Il territorio come "risorsa complessa" e la nuova geografia urbana della laicità - di Anna Silvia Bruno

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ISSN 1826-3534

                   10 MARZO 2021

 Il territorio come “risorsa complessa”
e la nuova geografia urbana della laicità

                di Anna Silvia Bruno
      Assegnista di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico
                Università degli Studi di Torino
Il territorio come “risorsa complessa” e la
             nuova geografia urbana della laicità*
                                                 di Anna Silvia Bruno
                             Assegnista di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico
                                       Università degli Studi di Torino

Abstract [It]: La religione costituisce sicuramente un elemento fondamentale del profilo culturale urbano, della
identità di un gruppo, strumento di radicamento su un territorio e fattore di integrazione in una comunità sociale.
Il presente contributo si propone di indagare il ruolo dei simboli religiosi nei cambiamenti della geografia urbana,
con particolare riferimento alla salvaguardia e al bilanciamento dei diritti fondamentali coinvolti nello spazio
pubblico collettivo.

Abstract [En]: Religion is certainly a fundamental element of the urban cultural profile, of the identity of a group,
an instrument of rooting in a territory and a factor of social community integration. This paper aims to investigate
the role of religious symbols in urban geography changes, with particular reference to the safeguarding and
balancing of fundamental rights involved in the collective public space".

Parole chiave: simboli religiosi; città; geografia urbana; multiculturalità; spazio pubblico
Keywords: religious symbols; cities; urban geography; multiculturalism; public space

Sommario: 1. Introduzione. 2. Multiculturalità e spazio pubblico. 2.1. Esperienze locali di dialogo e integrazione
religiosa. 3. Il territorio come “risorsa complessa” a “molteplici vocazioni”. 4. Geografia urbana della
multiculturalità.

1. Introduzione
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, l’incremento dei flussi migratori in
Europa ha determinato trasformazioni sociali che hanno inciso profondamente sul profilo della
dimensione urbana, ridisegnandolo e incrementando nuovi dibattiti sul diritto degli Stati di proporre
politiche di difesa dei propri confini territoriali1. A seguito del processo di “miniaturizzazione” dello Stato
e di «ripiegamento della politica sulla dimensione locale»2, le città sono diventate i nuovi spazi di
integrazione o segregazione sociale di specifici gruppi di popolazione, luoghi in cui le autorità locali sono
chiamate sempre più spesso a gestire le politiche legate alla sicurezza, al multiculturalismo e alla
convivenza pacifica di culture differenti sullo stesso territorio 3. Non a caso, la nozione di città è stata

* Articolo sottoposto a referaggio.
1 G. SCACCIA, Il territorio fra sovranità statale e globalizzazione dello spazio economico, in Rivista AIC, n. 3/2017, p. 32.
2 G. SCACCIA, op.cit., p. 19 ss.
3 Sul punto, v. G. CERRINA FERONI, V. FEDERICO (a cura di), Strumenti, percorsi e strategie dell’integrazione nelle società

multiculturali, Napoli, 2018; L. EINAUDI, Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità ad oggi, Roma-Bari, 2007; S. SICARDI,
Essere di quel luogo. Brevi considerazioni sul significato di territorio e di appartenenza territoriale, in Politica del diritto, 1/2003; E. PACE,
New religious pluralism in the European cities and the politics of identity, su www.ucd.ie; F. RICCIARDI CELSI, Pluralismo religioso,

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declinata almeno secondo tre accezioni: «come uno degli elementi umani dello spazio geografico, ossia
quale elemento insediativo ed economico; come un elemento politico, in quanto vi si concentrano le
attività di governo (locali, nazionali e/o internazionali); e, infine, può assumere l’accezione di elemento
culturale, sia in quanto luogo elettivo della produzione di cultura sia in quanto sede di beni culturali
accumulatisi nel tempo. Da tale molteplicità di funzioni si evince l’importanza della Città e si comprende
come essa risulti uno degli elementi-guida dell’organizzazione dello spazio»4. In questo quadro, la
religione costituisce sicuramente un elemento fondamentale del profilo culturale urbano, della identità di
un gruppo, strumento di radicamento su un territorio e fattore di integrazione in una comunità sociale.
Essa è elemento imprescindibile e determinante nella elaborazione di modelli di integrazione con
particolare riferimento alla salvaguardia e al bilanciamento dei diritti fondamentali coinvolti nello spazio
pubblico collettivo5.
Il legame tra cittadini e territorio è profondamente segnato dalla esclusività, allorquando i luoghi di uno
spazio statale sono “fondamento costitutivo ed originario” di quello spazio, i cui confini non ne
delimitano semplicemente la chiusura, ma ne indicano l’unità e la identità. All’interno del territorio inteso
quale “fondamento spaziale” si sviluppano le strutture della convivenza, gruppo sociale e territorio si
condizionano a vicenda e “l’energia psichica e conformatrice”, di cui parlava G. Simmel, crea il “luogo
del gruppo”, separando e integrando, conferendo unità e identità6. Nello spazio della convivenza si
stabiliscono regole per “vivere insieme” all’interno di confini che, per loro natura, generano “identità dei
luoghi”, determinano l’appartenenza linguistica, etnica e religiosa degli uomini, uniscono gli abitanti di un
territorio in un processo storico, segnando non tanto “la necessità di un destino” quanto, piuttosto, “la
responsabilità di una scelta” attraverso decisioni politiche di democrazia partecipativa e di cittadinanza
attiva che creino forme di resilienza urbana per consentire al gruppo originario di metabolizzare le
differenze con l’immigrato7. La scelta di includere o escludere, come l’idea di appartenenza o di estraneità
sono definite all’interno di uno spazio in cui «l’identità topografica generata dalla limitatio è insieme di
identità storica, di lingua, di costumi e di tradizione; … La funzione inclusiva si rispecchia nella
appartenenza: chi è al di qua del confine, è parte di un tutto. Qui la forma dello spazio è un tutt’uno con

multiculturalismo e resilienza urbana: profili di diritto ecclesiastico, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 12/2017; E. OLIVITO,
Primi spunti di riflessione su multiculturalismo e identità culturali nella prospettiva della vulnerabilità, in Politica del diritto, 2007; A.
FACCHI, I diritti nell'Europa multiculturale: pluralismo normativo e immigrazione, Roma, 2001.
4 G. URBANO, Le “Città intelligenti” alla luce del principio di sussidiarietà, in Ist. feder., 2019, p. 463 ss.
5 G. BRUNELLI, Simboli collettivi e segni individuali di appartenenza religiosa: le regole della neutralità, in AA. VV., Problemi pratici

della laicità agli inizi del secolo XXI. Annuario 2007, Padova, 2008.
6 G. SIMMEL, Saggi di estetica, Padova, 1970; Forme e giochi di società. Problemi fondamentali della sociologia, Milano, Feltrinelli,

1983; Filosofia del denaro, Torino, 1984; N. IRTI, Norma e luoghi, Roma-Bari, 2001.
7 N. IRTI, op.cit., p. 124.

