IL PRODOTTO "VINO" IN ITALIA: UN'ANALISI MICRO E MACRO ECONOMICA - DIPARTIMENTO DI "STUDI AZIENDALI E GIURIDICI"

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IL PRODOTTO "VINO" IN ITALIA: UN'ANALISI MICRO E MACRO ECONOMICA - DIPARTIMENTO DI "STUDI AZIENDALI E GIURIDICI"
DIPARTIMENTO DI “STUDI AZIENDALI E GIURIDICI”
                  Corso di Laurea in “Economia e Commercio”

             IL PRODOTTO “VINO” IN ITALIA:
UN’ANALISI MICRO E MACRO ECONOMICA.

Relatore :
Chiar.mo PROF. PAOLO PIN                                      Tesi di Laurea di:
                                                       FRANCESCA MASSINI

                           Anno Accademico 2012/2013

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IL PRODOTTO "VINO" IN ITALIA: UN'ANALISI MICRO E MACRO ECONOMICA - DIPARTIMENTO DI "STUDI AZIENDALI E GIURIDICI"
INDICE

Introduzione ....................................................................................................................Pag. 3

1. La situazione internazionale dalla crisi economica del 2007.................................Pag. 5

     1.1. La situazione italiana ...........................................................................................Pag. 7

2. Il vino: prodotto eccellente del Made in Italy.........................................................Pag. 11

     2.1. Le sue classificazioni ...........................................................................................Pag. 11

     2.2. La domanda del “prodotto” vino .........................................................................Pag. 17

     2.3. Com’è cambiato il consumo interno....................................................................Pag. 20

     2.4. Come e cosa scelgono i consumatori italiani.......................................................Pag. 29

3. La domanda mondiale del vino italiano..................................................................Pag. 33

     3.1. Nonostante la crisi i dati delle esportazioni sono positivi ...................................Pag. 35

     3.2. I paesi destinatari .................................................................................................Pag. 40

     3.3. Cosa cercano i consumatori esteri nel vino italiano ............................................Pag. 42

     3.4. Nel dettaglio la quota italiana in alcuni Paesi destinatari ....................................Pag. 45

Conclusione......................................................................................................................Pag. 49

Appendice ........................................................................................................................Pag. 52

Bibliografia e Sitografia .................................................................................................Pag. 55

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IL PRODOTTO "VINO" IN ITALIA: UN'ANALISI MICRO E MACRO ECONOMICA - DIPARTIMENTO DI "STUDI AZIENDALI E GIURIDICI"
INTRODUZIONE

L’idea di questo lavoro nasce da una riflessione personale, ovvero riflettendo sulla crisi finanziaria
del 2007 che ha coinvolto tutti i Paesi a livello mondiale ed ha ulteriormente aggravato la situazione
italiana, già attraversata da disagi interni di varia natura, mi sono chiesta se la domanda di un
prodotto legato da sempre alla cultura e al nome dell’Italia, un prodotto di spicco del settore
agroalimentare italiano, come il vino, fosse stata influenzata da essa e come fosse cambiato il suo
consumo negli anni.

Mi sono soffermata sul vino perché lo ritengo un prodotto caratteristico non solo della cultura e
della tradizione italiana ma anche del paesaggio stesso del nostro Paese; molto spesso viene usato
anche nelle scene cinematografiche per raffigurare l’armonia dei pranzi e delle cene in famiglia
davanti ad un buon bicchiere di vino; è un prodotto unico e non imitabile, che deriva direttamente
dalle caratteristiche intrinseche della terra italiana e per questo la sua produzione non è
delocalizzabile; oltre ad essere un prodotto conosciuto in tutto il mondo come eccellenza del Made
in Italy del settore agroalimentare insieme a tanti altri prodotti tipici come ad esempio il Grana
Padano, il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto Crudo di Parma, l’Olio Extra Vergine di Oliva ed
altri ancora.
Inoltre i turisti esteri, durante un soggiorno in Italia, molto spesso amano degustare un piatto tipico
del luogo in cui soggiornano, accompagnato da un ottimo vino locale e dove possibile da un
paesaggio altrettanto meraviglioso che incornicia il tutto come se fossero in un quadro. Tutto ciò
farà sì che si portino sempre nel cuore un ottimo ricordo del “soggiorno italiano” e del buon vino
nostrano.
Oltre a ciò è un settore che dà lavoro ad oltre un milione di persone e le varie fasi che servono per
ottenere il prodotto finito a volte possono durare anche anni, come ad esempio quella
dell’invecchiamento in botte per i vini rossi. Per di più come ogni altro prodotto del Made in Italy è
legato all’idea di qualità ed in alcuni casi anche di lusso, difatti tutti i settore tipici della produzione
italiana possiedono queste caratteristiche, questo perché sono realizzati da professionisti altamente
specializzati e qualificati, basti pensare all’acciaieria italiana che è tra le più qualificate al mondo ed
alle griffe dell’alta moda tra le più ricercate.

Quello che propongo in questo lavoro è di analizzare la domanda del prodotto vino sia a livello
nazionale che internazionale e osservare se e come è cambiata.
Nel primo capitolo tratto la situazione internazionale dalla crisi finanziaria fino ad oggi, analizzando
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nel dettaglio la situazione italiana.
Nel secondo dopo un’ introduzione sul vino, il suo legame con il territorio italiano e sulle sue varie
classificazioni, spiego la domanda di un bene generico a livello teorico, e da ultimo mi soffermo sul
consumo interno e sulle scelte nell’acquisto del vino da parte dei consumatori italiani.
Il terzo capitolo l’ho dedicato interamente alle esportazioni, proponendo inizialmente la domanda di
un bene in economia aperta, per poi descrivere l’andamento vero e proprio delle vendite sui mercati
esteri, analizzare i principali Paesi destinatari e osservare cosa i consumatori esteri ricercano nel
vino italiano. Infine mi sono soffermata su tre dei suoi mercati di sbocco, Stati Uniti, Cina e Russia,
per vedere com’è il loro rapporto con il vino (in generale) e se è cambiato nel tempo, oltre ad
osservare le quote del prodotto italiano in questi Paesi e se sono variate dalla crisi economica.

