TRASPORTO A FUNE: SERVIZIO PUBBLICO O ATTIVITÀ ECONOMICA
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TRASPORTO A FUNE: SERVIZIO PUBBLICO O ATTIVITÀ ECONOMICA PRIVATA?1 DI LUCIA GIZZI (MAGISTRATO TAR CALABRIA, SEDE DI CATANZARO) SOMMARIO: 1. LA NOZIONE DI SERVIZIO PUBBLICO. 2. LA DISCIPLINA DEI SERVIZI PUBBLICI. 3. ASSUNZIONE E GESTIONE DEL SERVIZIO PUBBLICO. 4. LA DISCIPLINA EUROPEA. 5. LA DISCIPLINA DELL’AFFIDAMENTO DELLA GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI: EVOLUZIONE STORICA. 5.1. LA LEGGE N. 142 DEL 1990 E IL T.U. ENTI LOCALI. 5.2. LE RIFORME DEL 2001 E DEL 2003. 5.3. IL PROBLEMA DELL’AFFIDAMENTO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI ALLE SOCIETÀ A CAPITALE MISTO. 5.4. L’ART. 23 BIS DEL D.L. N. 112 DEL 2008, CONVERTITO DALLA LEGGE N. 133 DEL 2008. 5.5. IL REFERENDUM ABROGATIVO E L’ART. 4 DEL D.L. N. 138 DEL 2011, CONVERTITO DALLA LEGGE N. 158 DEL 2011. 5.6. LA SENTENZA N. 199 DEL 2012 DELLA CORTE COSTITUZIONALE E L’ATTUALE DISCIPLINA DELLA GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI DI RILEVANZA ECONOMICA. 6. IL TRASPORTO A FUNE. 6.1. NOZIONE E TIPOLOGIE. 6.2. L’AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO DI TRASPORTO A FUNE. 6.2.1. IL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE, IN GENERALE. 6.2.2. IL TRASPORTO A FUNE, IN PARTICOLARE. 6.2.3. LA NORMATIVA REGIONALE. 1. LA NOZIONE DI SERVIZIO PUBBLICO2. Non esiste, nel nostro ordinamento, una definizione legislativa di servizio pubblico3: in dottrina sono state elaborate diverse nozioni, non sempre omogenee e non sempre appaganti e prive di ambiguità. Ciononostante, si tratta di una nozione rilevante, in quanto dalla qualificazione di un’attività come servizio pubblico derivano una serie di conseguenze giuridiche4. L’elaborazione teorica del XIX secolo riteneva che le funzioni delle PP.AA. si potessero distinguere in due generi: le funzioni pubbliche in senso stretto e i pubblici servizi. Mentre le prime erano le attività aventi carattere autoritativo, che non potevano che competere al pubblico potere; il pubblico servizio era inteso come quell’attività che il pubblico potere assume, di solito per legge, ma che potrebbe essere svolta da chiunque. Se il pubblico potere la assume, è perché vi sono ragioni di pubblico interesse: si stratta comunque, pur sempre, di attività rivolta ai terzi5. In questa prospettiva, la nozione di servizio pubblico era originariamente determinata in base a un criterio residuale: ogni attività svolta da PP.AA., che non fosse pubblica funzione, era pubblico servizio. L’elemento comune di queste attività, spesso profondamente diverse tra loro, era l’elemento soggettivo: si affermò così la concezione soggettiva del servizio pubblico. Questo si caratterizza, cioè, per il fatto che una determinata attività viene attribuita all’ente pubblico, che ne assume la titolarità esclusiva. Successivamente, la concezione soggettiva del servizio pubblico è stata accolta in una versione temperata, la quale identifica la pubblicità nell’imputabilità del servizio alla P.A., ossia nella titolarità dello stesso in capo al pubblico potere, escludendo invece la necessità che il servizio stesso 1 Relazione resa al VI^ Forum giuridico europeo della neve, Bormio, 15 dicembre 2012. 2 Sul tema, per tutti: Cattaneo, Servizi pubblici, voce in Enc. Dir., vol.XLII, 1990, Milano, p. 432; Villata, I servizi pubblici, Padova, 2003; Ferrari, Servizi pubblici: impostazione e significato della ricerca di una nozione, in Foro it., 2002, I, c. 1843; Rangone, I servizi pubblici, Bologna, 1999; Police, Spigolature sulla nozione di «servizio pubblico locale», in Dir. Amm., 2007, p. 79; Aa.Vv., La riforma dei servizi pubblici locali, a cura di Villata, Torino, 2011. 3 Palliggiano, La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in Atti del Convegno – Vallo della Lucania, 26.6.2009, p. 1. 4 L’art. 340 c.p., ad esempio, incrimina l’omissione o l’interruzione di pubblico servizio; l’art. 358 c.p. riconnette alla nozione di incaricato di pubblico servizio l’effetto di trasformare un reato comune in un reato proprio; l’art. 33 della d. lgs. n. 80 del 1998 riconnetteva alla nozione di pubblico servizio la determinazione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; la legge n. 146 del 1990 disciplina l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali; l'art. 826, comma 3, c.c. fa discendere dalla destinazione a servizio pubblico l'appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile. L’art. 43 Cost. si riferisce alla nozione di servizio pubblico essenziale quale presupposto del potere di riservare allo Stato la relativa attività economica. 5 Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2000, a cura di Mirabelli Centurione, p. 581. 1
sia gestito in via diretta ed esclusiva dalla P.A. ed ammettendo la partecipazione a detta gestione anche di soggetti privati. Elemento essenziale affinché possa aversi servizio pubblico è, dunque, la determinazione della pubblica Autorità di assumerne la titolarità: ne consegue che l’attribuzione, a soggetti privati, della gestione del servizio richiede necessariamente un provvedimento di natura concessoria6. La concezione soggettiva del servizio pubblico è entrata in crisi a causa dell’istituto della municipalizzazione, cioè dell’assunzione di servizi pubblici da parte dei Comuni, che cominciò a verificarsi a partire dalla metà del XIX secolo7. Se alla produzione normativa della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, relativa appunto al fenomeno della municipalizzazione, corrisponde, nel prevalente orientamento dottrinale, una concezione soggettiva del servizio pubblico, è altresì vero che in questa fase – in cui evidentemente poteva ben accadere che una certa attività venisse dichiarata pubblico servizio in un Comune e non in un altro – comincia ad affermarsi una concezione oggettiva, secondo cui il servizio pubblico deve essere inteso come prestazione di attività idonea a soddisfare alcuni bisogni, ritenuti essenziali, dei cittadini. Il servizio pubblico viene così definito, dalla successiva e prevalente dottrina, come l’attività non autoritativa che consiste nell’erogazione di prestazioni dirette a soddisfare interessi che l’Ente pubblico, per scelte di tipo politico, ritiene indispensabili8. La figura del servizio pubblico diviene, allora, un modello generale di organizzazione che i pubblici poteri possono utilizzare per le attività rivolte a una collettività e rispondenti a un interesse generale, nella misura in cui il loro svolgimento non richieda l'esercizio di poteri autoritativi. Ai fini dell’individuazione delle attività sussumibili nella nozione di pubblico servizio, quindi, assume rilievo decisivo non già la possibilità di considerarle di pertinenza della P.A., bensì il loro consistere in attività di tipo prestazionale svolte dalla P.A. o da un soggetto privato, legato da un rapporto almeno convenzionale con la stessa, a favore di soggetti terzi appartenenti alla collettività, 6 Sul punto, Garofoli, Manuale di diritto amministrativo, Neldiritto, 2011, p. 1340. 