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la forma del tempo: il permanere del territorio, il suo durare come sede del gruppo e del potere sovrano,
lega insieme presente passato e futuro»8.
Nel tempo, però, la nozione di confine ha modificato la propria “funzione differenziatrice” acquisendo
una natura sempre più “porosa”9, incoraggiando i territori urbani e metropolitani (non da ultimi quelli
europei) a porsi come luoghi di relazioni interculturali e interreligiose, in cui anche le politiche locali
possono favorire il dialogo tra religioni attraverso soluzioni tendenti ad evitare possibili conflitti, a
promuovere la condivisione di common goods e la cooperazione interculturale10. Lo spazio pubblico è, oggi,
il luogo in cui l’identità culturale di un gruppo si confronta con un processo di secolarizzazione che nel
tempo ha favorito la presenza di minoranze lontane dalla cultura dominante e la comparsa di nuovi
simboli religiosi11. Gli insediamenti di nuove comunità etnico-religiose su un determinato territorio ha
innescato dialoghi e conflitti culturali ai quali i giudici hanno provato a rispondere, dimostrandosi,
talvolta, impreparati nella gestione-risoluzione dei mutamenti sociali in atto. L’intervento giudiziario per
la ricerca di formule e soluzioni in grado di fronteggiare le nuove esigenze del multiculturalismo ha dovuto
fare i conti anche con l’assenza di normative ad hoc e con l’uso flessibile degli strumenti a disposizione,
con il rischio di innescare fenomeni di attivismo giudiziale o di minimalismo giudiziario cari alla common
law12. Per di più, i flussi migratori che negli ultimi anni hanno interessato l’Italia, hanno di fatto portato
all’insediamento di comunità e confessioni religiose spesso sprovviste di intesa con lo Stato italiano – si
pensi alle comunità di musulmani, di ortodossi ucraini e rumeni, ai testimoni di Geova, ai Sikh – e hanno
avviato trasformazioni sociali, culturali, economiche, politiche, territoriali, demografiche che si sono
riversate non solo nelle aule dei tribunali, ma anche nella produzione normativa degli enti locali, fino a
fornire esempi di «politica ecclesiastica comunale»13.
Il ruolo delle città è cambiato ed è ancora destinato a cambiare insieme agli obiettivi e alle politiche dei
governi locali sempre più proiettati e incardinati in dinamiche “glo-cal” in cui l’idea di territorio si è
modificata nella sua portata funzionale. In questa prospettiva, la stessa “geografia fisica della laicità” ha
subìto dei mutamenti con riferimento ai luoghi di confronto tra istituzioni pubbliche e confessioni
religiose, diversificatisi in materia di pluralismo confessionale e culturale, di libertà di espressione della

8 N. IRTI, op.cit., p. 146.
9 A. DI MARTINO, Il territorio: dallo stato-nazione alla globalizzazione. Sfide e prospettive dello stato costituzionale aperto, Milano,
2010, p. 514.
10 E. PACE, op.cit., p. 2.
11 E. OLIVITO, Giudici e legislatori di fronte alla multiculturalità, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2011; G. SCACCIA, op.cit.,

p.34.
12 E. OLIVITO, Giudici e legislatori, cit., p. 4 e p. 10; G. SCACCIA, op.cit. Il tema del minimalismo giudiziale nella Common

law e nelle sentenze della Corte Suprema americana, insieme agli incompletely theorized agreements è ripreso da CASS R.
SUNSTEIN nel saggio, tradotto in italiano, Intese non completamente teorizzate e usi costruttivi del silenzio, Lecce-Cavallino, 2004.
13 A FERRARI, La libertà religiosa in Italia. Un percorso incompiuto, Roma, 2012, p. 110.

24                                                     federalismi.it - ISSN 1826-3534                                       |n. 7/2021
propria fede, del divieto di discriminazione14. Accanto agli spazi tradizionali della laicità, si è imposto lo
spazio cittadino «come il luogo simbolico da preservare da ogni possibile contaminazione culturale e da
ogni probabile lesione dell’ordine pubblico»15. Le trasformazioni sociali hanno sempre più spesso
agevolato soluzioni, sia a livello nazionale che locale, volte a preferire profili di ordine pubblico e di
sicurezza piuttosto che ad avviare politiche inclusive16.

2. Multiculturalità e spazio pubblico
Prima che negli ultimi anni le ondate migratorie travolgessero i contesti urbani e metropolitani, le città
mostravano una composizione culturale ed etnica piuttosto omogenea, per cui lo spazio fisico in cui si
sviluppavano i conflitti legati all’uso di determinati simboli religiosi era generalmente l’aula scolastica o
quella giudiziaria che, di fatto, rifletteva il rapporto dialettico tra sovranità dello Stato liberale e
indipendenza della confessione religiosa17. Intorno alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, con
l’impatto delle ondate migratorie e il trasferimento ai Comuni di nuove competenze amministrative in
materia di migranti e sicurezza, il contesto urbano ha sollevato criticità economiche e sociali per la
presenza di comunità diversificate al suo interno, chiamato a far fronte a sfide importanti in tema di
coesione sociale, economica e territoriale18. E proprio esigenze di coesione e integrazione avevano spinto
la Commissione europea, già a partire dalla fine degli anni Novanta, a proporre, in modo esponenziale,
azioni in materia urbana19: le esperienze positive con alcune iniziative – in particolare URBAN II – e il
riconoscimento del ruolo vitale che le città hanno svolto in un’Europa equilibrata e competitiva hanno
incoraggiato a proseguire in questa direzione con l’obiettivo di accogliere le politiche di sviluppo urbano
sostenibile nel filone della politica di coesione.
Infatti, la politica di sviluppo regionale dell’Unione europea, insieme ad uno stanziamento cospicuo e
frequente di fondi strutturali destinati alle aree urbane, ha da sempre voluto garantire (qualora gli obiettivi
comunitari avessero incontrato l’interesse degli Stati membri o degli enti locali) l’incremento di

14 Sul punto, R. MAZZOLA, Laicità e spazi urbani. Il fenomeno religioso tra governo municipale e giustizia amministrativa, in Stato,
Chiese e pluralismo confessionale, 2010; L. MARTÍNEZ-ARIÑO, Conceptualising the role of cities in the governance of religious diversity
in Europe, in Current Sociology, 2017; R. HENKEL, The changing religious space of large western European cities, in Prace Geograficzne,
2014; K. PHALET, M. MALIEPAARD, F. FLEISCHMANN, D. GÜNGÖR, The making and unmaking of religious boundaries, in
Comparativemigrationstudies.org, 2013, vol. 1, n. 1.
15 R. MAZZOLA, op.cit., p. 8.
16 R. MAZZOLA, op.cit., p. 11.
17 R. MAZZOLA, op.cit., p. 5.
18 Sul principio di solidarietà che permea l’atteggiamento di accoglienza non solo verso il cittadino ma anche verso lo

straniero quale via principale per garantire una effettiva coesione sociale nonché politica, in grado di consentire
«l’integrazione di una società pluralista e ne scongiura, a fondo, la disgregazione», si v. C. BERTOLINO, Una prospettiva di
normalizzazione del fenomeno migratorio. L’accoglienza possibile, Torino, 2020, p. 165.
19 R. MAZZOLA, op.cit., ibidem.

