Il servizio pubblico radiotelevisivo nell'ordinamento comunitario e nazionale. Idee e suggerimenti per una riforma della RAI

Pagina creata da Christian Rocchi
 
CONTINUA A LEGGERE
FOCUS TMT – 29 MAGGIO 2015

     Il servizio pubblico radiotelevisivo
       nell’ordinamento comunitario e
     nazionale. Idee e suggerimenti per
            una riforma della RAI

                        di Fernando Bruno
Consigliere del Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
Il servizio pubblico radiotelevisivo
        nell’ordinamento comunitario e
    nazionale. Idee e suggerimenti per una
               riforma della RAI*
                                          di Fernando Bruno
      Consigliere del Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni

Ordinamento, dottrina, letteratura e giurisprudenza sui sistemi radiotelevisivi pubblici
costituiscono un corpus vasto ed articolato1.
Volendo inquadrare la nozione di servizio pubblico radiotelevisivo in ambito comunitario
conviene partire da quell’articolo 16 del Trattato che riconosce l’importanza dei servizi di
interesse economico generale e demanda all’Unione e ai paesi membri, sulla base delle rispettive

* Articolo sottoposto a referaggio. Idee ed opinioni espresse nel presente saggio, per quanto comuni e
diffuse, rappresentano in questa sede unicamente la posizione dell’autore, e non impegnano in alcun modo
altri che lui medesimo.
1 Per un inquadramento complessivo ed una esaustiva panoramica bibliografica anche con riferimento

all’ordinamento ed alla giurisprudenza, si rinvia tra gli altri a R. Zaccaria, A. Valastro, E. Albanesi, Diritto
dell’informazione e della comunicazione, ottava edizione, Padova, 2013, pp. 369-422; P. Caretti, Diritto
dell’informazione e della comunicazione, Bologna 2013; M. R. Allegri, Informazione e comunicazione nell’ordinamento
giuridico italiano, Torino, 2012; R. Mazzeschi, A. Del Vecchio, M. Manetti, P. Pustorino, (a cura di), il diritto
al pluralismo dell’informazione in Europa e in Italia, Roma, 2012; R. Mastroianni, La direttiva sui servizi media
audiovisivi, Torino, 2009; P. Troiano, I principi generali in materia di informazione e i compiti di servizio pubblico nel
settore radiotelevisivo, in A. Frignani, E. Poddighe, V. Zeno Zencovich (a cura di), La televisione digitale: temi
e problemi, Milano, 2006; F. Cardarelli, Servizio pubblico radiotelevisivo, in A. Frignani, E. Poddighe, V. Zeno
Zencovich (a cura di), La televisione digitale: temi e problemi, Milano, 2006; F. Bruno, G. Nava, Il nuovo
ordinamento delle comunicazioni, Milano, 2006; AA. VV., Quale futuro per il servizio pubblico radiotelevisivo?, Milano,
2006; R. Mastroianni, Riforma del sistema radiotelevisivo italiano e diritto europeo, Torino, 2004; V. Zeno
Zencovich, La libertà di espressione, Bologna, 2004; F. Bassan, Concorrenza e regolazione nel diritto comunitario delle
comunicazioni elettroniche, Torino, 2003; R. Zaccaria, Servizio pubblico radiotelevisivo, garanzia del diritto
all’informazione e istruzioni di effettiva tutela, Padova, 2003; V. Zeno Zencovich, Il servizio pubblico radiotelevisivo
nel nuovo quadro normativo comunitario, in Dir. Inf. 2003, pag. 1 e ss; L. Bianchi, Il servizio pubblico radiotelevisivo,
in Informazione e telecomunicazioni a cura di R. Zaccaria, Padova, 1999; E. Cheli, Servizio pubblico e nuove
tecnologie: le prospettive della regolazione, in DRT, 1999, pp. 13-21; R. Esposito, Il servizio pubblico radiotelevisivo tra
due ordinamenti, in DRT, 1999, pp. 34-55; R. Zaccaria, Informazione e telecomunicazioni, cit., pp. 713-766;
L. Vespignani, Telediffusione tra regime del servizio e servizio della libertà, Milano, 1998; P. Caretti,
Radiotelevisione, in Enc. Dir., aggiornamento I Milano, 1997, pp. 875 e ss; A. Pace, La società concessionaria
del servizio pubblico radiotelevisivo: impresa come sostanza e proprietà pubblica come mera forma, in Giur. Cost. 1995,
pp. 12-16; G. Santaniello, La riforma del servizio pubblico, in Rapporto ’93 sui problemi giuridici della
televisione (a cura di P. Barile e R. Zaccaria), Torino, 1995.

2                                               federalismi.it – focus TMT                                   |n. 2/2015
competenze, il compito di assicurare che tali servizi funzionino in base a principi e condizioni
economiche e finanziarie che consentano loro di assolvere efficacemente ai propri compiti. E’ da
qui che si fa discendere la legittimazione non solo dei servizi pubblici radiotelevisivi, ma anche la
legittimità del loro finanziamento da parte dei singoli Stati membri, come poi ripetutamente
riconosciuto dalla giurisprudenza comunitaria2.
Relativamente al servizio pubblico di radiodiffusione, assumono altresì rilievo gli articoli 86,
paragrafo 2, del Trattato CE (ora art. 106 TFUE), che stabilisce l’applicazione delle regole di
concorrenza ai servizi di interesse economico generale, e gli articoli 87 e 88 del medesimo
Trattato in tema di aiuti di Stato (ora artt. 107 e 108 TFUE). Con essi, la fondamentale
Comunicazione della Commissione UE 2001/C 320/043.
L’odierno testo europeo di riferimento per i servizi pubblici radiotelevisivi è tuttavia, più
precisamente e più nel dettaglio, il c.d. Protocollo di Amsterdam 4. Esso riconosce la competenza
degli Stati membri a provvedere al finanziamento e alla definizione del servizio pubblico di
radiodiffusione, a condizione che tale finanziamento sia accordato agli organismi di