7 Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, cit., p. 586. Il problema dei servizi pubblici locali nasce tra il XIX e il XX secolo, in relazione a imponenti fenomeni di industrializzazione, immigrazione, urbanizzazione, ecc. I comuni si trovarono costretti a gestire il disagio sociale di questi nuovi fenomeni e a fornire condizioni economiche di base per favorire il commercio e l’industria. Si verificò così una spontanea municipalizzazione dei servizi pubblici, anche se i più importanti di essi venivano gestiti in concessione da società private, le quali però praticavano un politica tariffaria che prevedeva prezzi ben più elevati dei costi, la quale era, quindi, penalizzante soprattutto per i ceti meno abbienti. Per questo, si sviluppò un indirizzo politico tendente a favorire la gestione municipale dei servizi pubblici locali: ciò, però, comportò sia problemi di bilanci per gli Enti locali, sia difficoltà normative per legittimare la gestione diretta dei servizi pubblici da parte dei Comuni, che teoricamente avrebbe dovuto riguardare i soli settori non remunerativi per i privati. Nel 1989 (legge Pelloux) fu consentita la gestione in economia da parte dei Comuni, ma solamente in mancanza di offerte di gestione di privati. Successivamente, la legge Giolitti n. 103 del 1903 municipalizzò alcuni servizi pubblici locali, prendendo atto dei casi di municipalizzazione realizzati spontaneamente e individuando le finalità che sono alla base della disciplina dei servizi pubblici: quella sociale, di redistribuzione della ricchezza; quella di autofinanziamento degli Enti locali; quella di eliminazione delle rendite monopolistiche. Il legislatore capisce, cioè, che l’iniziativa privata non è automaticamente sufficiente a risolvere il problema di rendere fruibili a tutti i servizi pubblici e consente, di conseguenza, ai Comuni e alle Province di assumere direttamente, come proprio compito, la fornitura di servizi pubblici locali, da erogare poi con gestione diretta in economia, con azienda speciale, o con concessione a privati. Agli Enti locali è lasciata la discrezionalità della scelta in ordine all’opportunità o meno di municipalizzare il servizio, essendo l’elenco contenuto nella legge meramente esemplificativo. Poiché poteva ben accadere che una certa attività venisse dichiarata pubblico servizio in un Comune e non in un altro, si pose l’evidente problema di stabilire quali caratteri dovesse avere una certa attività economica e produttiva per essere municipalizzata, ovvero, con riferimento allo Stato, nazionalizzata. La municipalizzazione dei servizi pubblici locali proseguì e si sviluppò fino al 1925: in tale fase si ribadirono le linee evolutive precedenti. Il r.d. n. 2578 del 1925, contenente il testo unico sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province, ha costituito per decenni, dopo la legge del 1903, la disciplina fondamentale della materia. Successivamente, il regime fascista cercò di limitare le municipalizzazioni dei servizi, attribuendo ai Comuni il mero controllo sugli stessi. Tuttavia, dopo la crisi economica del 1929-1930, anche il regime fascista fu favorevole alle municipalizzazioni. 8 Sul tema: Pototschnig, I pubblici servizi, Padova, 1964. 2
che ne beneficiano in qualità di utenti9. Non è, invece, servizio pubblico l’attività alla quale non corrisponda una specifica pretesa degli utenti, come avviene per la gestione di un’opera pubblica o anche per i servizi resi direttamente all’amministrazione. I pubblici poteri, peraltro, hanno normalmente la facoltà di determinare, in base ai propri scopi, quali attività di produzione di beni e di servizi siano assunte come doverose, purché genericamente rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità di riferimento. Quel che rileva, quindi, è la scelta politico-amministrativa dell’Ente pubblico di prendere in carico il servizio, al fine di soddisfare, in modo continuativo, obiettive esigenze della collettività di riferimento. In dottrina, il declino della concezione soggettiva del servizio pubblico è stato motivato con riferimento ad una pluralità di dati normativi. Si fa riferimento in particolare all’art. 43 Cost., il quale – nel prevedere che, ai fini di utilità generale, la legge può riservare o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad Enti pubblici o a comunità di lavoratori e di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali – ammette sia che imprese esercenti servizi pubblici siano di pertinenza privata e dai privati trasferite allo Stato o ad altri Enti pubblici, sia che i destinatari di detto trasferimento siano comunità di lavoratori o di utenti, ossia soggetti a loro volta privati. In tal caso, a questi è trasferita non già la mera gestione del servizio pubblico essenziale, ma la sua stessa titolarità. Anche la disciplina dei servizi pubblici locali, sin dall’art. 22 della legge n. 142 del 1990, ha deposto nel senso di una concezione oggettiva del servizio pubblico, prevedendo, tra le modalità di gestione dello stesso, delle fattispecie in cui viene conferita a soggetti di natura privatistica (quali le società a capitale misto pubblico-privato) la stessa titolarità del servizio, e non solamente la sua gestione, senza bisogno di un provvedimento concessorio. La nozione di servizio pubblico in senso oggettivo, infatti, indica un’attività rilevante per la sua inerenza a un pubblico interesse, che può essere svolta tanto da privati quanto da pubblici poteri: ciò che rileva è l’attività oggettivamente considerata, non chi la svolge10. Vi è anche chi ritiene, in dottrina, che, per delimitare la nozione di servizio pubblico, possa considerarsi superata la contrapposizione tra la concezione c.d. soggettiva, che guarda alla natura pubblica del soggetto che eroga il servizio, e quella c.d. oggettiva, che guarda invece al destinatario del servizio. Il servizio è considerato pubblico perché rivolto al pubblico degli utenti, per la soddisfazione continuativa dei bisogni della collettività, e perchè, a monte, un soggetto pubblico lo assume come doveroso, anche se poi materialmente sia gestito da un privato11. La qualificazione di servizio pubblico locale spetta, insomma, a quelle attività caratterizzate, sul piano oggettivo, dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a valutazioni di carattere eminentemente politico, e, sul piano soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di rapporti concessori o di partecipazione all'assetto organizzativo dell’Ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico. 2. LA DISCIPLINA DEI SERVIZI PUBBLICI. 