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infrastrutture, la creazione di nuove reti tra Regioni, settori economici o istituzioni, il supporto ad imprese
di servizio pubblico20; in termini di una maggiore convergenza delle aree urbane, l’obiettivo è stato quello
di incentivare la rigenerazione urbana, contenere il degrado ambientale; mentre, ai fini di una maggiore
coesione sociale, si volevano favorire le pari opportunità, l’inclusione sociale dei gruppi svantaggiati, la
formazione professionale per valorizzare le attività economiche nelle aree urbane, la formazione
professionale degli immigrati21. Gli interventi miravano per di più a recuperare le aree suburbane
periferiche delle città dove la qualità della vita è più spesso segnata da problemi economici e sociali, con
un tasso di disoccupazione più elevato, fenomeni di esclusione sociale, problemi ambientali, un basso
livello di istruzione, causa di una concentrazione di disparità a scapito di quella convergenza tra aree che
i fondi strutturali ed il fondo di coesione si ponevano come obiettivo.
Gli spazi pubblici, dunque, sono emersi come il nuovo contesto carico di tensioni a cui si sono sommate
le esigenze quotidiane legate alla professione di differenti religioni. Tra la fine del secolo scorso e gli inizi
di questo millennio, sia la Corte costituzionale che la giustizia amministrativa hanno fatto più volte
riferimento alla nozione di “spazio” nell’ambito delle sentenze in materia di principio di laicità. A questo
proposito hanno distinto tra uno spazio “indoor”, destinato all’esercizio di pubblici servizi, come
possono essere le aule scolastiche (si pensi a questo proposito alle sentenze nn. 203/89, 13/91), quali
luoghi dal forte valore simbolico e identitario; ed uno spazio “outdoor” soggetto a particolari vincoli di
destinazione di interessi pubblici, come nella decisione n. 195/93 sullo ius aedificandi della Congregazione
cristiana dei Testimoni di Geova, in cui il giudice costituzionale ha parlato espressamente di “aree di
urbanizzazione secondaria specificamente riservate ai servizi religiosi”. Pertanto, se lo spazio pubblico ha
sempre rappresentato il luogo neutrale in cui il singolo poteva professare la propria fede religiosa, oggi,
gli spazi sorti all’interno del tessuto urbano sono testimoni di mutamenti demografici, sociali, economici,
legati ai fenomeni immigratori che li hanno resi luoghi fondamentali e determinanti per lo sviluppo di
nuove politiche sulla integrazione culturale e religiosa.
A questo proposito, le sentenze del 13 febbraio e del 22 maggio 2006 (rispettivamente del Consiglio di
Stato e del Tar Lombardia), nonché quella del febbraio 2009 pronunciata dal Tribunale di Cremona
sull’ipotesi di reato per porto ingiustificato di armi commesso da un cittadino indiano di religione Sikh a
causa dell’uso del kirpan all’interno di un centro commerciale hanno consentito di guardare più da vicino
le dinamiche culturali delle minoranze etniche e religiose. Nei casi richiamati, l’obiettivo delle istituzioni
è sembrato essere quello di preservare lo spazio pubblico cittadino da possibili “contaminazioni” esterne
e da ogni eventuale lesione dell’ordine pubblico, con il fine di preservare la neutralità del luogo e di

20   A.S. BRUNO, Tra territorio e spazio: la città metropolitana come politica urbana, Napoli, 2018, p. 11 ss.
21   A.S. BRUNO, op.cit., p. 40.

26                                                    federalismi.it - ISSN 1826-3534                            |n. 7/2021
garantirne la sicurezza22. In altri termini, le decisioni sono state testimoni della complessità di una fase
storica in cui il multiculturalismo ha segnato spazi e tempi, plasmandoli secondo le esigenze della
contingenza e sollevando nuove problematiche di convivenza. In questo senso, è diventato chiaro che la
presenza di una determinata comunità etnico-religiosa all’interno di un contesto urbano non genera più
e soltanto difficoltà connesse al principio di laicità nello spazio pubblico per la presenza di simboli religiosi
all’interno di spazi circoscritti23, ma quelle difficoltà di convivenza e solidarietà hanno iniziato a infiltrarsi
anche negli ambienti circostanti; i “confini” tra spazio indoor e outdoor hanno iniziato ad indebolirsi e a
creare “corridoi” di contaminazioni culturali. In questo senso, nelle scuole, le tensioni non sono più
rimaste circoscritte alla presenza del crocifisso in aula, ma hanno coinvolto le mense e le prescrizioni
alimentari dovute all’appartenenza a specifiche culture religiose24; così come, negli spazi pubblici sono
emerse nuove difficoltà nella gestione della edificabilità di aree da macello o di spazi cimiteriali al fine di
renderli adeguati ad affrontare le esigenze del multiculturalismo religioso25.

2.1. Esperienze locali di dialogo e integrazione religiosa
L’importanza di creare comunità resilienti in grado di contenere e ridurre l’esposizione al rischio e al
conflitto, rafforzando la capacità di risposta e di recupero dei bisogni di solidarietà politica, economica,
sociale e di progresso della società nella sua interezza è ben chiaro negli articoli 2, 3 e 4 comma 2 della
Costituzione. In questa prospettiva si collocano i tentativi italiani di integrazione e dialogo con il mondo
islamico: dal d.m. del 2005 sulla Consulta dell’Islam italiano alla Carta dei valori della cittadinanza e
dell’integrazione del 2007; dalla Dichiarazione di intenti per la federazione dell’Islam italiano del 2008 al
Comitato per l’Islam italiano del 2010; e, ancora, dalla Conferenza permanente religione-cultura-
integrazione (con particolare riferimento alle organizzazioni islamiche) del 2012 al Tavolo permanente
per le consultazioni del 2015; fino al Consiglio per le relazioni con l’Islam del 2016 e al patto nazionale
per l’Islam italiano del 2017, oltre alla formazione di Tavoli interreligiosi per la elaborazione di nuove
politiche di collaborazione26. A fronte di iniziative governative per lo sviluppo di procedimenti
amministrativi e politiche di governo del territorio, le amministrazioni sono state investite della
responsabilità di predisporre strumenti di politica ecclesiastica comunale, di farsi carico della costruzione

22 F. RICCIARDI CELSI, op.cit., p. 10; A. LICASTRO, Il motivo religioso non giustifica il porto fuori dell’abitazione del kirpan da parte
del fedele sikh (considerazioni in margine alle sentenze n. 24739 e n. 25163 del 2016 della Cassazione penale), in Stato, Chiese e pluralismo
confessionale, 2017.
23 R. MAZZOLA, op.cit., p. 5; L. MANCINI, Simboli religiosi e conflitti nelle società multiculturali, in E. DIENI, A. FERRARI, V.