2 La disciplina vigente in materia di applicazione delle norme sugli aiuti di Stato ai servizi di interesse
economico generale è fondata sull'articolo 106 del Trattato sul funzionamento dell’UE (già articolo 86 del
Trattato CE) e sugli atti adottati dalla Commissione europea nel 2005, a seguito della sentenza della Corte
di giustizia nella causa Altmark (del 2003). Con la sentenza Altmark del 24 luglio 2003, la Corte di Giustizia,
interpretando l'articolo del Trattato in questione, ha stabilito che la compensazione degli obblighi di
servizio pubblico non costituisce aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, par. 1, TCE (attuale art. 107, par. 1,
del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea- TFUE), purché siano cumulativamente rispettati i
quattro noti criteri:
           l'impresa beneficiaria deve essere effettivamente incaricata dell'adempimento di obblighi di
           servizio pubblico e detti obblighi devono essere definiti in modo chiaro;
           i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione devono essere previamente
           definiti in modo obiettivo e trasparente;
           la compensazione non può eccedere l'importo necessario per coprire interamente o in parte i costi
           originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto dei relativi introiti e
           di un margine di utile ragionevole;
           quando la scelta dell'impresa da incaricare dell'adempimento di obblighi di servizio pubblico non
           venga effettuata nell'ambito di una procedura di appalto pubblico che consenta di selezionare il
           candidato in grado di fornire tali servizi al costo minore per la collettività, il livello della necessaria
           compensazione deve essere determinato sulla base di un'analisi dei costi che un'impresa media,
           gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata di mezzi di trasporto, avrebbe dovuto
           sostenere.
3 Si tratta della Comunicazione del novembre 2001 con la quale la Commissione UE individua

precisamente i casi di deroga alle regole di concorrenza applicabili ai servizi pubblici nazionali di
radiodiffusione. Come si vedrà meglio in seguito essa è ora sostituita da un analogo intervento della
Commissione risalente al 2009.
4 Si tratta più precisamente del Protocollo n. 23 sul sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri

allegato al Trattato di Amsterdam del 1997, ora allegato - quale Protocollo n. 27 - al testo del Trattato che
adotta una Costituzione per l’Europa. Già in premessa, esso collega espressamente il sistema di
radiodiffusione pubblica degli Stati membri “alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché
all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione”.

3                                             federalismi.it – focus TMT                               |n. 2/2015
radiodiffusione ai fini dell'adempimento della missione di servizio pubblico conferita, definita e
organizzata da ciascuno Stato membro e che tale finanziamento non perturbi le condizioni degli
scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune, tenendo conto
nel contempo dell'adempimento della missione di servizio pubblico. Dunque l’ordinamento
comunitario riconosce e legittima il servizio pubblico radiotelevisivo e il diritto e l’interesse di
ciascuno Stato membro a finanziarlo, ma attribuisce a ciascun paese la responsabilità e il compito
di definire con proprie regole i contenuti e gli obiettivi del servizio stesso nonché le modalità e
forme del suo finanziamento.
La Comunicazione della Commissione UE del 2001 è stata aggiornata e sostituita nel 2009 da un
analogo intervento 5 il cui tratto distintivo è il definitivo riconoscimento della possibilità di
diversificare l’offerta di servizio pubblico su una pluralità di piattaforme, in considerazione delle
trasformazioni tecnologiche in atto, e dei necessari adeguamenti regolamentari che ne derivano.
Si tratta, in sostanza, dello strumento giuridico che conferisce piena legittimità ad un servizio
pubblico radiotelevisivo non più irradiato unicamente attraverso la storica piattaforma televisiva
free to air, via etere terrestre, in tecnologia analogica o (ormai) digitale.
La Comunicazione del 2009 è molto chiara nel dettagliare a quali condizioni il servizio pubblico
radiotelevisivo dei paesi membri rientra nei canoni del disegno comunitario.
Il primo elemento richiesto è una precisa definizione del contenuto del servizio, compito che il
legislatore nazionale ha assolto con l’art. 17 della legge 112/2004 (ora trasfuso nell’art. 45
TUSMAR, Testo Unico servizi media audiovisivi e radiofonici). Se dunque per un verso la Commissione
ribadisce la discrezionalità degli Stati membri nella scelta degli specifici contenuti del servizio
pubblico, per altro verso sottolinea l’esigenza della loro conoscibilità e trasparenza nei riguardi dei
cittadini e dei competitors.
Il secondo requisito indispensabile richiamato dalla Commissione nella sua Comunicazione è la
previsione di un atto giuridico, amministrativo o di diritto privato (contratto), che formalizzi
l’incarico di concessione del servizio e ne precisi i contorni.
Sono altresì imposti meccanismi di finanziamento e di rendicontazione trasparenti (l’Italia ha
scelto la soluzione della separazione contabile tra attività di servizio pubblico e attività

5 Si tratta della Comunicazione della Commissione relativa all'applicazione delle norme sugli aiuti di Stato al servizio
pubblico di emittenza radiotelevisiva 2009/C 257/01, in GUUE del 27 ottobre 2009. In argomento, anche ai
fini di una ricostruzione storica dell’approccio comunitario al tema, si veda l’importante sottolineatura
della centralità dei servizi pubblici radiotelevisivi europei quale strumento e veicolo di promozione della
diversità culturale, del pluralismo, di modelli educativi condivisi e di una offerta democratica e accessibile
di intrattenimento di qualità, contenuta nel documento L’era digitale: la politica audiovisiva europea. Relazione del
gruppo di alto livello sulla politica audiovisiva, 1998.

