IL TERREMOTO IRPINO DEL 1930: CARATTERISTICHE DELLA SORGENTE SISMICA DA SIMULAZIONI NUMERICHE DEL PROCESSO DI FRATTURA
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GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 A. Emolo (1), A. Gorini (2), G. Iannaccone (3) e A. Zollo (1) (1) Dipartimento di Scienze Fisiche, Università degli Studi “Federico II”, Napoli (2) Servizio Sismico Nazionale, Roma (3) Osservatorio Vesuviano, Napoli IL TERREMOTO IRPINO DEL 1930: CARATTERISTICHE DELLA SORGENTE SISMICA DA SIMULAZIONI NUMERICHE DEL PROCESSO DI FRATTURA Riassunto. In questo lavoro sono rivisitate le caratteristiche di sorgente del terremoto irpino del 23 luglio1930 (IMAX=X) utilizzando la metodologia proposta da Zollo et al. (1997) per simulare le accelerazioni del moto. Le stime dell’accelerazione teorica ottenute dalle simulazioni numeriche sono state poi convertite in valori di intensità macrosismica mediante la relazione di Trifunac e Brady (1975) e confrontate (entro l’incertezza di una deviazione standard) con i valori disponibili da catalogo (Camassi e Stucchi, 1998). I risultati delle simulazioni mostrano che una faglia di dimensioni 25×12 2 km , caratterizzata da un meccanismo normale, orientata in direzione appenninica e immergente di un 25 angolo pari a 55° in direzione SW e con momento sismico di 5.6×10 dyne⋅cm sembra ben riprodurre l’estensione areale del campo di intensità macrosismica. Tale faglia deve infine essere traslata di circa 10 km verso SW rispetto alle localizzazioni del terremoto irpino del 1930 note dalla letteratura al fine di rendere minimo lo scarto tra i valori di intensità macrosismica disponibili da catalogo e quelli calcolati in base ai valori di accelerazione simulati negli stessi punti. THE 1930 IRPINIA EARTHQUAKE: CHARACTERISTICS OF THE SEISMIC SOURCE FROM NUMERICAL SIMULATIONS OF THE RUPTURE PROCESS Abstract. We use the method proposed by Zollo et al. (1997) for simulating the ground motion associated with an extended fault in order to retrieve the source characteristics of the 1930, July 23 Irpinia earthquake (IMAX=X). The simulated accelerations are converted to macroseismic intensities by using the relation proposed by Trifunac and Brady (1975) and compared with the intensity values available in the macroseismic catalogue by Camassi and Stucchi (1998). We found that a normal fault, 2 striking in Apenninic direction and dipping 55° toward the SW, of dimensions 25x12 km , and 25 characterised by a seismic moment of 5.6×10 dyne⋅cm, reproduces well the macroseismic field. Moreover, we shifted the fault position of 10 km toward the SW with respect the bibliographic earthquake locations in order to minimize the misfit between the simulated intensity values and those from the macroseismic catalogue. IL TERREMOTO IRPINO DEL 1930 Il 23 luglio 1930, alle ore 01:08 locali, un evento sismico, caratterizzato da un’intensità Mercalli stimata tra il IX e X grado, distrusse completamente i paesi di Villanova del Battista, Trevico, Aquilonia e Lacedonia in provincia di Avellino (Alfano, 1931). Il sisma fu risentito in un vastissimo territorio tra la Campania, la Puglia e la Basilicata per una superficie totale stimata di 36000 km2. L’area danneggiata (Fig. 1) presenta una forma ellittica allungata in direzione appenninica (nord ovest-sud est) e mostra una debole concavità in direzione sud ovest.
