chumayel, in Wachtel, p. 44
Tradizione e acculturazione L’esame delle fonti indie mostra che l’imposizione della cultura religiosa europea e l’obbligo di abbandonare le vecchie credenze abbia dato luogo a un’acculturazione parziale. Parte della tradizione culturale precolombiana si travasa nella nuova epoca, nascondendosi nelle forme dell’ibridazione, di cui si erano già accorti Duran e Sahagun. Soprattutto restano vivi gli schemi generali di organizzazione delle percezioni/intepretazioni e delle rappresentazioni.
Metabolismo culturale Wachtel ha lavorato anche su elementi folklorici contemporanei in cerca delle tracce del trauma della conquista europea del XVI secolo. I suoi studi mostrano che l’esperienza della conquista ha segnato profondamente la cultura indigena. Anzi essa ne costituisce uno dei nuclei originari: la conquista ha determinato un collasso culturale, una drammatica soluzione di continuità. Tuttavia essa è stata lentamente metabolizzata dai sopravvissuti, diventando essa stessa un patrimonio culturale, per quanto doloroso.
Identità culturale india L’identità culturale degli indios nell’età post-colombiana è debitrice largamente a questi due fattori. Essa si nutre emotivamente dell’attaccamento alla propria specifica tradizione e al rifiuto dell’omologazione culturale.
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