PACILLO, (a cura di) I simboli religiosi tra diritto e culture, Milano, 2006.
24 G. CIMBALO, Il diritto ecclesiastico oggi: la territorializzazione dei diritti di libertà religiosa, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale,

2010.
25 G. CIMBALO, op.cit., p. 14.
26 F. RICCIARDI CELSI, op.cit., p. 27.

27                                                       federalismi.it - ISSN 1826-3534                                           |n. 7/2021
di edifici di culto o del mutamento di destinazione di alcuni edifici preesistenti al fine di adibirli a luoghi
di culto. Si pensi, sempre in Italia, alle piccole realtà urbane di Novellara (13.000 abitanti e 11,7% di
stranieri) in Emilia Romagna e di Colle Val d’Elsa (19.000 abitanti con il 9% degli stranieri) in Toscana
dove le autorità politiche hanno voluto promuovere forme di dialogo nella popolazione, facilitando gli
incontri con gli immigrati e favorendo la costruzione di codici di comunicazione reciproci, utili a
soddisfare le esigenze di ciascuno e che, nel primo caso, hanno portato alla costruzione di una moschea
e di un gurdwara (primo tempio Sikh in Italia), mentre nel secondo alla realizzazione di un progetto per la
costruzione di una moschea che ha visto il coinvolgimento della popolazione locale e dei migranti
musulmani27.
Potrebbe risultare interessante riportare l’esperienza di una città di relativa grandezza, Mazara del Vallo
(50.000 abitanti circa), in cui il 5% della popolazione è di origine tunisina e in cui sono state ragionate
soluzioni in grado di avvicinare le differenti culture per proporre formule di integrazione e coesione
sociale28. L’iniziativa, nello specifico, è stata presa da un’associazione tunisina interessata a cooperare con
le autorità locali di polizia al fine di inaugurare un ufficio immigrazione per lo sviluppo di attività culturali
e dare visibilità alla comunità tunisina sul territorio. Gli stessi immigrati hanno dimostrato la volontà di
cooperare con le associazioni culturali locali e la Chiesa cattolica al fine di organizzare incontri
interreligiosi, iniziative nelle scuole per far emergere somiglianze e differenze tra la cultura araba e il resto
del mondo religioso. Infine, il momento conclusivo di questa esperienza ha visto la collaborazione
dell’intera comunità – insegnanti di scuole locali secondarie, rappresentanze tunisine, autorità – nella
predisposizione di progetti integrati di insegnamento per riscoprire l’eredità araba in Sicilia.
Dunque un approccio “dal basso”, dalla dimensione urbana nella sua complessità di conflitti e realtà
periferiche suburbane, che consente di aprire una finestra sulla dimensione globale (in questo caso, dei
flussi migratori che muovono la religione nel mondo) e sull’importanza del dialogo interreligioso, quale
questione sempre più strategica di un’agenda politica. È il riconoscimento e l’accettazione delle differenze
culturali e forme di cittadinanza attiva che portano a ripensare le regole di convivenza in città, ossia in
quello che oggi può essere considerato il laboratorio sociale in cui si sperimentano gli effetti pratici delle
politiche pubbliche29. Una sfida per le autorità locali, chiamate per un verso a garantire uno svolgimento
organico ed integrato, per altro, a collocarsi all’interno delle politiche per misure settoriali da promuovere

27 E. PACE, op.cit., p. 7.
28 E. PACE, op.cit., p. 2.
29 Sul punto, M. ROSENFELD proponeva la costruzione di un “soggetto costituzionale” in una prospettiva in cui

l’apertura all’ “altro” consente una trasformazione interna del “sé” e dell’ “altro” verso percorsi reciprocamente
accettabili, restando fedeli alle differenze “alle quali si è più affezionati”, L’identità del soggetto costituzionale, tr.it., Lecce-
Cavallino, 2004.

28                                                  federalismi.it - ISSN 1826-3534                                    |n. 7/2021
in direzione verticale ed orizzontale, secondo dinamiche sociali, economiche e territoriali che mirano a
rendere più efficaci certe garanzie costituzionali30. Un modo, questo, per testimoniare come anche le
disposizioni normative, a partire da quelle costituzionali, dipendano dallo spazio e non viceversa 31; in
questa prospettiva, l’iniziativa bottom up “indirizza” gli spazi verso una loro interazione con funzioni e
organizzazioni del territorio che sempre più spesso si concretizzano in atti normativi “locali” (come ad
esempio le ordinanze dei Sindaci) sensibili alle esigenze dei nuovi culti, a specifiche istanze di libertà
religiosa e di tutela dei diritti fondamentali.
A questo proposito, si sottolinea che quando in passato le problematiche connesse al pluralismo religioso
sono state disciplinate da un’ordinanza sindacale, si è percepito il pericolo di una maggiore pressione sugli
attori politici locali per la possibile perdita di consenso, motivo per il quale i Sindaci avrebbero potuto
tendere verso la salvaguardia della fede religiosa della maggioranza, a danno dei diritti fondamentali delle
minoranze; così come, per altro verso, le ordinanze avrebbero potuto incoraggiare una maggiore
articolazione delle forme di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, dal momento che le politiche
locali di integrazione avrebbero richiesto il coinvolgimento del terzo settore, delle ONLUS, di consulenti
esterni, dell’associazionismo religioso, …, in una prospettiva di (necessaria) sussidiarietà orizzontale. In
questo scenario, lo spazio urbano subisce una spaccatura in cui la “politics” sarebbe rimessa all’intervento
delle organizzazioni politiche e del governo locale, mentre la “policy” affidata alla elaborazione di
soluzioni pratiche da parte di molteplici attori32. Inoltre, qualora la gestione delle problematiche legate
alla presenza di una determinata comunità etnico-religiosa su un determinato territorio risulti affidata ad
ordinanze sindacali dalla portata circostanziata, queste rischiano di essere adottate per gestire fenomeni
“strutturali”, endogeni, alla stregua di eventi legati a cause e dinamiche eccezionali, anziché storiche33.
Una gestione delle problematiche in cui il “diritto vivente” sembra piuttosto essere fornito dall’indirizzo
dell’ordinanza sindacale che rischia di diversificare gradi e forme di tutela delle minoranze etnico-religiose,