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 LOCALIZZAZIONE Le localizzazioni dell’evento del 1930 sono state ottenute da vari autori utilizzando le letture dei tempi di primo arrivo P sui sismogrammi registrati a stazioni poste a distanze comprese tra qualche decina e diverse migliaia di km. La Tab. 1 riassume i valori ottenuti. Le differenze, minime tra le diverse determinazioni, sono attribuibili alla diversa quantità e qualità dei dati ed al metodo di localizzazione epicentrale utilizzati per la stima. Fig. 1 - Mappa topografica dell’Appennino Meridionale e isosite relative al terremoto irpino del 23 luglio 1930 (dati dal catalogo NT4.1, Camassi e Stucchi, 1998). Sono riportate le isosiste relative ai gradi VIII, IX e X della scala Mercalli. Tab. 1 - Localizzazioni epicentrali per il terremoto irpino del 23 luglio 1930 ottenute da diversi autori. Epicentro Riferimento bibliografico Latitudine Nord Longitudine Est 41°06’ 15°24’ Catalogo Karnik (1969) 41.04° 15.45° CNR – P.F.G. (1985) 41.05° 15.42° Catalogo NEIS 41.05° 15.37° Boschi et al. (1995) 41°03’31’’ 15°25’15’’ Oddone (1930) In Fig. 2 sono rappresentati su mappa le stime dell’epicentro del terremoto del 1930 riportate in Tab. 1 e l’isosista di grado massimo (I0 = X). Come è possibile notare, la maggioranza delle soluzioni proposte si situa al bordo orientale invece che all’interno dell’area di massimo risentimento sismico. Ciò può essere dovuto all’incertezza della stima di localizzazione che dipende criticamente dalla qualità delle letture dei tempi P, dalla loro distribuzione con l’azimut e la distanza, e dal modello di velocità crostale utilizzato. Non dimentichiamo che, all’epoca, il numero e la qualità di sismografi disponibili per effettuare un’accurata localizzazione erano
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 decisamente insufficienti. D’altro canto, come si discuterà in seguito, non necessariamente l’area epicentrale e quella di massimo risentimento e/o danneggiamento debbono coincidere, essendo quest’ultima determinata dalle caratteristiche geometriche e dinamiche della sorgente sismica. Nella stessa figura sono riportate le tracce di faglia rilevate in superficie in occasione del terremoto irpino del 1980. La faglia sismogenetica del terremoto del 1930 costituisce verosimilmente un segmento sub-parallelo a quelli che si sono attivati durante l’evento del 1980, e ciò a confermare la complessa geometria dei sistemi di faglie potenzialmente generatrici di terremoti di forte magnitudo in Appennino Meridionale. Fig. 2 - Localizzazioni epicentrali per il terremoto irpino del 23 luglio 1930 proposte da diversi autori. La curva in figura rappresenta l’isosista di massimo grado relativa a tale terremoto. Sono inoltre mostrati i segmenti di faglia attivati durante il terremoto dell’Irpinia-Basilicata del 23 novembre 1980. MAGNITUDO E MOMENTO SISMICO Diversi autori hanno effettuate stime di magnitudo dell’evento del 1930 sostanzialmente basate su registrazioni sismiche del terremoto a stazioni distanti e sulle osservazioni di risentimento sismico e danneggiamento. A partire da misure dell’ampiezza massima del moto del suolo sui velocigrammi del terremoto ad una stazione distante, Karnik (1969) valutò una magnitudo pari a 6.5. Margottini et al. (1993) hanno analizzato circa 500 collezioni di bollettini di osservatori sismologici per stimare, con una metodologia uniforme, la magnitudo di 647 terremoti avvenuti in Italia dal 1900 al 1986. Per ciascun terremoto sono stati utilizzati i valori di ampiezza massima e periodo dell’onda corrispondente in relazione al particolare strumento istallato; inoltre, per ciascuna stazione sismica considerata,
