Il Vetro Egiziano Franca Rita Farre; matricola n 30049032

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Il Vetro Egiziano Franca Rita Farre; matricola n 30049032
Corso di Scienze Applicate ai Beni Culturali AA 2013-2014                                                               1
Docente Dr. Peana Massimiliano

                                                     Il Vetro Egiziano
                                 Franca Rita Farre; matricola n° 30049032; fafra82@tiscali.it:

                         RIASSUNTO
                         Il vetro è probabilmente il primo materiale artificiale inventato e utilizzato dall’uomo.
                         La sua origine ha teorie contrastanti, alcune l’attribuiscono all’area mesopotamica
                         intorno al III millennio a.C., altri all’Antico Egitto di 3250 anni fa.
                         La chimica del vetro è prevalentemente una chimica di ossidi, cioè di sostanze
                         composte da ossigeno e un altro elemento metallico o semimetallico. I componenti
                         fondamentali sono la silice, presente in gran quantità nella sabbia; ossidi di sodio o di
                         potassio, presenti nelle ceneri delle piante oppure ottenibili da minerali. Tali ossidi
                         avevano la funzione di abbassare la temperatura di fusione della silice. Con l’aggiunta
                         di altri metalli si potevano ottenere vari colori. Il vetro veniva usato oltre che per
                         produrre perline, amuleti, vasi e contenitori per cosmetici anche per progetti più
                         ambiziosi come mosaici e statue. Per la fabbricazione dei vasi veniva utilizzate la
                         tecnica del soffiaggio, introdotta in epoca romana e il taglio a freddo. La complessa
                         struttura vetrosa rende particolarmente difficile l’individuazione di sostanze al suo
                         interno; solo l’analisi elementare può dare tali indicazioni. Pertanto i campioni di
                         vetro sono analizzati mediante spettroscopia di emissione, fluorescenza a raggi X,
                         attivazione neutronica e studiati al microscopio elettronico a scansione. Le tecniche
                         di spettroscopia molecolare possono risultare utili per l’identificazione di fasi
                         cristalline non vetrificate e rimaste intrappolate nella struttura vetrosa.