9 Volpe, Appalti pubblici e servizi pubblici. Dall’art. 23-bis al decreto legge manovra di ferragosto 2011 attraverso il referendum: l’attuale quadro normativo, in www.giustizia-amministrativa.it, p. 1. 10 Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, cit., p. 589. 11 Palliggiano, La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., p. 3, secondo cui il servizio pubblico è più esattamente individuabile nella relazione tra soggetto pubblico, o anche privato, che organizza un’offerta pubblica di prestazioni rendendola doverosa, ed utenti, al fine di soddisfare in modo continuativo i bisogni della collettività di riferimento, in capo alla quale sorge un’aspettativa giuridicamente rilevante. Si veda anche: Police, Spigolature sulla nozione di «servizio pubbli-co locale»., cit., p. 79, secondo cui la nozione soggettiva ed oggettiva di servizio pubblico si pongono sempre in rapporto di mutua implicazione e il fattore che differenzia il servizio pubblico, da una attività anche oggettivamente analoga, è la valutazione effettuata dalla pubblica Amministrazione sulla “doverosità” del porre tale servizio a disposizione dei cittadini. Momento fondamentale delle vicende di un servizio pubblico è, infatti, quello in cui l’Ete politico assume su di sé la titolarità del compito-servizio. Anche alla luce dell’ordinamento europeo, quindi, la decisione (discrezionale) di assumere in carico all’Amministrazione un certo servizio per meglio incontrare le esigenze della collettività territoriale è il perno su cui ruota tutta la nozione di servizio pubblico. 3
Non esiste una disciplina generale in materia di servizi pubblici. Vi sono però molte norme che riguardano singoli servizi, o nel senso che li concernono espressamente (es. istruzione: 33, 34 Cost.) o nel senso che, stabilendo determinati diritti, pongono il corrispondente dovere degli Enti di soddisfarli (es. cure gratuite agli indigenti art. 32 Cost.). I servizi pubblici nazionali sono disciplinati da leggi statali di settore (trasporti, energia, istruzione, telecomunicazioni, ecc.). Vi sono poi leggi statali e regionali di settore, quando il servizio sia oggetto di una potestà legislativa concorrente (es. sanità). Una normativa generale sui servizi pubblici, che si somma alle normative settoriali che concernono singoli servizi, è stata, invece, introdotta con riferimento ai servizi pubblici locali nel testo unico degli Enti locali (d.lgs. n. 267 del 2000, art. 112 ss.), che, peraltro, negli ultimi anni, è stato più volte riformato e parzialmente abrogato. Individuare la disciplina applicabile ai servizi pubblici è, dunque, spesso complesso. Questo assetto normativo poco lineare e sovrabbondante deriva da due ragioni essenziali. La prima è che non esiste un elenco tassativo di servizi pubblici, e anzi spesso ci si trova a dibattere in sede giurisdizionale sul problema se una determinata attività abbia o no la natura di servizio pubblico. In effetti, la qualificazione giuridica delle attività è variabile, come lo sono i bisogni e gli interessi, perché cambia nel tempo e con il mutare delle opinioni e delle condizioni di mercato: qualsiasi attività può essere qualificata servizio pubblico se un Ente territoriale ritiene che corrisponda a un interesse a protezione necessaria e, al contrario, anche attività che rispondano a diritti fondamentali, possono non avere tale qualificazione se il mercato ne garantisce la soddisfazione. La seconda ragione, che spiega la particolare frequenza dell’attività legislativa negli ultimi anni, consiste nell’attualità del problema delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni. È quindi ben spiegabile come, in un contesto nel quale è in diminuzione l’ambito della sfera pubblica, quanto meno sotto il profilo della gestione diretta delle attività, la materia dei servizi pubblici sia oggetto di frequenti incursioni normative che danno luogo a un groviglio difficilmente districabile. 3. ASSUNZIONE E GESTIONE DEL SERVIZIO PUBBLICO. Nell’ambito della disciplina dei servizi pubblici, deve in via preliminare distinguersi tra assunzione del servizio e sua erogazione12. Ogni Ente pubblico può assumere una determinata attività e istituire il relativo servizio pubblico, se ciò corrisponde a un interesse la cui soddisfazione è ritenuta necessaria. Assumere un’attività a servizio pubblico per un Ente territoriale significa, infatti, semplicemente garantire che la sua prestazione sia svolta con modalità tali da assicurare adeguati livelli di garanzia di un interesse a protezione necessaria. Il servizio pubblico è assunto dal soggetto pubblico con legge o con un atto generale, che ne rende doverosa la conseguente attività. Il momento dell’assunzione, dunque, non può che essere riservato all’Autorità pubblica, perché consegue a una valutazione dei bisogni da soddisfare ad essa appunto riservata. La decisione di assunzione di un’attività a servizio pubblico ha natura politica, esprimendo un giudizio di valore su ciò che l’Ente ritiene necessario per soddisfare taluni bisogni preminenti dei cittadini. L’Autorità politica ritiene di non poter lasciare la soddisfazione di certi interessi al libero funzionamento del mercato, a volte perché questo potrebbe non fornire una certa prestazione in quanto antieconomica, a volte perché potrebbe fornirla a prezzi che l’Ente ritiene eccessivi o secondo modalità e standards ritenuti insufficienti. Il giudizio politico è, ovviamente, soggetto all’incidenza del tempo: ciò che un Ente riteneva necessario ieri, a causa dell’evoluzione tecnologica o per l’emergere di nuovi interessi sociali, può non esserlo più oggi. Alla fase dell’assunzione del servizio, segue quella della sua erogazione, ossia la concreta attività volta a fornire la prestazione13. 12 Caia, I servizi pubblici, in Aa.Vv., Diritto amministrativo, a cura di Mazzarolli, Pericu, Romano, Roversi Monaco, Scoca, vol. II, Bologna, 2005, p. 131. 4