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 è stato determinato un fattore correttivo di stazione che tenesse mediamente conto degli effetti della struttura crostale sulla propagazione delle onde sismiche dalla regione ipocentrale alla stazione di registrazione. Relativamente al terremoto del 23 luglio 1930 sono stati utilizzati 41 valori di ampiezza e periodo corrispondenti ad altrettante registrazioni sismiche e il valore di magnitudo stimato risulta MS = 6.6 ± 0.3. I valori dell’intensità macrosismica sono stati utilizzati da Westaway (1992) il quale, in un’ampia revisione dei parametri sorgente dei maggiori terremoti storici italiani, ha determinato il momento sismico per il terremoto del 23 luglio 1930. L’autore ha ricavato una relazione tra dimensione delle isosiste (riportate in Postpischl et al., 1985) e magnitudo, relazione calibrata per gli eventi recenti da determinazioni strumentali della magnitudo. Applicando tale relazione alle isosiste del terremoto del 1930 è stato determinato un valore di magnitudo pari a M = 6.3 ± 0.2. Successivamente con l’uso della classica relazione di Hanks e Kanamori (1979) LogM0 = 16 + 1.5M, (1) dove M0 è il momento sismico (in dyne∗cm) ed M è la magnitudo, è stato determinato un valore di momento sismico pari a M0 = 3.2 ∗ 1025 dyne∗cm. A differenza della magnitudo, che può essere influenzata da fenomeni di amplificazione ed attenuazione delle onde sismiche lungo il tragitto tra la sorgente sismica ed il sismografo, il momento sismico rappresenta una misura oggettiva della grandezza di un terremoto in quanto esprime il momento di una delle due coppie di forze che sono all’origine della frattura sulla superficie di faglia. Il momento sismico del terremoto del 1930 è stato stimato da Jiménez (1988) attraverso la modellazione dei modi fondamentali delle onde di Love e Rayleigh considerando modelli semplificati di propagazione delle onde in mezzi anelastici. I dati analizzati si riferiscono a registrazioni su carta di un sismografo Wiechert installato a Jena (Germania) di cui erano noti con estrema precisione i parametri strumentali. Utilizzando per la zona ipocentrale un modello di velocità di propagazione delle onde sismiche a tre strati (Deschamps e King, 1980), l’analisi delle onde superficiali nell’intervallo 20-60 secondi ha permesso di definire un valore di momento sismico pari a M0 = 2 ∗ 10 25 dyne∗cm. Attraverso la relazione di Hanks e Kanamori (1979) in equazione (1), è possibile stimare il momento sismico derivato dalle misure di magnitudo ottenute dagli autori citati in precedenza (Tab. 2). Tab. 2 - Stime della magnitudo e del momento sismico per il terremoto irpino del 23 luglio 1930 ottenute da diversi autori. In rosso è riportata la grandezza effettivamente stimata dagli autori mentre in corsivo è riportata la corrispondente grandezza calcolata mediante la relazione di Hanks e Kanamori (1979). Autori Magnitudo Momento sismico (dyne*cm) Martini e Scarpa (1983) 6.5 7*1025 Jiménez (1988) 6.2 2*1025 Westaway (1992) ±0.2 6.3± 3.5*1025 Margottini et al. (1993) ±0.3 6.6± 1.0*1026
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 Dal riscontro delle diverse stime di magnitudo e momento riportate in Tab. 2, notiamo che i valori di magnitudo forniti da Westaway (1992) sono abbastanza compatibili con le stime di momento sismico effettuate a partire dalle registrazioni sismiche da Jiménez (1988), mentre le magnitudo più elevate producono sovrastime del momento di un fattore circa 3-5. Nello studio di simulazione presentato in una sezione successiva abbiamo inizialmente utilizzato il valore di momento sismico ottenuto da Jiménez (1988) in quanto ritenuto più affidabile essendo derivato da una misura diretta sui sismogrammi osservati. MECCANISMO FOCALE Martini e Scarpa (1983) hanno stimato i piani nodali del meccanismo focale, dell’evento principale, dall’analisi della distribuzione delle polarità dei primi impulsi dell’onda P sulla sfera focale utilizzando 11 dati relativi unicamente a stazioni europee ed assumendo come coordinate epicentrali quelle fornite da Karnik (1969) con una profondità ipocentrale di 10 km. La soluzione ottenuta (Fig. 3) mostra un meccanismo di tipo faglia normale con una rilevante componente di trascorrenza laterale destra. Entrambi i piani focali presentano una direzione circa NW-SE con angoli di immersione di 40-60 gradi. L’asse di tensione risulta essere orizzontale orientato lungo la direzione N-S. Ciò corrisponde ad uno sforzo tettonico che produce una dilatazione orizzontale delle rocce nella stessa direzione. Fig. 3 - Meccanismi focali per il terremoto irpino del 23 luglio 1930 ricavati con diverse metodologie. Come evidenziato dagli stessi autori, la scarsità dei dati utilizzati non permette di definire in modo univoco i piani di frattura.