                  INTRODUZIONE
                               al tempo dei romani il vetro è diventato d’impiego comune nel mondo Mediterraneo.
                              Nei periodi precedenti veniva considerato più per la sua funzione decorativa piuttosto
                              che per la sua utilità. Nel mondo antico il vetro appariva usualmente sottoforma di
                  pietre semi-preziose composte da materiali diversi: turchese (vetro azzurro chiaro) e fluorite
                  (vetro rosso). La preziosa qualità del vetro viene colta nei vari riferimenti sulla Mesopotamia dei
                  lapislazzuli artificiali. Il lapislazzulo è una pietra preziosa che ha origine in Afghanistan ed è stato
                  barattato fino a luoghi molto lontani come l’Antico Egitto.
                      Alcuni archeologi hanno trovato indicazioni risalenti a 3250 anni fa su come l’Egitto sia
                  diventato il maggior produttore di vetro e di come tale materiale prezioso sia stato trasportato
                  nelle varie regioni e rielaborato da artigiani locali. Tale scoperta sfida una teoria di vecchia data
                  secondo cui gli Egizi importassero vetro dalla Mesopotamia. Sulla traccia di questa scoperta, Paul
                  Nicholson dell’Università di Cardiff e Caroline Jackson dell’Università di Sheffield, hanno guidato
                  una squadra di archeologi per costruire El-Anarna, sulle rive del Nilo, la copia fedele di un’antica
                  fornace risalente a 3.000 anni fa, che hanno poi messo in funzione con successo producendo del
                  vetro a partire dalla sabbia locale. Proprio come si pensa facessero gli artigiani sudditi del faraone
                  Akhenaten, utilizzando metodi più avanzati di quanto si credesse. Nuovi elementi, in seguito,
                  sono stati scoperti in un villaggio egiziano di nome Qantir dove sono stati trovati resti della
                  produzione di vetro. Questi reperti sono contenitori in ceramica che contengono pezzi di vetro.
                      L’antico commercio del vetro ha implicato un sistema complesso per il trasporto di lingotti di
                  materiale vetroso grezzo per la sua trasformazione in oggetti di decorazione, tra cui perline, vasi
                  e gioielli. Gli oggetti di vetro più comunemente prodotti durante questo periodo erano perline di
                  vetro e vasi con il collo stretto, dove si potevano conservare profumi o altri liquidi più preziosi.
                      Nella fase di produzione primaria, il vetro è stato prodotto da cenere vegetale e polvere di
                  quarzo schiacciato in dischi rotondi o “lingotti”. Nella fase secondaria, i lingotti sono stati fusi e
                  rimodellati in oggetti specifici.
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    In Egitto il vetro veniva indicato con il termine iner en wedeth che significa pietra del tipo che
scorre. Una vecchia leggenda narra infatti che alcuni mercanti di soda approdati con la loro nave
sulle coste egiziane dopo aver preparato le cibarie per il pranzo e non avendo pietre adattatte a
sostenere il focolare, posero sotto i calderoni dei pani di soda. Quando accesero il fuoco e dopo
che essi si furono impastati con la sabbia, videro fluire un rivo di nuovo, trasparente liquido: è
questa l’origine del vetro.
    Il vetro nel mondo antico deriva quindi dalla fusione di una combinazione di alcali (sali di
potassio e soda) e silice (materie prime come sabbia e ciottoli di quarzo). L’interazione della soda
riscaldata e della sabbia calda avrebbe formato un liquido trasparente che gli antichi facevano
raffreddare per formare il vetro. Si ritiene che l’antica produzione della metallurgia e della
ceramica abbia portato alla successiva produzione del vetro. L’Età del Bronzo nel Mediterraneo
era sinonimo di grandi quantità di processi metallurgici; le scorie derivanti da tali lavorazioni
erano costituite da un materiale simile al vetro. A sostegno di questa ipotesi, le perle che sono
state analizzate confermano l’elevata percentuale di tali sottoprodotti.
    La produzione del vetro attestata nell’Antico Egitto prima del Regno Medio non è molto
convincente ed è molto raro trovare documentazione archeologica prima del 1550. Si suppone
che la lavorazione del vetro sia stata introdotta in Egitto dai vetrai catturati da Thutmose II (1479-
1425 a.C.) dallo stato di Mitanni situato tra il fiume Tigri e l’Eufrate (sviluppatosi prima del 1500
a.C. era uno dei più potenti nemici dell’Egitto). E’ questo ipotetico scenario di un’importazione di
artigiani provenienti dall’estero che spiega la mancanza di fasi di prova nella realizzazione del
vetro. Invece lavorazioni tecnologicamente difficili come ad esempio il vetro decolorato sono noti
già a partire dal regno di Hatshepsut (1473-1458 a.C.) e gli intarsi di vetro nel regno di
Tutankhamon (1336-1327 a.C.).

Figura 1. Mappa che mostra il villaggio Qantir e le rotte commerciali del vetro dal Nilo in altre
parti del Mediterraneo.

1 Composizione chimica del vetro egiziano
       Il principale elemento della struttura chimica del vetro è la silice (biossido di silicio SiO2),
che è il componente più comune della crosta terrestre e rappresenta il 50-70% del peso del vetro
antico. La silice è estratta da materie prime naturalmente reperibili come sabbia di quarzo,
ciottoli di quarzo bianco e pietra focaia. I forni metallurgici e le fornaci di ceramica non erano in
grado di raggiungere le temperature di fusione del quarzo, pertanto è stato introdotto un flusso
combinato di altri componenti con la silice che ha permesso l’abbassamento del suo punto di
fusione. E’ stato stimato che l’introduzione del flusso porterebbe alla riduzione della temperatura
di fusione del quarzo di circa 700°C, quindi da 1700°C a circa 1000°C. Veniva utilizzato un flusso di
alcali, generalmente di sodio (ossido di sodio Na2O) o di potassio (ossido di potassio K2O). Gli
alcali sono stati estratti sia da minerali naturali o dalle ceneri derivate da materiale vegetale
bruciato o legno. Tuttavia una composizione derivata dalla sola silice pura e soda/potassa non
avrebbe portato ad un vetro di qualità. Era necessario uno stabilizzatore che diminuisse la
solubilità del vetro ed evitasse la sua corrosione in tempi brevi; a tal proposito è stato più volte