4                                             federalismi.it – focus TMT                                 |n. 2/2015
commerciale) e chiare attribuzioni di funzioni di vigilanza sull’assolvimento dei compiti (il nostro
ordinamento al riguardo non è un esempio di chiarezza, esso affida infatti ad Agcom un ruolo
preponderante in tal senso, ma in un contesto di sovrapposizione di funzioni con la
Commissione parlamentare di vigilanza e di residue competenze ministeriali).
L’ultimo punto sottolineato dalla Comunicazione 2009 della Commissione UE è nella indicazione
(e quindi nella piena legittimazione) ai servizi pubblici degli Stati membri a diversificare le
modalità di fornitura del servizio pubblico con il ricorso alle altre piattaforme trasmissive. Al
riguardo, la Comunicazione prevede espressamente che gli Stati membri possano finanziare
attraverso il canone anche la trasmissione di servizi su piattaforme multimediali diverse da quella
tradizionale via etere terrestre, ma ad una precisa condizione, che sia cioè previamente definita
una procedura di valutazione fondata su una consultazione pubblica, aperta al mondo
accademico, alle imprese concorrenti, agli studiosi del settore, ed in definitiva a tutti i cittadini, al
fine di determinare se i nuovi servizi audiovisivi programmati e trasmessi su altre piattaforme
“soddisfino le disposizioni del protocollo di Amsterdam, ossia se soddisfino le esigenze democratiche, sociali e
culturali della società, tenuto debito conto dei loro effetti potenziali sulle condizioni commerciali e sulla
concorrenza”.
Troviamo qui un’apertura, per così dire metodologica, al metodo della consultazione pubblica che
mi sembra sia stata colta puntualmente dal Parlamento in occasione dell’incardinamento al Senato
(AS 1880) del disegno di legge di riforma della RAI proposto dal Governo (si tratta del testo
approvato in Consiglio dei ministri il 27 marzo scorso e reso pubblico il 3 aprile successivo). La
Commissione Lavori pubblici e comunicazione del Senato ha infatti avviato sul ddl governativo –
assunto peraltro a base di una discussione che dovrà misurarsi anche con altre proposte di
riforma pervenute da singole forze politiche - un ciclo di audizioni che ha già coinvolto le
Autorità indipendenti ed i vertici RAI, e che interesserà nelle settimane a venire anche i sindacati
dei giornalisti, le associazioni professionali di settore, costituzionalisti ed esperti della materia.
Sussiste dunque la possibilità che la discussione parlamentare diventi il punto di arrivo di un più
ampio e articolato giro d’orizzonti, e che in definitiva il progetto di riforma e la nuova RAI degli
anni a venire emergano da un percorso pubblico e trasparente di consultazione.
L’indicazione pro consultazione pubblica contenuta nel Protocollo di Amsterdam - per la verità
unicamente riferita all’ eventuale impiego del canone per il finanziamento (anche) dei nuovi
servizi televisivi trasmessi su piattaforme diverse da quella tradizionale free to air – costituisce, in
altri termini, una opportunità da non mancare. Sfruttare questa possibilità fornita dai documenti
comunitari, per allargare il dibattito e la riflessione di tutte le istituzioni coinvolte e di tutti gli

5                                          federalismi.it – focus TMT                             |n. 2/2015
addetti ai lavori sul tema più generale di quale servizio pubblico radiotelevisivo si richieda
all’Italia nello scenario tecnologico 2.0, costituirebbe al tempo stesso una importante scommessa
politica, una prova di maturità delle istituzioni ed una appassionante apertura di credito a tutti i
soggetti interessati, cui si potrà chiedere un contributo nella ridefinizione della mission e della
riorganizzazione della RAI del futuro, sul presupposto che proprio questa mission è andata negli
anni affievolendosi, sia sotto il profilo della qualità della programmazione che della distinguibilità
dei contenuti di servizio pubblico.
Allo stato il servizio pubblico radiotelevisivo si regge, come è noto, su un corpus legislativo che ha
due punti essenziali di riferimento. Da un lato, quanto rimane della importante riforma di metà
degli anni ’70, ormai del tutto superata ove si escluda la parte che concerne l’istituzione, la
composizione e le funzioni della Commissione parlamentare di indirizzo e vigilanza, nata allora
quale noi ancora oggi la conosciamo 6 . Dall’altro, e soprattutto, gli articoli 45-49 del decreto
legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (ora TUSMAR), a sua volta trasposizione degli articoli 16-20
della legge n. 112/2004 (cd. legge Gasparri) 7 . E’ su questa disciplina che dovrà incidere

6 Si fa qui riferimento alla legge 14 aprile 1975, n. 103, recante “nuove norme in materia di radiodiffusione
sonora e televisiva” (G.U. 17 aprile 1975, n. 102) che pur confermando la riserva in capo allo Stato
dell’attività radiotelevisiva - riserva che appena un anno dopo capitolerà in virtù della sentenza Corte Cost.
n. 202 del 1976 - si incaricava di disegnare per gli anni a venire i principi e la cornice di riferimento entro
cui disciplinare l’esercizio dell’attività radiotelevisiva tout court. L’articolo 1 della legge in particolare, con il
suo riferimento all’articolo 43 Cost., e con quel riconoscimento del valore del servizio radiotelevisivo quale
“servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale”, fornirà l’ispirazione per la
delineazione dei principi di tutta la disciplina dei decenni a venire, a cominciare dalla prima legge di
sistema della radiotelevisione privata (legge 6 agosto 1990, n. 223), fino all’ordinamento dei nostri giorni.
Cfr. al riguardo R. Zaccaria, A. Valastro, E. Albanesi, Diritto dell’informazione e della comunicazione, cit., pp.
371-372.
7 Si tratta di un complesso di articoli che disciplina: i) natura e compiti del servizio pubblico generale