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 Nello stesso lavoro in cui stima il momento sismico del terremoto del 1930, Jiménez (1988) ha calcolato un meccanismo focale quasi puramente trascorrente con piani nodali orientati in direzione N-S e E-W (Fig. 3) ed un valore di momento sismico pari a M0 = 2 ∗ 1025 dyne∗cm. Utilizzando due diverse procedure di calcolo, è stata ottenuta una stima indipendente del meccanismo focale a partire dagli stessi dati utilizzati da Martini e Scarpa (1983) (Fig. 3). Le due metodologie si basano la prima sulla ricerca della coppia di piani che ottimizza la distribuzione delle polarità sulla sfera focale (algoritmo FPFIT, Oppenheimer et al., 1988) e l’altra su una valutazione probabilistica del modello di massima verosimiglianza (Zollo e Bernard, 1991). Le soluzioni di massima verosimiglianza ottenute non sono dissimili da quelle calcolate da Martini e Scarpa con altra metodologia. Gasperini et al. (1999) hanno utilizzato dati di intensità macrosismica, riportati nel catalogo compilato da Boschi et al. (1997), per determinare la localizzazione, la dimensione e l’orientazione del piano di faglia. In particolare, sono stati utilizzati 16 valori di intensità compresi tra l’VIII e il X grado Mercalli per determinare, mediante le relazioni definite da Wells e Coppersmith (1994), le dimensioni del piano di faglia a partire dal valore di magnitudo stimato. I raggi equivalenti relativi alle isosiste massime hanno permesso a Gasperini et al. (1999) di assegnare un valore di magnitudo pari a 6.7, e di determinare l’azimut del piano di faglia, N108°W, e la sua estensione, 32.6 x 13.6 km2. DIMENSIONE DELLA FAGLIA E DISLOCAZIONE La stima di momento sismico permette di valutare le possibili dimensioni della faglia e l'entità della dislocazione finale media associata al terremoto. Come risulta da una recente compilazione dei valori di lunghezza di faglia rapportati al momento sismico per terremoti di M > 6 (Scholz et al., 1986), il momento sismico calcolato per il terremoto in esame (2 ∗ 1025 dyne∗cm) corrisponde ad una lunghezza di faglia di 8- 15 km, considerando eventi sismici intra-placca. Inoltre, dalla teoria della frattura sismica in condizioni di rilascio di sforzo statico uniforme, Madariaga (1977) ha ottenuto la seguente relazione tra i parametri principali di sorgente: CWDS < D >= (2) µ dove < D > indica la dislocazione finale media sulla superficie di faglia, W è la larghezza della faglia, Ds è il valore di rilascio di sforzo statico e µ la rigidità. C è una costante che dipende dalla geometria della superficie di frattura che varia da 0.7 per un'area di frattura di forma circolare a 1.6 per una faglia avente larghezza trascurabile rispetto alla sua lunghezza. Considerando la definizione di momento sismico (Mo = µ LW), è possibile calcolare la larghezza della faglia ipotizzando C = 1 e valori plausibili di Ds. Assumendo un rilascio di sforzo statico compreso nell'intervallo 30-50 bar, si ottiene una larghezza di faglia di 6-8 km. Le dimensioni della faglia così ottenute possono essere utilizzate per stimare il valore di dislocazione finale presumibile per il terremoto del 1930, che risulta compreso nell'intervallo 80-110 cm.