                                                                                    Franca Rita Farre
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utilizzato l’ossido di calcio (calce CaO). E’ evidente che le composizioni chimiche dei vetri antichi
sono relativamente simili a quelle di epoca moderna, ad eccezione di quelli del periodo
medioevale.
     In sintesi, i principali costituenti chimici del vetro sono rappresentati da silice o sabbia (SiO2),
ossido di sodio (Na2O) o ossido di potassio (K2O) e ossido di calcio (CaO). Inoltre possono essere
presenti delle impurità all’interno della silice, per esempio: allumina, rame, ferro e magnesio.
I tipi di vetro antichi predominanti erano composti da soda-calce-silice e potassa-calce-silice. Le
materie prime, prima dell’utilizzo, erano sottoposte a processi di pulizia, questo serviva
soprattutto per la sabbia. Nonostante gli antichi non avessero i metodi tecnologici moderni e i
materiali sintetici disponibili, il risultato finale era un prodotto che raramente era poco raffinato.
Le possibili macchie antiestetiche e altri difetti visivi erano dovuti a minerali pesanti non fusi nella
matrice vetrosa.
     Tra tutte le materie prime richieste per la lavorazione del vetro la sabbia è sicuramente la più
disponibile e la meno costosa. Non c’è una quantità fissa di sabbia da utilizzare e allo stesso
tempo non ci sono limiti nel suo utilizzo tali da compromettere la qualità del vetro prodotto. Le
posizioni geografiche delle sabbie utilizzate in passato sono tuttora sconosciute per la mancanza
di studi analitici dedicati e per gli scarsi riferimenti nei testi antichi.
     Anche il carbonato di sodio è uno dei componenti del vetro, si trova in quantità non più del
23%, e tale percentuale li rende vulnerabili al deterioramento per opera degli agenti atmosferici.
Il carbonato di sodio impuro e il sodio bicarbonato si trovano facilmente nei laghi egiziani che
rappresentano perciò una fonte naturale e prontamente disponibile.
     L’ossido di potassio può sostituire l’ossido di sodio, e questo conferisce al vetro maggiore
brillantezza e un colore bellissimo. La calce funge da stabilizzatore del vetro, permettendo così di
indurire più rapidamente durante il processo di raffreddamento e rendendo il vetro più
resistente. La maggior parte della sabbia della costa settentrionale dell’Egitto contiene carbonato
di calcio come impurezza, un fattore che potrebbe spiegare la varianza naturale anziché
l’aggiunta intenzionale durante il processo di lavorazione.
     Il vetro Egiziano, a causa della vastità di colori disponibili, non può essere identificato dal
grado di trasparenza, tantomeno dai colori stessi; gli scienziati moderni, infatti, li classificano in
base alla composizione anatomica. La somiglianza della disposizione degli atomi a quella del
liquido fuso è la stessa. Questo avviene grazie al forte legame chimico che lega gli atomi e la
rigidità impedisce il riassestamento di questi durante il processo di raffreddamento. Pertanto è la
struttura del vetro liquido che è responsabile delle sue caratteristiche distintive.
     Il vetro è un materiale non cristallino che è, in sostanza, un liquido sotto raffreddato e non
propriamente un solido. E’ caratterizzato come tale per la sua capacità di liquefare ad una
temperatura molto inferiore a quella che serve a produrlo e il solido è prodotto dal
raffreddamento del liquido in maniera molto rapida, tale da evitare la cristallizzazione.
L’irrigidimento si verifica principalmente alla temperatura del vetro. Esso è caratterizzato da una
disposizione di atomi e molecole che è irregolare, e ciò contrasta con l’ordine cristallino.
     L’arte del vetro combina due distinte tecnologie in evoluzione, lo sviluppo di fornaci elaborate
e l’invenzione degli smalti. Tecnicamente la ceramica, il vetro e il vetro-ceramica sono collegati,
perché per tutti sono necessarie alte temperature per la loro produzione; inoltre le materie
prime coinvolte sono simili e sono tutti materiali vetrosi a vari livelli. Nei recenti scavi del 1990
nuovi studi hanno prodotto nuovi elementi basati sull’analisi dei forni, questi considerano
sempre più probabile che la produzione del vetro sia stata effettuata accanto alla produzione di
ceramica, siti di lavorazione son stati scoperti a El-Amarna, El-Lisht e Malkata.
     La produzione del vetro richiede diversi fattori indispensabili: una fornace capace di produrre
calore tra 900-1000°C; e la riduzione della temperatura necessaria per la vetrificazione all’interno
del forno mediante un flusso alcalino. Una prima cottura della miscela di granulati dei silicati e
delle materie prime avviene a 750°C e una seconda cottura a circa 1000°C. Questo richiede
temperature di cottura sostenute oltre che tempi molto lunghi. Il processo di vetrificazione
completo può richiedere diversi giorni, a tal fine per accelerare il processo viene aggiunto del
vetro di scarto che agisce come catalizzatore nel processo di liquefazione in una massa
omogenea.
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     Il vetro color ametista scuro del XVIII secolo (1550-1069 a.C.) e XX(1186-1069 a.C.) deve il suo
colore alla presenza di un composto di manganese, nello specifico un ossido allo 0,5-0,7%. E’
interessante notare come il vetro bianco di qualità ordinaria contenenti composti del manganese
si colora se esposto alla luce solare per un certo periodo. Il colore risultante varia da una tinta
luminosa ametista a un colore viola intenso. E’ normale, ancora oggi, in Egitto trovare nel deserto
in prossimità delle città, pezzi di vetro bianco con queste caratteristiche. Questa colorazione è il
risultato di un cambiamento chimico dei composti del manganese, apparentemente causata dalla
luce solare, e non causata dal calore o da radioattività, anche se quest’ultima produce una
colorazione simile.
    La colorazione del vetro nero nell’Antico Egitto è data da tre composti: rame, manganese e
ferro, che in base alla percentuale presente variano l’effetto visivo. Sebbene il vetro nero fosse
sicuramente realizzato in epoca tardiva nell’Antico Egitto, il primo vetro nero prodotto era
dovuto all’uso di materiali impuri contenenti per esempio una grande proporzione di composti di
ferro ed era utilizzato per la fabbricazione di perline.
    I vetri blu degli antichi egizi erano principalmente di tre colori: blu scuro, che imitavano i
lapislazzuli con grande successo, azzurro che imitava il turchese e blu verdastro che imitava sia il
feldspato che il turchese. Nell’Egitto moderno viene utilizzato un composto di cobalto per
colorare il vetro blu, anche se è in grado di dare solo un blu scuro. Di conseguenza il turchese e il
verde-azzurro non possono essere ottenuti dal suo utilizzo.
    Molti degli esemplari di vetro blu devono la loro colorazione anche a un composto di rame.
L’ossido di rame dà il colore rosso al vetro egiziano, come è evidente dal rivestimento verde che
si forma quando il vetro è in rovina. Il vetro verde deve il suo colore a composti di rame o di
ferro.