L’Ente titolare del servizio può decidere di gestire il servizio direttamente ovvero di affidarlo a soggetti diversi. Ovviamente, nelle ipotesi in cui l’Ente titolare del servizio non si occupi anche della sua gestione, riserverà a sé poteri di regolazione e controllo dell’attività. Fino a quando è stata preminente la concezione soggettiva del servizio pubblico, si è considerato servizio pubblico solo il servizio svolto da un soggetto pubblico. In quest’ottica, la gestione o è stata direttamente svolta dall’Ente territoriale (con i suoi stessi uffici o con organizzazione a sé legate, come l’azienda autonoma o l’istituzione) o è stata affidata ad Enti pubblici (le c.d. aziende speciali). La conseguenza più rilevante della concezione oggettiva è che il soddisfacimento dell’interesse pubblico può essere assicurato anche solamente da privati, senza che l’Ente pubblico assuma ruoli di prestazione diretta, conservando semplicemente poteri di regolazione delle attività private svolte ed esercitate in concorrenza tra loro. L’intervento statale e degli altri Enti territoriali, in questo caso, si limita ad un’attività di regolazione delle attività private, attraverso vari strumenti correttivi delle energie del mercato (es. obblighi di servizio pubblico, contratti di servizio, poteri di approvazione tariffaria o di determinazione di tariffe più basse di quelle derivanti dal gioco concorrenziale, carte di servizio ecc.). La nozione di servizio pubblico in senso oggettivo ha dato così copertura dogmatica anche ai processi di liberalizzazione delle attività economiche in precedenza svolte in monopolio, resi possibili dalla distinzione concettuale tra la gestione del servizio e la regolazione da parte di soggetti pubblici. La liberalizzazione delle attività economiche è stata, infatti, l’obiettivo perseguito negli ultimi anni in tema di servizi pubblici economici, i quali sono stati interessati da processi di apertura dei mercati prima riservati interamente al soggetto pubblico gestore. Dove possibile si è passati, dalla gestione in monopolio, a servizi prestati in concorrenza da imprese pubbliche e private abilitate a svolgere l’attività sulla base di semplici autorizzazioni o, in qualche caso, sulla base di denunzia di inizio attività14. Attualmente, anche in seguito all’evoluzione della nozione di servizio pubblico e dei processi di liberalizzazione e di privatizzazione degli stessi, si possono distinguere i diversi modelli di gestione dei servizi pubblici: a) modelli di gestione diretta da parte dell’Ente pubblico; b) modelli di gestione da parte di privati (imprese individuali o società), legittimati con atto amministrativo. Il primo modello prevede la produzione in proprio, da parte della P.A., dei servizi da erogare in favore del pubblico, anche mediante l’affidamento diretto a strutture societarie talmente legate all’Ente pubblico da costituirne mere proiezioni organizzative (il c.d. affidamento in house). Il secondo, invece, presuppone un’esternalizzazione del servizio, mediante l’affidamento a soggetti terzi selezionati nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici15. In posizione intermedia, si pone il modello del partenariato pubblico-privato istituzionalizzato, ossia delle società a capitale misto, in cui il socio privato è scelto mediante 13 La gestione del servizio è l’attività comprensiva sia della predisposizione dei mezzi necessari per erogare il servizio (ad es. acquisto dei beni a ciò necessari, come autobus, cattedre ecc.), sia di fornitura della prestazione vera e propria. 14 La totale liberalizzazione, però, è un obiettivo che non può essere raggiunto nei casi in cui siano presenti dei fattori di carattere oggettivo, che fanno assumere all’attività i caratteri del monopolio naturale (es. risorse scarse). Nei casi di servizi a rete, ad esempio, quando la rete manca, è improbabile che un privato affronterà le spese di costruzione in assenza della certezza della gestione almeno per il periodo necessario a compensare gli investimenti. Quando, poi, l’infrastruttura c’è, è in concreto molto improbabile che avvenga la duplicazione della rete, anche se in astratto ogni gestore potrebbe costruire la propria. L’apertura alla concorrenza, in questo caso, può avvenire separando la gestione della rete dalla gestione del servizio e mantenendo ferma la titolarità e la gestione pubblica dell’infrastruttura; la concorrenza si svolge tra le imprese cui è riconosciuto il diritto di accedere all’infrastruttura a condizioni di parità e che prestano l’attività liberamente, sulla base di titoli abilitativi non discriminatori. 15 Garofoli, Manuale di diritto amministrativo, cit. p. 199. 5
procedura di evidenza pubblica, trasparente e concorsuale, e a cui il servizio viene poi affidato in via diretta. La gestione diretta del servizio da parte dell’Ente pubblico può avvenire tramite strutture organizzative dell’Ente stesso, che giuridicamente rimangono suoi organi (es. per la gestione di asili comunali), oppure, per garantire una maggiore autonomia, tramite entità soggettivamente distinte dall’Ente di riferimento. Per i servizi sociali (sanità, assistenza, istruzione)16, in larga parte garantiti gratuitamente (es. scuola pubblica obbligatoria e gratuita per almeno 8 anni, art. 33 Cost.), la formula organizzativa è di solito quella dell’Ente pubblico non economico (es. istituzioni scolastiche, aziende per i servizi alla persona derivanti dalla trasformazione delle Ipab, consorzi di gestione ecc.); in qualche caso è l’Azienda speciale (es. ASP, aziende ospedaliere ecc.). Per i servizi pubblici economici, può essere utilizzata la categoria degli Enti pubblici economici, che pur non avendo scopo di lucro, a differenza di quelli non economici, utilizzano il diritto privato (contratti ecc.) e devono tendenzialmente perseguire il pareggio di bilancio. A questi, va aggiunto il modello di gestione costituito da Enti pubblici aventi la struttura di società per azioni, solo formalmente privatizzati (es. Poste Italiane s.p.a.), in cui cioè il capitale sociale è ancora interamente detenuto dal soggetto pubblico17. Quando la gestione è privata, il soggetto privato agisce sulla base di un atto amministrativo, che lo abilita a svolgere l’attività di servizio pubblico. Si tratterà di concessione (es. gestione strade e autostrade di proprietà dello Stato ad Anas s.p.a.) oppure di autorizzazione (es. farmacie private, accreditamento di cliniche private), oppure di altro atto equivalente di nome diverso, quali licenze (es. taxi), licenza individuale (es. nel settore postale per lo svolgimento di servizi rientranti nell’ambito del servizio universale, ma non riservati a Poste Italiane s.p.a., art. 5 d. lg. n.261/1999). 4. La disciplina europea. In ambito comunitario non viene utilizzata l’espressione servizio pubblico, probabilmente in considerazione del fatto che questa nozione non è univoca e presenta, nei vari Stati membri, diversi significati18. Nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea figura, invece, la nozione di servizio di interesse economico generale (SIEG)19. 