radiotelevisivo (art. 45); ii) i compiti di pubblico servizio in ambito regionale e provinciale (art. 46); iii) le
modalità di finanziamento del servizio, con quanto ne discende in termini di contabilità separata dei ricavi
derivanti dal gettito del canone al fine di vigilare sul divieto di sussidio di attività commerciali con i
proventi del canone (art. 47); iv) l’attribuzione (ad Agcom) della funzione di vigilanza e verifica
sull’assolvimento dei compiti di servizio pubblico e sull’esercizio dei connessi poteri sanzionatori (art. 48);
v) la governance della società concessionaria e le modalità del processo (eventuale) di privatizzazione
dell’azienda (art. 49). Prima dell’avvento di una disciplina legislativa organica, risalente come si è detto al
1975 quanto al servizio pubblico radiotelevisivo, e al 1990 per quanto riguarda l’emittenza radiotelevisiva
privata, è nota la fondamentale azione di supplenza esercitata dalla Corte Costituzionale. Ci si limita qui a
citare le principali sentenze succedutesi nel tempo fino alla legislazione del 1990: 13 luglio 1960, n. 59; 9
luglio 1974, n. 225; 10 luglio 1974, n. 226; 28 luglio 1976, n. 202; 21 luglio 1981, n. 148; 23 gennaio 1986,
n. 35; fino alla fondamentale sentenza 13-14 luglio 1988, n. 82, vera pietra miliare dell’ordinamento, nella
quale la Corte sancisce il superamento della riserva statale per l’esercizio dell’attività radiotelevisiva in
ambito nazionale - ancorché condizionato al varo di una disciplina organica di settore in funzione
preminentemente antimonopolista - e afferma la centralità del pluralismo dell’informazione nell’ambito
dell’ordinamento democratico introducendo la celebre distinzione tra il ruolo del servizio pubblico
radiotelevisivo, identificato nel c.d. pluralismo interno (declinato in termini di parità di accesso al mezzo di

6                                             federalismi.it – focus TMT                               |n. 2/2015
profondamente la riforma del servizio pubblico; a partire dal tema in sé, ossia dalla domanda se –
nel nuovo contesto tecnologico e di mercato che scaturisce dalla rivoluzione digitale dell’ultimo
decennio – si renda ancora necessario un servizio pubblico radiotelevisivo come lo abbiamo
inteso e disciplinato fino ad oggi8.
La risposta a questa “antica” domanda mi pare ancora oggi scontata. La perdurante situazione di
concentrazione di audience e risorse economiche nell’informazione televisiva nel nostro Paese -
pur in un contesto in rapido mutamento, in cui crescono esponenzialmente l’offerta di contenuti
e le opportunità di informazione - unita al ruolo declinante dei giornali e delle tradizionali
imprese di informazione a stampa, continua a giustificare, persino al di là della cornice di principi
e regole stabilite in ambito comunitario, la presenza di canali pubblici di informazione gestiti sulla
base di un mandato legislativo chiaro e trasparente in funzione di tutela del pluralismo
informativo e di valorizzazione della funzione pubblica dell’informazione9.

servizio pubblico) e il ruolo dell’emittenza privata, identificato nel c.d. pluralismo esterno (declinato in
termini di pluralità di soggetti sul mercato)
8 Non v’è dubbio alcuno sulla risposta al quesito fornita, allo stato, dal legislatore. Si tratta di una risposta

netta che l’ordinamento si incarica di esplicitare attraverso una caratterizzazione forte e una chiara
distinzione della nozione di servizio pubblico radiotelevisivo sia rispetto agli obblighi di pubblico servizio
radiotelevisivo posti in capo alla generalità degli operatori ed individuati, all’articolo 6 del TUSMAR, in una
sequenza, pure significativa, di vincoli alla programmazione e di garanzie di accesso e parità di trattamento;
sia anche rispetto agli obblighi di servizio universale che, lungi dall’individuare standard di qualità e di
contenuto dei servizi, circoscrivono la relativa disciplina all’aspetto del mero approvvigionamento delle reti
e dei mezzi. Peraltro, a rifletterci, proprio la caratterizzazione del servizio radiotelevisivo da chiunque
esercitato come “servizio di interesse generale” ai sensi del predetto art. 6 TUSMAR, costituisce una
interessante sottolineatura della vocazione pubblica della radiotelevisione latu sensu, che si traduce
nell’affermazione di un interesse pubblico alla prestazione da parte di tutti gli operatori di standard minimi
di programmazione declinabili in termini di varietà e di equilibrio dell’offerta. A dimostrazione di quanto
divaricate possano essere le tesi in argomento, mi piace riportare due opposti orientamenti. Da un lato le
penetranti osservazioni tese a qualificare la diversa natura dei due obblighi ed a mettere in luce i rischi di
assorbimento della nozione di servizio pubblico generale radiotelevisivo in quella “più oggettiva e neutrale,
dal punto di vista dei contenuti, di servizio universale”, che si rinvengono nella relazione conclusiva di
Enzo Cheli al Convegno su Servizio pubblico e pluralismo televisivo nell’era del digitale, Roma, 18-19 novembre
2002, i cui atti sono stati pubblicati in volume a cura di ISIMM, Istituto per lo studio e l’innovazione nei
media e per la multimedialità, Roma, 2003. Dal lato opposto la tesi di Zeno Zencovich il quale – una volta
osservato con voluta provocazione come nessuno si sogni di dire che i fornai svolgono un servizio
pubblico, ancorché il pane sia un prodotto essenziale per la generalità dei cittadini – conclude come “non è
dato comprendere perché all’attività radiotelevisiva si voglia estendere la nozione di servizio pubblico (La
libertà di espressione, cit., pp.51-52).
9 Insuperata e pienamente attuale appare, al riguardo, la sentenza Corte Cost. n. 155/2002 laddove

sottolinea la differenza di fondo tra le regole generali cui devono sottostare tutti i prestatori di servizi
radiotelevisivi, e gli specifici vincoli che presidiano all’esercizio di un servizio pubblico generale
radiotelevisivo, da svolgersi necessariamente entro una cornice di obblighi che impongano di “assicurare
una informazione completa, di adeguato livello professionale e rigorosamente imparziale nel riflettere il
dibattito fra i diversi orientamenti politici che si confrontano nel paese, nonché di curare la specifica
funzione di promozione culturale ad essa affidata e l’apertura dei programmi alle più significative realtà