2 Metodi di analisi della matrice vetrosa
     I reperti vetrosi sono stati analizzati mediante spettroscopia di emissione ma recentemente la
maggior parte di loro sono stati rianalizzati per attivazione neutronica.
     Magee, Wayman e Lovell nel 1996 hanno usato la microscopia ottica, combinato con l’esame
a occhio nudo, per determinare le caratteristiche fisiche della scoria che dominava. Il termine
scoria è utilizzato per indicare una massa vetrosa parzialmente o completamente liquefatta che è
stata prodotta da silice o silicati che interagiscono con composti fondenti ad alte temperature. I
campioni sono stati incorporati in una resina epossidica composta da terra con carburo di silicio,
carte abrasive di grana 600 e lucidato con pasta abrasiva di diamante 6um e fanghi di ossido di
alluminio 0,05um. Questi campioni lucidati sono stati esaminati con un microscopio ottico a luce
incidente e un microscopio elettronico a scansione Hitachi S-2700 (SEM) dotato di un sistema di
microanalisi caratterizzato da dispersione di energia dei raggi X. L’obiettivo era quello di
individuare e analizzare singolarmente i costituenti microstrutturali. Utilizzando tecniche
petrografiche normali è stata analizzata, dopo la preparazione, una sezione sottile delle scorie.
Campioni di scorie sono stati macinati in polvere per le analisi di diffrazione a raggi X e gli esami
hanno confermato che l’aggregato aveva una matrice vetrosa. Questa è prevalentemente nera e
vescicolare con componenti interne di colore rossastro nonché granuli di quarzo insieme ad altri
minerali. I risultati dell’esame SEM hanno rivelato che la microstruttura dei campioni era
costituita da una miscela complessa. L’identificazione delle diverse fasi è stata fatta con analisi
SEM-EDA. Lo studio comprendeva analisi elementari semi-quantitative comunemente usate nelle
scienze dei materiali per il controllo di fasi; i risultati vengono confrontati con altri materiali
standard analizzati riportati in letteratura scientifica. La microanalisi a dispersione di energia è
stata condotta su tre aree della matrice del campione e i risultati dimostrano che la matrice è un
silicato eterogeneo contenente alluminio, ferro e potassio. Sono presenti inoltre piccole tracce di
calcio, magnesio, sodio e titanio. Gli elementi microstrutturali di diversa natura che compongono
la matrice del silicato sono frammenti ossei, ossido di ferro e silicati. I risultati degli studi di
diffrazione a raggi X ottenuti da materiale di matrice sono coerenti con un campione di tipo
amorfo. Sono presenti anche picchi di diffrazione provenienti da fasi cristalline identificate come
quarzo, ossidi di Ferro (Fe2O3 e Fe3O4) e un silicato cristallino di tipo feldespato.

