Il tema della Catabasi e la fortuna di Virgilio - Domitilla Miotto V ginnasio A Liceo Montale, S.Donà di P.
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Il tema della Catabasi e la fortuna di Virgilio dall'antichità ai moderni Domitilla Miotto V ginnasio A Liceo Montale, S.Donà di P.
La parola Catabasi , che deriva dal greco κατάβασις “discesa” ( κατα- “giù” e βαίνω “andare”), indica un viaggio oltre i confini della vita, τόπος narrativo che affonda le sue radici in antichissimi miti di morte- resurrezione e di continuità dei cicli vitali. La più antica narrazione epica di un viaggio oltremondano è contenuta ne “ l'Epopea di Gilgamesh “, in cui l' eroe mesopotamico attraversa l'Oceano della morte alla ricerca del segreto dell'immortalità. Il periodo in cui questo motivo topico della letteratura ha avuto il suo massimo splendore è senza dubbio quello greco- romano. Fra gli esempi più celebri, il viaggio di Persefone, la quale fu trattenuta negli Inferi come signora delle tenebre dal dio Ade; quello del poeta Orfeo, sceso nell'Erebo per cercare di riportare in vita la moglie Euridice; e ancora le vicende di Teseo e Piritoo che insieme tentarono di rapire Persefone; ed infine il viaggio di Ercole nel mondo degli Inferi, undicesima tappa delle sue fatiche, allo scopo di uccidere il terribile cane Cerbero. Ercole negli Inferi La catabasi più celebre della letteratura greca rimane indubbiamente quella di Odisseo, descritta nel XI libro dell'Odissea. Questa è anche il precedente epico più immediato della discesa agli Inferi di Enea, non solo perché la stessa Eneide ha come modelli i poemi omerici, ma anche per le evidenti affinità narrative. Come infatti l'eroe omerico aveva osato spingersi fino all'Ade, così Enea conclude le sue peregrinazioni con la discesi negli Inferi. A questo τόπος epico
Virgilio assegna però valenze molto più complesse, con l'aggiunta di temi filosofici e lo sviluppo di una funzione celebrativa. Odisseo, sceso nell'Ade per apprendere il suo destino, incontrerà l'indovino Tiresia il quale lo informerà riguardo il futuro che lo attende. Nell'Eneide invece, il regno delle ombre, molto più dettagliato, appare buio e vuoto, abitato dalle anime dei defunti che si aggirano tra grigi campi rimpiangendo la luce del giorno, quindi come una sorta di antitesi del mondo dei vivi. Inoltre, lo spazio infero costituisce per Enea anche un luogo in cui ritrovare gli affetti più cari, come la madre Anticlea e i compagni di viaggio e di guerra ( tra questi spiccano Agamennone e Achille ). Si può quindi dire che Odisseo, attraverso la sua catabasi, fa il punto della situazione sul proprio passato e sul proprio futuro, venendo a contatto con la dolorosa realtà della morte. Molto più complessa è invece la visione virgiliana dell'Oltretomba così come il senso stesso attribuito al viaggio di Enea , posto non a caso a metà dell'Eneide, nel VI Libro: esso si configura cime l'esperienza attraverso la quale l'eroe prende pienamente coscienza della sua missione. Enea intraprende il viaggio mosso dalla pietas e dal desiderio di rivedere il padre Anchise ( “ per giungere al cospetto e alle labbra dell'amato padre” Libro VI, vv . 108-109 ).