7                                          federalismi.it – focus TMT                             |n. 2/2015
Ma questa giustificazione dell’esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo ha un senso solo in
quanto si sappia porre mano ad un profondo processo di riforma. La RAI dei prossimi anni
dovrà salvaguardare la propria storia e il proprio patrimonio di prima industria culturale del
Paese, scommettere sull’innovazione di prodotto, arricchire la propria offerta, assicurare la tenuta
del proprio modello di business e l’equilibrio di bilancio, competere in maniera più efficace con
gli altri operatori più forti.

Perché questo avvenga occorre una vera e propria soluzione di continuità nelle regole vigenti; e
con essa, una nuova organizzazione societaria, un nuovo modello di governance, uno sforzo
complessivo in grado di assicurare più qualità, più autonomia, più efficienza, maggiore
innovazione.

Le proposte attualmente in campo rispondono a queste esigenze? Coltivano davvero l’ambizione
di mettere la Rai in condizione di competere nel nuovo scenario tecnologico di una tv che cambia
radicalmente sotto il profilo dell’offerta, delle attese del pubblico, dei mutamenti del gusto, della
frammentazione delle audience, delle opportunità e modalità di fruizione? E soprattutto,
ambiscono davvero a consolidare autonomia e diversità dalla tv commerciale, offrendo
pluralismo informativo e qualità di prodotto all’altezza degli standard di un servizio pubblico
radiotelevisivo completo e moderno?

Mi sembrano domande ineludibili, anche perché da tempo, ormai, la RAI corre un duplice
rischio. Quello della perdurante e permanente paralisi decisionale frutto di una governance obsoleta
ed inadeguata, e quello dello smarrimento della funzione e della vocazione di servizio pubblico
per effetto degli stravolgimenti indotti dal nuovo scenario tecnologico.

Sono almeno tre i temi su cui occorre un intervento forte, incisivo, coraggiosamente innovativo:
i) l’architettura istituzionale (ossia il complesso sistema che distribuisce compiti e funzioni di
indirizzo e controllo sulla RAI in capo a Parlamento, Ministero ed Agcom;                  ii) l’assetto
proprietario (ancora oggi nelle mani del Ministero dell’economia) e la governance (ossia le modalità
di nomina del consiglio di amministrazione ed il ruolo del direttore generale/amministratore
delegato); iii) le risorse, e dunque, in primis, la riforma del canone, ancora oggi “appeso” ad un

culturali”. Si rinvia anche, in particolare quanto al rapporto tra riscossione del canone ed obblighi di
servizio pubblico, alla sentenza Corte Cost. 284/2002.

8                                       federalismi.it – focus TMT                         |n. 2/2015
rinnovo annuale su impulso del Ministero che contraddice ogni logica di pianificazione di medio
periodo.

Oggi la RAI opera in un contesto regolamentare fondato su una architettura istituzionale che
ripartisce e sovrappone confusamente i diversi compiti di indirizzo, vigilanza e controllo tra tre
soggetti (Ministero, Commissione parlamentare ed Agcom) e la cui spina dorsale, per così dire, è
una Commissione bicamerale istituita nel lontano 1975, e mai riformata, le cui funzioni e la cui
composizione risentono fatalmente del tempo. Il tutto si realizza in un quadro soggetto a
sconvolgimenti tecnologici e di mercato incessanti che rende obsoleti molti degli attuali strumenti
regolamentari, dagli affollamenti pubblicitari alla rilevazione delle audience. Si aggiunga che il
canone, principale fonte di finanziamento dell’azienda, è storicamente oggetto di diffusi fenomeni
di evasione ed elusione e vive di meccanismi (il rinnovo annuale) inadeguati alle più elementari
esigenze di budget.

Tutto questo ha per conseguenza una molteplicità di rischi. Da un lato il rischio di una azienda
che non decide, che non sa e non può impegnare se stessa nelle scelte strategiche che il momento
richiede, e con la celerità che il momento richiede; impossibilitata a farlo in ragione dell’intreccio
esiziale tra la tradizionale lottizzazione e l’attuale bi-tri-polarismo iperframmentato, con la
conseguente situazione di permanente instabilità del vertice che ne deriva. E’ opinione diffusa che
da una quindicina di anni a questa parte il Consiglio di amministrazione della RAI non è messo in
grado di prendere decisioni strategiche. E nel mondo delle comunicazioni attuali, in continua
trasformazione, un’azienda che non è in grado di prendere decisioni strategiche rischia di essere
tagliata fuori dai processi di innovazione e di restare residuale.

Per altro verso, l’avvento di un sistema multipiattaforma e multicanale rischia di rendere molto
complicato, se non vano, lo sforzo di conferire identità, diversità e riconoscibilità al servizio
pubblico radiotelevisivo. E’ evidente infatti, che in un contesto in cui operano più piattaforme
tecnologiche e centinaia di canali vecchi e nuovi (soprattutto nuovi), sarà sempre più difficile
identificare il servizio pubblico e giustificarne il finanziamento, in particolare se da parte di
quest’ultimo non si sarà compiuta una operazione di profonda riforma di assetti e offerta, tale da
renderlo differente e distinguibile dal modello della TV commerciale.