                                                                                   Franca Rita Farre
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    Questo concorda con le identificazioni di fase determinati mediante SEM-EDA e
petrograficamente descritte sopra che identificano il silicato cristallino come prodotto di
devetrificazione derivato dalla matrice. Sono stati trovati resti umani insieme a detriti della
lavorazione del vetro, questo ha condotto a diverse teorie: la presenza di un cimitero nel sito di
ritrovamento, oppure che questi resti umani siano stati portati lì al momento della lavorazione.
Tutto questo è stato validato da analisi macroscopiche dei vari detriti, in cui erano presenti resti
di ossa e denti umani.
    La significativa frazione di volume di particelle di fosfato di calcio e le loro varie morfologie,
insieme con i cambiamenti di colore osservati macroscopicamente nelle interfacce osso-matrice,
suggeriscono il verificarsi di una qualche forma di disintegrazione dell’osso come risultato della
sua reazione con la matrice silicea calda.
    Sono stati riscontrati problemi con i campioni ad alto contenuto di antimonio, in cui la sua
attività era così intensa da coprire i segnali degli altri elementi.
    Per analizzare il vetro egiziano sono state utilizzate anche tecniche non-distruttive e micro-
distruttive, una di queste è la spettrometria a fluorescenza a raggi X. Si tratta di una tecnica che si
avvale di un interazione di raggi X primari generando una serie di raggi X secondari che hanno
energie caratteristiche di ciascuno degli elementi nel campione. Produce uno spettro di energia
simile a quello prodotto da uno spettrometro di emissione.