30 Si rinvia, a questo proposito, anche al principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale che consente a cittadini ed
amministrazione di condividere su un piano paritario risorse e responsabilità nell’interesse generale. V. A. POGGI, Le
autonomie funzionali “tra” sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, Milano, 2001; I. MASSA PINTO, Il principio di sussidiarietà.
Profili storici e istituzionali, Napoli, 2003; S. STAIANO, La sussidiarietà orizzontale: profili teorici, in V. BALDINI (a cura di),
Sussidiarietà e diritti, Napoli, 2007, p. 19 ss.; L. VIOLINI, Immigrazione e sussidiarietà, in Le Regioni, 5-6/2019; G. ARENA, Il
principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118 u.c. della Costituzione, in Studi in onore di Giorgio Berti, Napoli, 2005.
31 In particolare, cfr. sul punto gli studi del Federal Institute for Research on Building, Urban Affairs and Spatial

Development (BBSR), Metropolitan areas in Europe, Federal Institute for Research on Building, Urban Affairs and Spatial
Development within the Federal Office for Building and Regional Planning, Bonn, 2011; J.J. GOMES CANOTILHO,
Constituição dirigente e vinculação do legislador, Coimbra, 1994; A.S. BRUNO, op.cit., p. 250.
32 R. MAZZOLA, op.cit., p. 13 ss.
33 S. STAIANO, Brevi note su un ossimoro: l’emergenza stabilizzata, in S. STAIANO (a cura di), Giurisprudenza costituzionale e principi

fondamentali. Alla ricerca del nucleo duro delle costituzioni, Torino, 2006.

29                                                    federalismi.it - ISSN 1826-3534                                       |n. 7/2021
ridimensionando, se non annullando, tutti i passi in avanti fatti a livello nazionale, sia dal legislatore che
dal giudice delle leggi.

3. Il territorio come “risorsa complessa” a “molteplici vocazioni”
Il pluralismo religioso che oggi arricchisce il confronto tra religione e democrazia si alterna tra una
collocazione nello “spazio pubblico informale”, quello della “società civile”, in cui ognuno esprime la
propria identità e quella nello “spazio pubblico istituzionale” (delle aule scolastiche, dei tribunali, delle
istituzioni, …) in cui lo Stato esercita il proprio potere coercitivo nei limiti delle libertà fondamentali del
cittadino davanti al quale opterà per un linguaggio neutro e dunque condivisibile34. L’appropriazione di
un simbolo religioso da parte del singolo è infatti una forma di fedeltà al proprio credo religioso; mentre
il muro bianco di uno spazio istituzionale è il luogo in cui lo Stato esprime la propria eticità ritirando il
proprio potere coercitivo e lasciando esprimere le identità di ognuno. Discutere di simboli religiosi
consente allora di aprire un dibattito sulle libertà individuali e collettive in una prospettiva di
bilanciamento e conciliazione con l’ordine, la sicurezza e la salute pubblica, come testimoniato
dall’ordinanza n. 26, agosto 2016 con cui il Consiglio di Stato francese, all’indomani degli attentati
terroristici di Nizza del 14 luglio, ha precisato e circoscritto il potere del Sindaco di garantire il rispetto
delle libertà costituzionali35.
La stessa Corte di Strasburgo è stata più volte chiamata a pronunciarsi sull’uso di simboli religiosi negli
spazi pubblici ma la mancanza di omogeneità di tradizioni culturali e religiose ha fatto sì che gli interessi
coinvolti fossero di volta in volta bilanciati in conformità del background culturale di riferimento. Anche
i tribunali italiani si sono pronunciati in tema di simboli religiosi, sia a favore dei cittadini che dello Stato36,
lasciando emergere una inadeguatezza della politica nella gestione delle problematiche legate al
multiculturalismo, a causa della mancata condivisione, attraverso il circuito democratico, di alcuni principi
fondamentali in grado di separare il confronto politico dal conflitto ideologico. Rimangono pertanto
come questioni aperte quelle relative a possibili forme di convivenza interreligiosa, in attesa di un dialogo

34  Sul punto, R. BIN, G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), La laicità crocifissa? Il nodo costituzionale dei
simboli religiosi nei luoghi pubblici, Torino, 2004; Si veda, tra gli Altri, M. RUOTOLO, La questione del crocifisso e la rilevanza della
sentenza della Corte europea dal punto di vista del diritto costituzionale, in www.costituzionalismo.it, 2010; D. TEGA, Cercando un
significato europeo di laicità: la libertà religiosa nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti, in Quaderni costituzionali, 2010, p.
799. F. CORTESE sul muro bianco in Il crocifisso e gli “imbarazzi del giurista, in Quaderni costituzionali, 2010, p. 877 e cfr. J.J.
WEILER, Il crocefisso di Strasburgo: una decisione «imbarazzante», in Quaderni costituzionali, 2010, p. 148 ss.
35 Sul caso burkini, v. G. CASUSCELLI, La farsa del burqini: ma c’è un giudice a Parigi!, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale,

2016; D. FERRARI, I sindaci francesi contro il “burkini”: la laicità a ferragosto? A prima lettura di alcuni recenti orientamenti
giurisprudenziali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2016; L. ANELLO, Quale tutela delle libertà fondamentali per i simboli
religiosi? Considerazioni sulla decisione del Consiglio di Stato francese sul caso burkini, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2017.
36 Si v. sul punto, sentenza n. 3076 del 2008 del Consiglio di Stato e, in senso opposto, Cass. pen. n. 43646 del 2011.

30                                                     federalismi.it - ISSN 1826-3534                                         |n. 7/2021
democratico capace di conciliare esigenze di sicurezza con esigenze di libertà; gli intrecci efficienti tra
sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale nelle politiche di sicurezza urbana37; le politiche locali e
nazionali saranno chiamate a confrontarsi con le linee guida del Consiglio europeo38 e della Commissione
di Venezia nel perseguimento di obiettivi di integrazione39.
Tuttavia, il dibattito sui movimenti migratori e la consequenziale comparsa di nuovi simboli religiosi
hanno determinato la produzione di una serie di provvedimenti giudiziari spesso lasciati intenzionalmente
“aperti” 40, dunque sprovvisti di una decisione definitiva e di chiusura e, nel bilanciamento dei diritti in
gioco, tra tutela della libertà religiosa, principio di laicità ed esigenze di sicurezza pubblica, l’orientamento
della giurisprudenza si è dimostrato non del tutto univoco: solo per fornire un esempio, mentre in alcune
occasioni l’uso del kirpan (il pugnale portato dai seguaci del Sikh) è stato ammesso in virtù del giustificato
motivo, ossia la professione di un culto religioso41; in altre, l’uso del medesimo ha incontrato il limite della
convivenza pacifica e della sicurezza pubblica quali limiti invalicabili della libertà di culto42. Problema
simile si è posto per l’uso del velo integrale, ritenuto lecito in quanto manifestazione del diritto di libertà
religiosa purché non entrasse in conflitto con esigenze di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico.
Il simbolo religioso è diventato spesso, negli ultimi anni, motivo di intervento normativo da parte degli
enti locali, chiamati a ripensarne il suo utilizzo nello spazio pubblico43: le ordinanze del Sindaco, in
particolare, hanno rappresentato lo strumento per disciplinare il tessuto urbano quale spazio collettivo in
cui ripensare le politiche pubbliche di integrazione in un tentativo di conciliazione delle esigenze di
sicurezza, emergenza e salute pubblica (recentemente enfatizzate dalla crisi pandemica) e libertà
costituzionalmente tutelate. Già a seguito della riforma costituzionale del 2001, in alcuni Comuni
(Drezzo, Caloziocorte, Biassono e Azzano Decimo) i Sindaci si erano fatti promotori di una politica volta
a proibire l’uso del velo integrale in luogo pubblico o aperto al pubblico attraverso ordinanze che
favorivano una interpretazione estensiva dell’art. 5, L. 152/1975 (che letteralmente vieta l’uso di caschi
protettivi o di altri mezzi che rendano difficoltoso il riconoscimento senza giustificato motivo) e dell’art.
85 TULPS (secondo il quale è vietato comparire mascherato in pubblico), successivamente annullate dai
relativi Prefetti o rigettate dal Consiglio di Stato (nel caso specifico del Sindaco di Azzano Decimo che