9                                       federalismi.it – focus TMT                       |n. 2/2015
Per tentare l’impresa servono molte cose. Ma cinque sfide sono ineludibili, in quanto strettamente
connesse alla prestazione di un servizio pubblico di interesse generale10:

la sfida dell’autonomia, garantita da nuove regole di governance idonee a neutralizzare il controllo
della politica sul servizio pubblico e a ridare capacità decisionale ed autorevolezza al board ed al
management ;11
la sfida dell’efficienza, attraverso un assetto organizzativo e societario più adatto alle esigenze
del nuovo contesto e con figure manageriali dotate di poteri ampi, trasparenti e verificabili;
la sfida della sostenibilità, ossia dell’equilibrio di bilancio e della tenuta dei conti, quale risultato
di più qualità, più autonomia, più efficienza organizzativa e gestionale, ma anche attraverso una
riqualificazione del canone ed una minore dipendenza dalla pubblicità, il tutto assicurato da una
più netta e sostanziale separazione tra la funzione di servizio pubblico (finanziata dal canone), la
funzione di TV commerciale (alimentata dalla pubblicità) e la funzione di operatore di rete
(quest’ultima investita dalle note recenti vicende, la tentata operazione tra EI Towers e Ray Way,
che lasciano sullo sfondo l’opzione strategica dell’operatore unico);
la sfida della qualità, intesa come una effettiva riqualificazione e valorizzazione della missione
della RAI attraverso una nuova offerta di contenuti idonei a tenere assieme missione di servizio
pubblico e capacità di adattamento alle trasformazioni dello scenario tecnologico sotto il profilo
dei gusti e delle attitudini di consumo in evoluzione;12

10 Che la prestazione del servizio pubblico in funzione di garanzia di essenziali principi di interesse
generale non sia strettamente circoscrivibile alla mera fornitura di programmi, e quindi alla sola fase
dell’ideazione, produzione e trasmissione di contenuti, ma involve l’intero complesso delle attività a
monte, e quindi, inter alia, la gestione efficiente delle risorse umane ed economiche, la tenuta degli
impianti, l’uso ottimale delle frequenze, si ricava anche da un importante pronunciamento del Consiglio di
Stato (18 dicembre 2007, sez. VI, n. 6546).
11 Dei rapporti tra RAI e politica sono pieni gli scaffali delle librerie e gli archivi dei giornali. Mi piace

ricordare in particolare due volumi ancora relativamente recenti - il primo caratterizzato da un taglio più
da ricerca storica, l’altro un pamphlet di denuncia dal taglio più giornalistico - che ci hanno raccontato fatti
e misfatti del labirintico rapporto tra partiti e servizio pubblico radio tv. Mi riferisco al saggio di Giulia
Guazzaloca, Una e divisibile. La Rai e i partiti negli anni del monopolio pubblico (1954-1975), Milano 2011 e
Giulio Borrelli. Le mani sul TG1, da Vespa a Minzolini: l’ammiraglia Rai in guerra, Roma, 2010. Da due diverse
angolazioni, una ricostruzione più generalista della storia del servizio pubblico italiano in Franco
Chiarenza, Il cavallo morente. Storia della RAI, Milano, 2012 e a E. Bernabei (intervistato da G. La Porta), Tv
qualità. Terra promessa, Roma 2003.
12 Del futuro della RAI in particolare sotto il profilo delle sfide innescate dal nuovo contesto tecnologico

digitale e dai mutamenti dell’offerta di contenuti si occupano fra gli altri S.Ercolani, C. Rognoni, Da
mamma Rai alla tv fai da te. Guida alla televisione di domani, Roma, 2009 e A. Cava, M. Centorrino, F. Firrito,
Servizio pubblico e mercato televisivo. La RAI nel passaggio dall’analogico al digitale, Roma, 2012.

10                                         federalismi.it – focus TMT                             |n. 2/2015
la sfida dell’innovazione, attraverso il perseguimento della massima efficienza degli impianti e
dell’uso ottimale delle frequenze; nonché, attraverso investimenti mirati sulla digitalizzazione della
rete e scelte puntuali nella selezione di partnership tecnologiche.

Dal complesso di queste sfide discendono alcune inderogabili linee di azione che ne costituiscono
la declinazione naturale.

Conquistare una effettiva autonomia dalla politica. La Rai deve conquistare il massimo di
autonomia e di autentico pluralismo. L’intreccio tra Rai e partiti è stato per molto tempo
considerato come una dato insuperabile del servizio pubblico radiotelevisivo. Oggi ne
conosciamo tutti gli effetti degenerativi ed è diffusa la consapevolezza che quell’intreccio
pregiudichi irrimediabilmente l’efficienza dell’azienda. Il pluralismo, ragione fondamentale di
esistenza del servizio pubblico, rischia di scadere in un sistema che non mette al centro il
cittadino ma l’invadenza dei partiti, delle lobby, dei molti centri di potere. Serve una governance che
assicuri una indipendenza effettiva del management aziendale e del board, dalla politica e dai
partiti. L’idea della Fondazione RAI – che senza troppa fortuna da dieci anni informa di sé
proposte di legge, interviste e programmi di partito – una Fondazione intestataria della quota di
controllo dell’azienda oggi di proprietà del Ministero dell’economia, detentrice del potere di
nomina del consiglio di amministrazione dell’azienda, espressione di una pluralità di voci
istituzionali, ma non necessariamente di schieramenti e maggioranze; una Fondazione che sia
garante - anche formalmente, per statuto giuridico e struttura organizzativa - dell’autonomia del
servizio pubblico dal potere politico ed economico, andrebbe probabilmente riconsiderata13. In
un contesto siffatto potrebbe anche maturare una scelta di superamento della Commissione
parlamentare di indirizzo e vigilanza, nonché compiersi il più volte richiamato riequilibrio dei