3 Utilizzo del vetro nell’Antico Egitto
       Durante l’Antico e Medio Regno sono stati prodotti oltre a gioielli in vetro, amuleti, piccole
figure animali e mosaici.
     L’uso del vetro celeste con incrostazioni di motivi ornamentali in colori contrastanti fu
abbastanza diffuso durante la XVIII dinastia e anche nelle più tarde imitazioni di piccoli oggetti
per la cura del corpo, come i recipienti per i cosmetici, i profumi e gli unguenti.
     Oltre al suo utilizzo in amuleti, perline e intarsi si è cercato di usare il vetro in progetti più
ambiziosi, tra qui i vasi. La tecnica di fabbricazione dei vasi mediante soffiaggio è stata introdotta
in Egitto solo in epoca Romana. L’altra tecnica includeva l’utilizzo di un’asta che grazie alla sua
movimentazione formava un nucleo di fango dove poi l’artigiano dava la forma dell’interno del
recipiente. Il passo successivo sarebbe stato quello di immergere il nucleo nel vetro fuso viscoso
e livellato il tutto mediante laminazione su una pietra piatta chiamata marver. Il colore di base
del vaso era di solito blu o verde e per le decorazioni venivano stati introdotti dei fili in modo che
l’effetto finale fosse con filamenti di giallo, bianco e rosso. Questi fili venivano tirati varie volte
con un ago per formare vari motivi e che poi venivano laminati sul marver per imprimerli
all’interno del vetro ancora morbido e quindi malleabile. Il vaso veniva quindi posto in un forno e
poi fatto raffreddare lentamente. Sono esempi di questa tecnica i frammenti spigolosi di vetro di
                                               tanti colori inclusi nelle ciotole. Nell’antico Egitto il
                                               vetro è stato elaborato anche mediante taglio a
                                               freddo, questo processo comportava la lavorazione di
                                               pezzi di vetro, a volte modellato grossolanamente,
                                               nella forma desiderata e in seguito modellati ad
                                               intaglio. Questo processo molto difficoltoso aveva
                                               bisogno di grande abilità e molta pratica.
                                                   Con questo procedimento è stato realizzato il
                                               poggiatesta di Tutankhamon (Fig. 2).
                                               Le strisce blu della maschera, invece, sono in smalto
                                               vetroso. Combinando la tecnologia del vetro e del
                                               metallo, infatti, gli Antichi Egizi inventarono la
                                               smaltatura: utilizzavano paste vetrose contenenti sali
                                               metallici che, applicate sulla superficie di oggetti
                                               metallici, a seguito di cottura vetrificavano
                                               impartendo il colore desiderato agli oggetti.

                                             Figura 2 Maschera d’oro di Tutankhamon, in mostra al
                                             Museo egizio del Cairo, con intarsi di vetro colorato.
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Nella tomba di Tutankhamon sono stati rinvenuti scarabei commemorativi, perline, amuleti e
pomelli per mobili.
Nella decorazione dei vasi (Fig. 3) prevalevano i colori giallo e bianco su sfondo azzurro, sebbene
fosse utilizzato anche il verde verso la metà della XVIII dinastia. A partire dall’epoca amarniana, è
                                frequente una decorazione a macchie, simile a occhi. Le forme dei
                                vasi di vetro potevano essere abbastanza diverse. Imitavano molto
                                i recipienti di metallo e terracotta o quelli in faiance. Sono
                                frequenti le tazze grandi, il calice, le coppe, i crateri, i vasi tubolari,
                                quelli di forma ovoidale e collo cilindrico e i recipienti a forma
                                animale.

                                 Figura 3 Vaso in vetro dell’Antico Egitto

    Nella seconda metà del II millennio era già usata la tecnica del mosaico, mentre in epoca
tarda divennero famosi i cosiddetti “millefiori”. Questi erano ottenuti da barrette o canne di
vetro di diverso colore, disposte a forma di fiore, assottigliate e tagliate a tessera, e che, una
volta riscaldate in uno stampo per farle saldare tra loro, venivano levigate a freddo.
Le prove disponibili indicano che nell’Antico Egitto il vetro era considerato come pietra artificiale
semi-preziosa e a volte veniva imitato nel legno verniciato. Per via di questo legame il vetro non
ha sviluppato delle forme proprie, ma piuttosto copiato quelli tradizionalmente realizzati in
pietra, piastrelle o altri materiali. L’evoluzione della maiolica, infatti, è stato il passo successivo
nell’evoluzione del vetro in Egitto.

CONCLUSIONI
   L’origine del vetro resta ancora ricca di controversie, certo è che nell’antico Egitto veniva
considerato un materiale raro e prezioso come l’oro, e i vetrai che lo producevano venivano
considerati una classe di operai d’elite che svolgevano un arte “esoterica”. Erano considerati
quasi dei maghi, detentori del potere occulto. L’unica certezza che si ha è la sua composizione
chimica, accertata nel corso degli anni dalle varie analisi svolte.

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