16 I servizi sociali sono quelli orientati, prevalentemente, alla promozione del benessere della persona. L’art. 128 del d. lgs. n. 112 del 1998, ad esempio, definisce “servizi sociali” tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita. 17 Analoghi sono i modelli di gestione a livello locale: è Ente pubblico economico l’azienda speciale (es. consorzi per la gestione dei rifiuti, azienda per i servizi alla persona), è ente pubblico non economico l’istituzione (es. servizi sociali). Dopo la trasformazione in società per azioni di gran parte delle aziende speciali che gestivano servizi pubblici locali e le recenti modifiche, il modello dell’azienda speciale è stato in larga parte sostituito dallo strumento della società di capitali. Per i servizi a livello locale privi di rilevanza economica (i servizi sociali) l’art. 113 bis del TUEL prevedeva l’affidamento diretto a istituzioni, aziende speciali, società a capitale interamente pubblico su cui l’Ente svolge un controllo analogo a quello che svolge sui servizi da lui erogati direttamente, a fondazioni; in ragione delle modeste dimensioni o delle caratteristiche del servizio era possibile la gestione in economia (cioè attraverso gli uffici dell’Ente), o in presenza di ragioni tecniche economiche o di utilità sociali l’affidamento a privati selezionati tramite una gara. L’art. 113 bis è stato però dichiarato incostituzionale (sent. n. 272/2004), perché la materia dei servizi privi di rilevanza economica esula dalla competenza legislativa statale. Tuttavia nulla esclude che le Regioni adottino regole analoghe a quelle dell’art. 113 bis citato. 18 Palliggiano, La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., p. 6. 19 Rinvenibile, in particolare, negli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Si osservi che alla materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non è interessata da normative di diritto derivato, si applicano i soli principi dei Trattati nella interpretazione fornitane dalla Commissione (tra cui, in particolare, le Comunicazioni del 26 settembre 1996 e del 19 gennaio 2001 su “I servizi di interesse generale in Europa”; il Libro Verde su “I Servizi di interesse generale” del 21 maggio 2003; il Libro Bianco su “I Servizi di interesse generale” del 12 maggio 2004; la Comunicazione “I servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un impegno europeo” 725 del 20 novembre 2007; la Comunicazione “Riforma delle norme UE in materia di aiuti di Stato relativamente ai servizi di interesse economico generale” del 23 marzo 2011), e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e del Tribunale di primo grado (tra cui, in particolare, Corte di Giustizia 11 gennaio 2005, C-26/03 (Stadt Halle); 13 no-vembre 2008, C-324/07 (Coditel Brabant); 9 giugno 2009, C-480/06 (Commissione c. Repubblica Federale di Germania); 10 settembre 2009, C-573/07 (Sea); 15 ottobre 2009, C-196/08 6
L’art. 14, in particolare, riconosce a questi servizi un’importanza fondamentale per i valori comuni dell’Unione europea, nonché un ruolo di promozione della coesione sociale e territoriale, attribuendo all’Unione e agli Stati membri la competenza a provvedere “affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti”. Le disposizioni dei Trattati, peraltro, lasciano impregiudicata la competenza degli Stati membri a fornire, a commissionare e ad organizzare servizi di interesse generale non economico20. Il protocollo n. 26 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, poi, chiarisce che tra i valori comuni dell’Unione, con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale ai sensi dell'art. 14 del Trattato, si individuano: “il ruolo essenziale e l’ampio potere discrezionale delle Autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti”; “la diversità tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse”; “un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell’utente” (art.1). Come chiarito dalla Corte Costituzionale21, “in base alle interpretazioni elaborate al riguardo dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia) e dalla Commissione europea (in specie, nelle comunicazioni in tema di servizi di interesse generale in Europa del 26 settembre 1996 e del 19 gennaio 2001; nonché nel libro verde su tali servizi del 21 maggio 2003), emerge con chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all’ambito locale, e quella interna di servizio pubblico locale di rilevanza economica hanno contenuto omologo”. Entrambe le nozioni, infatti, fanno riferimento a un servizio che è reso mediante attività economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa quale attività di offerta di beni e servizi sul mercato, e fornisce prestazioni considerate necessarie, dirette cioè a realizzare fini sociali, nei confronti di una generalità indifferenziata di soggetti. Le due nozioni, inoltre, assolvono l’identica funzione di identificare i servizi la cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo procedure competitive ad evidenza pubblica22. Il Trattato, in particolare, prescrive che i servizi di interesse economico generale, in linea di principio, siano assicurati da imprese pubbliche e/o private in concorrenza. Tuttavia, il principio di concorrenza può essere derogato se la sua applicazione rischia di compromettere la “missione di interesse generale” affidata ai soggetti pubblici. Se le finalità di interesse generale sono, cioè, compromesse dall’applicazione del diritto europeo, lo Stato membro è legittimato a riconoscere diritti speciali ed esclusivi ad un’impresa pubblica, in deroga all’ordinaria regola della concorrenza23. Il Trattato, quindi, non esclude qualsiasi limitazione del mercato. Per contro, laddove le energie concorrenziali non assicurino un’adeguata tutela dei fini di interesse generale che il servizio è diretto a soddisfare, si legittima l’intervento pubblico. Gli Stati membri possono, allora, istituire enti pubblici o imprese pubbliche nazionali, attribuendogli diritti speciali ed esclusivi, purché ciò avvenga nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. La deroga all’ordinario regime di concorrenza, giustificata da esigenze di interesse generale individuate dallo Stato membro, dovrà avvenire mediante una misura proporzionata alla tutela di quelle stesse esigenze. (Acoset); nonché dalla sentenza del Tribunale di primo grado 12 febbraio 2008, T-289/03 (British United Provident Association - BUPA). 20 Art. 2 del Protocollo n. 16 del TFUE. 21 C.Cost. sentenza n. 325 del 2010. Vedi anche, sul punto, Corte cost. sentenza n. 272 del 2004. 22 C. Cost. sentenza n. 325 del 2010. 23 Art. 106 TFUE, secondo cui “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione”. 7