37 Sul punto, v. d.l. 20 febbraio 2017, n. 14.
38 doc. MCL-15(2007)5 final; CONF/PLE(2009)CODE1; (CG33(2017)17final.
39 CDL(2013)042.
40 E. OLIVITO, Giudici e legislatori, cit., p. 10; CASS R. SUNSTEIN, op.cit.
41 F. RICCIARDI CELSI, op.cit., p. 10.
42 F. RICCIARDI CELSI, op.cit., p. 3 ss.
43 La “guerra ai simboli” come “malformazione secondaria della tradizione separatista europea” è analizzata da C.

CARDIA, La libertà religiosa tra ascesa e crisi dei diritti umani, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2016, p. 9.

31                                              federalismi.it - ISSN 1826-3534                              |n. 7/2021
aveva presentato ricorso al TAR)44. Si è assistito, in seguito, ad un rafforzamento del ruolo del Sindaco a
seguito della emanazione delle norme in materia di immigrazione contenute nella Legge n. 125/2008 che
ha inciso sul ruolo del principio di legalità, indebolendolo, a fronte dell’incremento della potestà
regolamentare degli enti locali. Le amministrazioni locali e i giudici amministrativi sono stati chiamati a
disciplinare i finanziamenti alle confessioni religiose; ad adattare le norme urbanistiche alle edificazioni
dei luoghi di culto; a regolare le attività commerciali di imprese etniche e l’uso di certi simboli religiosi
(dal kirpan al velo integrale), solo per riportare alcuni degli ultimi interventi giudiziari dei TAR che si
destreggiavano tra ragioni di convenienza politica e il pieno soddisfacimento dei principi di uguaglianza
e solidarietà45.
Successivamente al d.l. n. 92/2008, convertito in legge n. 125/2008, che ha apportato modifiche nel
TUEL art. 54, co. 4, in tema di incolumità pubblica e sicurezza urbana (materia, quest’ultima, di
competenza esclusiva statale ex art. 117, co. 2, lett. h), la sentenza n. 115/2011 della Corte costituzionale
ha escluso la possibilità per un Sindaco di derogare alla normativa vigente attraverso una normale
ordinanza, riconoscendo, invece la sussistenza di tale ipotesi – vista la formulazione dell’art. 54, comma
4 – per le ordinanze contingibili ed urgenti, da esercitarsi nel rispetto dei limiti previsti per queste ultime,
ossia in materia di “emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale”, nel caso
in cui il Sindaco agisca nella veste di organo apicale della comunità locale; o in materia di “incolumità
pubblica” e “sicurezza urbana” qualora operi alla stregua di ufficiale del Governo46.
Il raggio d’azione del Sindaco si rivela pertanto piuttosto limitato richiedendo il verificarsi di un evento
imprevedibile ed emergenziale da fronteggiare nell’immediatezza su un determinato territorio comunale
ed i cui effetti negativi siano limitabili o prevenibili solo ed esclusivamente, nel caso del velo islamico,
vietando alle donne di circolare indossando quello integrale47. Bisognerà considerare inoltre che, in
passato, il Consiglio di Stato ha ritenuto il velo islamico espressione del diritto alla libertà religiosa,
riconducibile all’esimente del “giustificato motivo”: un’ordinanza di questo tipo incontrerebbe senza
dubbio il limite dei principi di uguaglianza, ragionevolezza, non discriminazione, proporzionalità che, al

44 G. CAVAGGION, Gli enti locali e le limitazioni del diritto alla libertà religiosa: il divieto di indossare il velo integrale, in Stato, Chiese
e pluralismo confessionale, 2010, 1p. 0.
45 R. MAZZOLA, op.cit., p. 18 ss.
46 G. CAVAGGION, op.cit., 11 ss. Con particolare riferimento alla natura delle ordinanze di necessità e urgenza, si v. G.U.

Rescigno, Ordinanza e provvedimenti di necessità e urgenza, in Noviss. Dig. It., vo. XII, Torino, 1965.
47 Con particolare riferimento alla situazione attuale, in piena fase di emergenza sanitaria, è stato sottolineato come

l’ordinanza sindacale debba essere «sia secundum legem che - diciamo così - secundum decretum e, … , non può essere
nemmeno praeter legem (e decretum) almeno nella misura in cui pretenda di operare (sia pure in forma più garantista
per la salute) un bilanciamento degli interessi in giuoco diverso da quello identificato dal legislatore statale e dalle autorità
statali di protezione civile», M. LUCIANI, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in Rivista AIC, n.2/2020, p.
136. Cfr. con A. RUGGERI, Il coronavirus contagia anche le categorie costituzionali e ne mette a dura prova la capacità di tenuta, in
Diritti Regionali, n. 1/2020.