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 D’altra parte è possibile ottenere una stima delle dimensioni della faglia responsabile di un terremoto di una data magnitudo M utilizzando le relazioni proposte da Wells and Coppersmith (1994): Log L = − 2.44 + 0.59 M (3) Log W = − 1.01 + 0.32 M I risultati ottenuti (Tab. 3) per un momento sismico dell’ordine di 2 ∗ 1025 dyne ∗ cm, al quale corrisponde una magnitudo di circa 6.2 (modelli 1, 2 e 4 di Tab. 3), risultano in buon accordo con le stime ricavate facendo uso delle leggi di scala. Tab. 3 - Parametri di sorgente utilizzati nelle simulazioni. L W Profondità [km] [km] massima strike dip rake Bibliografia [km] Modello 1 14.5 9 13 290° 60° -90° questo studio Modello 2 14.5 9 13 100° 30° -90° questo studio Modello 3 32 14 15 108° 45° -90° Gasperini et al., 1999 Modello 4 14.5 9 13 280° 55° -60° Martini and Scarpa, 1983 SIMULAZIONE NUMERICA DEL CAMPO DI ACCELERAZIONE Nella sismologia moderna la simulazione del campo d’onda sismico assume un ruolo fondamentale soprattutto in studi concernenti la stima predittiva dei parametri del moto del suolo di interesse ingegneristico (accelerazioni massime, caratteristiche spettrali dei segnali). L’utilizzo di metodi di simulazione diviene poi ancora più importante quando si studiano terremoti storici ossia terremoti per i quali sono scarsamente disponibili o del tutto assenti dati strumentali. La simulazione numerica dei processi di frattura e della radiazione sismica associata può rappresentare, come in questo caso, uno strumento di verifica e validazione di diversi modelli proposti sulla base di dati sismologici, geologici e geofisici in generale. Nel presente lavoro è stato utilizzato il metodo di predizione dei parametri di scuotimento del suolo proposto da Zollo et al. (1997) per calcolare i valori teorici dell’accelerazione del suolo prodotta dal terremoto sulla base dei diversi modelli proposti e confrontare queste stime con quelle derivate da osservazioni macrosismiche. L’ipotesi alla base di tale metodo è che alcune caratteristiche della sorgente (geometria, orientazione e valore medio dello spostamento) associate a faglie che originano i terremoti possano essere ritenute costanti, alla scala delle migliaia di anni, in episodi successivi di frattura che interessano la stessa struttura sismogenetica. In ogni caso il processo di rottura, pur conservando le caratteristiche medie, può non ripetere le stesse modalità di enucleazione, propagazione e arresto della frattura in eventi sismici successivi che si originano sulla stessa faglia. In virtù di ciò, viene simulata numericamente una serie di possibili processi di frattura che si sviluppano sulla stessa superficie di faglia e per ciascuno di essi si calcolano i corrispondenti sismogrammi teorici alla superficie terrestre dai quali, mediante un’analisi di tipo statistico, si stimano i parametri del moto del suolo di interesse. Tale metodo di calcolo è stato applicato per stimare i parametri del moto forte del suolo
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 nel caso del terremoto del Friuli del 1976 (Zollo et al., 1997), per un ipotetico terremoto di magnitudo 7 associato al sistema di faglie composito Ibleo-Maltese in Sicilia sud-orientale (Zollo et al., 1999) e per gli eventi principali della sequenza sismica umbro-marchigiana del 1997 (Emolo e Zollo, 2001). Lo studio di simulazione può fornire vincoli ulteriori circa le dimensioni e l’orientazione del piano di faglia responsabile del terremoto irpino del 1930. Per questo scopo sono state simulate le accelerazioni del moto del suolo prodotte da un numero elevato di processi di frattura associati a quattro ipotetiche superfici di faglia le cui caratteristiche geometriche sono riassunte in Tab. 3. I primi due modelli di faglia sono quelli corrispondenti al meccanismo focale determinato in questo studio mediante un approccio di tipo probabilistico mentre gli altri due sono stati tratti da lavori di letteratura. Per