In conclusione, deve osservarsi come sia riconosciuta ampia discrezionalità agli Stati membri in ordine all’individuazione dei servizi che intendono assumere come SIEG, con l’unico limite, sindacabile dalle istituzioni europee, dell’“errore manifesto”. Laddove un determinato servizio sia stato legittimamente assunto come SIEG, le Autorità pubbliche sono sostanzialmente libere di scegliere non solo come organizzarlo, ma anche come gestirlo, secondo una delle seguenti modalità: mediante gestione diretta, rimessa alle proprie strutture e ai propri servizi (senza alcun limite dimensionale); mediante affidamento diretto della gestione a figure soggettive sostanzialmente pubbliche, che posseggano i noti requisiti del modello in house; mediante affidamento diretto a società miste, purché siano rispettati i requisiti di cui si dirà nel prosieguo; infine, mediante affidamento a imprenditori e società private individuati attraverso l’espletamento di procedure ad evidenza pubblica, in un’ottica di concorrenza per il mercato24. Il diritto europeo mostra, infatti, un’indifferenza di principio circa la possibilità che l’Ente pubblico svolga il servizio di interesse economico generale direttamente, ovvero ne affidi la gestione all’esterno della sua organizzazione, purché ciò avvenga in favore di soggetti selezionati tramite procedure competitive, che garantiscano eque condizioni di accesso per tutti gli operatori economici potenzialmente in grado di prestare il servizio25. Insomma, Unione europea e Stati membri hanno competenze distinte in materia di servizi pubblici, pur assumendo una responsabilità condivisa per renderli compatibili con un mercato aperto e concorrenziale. Mentre agli Stati membri spetta il potere di individuare le attività economiche da qualificare come servizi pubblici, il livello territoriale della loro prestazione, nonché le modalità della loro erogazione, anche assegnando specifici obblighi di servizio agli operatori economici; alle istituzioni europee spetta il compito di fissare la disciplina di principio affinché l’erogazione e il finanziamento del servizio avvengano in conformità alle norme sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato, che si applicano anche ai SIEG, salvo che ciò non ostacoli il loro svolgimento e la soddisfazione delle fondamentali esigenze dei cittadini26. Un ulteriore e diverso concetto, che si affianca a quello di servizio pubblico, elaborato dal diritto europeo, è quello di “servizio universale”. Esso esprime l’idea che un nucleo di prestazioni – in considerazione dell’importanza e della funzione sociale che rivestono – siano assicurate a tutti i cittadini, a prescindere dalla loro posizione geografica e dalla scarsa appetibilità economica dell’attività, e a prezzi abbordabili27. Il servizio universale è, quindi, caratterizzato dall’indispensabilità e si pone, pertanto, come sottoinsieme dell’insieme delle attività costituenti il servizio pubblico, come sua parte irrinunciabile per gli Stati. 5. La disciplina dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali: evoluzione storica. Nell’ambito dei servizi pubblici, una disciplina generale è stata introdotta con riferimento ai servizi pubblici locali28. 5.1. La legge n. 142 del 1990 e il T.U. Enti locali. Ciò è avvenuto, in un primo momento, con la legge n. 142 del 1990, recante l’ordinamento delle autonomie locali, il cui art. 22 prevedeva che i pubblici servizi potessero essere gestiti in economia; 24 Gruner, Liberalizzazioni ed autonomie locali, in www.giustamma.it, n. 10/2012, p. 40. 25 Luciani, “Pubblico”e “privato” nella gestione dei servizi economici locali in forma societaria, cit., p. 27. In questa prospettiva, la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12.12.2006, relativa i servizi nel mercato interno, riconosce agli Stati membri di individuare, in conformità al diritto comunitario, i SIEG, di deciderne le modalità organizzative e finanziarie, di stabilire gli obblighi di servizio pubblico da imporre ai prestatori. Gli Stati membri possono quindi scegliere di liberalizzare il servizio, ovvero di mantenerlo in regime di esclusiva in favore di Enti pubblici o privati, in base a congrue motivazioni di interesse generale. 26 Luciani, “Pubblico”e “privato” nella gestione dei servizi economici locali in forma societaria, cit., p. 27. 27 Palliggiano, La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., p. 6. 28 Per una ricostruzione della disciplina dei servizi pubblici e della sua evoluzione: Palliggiano, La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., p. 13; Caia, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, in www.giustizia-amministrativa.it; Garofoli, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 1344; Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, p. 717; De Ieolo e Lopilato, La riforma dei servizi pubblici locali, in Legisl., 2002, p. 1347; nonché con particolare riferimento al modello della società a capitale pubblico-privato, Volpe, Le società miste nei servizi pubblici locali: evoluzione o involuzione di un modello?, in Urb. App., 2003, n. 6. 8
mediante affidamento in concessione a terzi; a mezzo di azienda speciale, di istituzione o di società per azioni a prevalente capitale pubblico. L’art. 113 del T.U. Enti locali (d. lgs. n. 267 del 2000) ha recepito e assorbito la legge n. 142 del 1990 e le successive modificazioni e integrazioni, prevedendo nella sua versione originaria le seguenti forme di gestione dei servizi pubblici locali: 1. gestione in economia: i servizi sono erogati da un settore dell’Amministrazione, tramite il personale dell’Ente locale, quando le modeste dimensioni o le caratteristiche del servizio rendono non opportuna la costituzione di un’azienda o di un’istituzione; 2. in concessione a terzi, qualora sussistano ragioni di carattere tecnico (per il fatto che le attrezzature tecnologiche di gestione richiedono professionalità, esperienze o ingenti capitali di cui l’amministrazione non dispone) ovvero di natura economica (allorché il costo del servizio affidato a terzi comporti un costo di gran lunga inferiore); 3. a mezzo di azienda speciale (ente strumentale dell’Ente locale, con personalità giuridica propria e autonomia patrimoniale), quando lo svolgimento del servizio implica un’attività imprenditoriale caratterizzata da snellezza, managerialità ed autonomia; 4. a mezzo di istituzione (priva di personalità giuridica), per l’esercizio di servizi sociali che non abbiamo