13 Una compiuta riflessione sui profili della governance della concessionaria del servizio pubblico
radiotelevisivo non può prescindere da una lettura attenta e critica dello stato della giurisprudenza in
materia di natura giuridica della RA,I e dagli interrogativi che tale giurisprudenza suscita in ordine al suo
status di società e/o ente pubblico, di interesse pubblico, o di natura privatistica . Si tratta di una
giurisprudenza oscillante e niente affatto univoca che prende le mosse da due antiche sentenze della Corte
Costituzionale (n. 81/63 e 58/65) intese ad affermare la natura privatistica della società. Tale indirizzo è
stato nel tempo via via modificato, fino a due importanti sentenze della Cassazione a Sezioni unite
(Cassaz. Civ. 23 aprile 2008, n. 10443 e 22 dicembre 2009, n. 27092) che hanno chiaramente sancito la
natura pubblicistica di RAI SpA, qualificata impresa pubblica in forma societaria e soggetta (in virtù del
pronunciamento del 2009) al giudizio della Corte dei Conti, in ragione della sua natura di ente assimilabile
ad una amministrazione pubblica. Di segno opposto, tuttavia, una più recente sentenza a Sezioni unite
della Cassazione (Cassaz. Civ., 22 dicembre 2011, n. 28330) che è tornata ad insistere sulla natura
privatistica della società

11                                        federalismi.it – focus TMT                           |n. 2/2015
poteri di indirizzo, vigilanza e controllo oggi piuttosto confusamente distribuiti nella attuale
architettura istituzionale.

Funzionare in modo efficiente. Per lungo tempo, la vecchia pratica della lottizzazione è andata
di pari passo con una perdurante instabilità dei vertici e una difficoltà strutturale ad assumere
decisioni strategiche. Mandati brevi; deleghe strategiche deboli; scarsa autonomia decisionale; turn
over qualificato in costante affanno. La Rai riformata non potrà fare a meno di regole di governance
che permettano flessibilità e rapidità per le scelte gestionali quotidiane da parte del management,
e al tempo stesso assicurino all’organo di direzione politica i poteri, l’autorevolezza ed i margini
temporali minimi di esistenza necessari all’assunzione delle scelte strategiche. Serve certamente
una figura di vertice assimilabile per poteri, funzioni e capacità decisionale, a quella di un
amministratore delegato, dotato di un mandato triennale, rinnovabile ai sensi delle disposizioni
del codice civile, e con ampi poteri di organizzazione e gestione dell’azienda. Sotto quest’ultimo
aspetto il disegno di legge AS 1880 fornisce risposte adeguate e convincenti14.

Riscuotere il canone e ridurre la dipendenza dalla pubblicità. Tutte le tv pubbliche europee
hanno un finanziamento “ibrido”, tuttavia, in Italia, nonostante il calo derivante dalla crisi
dell’ultimo quinquennio, la pubblicità continua ad avere un peso relativamente maggiore che
altrove, superiore a 1/3 dei ricavi complessivi. In pratica è accaduto che al servizio pubblico
radiotelevisivo in Italia siano stati affidate contemporaneamente due missioni di pari peso ed in
sostanziale conflitto tra loro, il perseguimento della qualità e del valore pubblico del prodotto, e il
compito di competere con le televisioni private sul fronte della raccolta pubblicitaria. Questo
duplice compito, con la contraddizione intrinseca che reca, innesca fatalmente un rischio di

14 Si riporta di seguito il testo dell’articolo 2, comma 10 del ddl AS 1880: “Il consiglio di amministrazione
nomina l’amministratore delegato su proposta dell’assemblea. L’amministratore delegato: a) risponde al
consiglio di amministra-zioni in merito alla gestione aziendale e sovrintende alla organizzazione e al
funziona-mento dell’azienda nel quadro dei piani e delle direttive definite dal consiglio di amministrazione;
b) assicura la coerenza della programmazione radiotelevisiva con le linee edito-riali e le direttive adottate
dal consiglio di amministrazione; c) firma gli atti e i contratti aziendali attinenti alla gestione della società,
provvede alla gestione del personale dell’azienda e no-mina i dirigenti apicali, sentito il consiglio di
amministrazione; d) propone all’approvazione del consiglio di amministrazione gli atti e i contratti
aziendali aventi carattere strategico, ivi inclusi i piani annuali di trasmissione e di produzione e le eventuali
variazioni degli stessi, nonché gli atti e i contratti che, anche per effetto di una durata pluriennale, siano di
importo superiore a 10 milioni di euro; e) provvede all’attuazione del piano industriale, del preventivo di
spesa annuale, delle politiche del personale e dei piani di ristrutturazione, nonché dei progetti specifici
approvati dal consiglio di amministrazione in materia di linea editoriale, investimenti, organizzazione
aziendale, politica finanziaria e politiche del personale”.

12                                          federalismi.it – focus TMT                              |n. 2/2015
omologazione dell’offerta e di peggioramento della qualità dei programmi. Ridurre questa
dipendenza significa non solo rivedere l’assetto organizzativo interno; stabilire una più netta
distinzione tra attività di servizio finanziate dal canone e attività commerciale; riflettere sulla
utilità dell’attuale organizzazione su tre reti generaliste ed una molteplicità di piccoli canali
tematici, ma anche – ovviamente – ripensare il canone, valorizzarne il ruolo, differenziarne
l’entità in ragione della capacità dei contribuente; soprattutto assicurarne, attraverso le opportune
soluzioni tecnico-giuridiche, la effettiva riscuotibilità, invertendo in tal modo la storica situazione
di evasione ed elusione, nonché garantendo all’azienda un cespite certo in un arco di tempo
pluriennale. A tale ultimo fine, va considerata l’opportunità di stabilire l’ammontare del canone
direttamente all’interno del contratto di servizio (che passerebbe da triennale a quinquennale
secondo il ddl governativo), assicurando per tale via all’azienda risorse certe lungo un arco di
tempo ragionevole. Anche su questo tema il ddl AS 1880 costituisce un utile punto di partenza,
per quanto la delega al Governo a rivedere la normativa vigente in materia dovrebbe
ragionevolmente arricchirsi di ulteriori indirizzi e principi guida, in aggiunta al corretto
riferimento alla giurisprudenza consolidata ed all’esplicitazione di condivisibili, ma generici
principi di efficienza, perequazione ed armonizzazione15.