ognuna delle faglie considerate sono stati simulati 30 differenti processi di frattura e per ciascuno di essi sono stati calcolati gli accelerogrammi sintetici a 121 ricevitori idealmente disposti su un’area di 60 km2 intorno alla faglia con una spaziatura di 5 km tra siti adiacenti. Nella Fig. 4 sono riportate le mappe del valore medio (sull’insieme dei sismogrammi ottenuti per ciascun processo di frattura) dell’accelerazione massima del moto del suolo (PGA) stimata per le quattro sorgenti considerate. La variazione spaziale del campo accelerometrico atteso è chiaramente dipendente dalla posizione, orientazione e dimensione della superficie di frattura, oltre che da parametri dinamici quali la velocità di propagazione della frattura e l’ampiezza della dislocazione. L’accelerazione di picco del suolo, derivata dalle simulazioni, è convertibile in intensità macrosismica utilizzando una relazione proposta da Trifunac e Brady (1975): Log < PGA > = 0.30 I − 1.986 . (4) La scala di colori nella Fig. 4 è stata costruita in modo che l’intervallo di accelerazioni massime corrispondenti ai colori giallo e rosso indichino intensità macrosismiche nell’intervallo IX-X grado compatibilmente con i valori massimi di risentimento sismico osservati durante il terremoto del 1930. È quindi possibile qualitativamente comparare gli andamenti delle isosiste per i gradi IX-X in Fig. 1 con la forma delle aree di colore giallo e rosso nelle mappe di accelerazione simulate. Nei siti per cui sono disponibili da catalogo (Camassi e Stucchi, 1998) le misure di intensità macrosismica si sono inoltre confrontati i valori teorici con quelli osservati (triangoli bianchi, neri e rossi nella Fig. 4). Per le località individuate da triangoli bianchi l’intensità predetta è consistente (entro l’incertezza di una deviazione standard) con quella osservata. I triangoli neri e rossi indicano rispettivamente valori di intensità macrosismica teorica maggiori o minori di quelli osservati. Mentre circa la direzione della faglia generatrice del terremoto del 1930 le osservazioni sismologiche e macrosismiche sono concordi per una soluzione ad orientazione ovest-nord-ovest, maggiori incertezze risiedono nella definizione della direzione di immersione del piano di frattura (sud-ovest o nord-est?). Tale ambiguità permane anche dall’analisi dei meccanismi focali che presentano le due soluzioni con eguale probabilità. In generale la forma concava del campo macrosismico viene addebitata ad un piano di immersione della faglia nella direzione di massima concavità. Data la forma delle isosiste osservate una seppur leggera concavità verso sud-ovest suggerirebbe
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 dunque un piano di faglia che immerge nella stessa direzione. Infatti, i risultati delle simulazioni effettuate evidenziano che i modelli di faglia 2 e 3, che simulano un piano di frattura che si immerge nella direzione sud-ovest (Figg. 4B e 4C), producono un andamento leggermente concavo nella stessa direzione, del campo di massime accelerazioni. Tuttavia, data la non omogenea copertura dell’area da parte delle osservazioni macrosismiche del 1930, risulta difficile stabilire quanto la forma areale delle isosiste sia da collegare al fenomeno di frattura o a un’interpolazione non ottimale di dati sparsi. D’altro canto, se confrontiamo puntualmente i valori teorici ed osservati di intensità (triangoli bianchi rossi e neri) i modelli 1 e 4, che prevedono un piano di frattura che si immerge nella direzione nord-est, sono meglio compatibili con le osservazioni dei modelli 2 e 3. Notiamo inoltre che per rendere compatibili i modelli di tipo 2 e 3 con le osservazioni macrosismiche sarebbe necessario traslare la faglia di almeno 15-20 km verso sud-ovest, modello questo che contrasterebbe con la localizzazione epicentrale del terremoto. Dalle Figg. 4A e 4D si evidenzia inoltre che l’estensione laterale (in direzione anti-appenninica) delle aree di massima accelerazione di picco (zone in colore rosso e giallo nelle figure) per i modelli 1 e 4 riproduce con buona approssimazione l’analoga estensione dell’area di massimo risentimento sismico riportata in Fig. 1. Dal confronto con i risultati ottenuti con il modello 2 (Fig. 4B) si evince che, a parità di momento sismico e dimensione della superficie di frattura, tale estensione dipende all’angolo di immersione della faglia. Questa considerazione suggerisce di escludere il caso di faglia sub orizzontale per il terremoto del 1930 e di ipotizzare un piano di faglia la cui pendenza deve essere indicativamente compresa tra 40° e 70°, rispetto alla superficie terrestre. L’effetto sul campo di accelerazioni massime di una componente non nulla di trascorrenza nel meccanismo di fagliazione produce una maggiore estensione verso sud- est dell’area di massimo risentimento atteso, come si evince dal confronto dei risultati per i modelli 1 e 4 (Figg. 4A e 4D). L’estensione longitudinale (nella direzione appenninica) delle aree di massima accelerazione di picco sembra tuttavia essere sottostimata quando si confronta l’andamento dei dati simulati con l’allungamento nella stessa direzione dell’area di massimo risentimento (Io = IX-X) in Fig. 1. Ciò consente di concludere che le lunghezze della faglia utilizzata nei modelli 1, 2 e 4 sono troppo piccole. A titolo di esempio in Fig. 4C è riportato il campo di radiazione accelerometrica relativo ad una faglia di dimensioni maggiori in accordo alle stime ottenute da Gasperini et al. (1999) (modello 3 in Tab. 4). L’estensione longitudinale dell’area di massime accelerazioni è in questo caso largamente superiore a quella del campo macrosismico osservato per le isosiste di massimo risentimento. Questo esempio mostra quindi che per faglie di tipo normale (caratteristiche dell’Appennino meridionale) l’estensione dell’area di massimo risentimento/danneggiamento può non corrispondere direttamente alla dimensione della faglia attivata durante il terremoto. A conferma di ciò va segnalata l’osservazione che nasce dal confronto tra le estensioni delle aree di massimo danneggiamento osservata nel caso del terremoto irpino del 1930 e quella invece associata al terremoto dell’Irpinia-Basilicata del 1980 (Fig. 5): quest’ultimo, pur essendo di magnitudo più elevata del primo (6.9 contro 6.2) ed associato ad una superficie di frattura lunga circa 60 km, circa tre volte più grande di quella associabile all’evento sismico del 1930, ha prodotto un’area di massimo
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 risentimento di estensione longitudinale decisamente inferiore a quella osservata per il terremoto del 1930. Fig. 4 - Mappe dei valori medi delle accelerazioni massime simulate per i quattro modelli di sorgente esaminati. Riferendosi alla Tab. 3, la Fig. A corrisponde al modello 1, la Fig. B al modello 2, la Fig. C al modello 3 e la Fig. D al modello 4. Il rettangolo nelle figure rappresenta la proiezione in superficie del piano di faglia. La freccia indica la direzione di immersione del piano di faglia. E’ altresì riportato il meccanismo focale corrispondente al modello di sorgente adottato per le simulazioni. Nella scala di colori è anche riportata la corrispondenza, secondo la relazione di Trifunac e Brady (1975) tra i livelli di accelerazione e i valori di intensità macrosismica. I triangoli rappresentano le località per le quali è stato effettuato il confronto tra il valore di intensità macrosismica disponibile da catalogo (Camassi e Stucchi, 1998) e quello stimato a partire dalle accelerazioni simulate (01: Aquilonia, 02: Lacedonia, 03: Scampitella, 04: Villanova, 05: Trevico, 06: Anzano, 07: Ariano Irpino, 08: Bisaccia, 09: Carife, 10: Castel Baronia, 11: Flumeri, 12: Monteverde, 13: Rocchetta S. Antonio, 14: S. Nicola Baronia, 15: S. Sossio Baronia, 16: Vallata, 17: Zungoli, 18: Melfi, 19: Barile, 20: Rionero, 21: San Fele, 22: S. Agata, 23: Atella, 24: Candela, 25: Castelfranco, 26: Frigento, 27: Savignano, 28: Andretta).