rilevanza imprenditoriale; 5. a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale, qualora si fosse ravvisata l’opportunità, in relazione alla natura del servizio da erogare, di fare partecipare alla gestione altri soggetti pubblici o privati (a partire dalla legge n. 498 del 1992, il requisito della prevalenza della partecipazione pubblica è venuto meno). La previsione di società a capitale misto costituite per gestire il servizio pubblico ha posto, sin dall’inizio, diversi problemi: quello della natura giuridica della società stessa; quello riguardante le modalità di scelta del socio privato; quello di stabilire se, una volta individuato il socio e costituita la società, occorresse una seconda gara per l’affidamento in concreto del servizio. Il primo problema è stato risolto ad opera della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha ben presto chiarito che “le società per azioni costituite dai Comuni e dalle Province a norma dell’art. 22 della legge n. 142 del 1990 per la gestione di pubblici servizi, operano come persone giuridiche private, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’Ente pubblico nei confronti del quale hanno assunto l’obbligo di gestire il servizio, atteso che, da un lato, il rapporto tra l’Ente territoriale e la società non è riconducibile né alla figura della concessione di pubblico servizio, né all’ipotesi di concessione per la costruzione di opere pubbliche e che, dall’altro, non è consentito all’Ente pubblico locale di incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività delle società mediante l’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali, ma l’Ente territoriale potrà avvalersi, per il perseguimento del pubblico interesse, dei soli strumenti del diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della succitata società”29. La S.p.A. costituita ex art. 22 legge n. 142 del 1990 è, quindi, di natura privata. Con la medesima sentenza, i giudici di legittimità hanno ritenuto che, nel caso in cui l’Ente locale costituisca una società per azioni a partecipazione pubblica per la gestione di un determinato servizio pubblico, l’affidamento del servizio alla società può avvenire in modo diretto senza che sia necessaria l’emanazione di un atto in concessione30. La società per azioni cioè, una volta costituita, può ottenere la gestione del servizio pubblico prescindendo dal provvedimento concessorio e dalla conseguente procedura di gara. Altrimenti, si osservava, la costituzione della società da parte dell’Ente locale, senza alcuna certezza che la stessa 29 Cass., Sez. Un., n. 4991 del 1995. Sul punto, si veda: Caringella, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 720. 30 Nello stesso senso, successivamente, Cass., Sez. Un., n. 754 del 1999. La tesi è stata poi recepita anche dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Ad. Gen., parere n. 90 del 1996; Cons. Stato, n. 1289 del 2003; n. 1145 del 2003; n. 2297 del 2002; n. 1547 del 2004). 9
avrebbe effettivamente gestito il servizio pubblico, sarebbe stata in contrasto con il principio di ragionevolezza e di economicità31. A sostegno dell’affidamento diretto, inoltre, si richiamava l’art. 113 TUEL, che, nel suo testo originario, tra le diverse forme di gestione del servizio pubblico poneva in alternativa tra loro, da un lato, la concessione, per la quale è richiesta la procedura concorsuale, e, dall’altro, la società per azione a partecipazione pubblica, per la quale è richiesta la procedura concorsuale per la ricerca del socio32. La società mista, insomma, rappresenta un modello organizzativo diverso dalla concessione a terzi: la deliberazione dell’Ente di costituire una società mista per la gestione di un servizio pubblico locale determina allora, come effetto previsto dalla norma, che, una volta costituita, la società stessa possa produrre il servizio, perché questa è l’attività economica il cui esercizio costituisce il proprio oggetto sociale. Sicché non è necessario, ma neppure giuridicamente configurabile un provvedimento amministrativo di concessione. Lo stesso art. 113, in quanto indica come possibile modello di gestione di un servizio pubblico locale la società di capitali partecipata dal Comune, per ciò stesso configura come legittimo oggetto di una società, di cui l’Ente locale promuova la costituzione insieme a privati, lo svolgimento dell’attività consistente nel porre il servizio a disposizione della comunità locale: dunque, a determinare l’effetto giuridico per cui la società risulti investita della titolarità della gestione, basta il provvedimento amministrativo che consiste nel deliberare di promuoverne la costituzione33. Con riferimento, infine, al sistema di selezione del socio privato, l’art. 22 della legge n. 142 del 1990, originariamente, non disponeva nulla. Tuttavia, la prevalente giurisprudenza si è orientata nel senso di ritenere necessario lo svolgimento di una gara pubblica per la scelta del socio privato nel procedimento di costituzione delle società miste: in tal modo, la mancanza della fase concorsuale nell’individuazione dell’affidatario del servizio sarebbe stata compensata, si riteneva, dall’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica per la selezione del socio34. La disciplina così delineata, però, non è stata ritenuta compatibile con i principi comunitari, tanto che nel 1999 la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione, ravvisando l’evidente incompatibilità tra l’art. 22 della legge n. 142 del 1990 (poi art. 113 TUEL), nella parte in cui permetteva l’affidamento diretto al socio privato, e le direttive CEE 92/50 e 93/30, in relazione al mancato rispetto dei principi di concorrenza, trasparenza, parità di trattamento e proporzionalità. 5.2. Le riforme del 2001 e del 2003. L’art. 35 della legge n. 448 del 2001 (finanziaria per il 2002) ha ridisegnato il sistema dei servizi pubblici locali, ispirandosi al principio di separazione tra le strutture e il servizio 35. Per le prime, l’art. 35 stabiliva che la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, se degli Enti locali, fosse ad essi riservata e potesse essere ceduta solamente a società di capitali, con partecipazione di maggioranza (incedibile) degli Enti locali (art. 113, comma 13). Se detta proprietà non è degli Enti locali, i proprietari possono essere autorizzati a gestire direttamente i servizi. Per la gestione del servizio, il legislatore introduceva un’importante distinzione tra servizi pubblici locali “di rilevanza industriale” e “servizi privi di rilevanza industriale”. 31 Per una sintetica ma esaustiva ricostruzione della problematica: Palliggiano, La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, cit., p. 16; Volpe, Le società miste nei servizi pubblici locali: evoluzione o involuzione di un modello?, cit., p. 5. 32 Caringella, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 724. 33 Caia, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, cit., p. 8. 34 Cons. Stato n. 4586 del 200; n. 198 del 1998; n. 435 del 1998n. 917 del 2002. 35 Sulla disciplina introdotta dalla legge n. 448 del 2001: Calcagnile, Verso una nuova disciplina dei servizi pubblici locali?, in www.giustizia-amminsirativa.it; San Mauro, L’art. 35 della legge finanziaria 2002. Prime note sui principi in tema di regolazione dei servizi pubblici locali, in Cons. Stato, 2002, II, p. 2119; Volpe, Le società miste nei servizi pubblici locali: evoluzione o involuzione di un modello?, cit., p. 8; Alesio, I servizi pubblici locali: preso della tradizione e nuovo assetto delineato dalla Finanziaria 2002, in www.lexitalia.it. 10