32                                                      federalismi.it - ISSN 1826-3534                                          |n. 7/2021
contrario, non risulterebbero violati qualora si adottassero, più semplicemente, disposizioni volte alla
identificazione e al riconoscimento dell’individuo48. Il divieto di velo integrale può quindi essere disposto
dagli enti locali soltanto se circoscritto ad eventi specifici, a luoghi o professioni con una motivazione di
fondo che chiarisca la “particolarità”, la “specificità” di una situazione di fatto, in linea con i suddetti
principi costituzionalmente tutelati: un approccio in linea con la volontà di costruire un modello
multiculturale costituzionalmente conforme, idoneo a favorire la convivenza armoniosa delle culture e a
promuovere nuove cittadinanze.
I flussi migratori hanno altresì determinato, insieme alla nascita di insediamenti di comunità e confessioni
religiose sul territorio italiano, la necessità di edificare luoghi di culto o di predisporre possibili mutamenti
di destinazione di edifici preesistenti, al fine di adibirli a luoghi di culto, quali “opere di urbanizzazione
secondaria”, realizzati con il coinvolgimento delle Regioni (che, in virtù dell’art. 117 mantengono la
propria competenza concorrente in materia urbanistica)49. Pertanto, gli enti locali, nel rispetto del piano
urbanistico, potranno decidere quali aree disporre a tali fini insieme alla erogazione dei finanziamenti
pubblici per la loro costruzione senza poter escludere una confessione religiosa da tali benefici soltanto
perché priva di intesa (in questo senso si pronunciava la Corte cost. già con la sentenza n.195 del 1993),
pena la violazione dell’art. 8, co. 1, Cost50. A tale scopo, già in sede di pianificazione, proprio con
l’obiettivo di contemperare tutti gli interessi in gioco nella decisione da adottare, gli enti locali dovranno
aprire il tavolo delle trattative a tutte le confessioni religiose presenti sul territorio (Sent. n. 8298/2010
Corte cost.)51. Del resto, con la recente sentenza 16 luglio 2019, n. 179, secondo la Corte, l’urbanistica
«da un lato, traguarda le più recenti concezioni di territorio, considerato non più solo come uno spazio
topografico suscettibile di occupazione edificatoria ma rivalutato come una risorsa complessa che incarna
molteplici vocazioni (ambientali, culturali, produttive, storiche) …». In senso contrario, invece, si era
posta la legge regionale n. 12/2015 della Lombardia, poi modificata dalla Legge n.2/2015 (c.d. Legge anti
moschee) che era intervenuta sull’equilibrio tra libertà di culto, esigenze urbanistiche e di sicurezza
pubblica a favore di queste ultime52. Infatti, la legge richiedeva, per la realizzazione di luoghi di culto non

48 G. CAVAGGION, op.cit., p. 16.
49 Si ricorda, a questo proposito, anche il DPR 380/2001 oltre alla legislazione regionale in materia.
50 V. sent. 27 aprile 1993, n. 195 della Corte costituzionale; sul punto, F. RICCIARDI CELSI, op.cit., p. 13.
51 Sul punto, I. BOLGIANI, Attrezzature religiose e pianificazione urbanistica: luci ed ombre, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale,

2013.
52 È recente (n. 254/2019) la sentenza con cui la Corte costituzionale ha accolto le questioni sollevate dal Tar Lombardia

e ha annullato due disposizioni in materia di localizzazione dei luoghi di culto introdotte nella disciplina urbanistica
lombarda dalla legge regionale della Lombardia n. 2 del 2015. La prima richiedeva come condizione, per l'apertura di
qualsiasi nuovo luogo di culto, l'esistenza del piano per le attrezzature religiose (PAR); la seconda disposizione, dichiarata
incostituzionale, prevedeva che il PAR potesse essere adottato solo insieme al piano di governo del territorio (PGT). A
parere della Corte, tale necessaria contestualità e il carattere del tutto discrezionale del potere del Comune di procedere
alla formazione del PGT rendevano incerta la possibilità di realizzare nuovi luoghi di culto.

33                                                    federalismi.it - ISSN 1826-3534                                      |n. 7/2021
cattolici, che la confessione avesse “presenza diffusa, organizzata e stabile sul territorio” e che avesse
proceduto alla stipulazione di apposita Convenzione con il Comune. In questo modo, si operava una
discriminazione tra confessioni religiose in violazione del principio di uguaglianza formale, del principio
di ragionevolezza (art. 3, co. 1, Cost.), del principio di uguaglianza tra tutte le religioni (artt. 8 e 20 Cost.),
del diritto di professare liberamente il proprio credo religioso (art. 19 Cost.)53.
A fronte delle difficoltà di edificare luoghi di culto in varie città (da Bergamo a Pisa, a Torino, …), in
alcuni casi le comunità locali hanno stipulato protocolli d’intesa con le pubbliche amministrazioni al fine
di ottenere la concessione di aree pubbliche: ne sono un esempio il Patto di condivisione con i Centri
islamici, stipulato a Torino nel 2016 ed il Patto di cittadinanza con la Comunità islamica a Firenze, sempre
nel 2016, entrambe esperienze utili ad avviare un dialogo istituzionale con gli esponenti delle
organizzazioni islamiche e a incidere sul territorio urbano, regolamentandolo, attraverso interventi
istituzionali che gli hanno consentito di emergere come “oggetto” di interesse nelle opere pubbliche.

4. Geografia urbana della multiculturalità
Come è noto, la città ha un codice di funzionamento che ruota attorno a specifiche istituzioni, in
particolare alla municipalità, con propri servizi, incongruenze, poteri decisionali, ma certamente non è
riducibile all’habitat, contenendo, piuttosto, l’abitare. Se volessimo ipotizzare l’esistenza di un “diritto alla
città”, potremmo intenderlo come un diritto della comunità, piuttosto che un diritto individuale, dal
momento che la sua trasformazione dipende dall’esercizio di un potere collettivo con il quale si vuole
rimodellare il processo di urbanizzazione54. Su questi presupposti, gli stessi fattori di esclusione sociale
risultano legati alle possibilità effettive di accesso agli spazi di socialità e vivibilità, talvolta racchiusi dentro
barriere “ambientali” causate dalle infrastrutture di trasporto, dagli impedimenti geografici per coloro che
sono spesso costretti a vivere in un ambiente urbano periferico o isolato; altre volte condannati da una
vera e propria forma di “dispersione” di strutture e servizi (ad esempio scuole e ospedali) in luoghi poco
serviti dai mezzi pubblici; o causati da ragioni economiche per coloro che non possono permettersi di
fronteggiare l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici; o, ancora, da condizioni di povertà, spesso
derivanti dalla necessità di intraprendere cure necessarie e aggravati dalla distanza dai servizi o dai cattivi
servizi di trasporto pubblico. Non da ultimo, altre e varie forme di esclusione esistono ancora per quei
gruppi che si sentono particolarmente vulnerabili nelle reti dei trasporti o nell’uso degli spazi pubblici
(compresi quelli pubblici privatizzati e semi-privatizzati della città). Da qui, proprio quell’esigenza di
creare, già a livello di politiche europee, una fluidità tra centro e periferia, tra aree urbane e suburbane,

53   F. RICCIARDI CELSI, op.cit., p. 15.
54   D. HARVEY, The right to the city, su https://newleftreview.org/article/download_pdf?id=2740.