Scommettere sul nuovo scenario tecnologico. In questi anni la RAI non ha investito a
sufficienza sul proprio futuro. La rete internet, nonostante gli sforzi di posizionamento
innegabilmente compiuti attraverso RAI net ed il portale, non è ancora utilizzata in modo
ottimale. Sul web esiste una presenza del servizio pubblico importante e di qualità, ma essa non
appare ancora il frutto di una strategia aziendale orientata alla sinergia ed allo sfruttamento
efficiente delle possibilità del multichannel. Sul satellite, si sconta in buona misura un investimento
(Tivusat) concepito secondo una logica difensiva, e per lo più orientato da esigenze operative e
competitive esogene. Il servizio pubblico dovrà essere necessariamente multipiattaforma, e

15 Si riporta di seguito il testo dell’articolo 4 del ddl AS 1880: (Delega al Governo per la disciplina del
finanziamento pubblico della RAI-Radiotelevisione Italiana Spa). 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro
dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la disciplina
del finanziamento pubblico della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, sulla base dei seguenti princìpi e criteri
direttivi: a) revisione della normativa vigente in materia di canone di abbonamento, tenendo conto della
giurisprudenza consolidata; b) efficientamento del sistema del finanziamento pubblico della RAI-
Radiotelevisione italiana Spa, in considerazione del livello di morosità riscontrata, dell’incremento delle
disdette, dell’analisi costi-benefici, nel perseguimento di politiche finalizzate a perequazione sociale ed
effettività della riscossione; c) indicazione espressa delle norme abrogate; d) armonizzazione del sistema di
finanziamento al modello societario della RAI Radiotelevisione italiana Spa”.

13                                          federalismi.it – focus TMT                             |n. 2/2015
scommettere sul digitale terrestre, sul satellite free to air e sul web, nonché su tutte le possibili forme
di sinergie reciproche. In caso contrario, continuerà la esiziale perdita di ascolti nelle fasce più
giovani della popolazione e proseguirà il trend di progressiva perdita di identità e funzione. Il
servizio pubblico dovrà continuare ad offrire canali generalisti e migliorare nell’offerta di canali
tematici. Il mantenimento del tradizionale primato sui contenuti, che è stata la chiave vincente
della RAI del passato, sarà anche la carta vincente della RAI del futuro se essa non mancherà
l’appuntamento strategico con l’innovazione.

Andare oltre la tradizione ed essere il motore del cambiamento della tv, partendo dalla
consapevolezza che la rete ha cambiato tutto. Internet, prima che una rivoluzione tecnologica, è
una rivoluzione sociale che aggredisce e trasforma i cittadini, le loro abitudini, le loro domande, le
loro priorità. Non a caso nel giro di pochi anni si è passati dalla centralità dell’hardware alla
centralità del software. A tirare le fila sono coloro che detengono i contenuti ed offrono i servizi,
non già chi mette a disposizione la rete e la connettività: la centralità di Google, Apple, Facebook e
Microsoft e l’ancillarità delle Telco costituisce la dimostrazione più plateale di tale teorema. Tutto
questo cambia radicalmente anche la natura ed il senso di un servizio pubblico radiotelevisivo,
perché sono venuti meno i vecchi colli di bottiglia che costituivano altrettante insuperabili
barriere d’ingresso per i nuovi potenziali competitors (le frequenze come risorsa scarsa, l’obbligo
conseguente di disporre di grandi capacità di investimento e di risorse ampie per l’accesso alle
infrastrutture di trasmissione, gli elevati costi di produzione, la consequenziale penuria e
inaccessibilità dei contenuti). Oggi un moderno servizio pubblico radiotelevisivo deve misurarsi
con una disponibilità senza precedenti di contenuti e format; con costi di produzione ridotti
esponenzialmente; con la moltiplicazione delle piattaforme e, nel broadcasting free to air, con la
opportunità offerta ai fornitori di contenuti non verticalmente integrati di giovarsi dei bassi prezzi
di affitto della capacità trasmissiva indotti dalla digitalizzazione e compressione del segnale. In
altri termini, e in definitiva, RAI deve oggi misurarsi con un tendenziale e generalizzato
abbassamento delle barriere di ingresso sul mercato e quindi con una competizione molto più
serrata. E’ un contesto di più agguerrita concorrenza e di proliferazione del prodotto a tutti i
livelli, quello che RAI ha davanti, che richiede una veloce ridefinizione della mission di servizio
pubblico quale risposta all’interrogativo sulla perdurante utilità e necessità di mantenere in vita i
vecchi servizi pubblici radiotelevisivi. In altre parole, o il servizio pubblico radiotelevisivo trova
modelli nuovi, oltre il broadcasting tradizionale; o impara a parlare il linguaggio della rete, a
presidiare la porta USB, a valorizzare la tv via streaming, ad approntare soluzioni linguistiche,

14                                       federalismi.it – focus TMT                           |n. 2/2015
narrative e tecnologiche all’altezza della sfida del web, o esso è destinato a soccombere sulla spinta
delle trasformazioni in atto.

E’ questo complesso di ragioni, esigenze e obiettivi a richiedere che il progetto di riforma del
servizio pubblico radiotelevisivo costituisca una occasione di profonda riforma dell’azienda
pubblica nel suo complesso. In fondo sono passati giusto quaranta anni dall’ultima riforma
organica varata dal Parlamento, nel lontano 1975. Non si tratta ormai di interrogarsi se una
riforma della RAI sia possibile, ma piuttosto di sapere che la riforma è necessaria. Il compito in
capo al Parlamento, al Governo, alla politica è tutto in questa sfida. Una sfida molto difficile.

15                                      federalismi.it – focus TMT                        |n. 2/2015
Puoi anche leggere