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 Tab. 4 - Caratteristiche di sorgente per le simulazioni i cui risultati sono riportati in Fig. 6. L 25 km W 12 km 25 M0 5.6*10 dyne*cm zMAX 15 km Strike 110° Dip 55° Rake -90° Fig. 5 - Rappresentazione delle isosiste di intensità superiore al IX grado della scala Mercalli rilevate per i terremoti distruttivi avvenuti in Appennino Meridionale negli ultimi 600 anni. Sulla scorta delle osservazioni fin qui fatte, è stato infine simulato il campo accelerometrico corrispondente alla faglia ipotizzata sulla base delle speculazioni precedenti e le cui caratteristiche sono riportate in Tab. 5. Una volta calcolato il campo accelerometrico associato a tale faglia e dopo averlo convertito in valori di intensità macrosismica mediante la relazione di Trifunac e Brady (1975), è stata determinata la posizione della faglia in grado di minimizzare gli scarti tra i valori di intensità teorici e quelli disponibili da catalogo (Camassi e Stucchi, 1998). Il risultato finale è riportato in Fig. 6. In conclusione, partendo dalle conoscenze bibliografiche e effettuando nuove elaborazioni, questo studio ha fornito elementi originali di interpretazione scientifica dell’evento del 1930 e del suo meccanismo di frattura nel contesto sismotettonico dell’Appennino Meridionale. Abbiamo visto come, utilizzando nuovi strumenti metodologici, sia possibile rivisitare e reinterpretare in modo accurato i processi fisici all’origine dei terremoti accaduti nel passato, per i quali non esiste come oggi una base osservazionale ricca e di alta qualità.
GNGTS – Atti del 19° Convegno Nazionale / 10.09 Fig. 6 - Come per la Fig. 4 ma per il modello di sorgente di Tab. 4. BIBLIOGRAFIA Aki K. and Richards P.G.; 1980: Quantitative seismology, theory and methods. Vol. 1 and 2, W.H. Freeman and Co., San Francisco, USA, 947 pp. Alfano G.B.; 1931: Il terremoto irpino del 23 luglio 1930, Pubbl. Osservatorio di Pompei, 1031, 3-57. Bernard P. and Madariaga R.; 1984: A new asymptotic method for the modelling of near-field accelerograms. Bull. Seism. Soc. Am., 74, 539-557. Boschi E., Ferrari G., Gasperini P. Guidoboni E., Smriglio G. e Valensise G.; 1995: Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461 a.C. al 1980. ING-SGA, Bologna, Italia. Camassi R. e Stucchi M. (a cura di); 1998: NT4.1, un catalogo parametrico di terremoti di area italiana al di sopra della soglia del danno. http://emidius.itim.mi.cnr.it/NT/home.html. CNR-PFG; 1985: Atlas of isoseismal maps of italian earthquakes, Pubbl. 114, vol. 2A. Deschamps A. and King G.C.P.; 1983: The Campania-Lucania (southern Italy) earthquake of 23 november 1980. Earth Planet. Sciences Lett., 62, 296-304. Emolo A. and Zollo A.; 2001: Accelerometric radiation simulation for the September 26, 1997 Umbria- Marche (Central Italy) main shocks. Annali di Geofisica (in press). Gasperini P., Bernardini F., Valensise G. and Boschi E.; 1999: Defining seismogenic sources from historical earthquake felt report. Bull. Seism. Soc. Am., 89, 94-110. Hanks T.C. and Kanamori H.: 1979: A moment-magnitude scale. J. Geophys. Res., 84, 2348-2352. Herrero A. and Bernard P.; 1994: A kinematic self-similar rupture process for earthquakes. Bull. Seism. Soc. Am. 84, 1216-1229.
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