Promotore del viaggio è quindi Anchise, la guida è invece la Sibilla Cumana. Il tragitto di Enea si rivela, fin da subito, molto più legato di quello di Odisseo alla rete degli affetti: dall'incontro con Didone, la quale si mostrerà muta e scostante, a quello col padre, che lo guiderà attraverso i Campi Elisi, in uno dei passaggi più celebri del poema. Ed ecco la maggiore differenza tra l'Ade omerico e virgiliano: davanti a sé Enea non ha solo le anime dei trapassati, ma quelle di quanti devono ancora nascere, uomini e donne che saranno il suo futuro e dunque i suoi discendenti. Quasi seguendo la processione di una cerimonia funebre, Virgilio racconta, attraverso i personaggi che si trovano nei Campi Elisi, il destino di Roma fino ai suoi tempi, concludendo con la celebre frase esplicativa della missione di Roma: Foggeranno altri con maggiore eleganza spirante bronzo, credo di certo, e trarranno dal marmo vivi volti, patrocineranno meglio le cause, e seguiranno con il compasso il percorso del cielo e prediranno il corso degli astri: tu ricorda, o romano, di dominare le genti; queste saranno le tue arti, stabilire norme alla pace, risparmiare i sottomessi e debellare i superbi Virgilio, Eneide, Libro VI, vv. 847-853 Un altro carattere distintivo degli Inferi virgiliani è la geografia complessa dei luoghi: l'ingresso, il vestibolo, la riva d'Acheronte, la selva dei suicidi, i Campi del Pianto e degli Eroi, la voragine del Tartaro, il fiume Flagetonte, la città di Dite, i Campi Elisi, le fonti dell'Eridano, la valletta fiorita, il fiume Lete. Ad ogni luogo corrisponde un ambiente diverso, ora angosciante e buio, ora illuminato e sereno, a seconda delle anime che lo popolano.
L'Oltretomba virgiliano è inoltre sorvegliato da mostri e guardiani, ma è anche regolato da dei giudici che, seguendo un principio morale, assegnano la sede alle anime. Si può quindi capire che vi è il bene ed il male, la gloria e la colpa, il premio e la punizione, temi del tutto assenti nell'oltretomba omerico. Il Tartaro infatti, cinto da mura possenti e descritto come un cupo abisso il cui giudice è Radamanto, è la sede degli empi, alla quale si giunge girando a sinistra in un bivio.
Girando a destra si giunge invece alla sede dei beati: i Campi Elisi, campi erbosi e verdi boschi tra i quali si aggirano le anime dei giusti. Abbiamo quindi visto quali sono le caratteristiche che differenziano la catabasi di Odisseo da quella di Enea, bisogna però sottolineare anche l'aspetto che le accomuna. Ebbene, entrambe sono un viaggio e non una visione, cioè un'esperienza vissuta in prima personaggi, arricchita poi da Virgilio con una minuziosa descrizione dell'Oltretomba, segnata dalla divisione fra anime beate e dannate. Questi particolari, l'idea del viaggio e la divisione in zone, verranno poi ripresi da Dante ne la “ Divina Commedia”, dove il ruolo di guida non spetta più alla Sibilla, ma a Virgilio. Lo stesso Dante riconosce così il suo modello antico: ‹‹ Or se' tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?›› rispuosi'io con vergognosa fronte. ‹‹O de li altri poeti onore e lume, vegliami 'l lungo studio e 'l grande amore che m'ha fatto cercar lo tuo volume. Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore tu se' lo mio maestro e 'l mio autore; tu se' solo colui da cu' io tolsi lo bello stilo che m'ha fatto onore›› Dante, Inferno, I, vv. 79-88 Alla celebrazione dell'antico poeta si accompagna la ripresa di alcuni particolari topografici dell'aldilà virgiliano; ritroviamo infatti il temibile traghettatore di anime Caronte, l'idea di suddivisione delle zone dell'aldilà, ben più ricca, articolata ed inoltre ispirata alle credenze cristiane. Come detto prima, la guida di Enea negli Inferi è la Sibilla Cumana. Sibilla è il nome con il quale i Greci ed i Romani indicavano le profetesse, in particolare quelle incaricate di rivelare gli oracoli di Apollo. Esse emettevano le loro profezie in uno stato di trance , durante la quale si credeva che fossero possedute dalla divinità che parlava tramite loro. Secondo alcune tradizioni, Sibilla era il nome di una figlia di Dardano, resa celebre per le sue doti profetiche; secondo altre, la prima Sibilla fu Erofila, famosa per aver predetto