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una continuità economica, sociale e territoriale idonea a colmare possibili frammentazioni spaziali e a
scongiurare una eventuale “rottura” delle garanzie fondamentali. Tutte dinamiche oggi dibattute in piena
emergenza sanitaria, in cui dovrebbe trovare una maggiore garanzia di tutela quello “spazio vitale” che
nelle realtà urbane (soprattutto in quelle più complesse, metropolitane) è oggetto di indagine
multidisciplinare55.
L’aumento degli ambiti di appartenenza da parte di una determinata minoranza religiosa, etnica,
linguistica, …, può comportare una diversificazione territoriale non circoscritta ai credenti o ai praticanti,
ma estesa a chi osserva determinate festività, abitudini alimentari, scelte etiche, particolari riti, … In
questo modo, il territorio tende a contraddistinguersi per l’esistenza di gruppi di migranti, ma anche di
abitanti autoctoni che si trincerano dietro la tradizione e fanno della religione un “simbolo” di
riconoscimento e di appartenenza56. Il “codice religioso”, come simbolo di appartenenza di un gruppo,
non ne conforma soltanto l’identità ma determina rotture nel processo di integrazione, dunque la crisi
del processo di secolarizzazione e di laicità57.
Il giudice costituzionale e quello amministrativo, tra gli anni Ottanta e Novanta, hanno spesso fatto
riferimento, espressamente o implicitamente, ad una certa tipologia di spazi: aule scolastiche (sent. n.
203/1989, n. 13/1991 e, indirettamente, Cons. Stato, 13 febbraio 2006, n. 556 e TAR Lombardia, 22
maggio 2006, n. 603), aule giudiziarie (sent. n. 334/1996), spazio collettivo (in tema di vilipendio, ad
esempio, sent. n. 508/2000). Quando, però, a cavallo degli anni Novanta è cambiata la demografia e la
morfologia sociale delle città, il tessuto urbano è diventato scenario di nuovi conflitti e problematiche
cruciali per lo sviluppo di politiche pubbliche per l’integrazione culturale e religiosa. In altri termini, i
problemi legati alla laicità sono diventati problemi connessi ai nuovi spazi creati dalle trasformazioni
sociali: se per lungo tempo lo “spazio” di riferimento è stato quello delle aule scolastiche, giudiziarie,
elettorali, in cui il dibattito ruotava intorno all’uso dei simboli religiosi, riflettendo, come visto, lo schema
classico “sovranità dello Stato liberale”-“indipendenza della confessione religiosa di maggioranza”, dalla
seconda metà degli anni Novanta, la geografia della laicità cambia, complice il trasferimento ai Comuni
delle competenze amministrative in materia di migranti58.
Le trasformazioni nella struttura territoriale si sono evolute non come fenomeni indipendenti, ma come
parte di un unico sviluppo globale di crescente interdipendenza e ad alto costo sociale. Non a caso, è

55 V. sul punto, M. LAURENCE, M. HANLEN, Securing Urbanism. Contagion, Power and Risk, Springer, 2020; interessanti le
indagini di Reset da parte di “All Party Parliamentary Group on the Green New Deal” sul futuro della Gran Bretagna
dopo l’emergenza sanitaria del Covid-19, su reset-uk.org, 2020.
56 G. CIMBALO, op.cit., p. 26.
57 G. CIMBALO, op.cit., p. 9 ss.
58 R. MAZZOLA, op.cit., p. 5.

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stato sviluppato un approccio critico sull’argomento, concordando sul fatto che l’attuale società urbana
è chiamata a confrontarsi con una frammentazione territoriale che sfalda le omogeneità, producendo
forme di segregazione nei gruppi sociali59. Le città di questo XXI secolo, chiamato il millennio urbano60,
sono caratterizzate da rapporti privilegiati con il mercato, influenzate dal fenomeno della globalizzazione
e dalla grande rivoluzione tecnologica e comunicativa. I processi urbani globali, infatti, hanno prodotto
un nuovo modello di spazialità, città in rete, grandi metropoli, territori metropolitani estesi, corridoi
urbani che collegano città e regioni con periferie in cui coesistono crescenti sviluppi abitativi accanto ad
estensioni territoriali sottosviluppate. Si tratta di una nuova geografia dei sistemi urbani complessi, motori
dell’economia locale, regionale e globale e di cui oggi, davanti alla pandemia generata dal Covid 19, si
discute in termini di gestione e organizzazione degli spazi con una maggiore sensibilità proiettata verso
una sicurezza “ambientale” individuale e collettiva61.
Il tessuto urbano, in particolare, è stato permeato dai conflitti connessi alla laicità, mutando la propria
fisionomia in virtù dei nuovi spazi di aggregazione sociale: non più soltanto gli spazi “indoor” ma lo
spazio pubblico in generale è emerso quale area sensibile in cui definire «i requisiti minimi della vita nella
società», del «vivre ensemble» (già richiamato dal Governo francese nella sentenza S.A.S. v. Francia del
201462).
In Italia, i problemi legati al multiculturalismo religioso sono stati spesso affrontati sul piano della
sicurezza urbana tralasciando le esigenze di integrazione e di inclusione delle minoranze etniche e religiose
e riconducendolo all’alveo di una sicurezza pubblica concernente per lo più attività di prevenzione e
repressione della criminalità. Nei primi anni Duemila, la nozione di sicurezza pubblica “integrata” si è
sviluppata attraverso gli interventi legislativi regionali in una prospettiva di collaborazione con le

59 Sul punto, S. SASSEN, Le città nell’economia globale, Bologna, 2004; Le città globali, Torino, 1997; Espulsioni. Brutalità e
complessità nell’economia globale, Bologna, 2015. I luoghi religiosi come spazi di pratiche culturali, sociali ed economiche
multiformi avviano interessanti riflessioni «sulla complessità dello spazio urbano italiano superdiverso, in cui si trova
una varietà di religioni nelle loro fasi di “keep”, “make” e “seek” place, cui corrispondono dinamiche di cessione,
occupazione, sostituzione, coesistenza e costruzione dei luoghi di culto», così evidenziato da M.C. GIORDA, A. LONGHI,
Religioni e spazi ibridi nella città contemporanea: profili di metodo e di storiografia, in Atti e Rassegna tecnica della Società degli ingegneri
e degli architetti, Torino, 2019.
60 J.M. IRIBAS, El Siglo de las Ciudades, su El País, Madrid, 9 ottobre 2000.
61 Si v. da ultimo, On the Horizon 2021-Environmental Change and Security, su https://www.wilsoncenter.org/article/horizon-2021-

environmental-change-and-security; T. ZEVI, European Cities After Covid-19: Experiences and Prospects for Urban Regeneration, su
ispionline.it.
62 Si ricorda, a questo proposito, l’intervento della Corte di Strasburgo per la quale, la legge, a certe condizioni, può

determinare una legittima limitazione del diritto di libertà religiosa, in quanto misura di «protezione dei diritti e delle
libertà altrui». In questo senso, la presenza di una barriera nei confronti degli altri, determinata da un velo che copre
interamente il volto, è stata percepita dallo Stato come una violazione del diritto degli altri di vivere in uno spazio di
socializzazione che rende più facile vivere insieme ed interagire. Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, del
1 luglio 2014 (Grande Camera), caso S.A.S. v. Francia, ricorso n. 43835/11, par. 139; sul punto, v. M. GATTI, Laicità e
simboli religiosi, in P. MANZINI, A. LOLLINI (a cura di), Diritti fondamentali in Europa, Bologna, 2015, p. 113 ss.

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