Questi ultimi potevano essere gestiti tramite istituzioni, aziende speciali anche consortili, società di capitali costituite o partecipate dagli Enti locali. Era consentita, inoltre, la gestione in economia, solamente in presenza di servizi di modeste dimensioni o, per le caratteristiche loro proprie, tali da rendere non opportuno l’affidamento ad altro soggetto. Per i servizi pubblici locali di rilevanza industriale, invece, il legislatore introduceva una disciplina concorrenziale per il mercato, escludendo sia la gestione diretta – in economia o tramite aziende speciali – sia l’affidamento diretto e consentendo solamente l’affidamento a società di capitali, mediante procedura ad evidenza pubblica36. Mentre il sistema anteriore alla riforma del 2001 era improntato alla pluralità di modelli di gestione consegnati dal legislatore all’autonoma scelta degli Enti locali, era ora prevista, invece, una sola forma di gestione utilizzabile per i servizi pubblici locali di rilevanza industriale: la concessione a terzi selezionati mediante procedure concorrenziali. Successivamente, il legislatore è intervenuto nuovamente nella materia con il d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, e con la legge n. 350 del 200337. In primo luogo, è stata sostituita la distinzione tra servizi pubblici di rilevanza industriale e privi di rilevanza industriale, con quella tra servizi pubblici di rilevanza economica e privi di rilevanza economica38. Inoltre, nella prospettiva della piena realizzazione del principio della concorrenza, il legislatore ha fissato il principio generale della separazione tra proprietà della rete, gestione della stessa ed erogazione del servizio, assicurando in ogni caso l’accesso alla rete ai soggetti legittimati all’erogazione del servizio 39. Infine, con riguardo all’erogazione dei servizi locali di rilevanza economica, l’art. 113, comma 5, TUEL ha ripristinato la possibilità per gli Enti locali di scegliere tra una pluralità di modelli di gestione, nel momento in cui si trovano a deliberare in ordine all’organizzazione del servizio40. 36 La Commissione europea ha riconosciuto che il nuovo testo dell’art. 113 TUEL, modificato dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001, ponesse come regola generale l’affidamento dell’erogazione dei servizi di rilevanza industriale tramite gare con procedura ad evidenza pubblica, ponendo però una serie di deroghe che di fatto svuotavano il principio generale, tra le quali sono apparse incompatibili con il diritto comunitario l’affidamento della gestione di reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali, in caso di separazione dall’attività di erogazione del servizio; il regime derogatorio al principio della concorrenza “per” il mercato nel settore del servizio idrico integrato; l’affidamento diretto come norma generale per la gestione dei cosiddetti servizi pubblici “privi di rilevanza industriale”, previsti dall’art. 113 bis. 37 Per un’analitica e completa ricostruzione delle novità introdotte dalla legge del 2003: Caia, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, in www.giustizia-amministrativa.it. 38 I servizi pubblici economici includono le attività normalmente destinate a generare utili e, quindi, suscettibili di produrre reddito, ossia tendenzialmente lucrative. Si è osservato, in dottrina, che la nozione di rilevanza economica sia più ampia di quella di carattere economico, con la conseguenza che sembrerebbe preferibile ritenere che un servizio pubblico locale possa avere rilevanza economica sotto due differenti profili. La rilevanza economica o meno, infatti, si avrebbe quando l'attività del gestore, a) per caratteristica ontologica del servizio pubblico ovvero b) per volontà organizzativa dell’Ente locale, assume (deve assumere) il carattere dell'impresa come descritta dal nostro ordinamento civile, essendo invece non centrale che vi siano utenti del servizio pubblico i quali ne versano il corrispettivo ovvero un utente collettivo, rappresentato dall'Ente locale, che si fa carico dei costi del servizio provvedendo al riguardo nei rapporti con il gestore. Si presentano – dunque – anche casi nei quali, dovendo la prestazione ancorché gratuita o sottocosto essere organizzata con esternalizzazione ad imprese (per impossibilità contingente dell'Ente locale di provvedervi direttamente), l'Ente locale si pone come utente collettivo del servizio pubblico che versa il corrispettivo al gestore, per il quale il servizio ha pertanto rilevanza economica. È sufficiente insomma, per aversi rilevanza economica del servizio, che l'attività di produzione di beni o servizi si configuri come tale da remunerare i fattori della produzione impiegati. Così: Caia, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, cit., p. 4. 39 Più in particolare, riguardo alle infrastrutture, il d. lgs. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001 e dal d.l. n. 269 del 2003 (convertito dalla legge n. 326 del 2003), afferma l’incedibilità della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinate all’esercizio dei servizi pubblici, salvi i casi particolari di conferimento della proprietà delle sopraindicate infrastrutture a società a capitale interamente pubblico. Il conferimento è a sua volta incedibile a terzi. Riguardo alla gestione delle richiamate infrastrutture, il TUEL stabilisce che, oltre che a imprese scelte con gare, la stessa può essere direttamente affidata a società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico, secondo il modello dell’in house providing (art. 113, comma 4, TUEL). 40 Gruner, Liberalizzazioni ed autonomie locali, cit., p. 40. 11
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