ad Ecuba che una donna spartana avrebbe causato la distruzione di Troia. La Sibilla più famosa dell'antichità fu la Cumana, che profetizzava in un antro affidando i suoi vaticini alle foglie. Antro della Sibilla, Cuma Secondo la leggenda, Apollo le aveva concesso di vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che la donna poteva tenere in mano, a patto di no rivedere mai più la sua Terra, motivo per cui questa si era trasferita a Cuma. Ebbene la Sibilla ottenne dal dio una vita lunghissima, ma non la conservazione della giovinezza per cui, anno dopo anno, diventò sempre più piccola fino ad assumere l'aspetto di una cicala. Venne quindi messa in una bottiglia e, stanca di vivere in quelle condizioni, a chi le chiedeva cosa desiderasse rispondeva sempre “ voglio morire “. Si narra anche che la stessa Sibilla Cumana, anni e anni dopo aver guidato Enea negli Inferi, sotto il regno di Tarquinio il Superbo, fosse giunta a Roma per offrire nuove raccolte di oracoli contenuti in dieci volumi. Il re, ritenendo il loro prezzo troppo alto, rifiutò; la Sibilla allora ne bruciò tre e chiese per gli altri lo stesso prezzo. Ad un nuovo rifiuto ne bruciò altre tre e alla fine Tarquinio decise di acquistare i rimanenti pagando il prezzo iniziale. I libri sibillini, ai quali si ricorreva in momenti di grande crisi, vennero quindi
conservati nel tempio di Giove Capitolino, ma, dopo l'incendio dell' 83 a. C., nel quale vennero distrutti tutti, venne costituita una nuova raccolta, conservata nel tempio di Apollo, sul colle Palatino. L'interpretazione cristiana delle profezie sibilline finì però per distorcere il loro vero significato. Esse divennero il simbolo della rivelazione di Cristo, veste grazie alla quale godettero di una grandissima fortuna iconografica e letteraria. Michelangelo, Sibilla Il recupero in chiave Cristiana di simboli e contenuti dell'opera virgiliana agì, a partire dall'epoca di Costantino, non solo di relazione alla figura della Sibilla, ma specialmente in merito alla IV Egloga. Questa è forse la più nota delle ecloghe virgiliane e si differenzia dalle altre per il tono più elevato, per la mancanza dell'ambientazione pastorale e per l'allusività oracolare. In apertura Virgilio invoca le “ Muse di Sicilia “ affinché innalzino il tono del canto rendendolo degno di un console, Asinio Pollione, a cui l'ecloga è dedicata. Virgilio esprime in questo componimento una grande speranza di pace, cantando l'inizio di una nuova epoca, che, come preannunciato dalla Sibilla Cumana, concluderà un ciclo e ne comincerà uno nuovo, riportando l'umanità alla mitica età dell'oro. Questo nuovo periodo si aprirà con la nascita di un bambino, destinato a vivere in un mondo migliore e florido. Il dubbio sull'interpretazione del passo è proprio sull'identità del bambino: alcuni sostengono sia il figlio di Asinio Pollione, altri, a partire dai Cristiani dei tempi di Costantino, ritengono sia invece una prefigurazione di Cristo.
Ipotesi senza dubbio infondata la seconda, forse spiegabile con la risonanza religiosa e profetica che spira dal testo. “ […] È giunta l'ultima età dell'oracolo cumano: nasce di nuovo il grande ordine dei secoli. Già torna la Vergine e torna il regno di Saturno, già la novella prole discende dall'alto cielo” Virgilio, Ecloga IV, vv. 4-7 Secondo l'interpretazione cristiana la vergine era Maria, mentre la prole era Cristo, destinato a ripristinare l'età dell'oro, fatto in cui si volle vedere una precisa adesione del poeta al cristianesimo. Si sa però con certezza che Virgilio si ispirò a ben altre dottrine: l'Orfismo ed il Pitagorismo, che dimostrano tratti in comune tra di loro. Ciò va quindi a smentire qualsiasi ipotesi di interpretazione cristiana dell'ecloga. L'adesione del poeta a queste due dottrine trova conferma anche nel modo in cui è strutturato l'Oltretomba. Sia l'Orfismo, corrente religiosa e filosofica ispirata alla figura di Orfeo, che il Pitagorismo, ispirato a Pitagora, credono infatti nella reincarnazione dell'anima in un altro corpo in seguito ad un periodo trascorso negli Inferi, il che ci rimanda di nuovo al libro VI dell'Eneide, in cui Enea incontra le anime dei suoi discendenti, pronti a reincarnarsi. Ulteriore conferma dell'adesione di Virgilio all'Orfismo è il fatto che questa corrente credesse nel tema del premio- punizione dopo la morte, secondo il quale le anime dei dannati sono destinate al Tartaro, quelle dei beati ai Campi Elisi, il che è confermato nella sistemazione data da Virgilio alla realtà ultramondana. Smentito quindi il contenuto cristiano dell'Ecloga IV, si nota l'intreccio di motivi letterari e religiosi di origine diversa presenti in essa, tra cui il ritorno ciclico dei “ grandi anni “, chiamati con nomi di metalli ( oro, ferro, bronzo, ecc. ) o di dei ( Saturno, Apollo ). In ogni caso il punto di riferimento virgiliano è qui Esiodo ( VIII-VII sec. a. C.) ,secondo il quale, nel suo poema “ Le opere e i giorni” , inizialmente vi era stato un periodo felice in cui gli uomini convivevano con le divinità in un mondo in cui non esisteva né la morte , né il dolore. Quando però i mortali ruppero il patto sacro con gli dei, si inaugurò la terribile età del ferro, non più
estranea alle sofferenze, e da lì, la caduta divenne inarrestabile. Il modello esiodeo dell'età dell'oro è quindi fortemente pessimistico; il ritorno ai tempi originari non è possibile, mentre inesorabile è la decadenza. Per Virgilio invece, come per altri autori dell'età augustea, esiste un modello ciclico del succedersi dei giorni, che permette di ritornare alla purezza originaria: solo la fine di un ciclo permetterà l'aprirsi di una nuova generazione. Tale fiducia deriva proprio dall'adesione entusiastica al programma di restaurazione augusteo che prevedeva la nascita di un mondo nuovo, ma affondava le sue radici anche nelle convinzioni orfiche e Platoniche di cui il poeta si era nutrito.L'esempio più recente di un periodo comunemente considerato “età dell'oro” è la cosiddetta età elisabettiana, caratterizzata da grande prosperità e dallo sviluppo delle arti durante il regno di Elisabetta I ( 1559-1603 ) in Inghilterra. Elisabetta I ATTUALITÀ E FORTUNA DI VIRGILIO Per quasi due millenni Virgilio è stato l'autore classico più ammirato ed imitato, sia nella cultura pagana che, successivamente, in quella cristiana. In una Vita del poeta giuntaci nel Medioevo, esso viene soprannominato il “ Marone “ da “mare” perché, così come il mare abbondava di acqua, lui abbondava di sapere. Da qui nacquero due tipi di leggende popolari riguardanti la sua sapienza, alcune positive, altre negative. Nella tipologia positiva rientravano le storie di Virgilio costruttore d talismani; in quella
negativa il poeta veniva paragonato alla figura dell'innamorato infelice che richiamava Didone, la quale però, poi si vendicava crudelmente di lui. Virgilio fu indubbiamente un grande modello per molti autori, oltre che per Dante; venne infatti celebrato da molti altri poeti e letterati, tra cui Petrarca e Metastasio. La fortuna di Virgilio e dei poeti augustei culminò nella prima metà del Settecento, epoca in cui l'Europa tendeva a rifarsi al modello dell'età e della corte di Augusto. Con la nascita della corrente del filellenismo classicista vi fu un radicale cambiamento. Vennero infatti apprezzate nuovamente le opere elleniche, e svalutate invece quelle di Virgilio e Orazio, considerate solo una copia, in relazione alla loro massiccia componente greca. Esponenti di questo movimento furono Winckelmann ( “ Pensieri sull'imitazione delle opere dei Greci), Lessing e Herder. Il periodo del Romanticismo, caratterizzato dalla ricerca dell'originalità, relega la letteratura latina ai margini di quella greca, soppiantando definitivamente Virgilio con Omero. Unica eccezione rimane la poesia italiana, nella quale Virgilio continua ad essere molto imitato, soprattutto da Manzoni, Foscolo, Leopardi, Carducci. Nella lirica moderna si assiste invece ad un ennesimo ritorno virgiliano, in particolare al ritorno di Enea, eroe inquieto e capace di dignitosa sofferenza, che è riuscito ad affascinare, in un periodo dilaniato dalle Guerre Mondiali, per il suo coraggio. La fortuna dell'Eneide, e quindi di Virgilio, sta dunque nella scelta dei personaggi e nell'accurata selezione delle tematiche e dei valori da celebrare, quali ad esempio la pietas, la giustizia, l'orrore della guerra e la morte prematura, oggi e per sempre, attuali.
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