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CAPITOLO 1. La situazione internazionale dalla crisi economica del
2007

L’attuale crisi economica si è rivelata molto più grave di quanto generalmente previsto. La fase di
diffusa espansione che durava dal 2003 si è interrotta e la produzione mondiale ha incominciato a
rallentare già dalla fine del 2007, in cui solo la crescita dei Paesi emergenti era positiva mentre
quella dei Paesi avanzati iniziava a decelerare, ma dalla seconda metà del 2008 ha subito una brusca
frenata.
Infatti quella che doveva essere una crisi di liquidità innescata dalla bolla immobiliare scoppiata
negli Stati Uniti (USA) nel 2007 è culminata con il fallimento di Lehman Brothers1, nel settembre
del 2008, si è trasformata in una crisi di fiducia che si è estesa dal sistema finanziario a quello reale
coinvolgendo tutti i Paesi a livello mondiale, a causa dell’intensa integrazione dei mercati finanziari
ma anche dalla frammentazione della catena produttiva.
Questo ha portato ad una diminuzione del prodotto mondiale ed ad un crollo degli scambi
commerciali internazionali (che è stato molto drastico nel 20092), ad un aumento record dei prezzi
delle materie prime, soprattutto ad un rincaro dei corsi del petrolio già a partire dal 2007 e ad un
mercato delle valute caratterizzato da una forte volatilità, come ad esempio il continuo
deprezzamento ed apprezzamento del dollaro sull’euro e viceversa.
Già a partire dal 2010 il PIL mondiale ha avuto una leggera ripresa per poi essere nuovamente
soggetto ad un ulteriore rallentamento nel 2011 (sempre con crescita positiva anche se inferiore
rispetto a quella dell’anno precedente), che ha caratterizzato la maggior parte delle aree, sebbene le
risposte dei Paesi alla crisi sono state differenziate e molto disomogenee. In questo scenario il
divario fra i tassi di crescita delle principali aree è aumentato, dato che nell’ economie avanzate c’è
stato un forte rallentamento dovuto al riacutizzarsi delle tensioni sul debito sovrano nell’area
dell’euro, al nuovo rialzo dei corsi del petrolio e di conseguenza quello delle materie prime, mentre
nei Paesi emergenti ed in via di sviluppo l’espansione è continuata seppur subendo una leggera
diminuzione alla fine del 2011 e nel primo semestre del 2012.
Sempre nel 2011 si sono ridotti gli squilibri delle bilance dei pagamenti, in particolare il deficit

1
  Lehman Brothers è una banca d’affari statunitense fondata nel 1850 a Montgomery, Alabama, dai fratelli Henry,
Emanuel e Mayer Lehman. Quotata al NYSE ( New York Stock Exchange) con il simbolo LEH è uno dei primari
operatori del mercato di titoli statunitensi. Fonte: traderpedia.it
2
  Nei periodi di recessione, gli scambi di beni e servizi tendono a diminuire più del prodotto, ma il crollo del 2009,
particolarmente netto e improvviso (-11,3% in media annuo), è stato il più marcato dagli anni trenta , anche perché la
crisi ha colpito simultaneamente tutti i Paesi, indipendentemente dal loro grado di integrazione finanziaria.
Fonte: “L’Italia nell’economia internazionale. Sintesi del Rapporto ICE 2009-2010”.
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degli USA si è ridotto3; inoltre gli investimenti diretti esteri (IDE)4 in entrata sono ripresi ad
aumentare, dopo un calo iniziato nel 2008, sebbene a livelli inferiori rispetto a quelli raggiunti nel
2007. La crescita di tali valori però non si è tradotta in un’analoga espansione della capacità
produttiva, poiché questi hanno riguardato ristrutturazioni aziendali o aumenti delle riserve degli
utili reinvestiti dalle case madri delle multinazionali. Specialmente i Paesi emergenti e quelli in via
di sviluppo hanno attratto oltre il 50% degli IDE mondiali.
In particolare nell’Unione Europea (UE), dopo una leggera ripresa nel 2010 e un nuovo
rallentamento nel 2011, le tensioni finanziarie sulla sostenibilità del debito si sono rafforzate
influenzando negativamente la produzione. La Commissione europea ha riconosciuto lo stato di
recessione e l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) ha evidenziato la caduta delle
importazioni europee con conseguenti ripercussioni a livello mondiale. L’UE ha dovuto sostenere
anche una crisi di credibilità, come conseguenza delle diverse modalità con cui ogni Stato membro
ha affrontato la crisi internazionale e le diverse criticità interne ad ognuno di essi. Inoltre lo spread
sui tassi di interesse fra la Germania e altri Paesi della zona euro ha raggiunto livelli molto elevati e
per alcuni Paesi, come Italia, Spagna e Grecia, è stato difficile sostenerli. Nonostante ciò l’UE,
considerata nel suo complesso, si è confermata primo esportatore ed importatore di merci e servizi.
Nel 2012 la situazione internazionale resta sempre caratterizzata da elevata incertezza, benché si
individuino alcuni segni positivi negli USA ed in Giappone, che hanno attuato politiche economiche
espansive riattivando gli investimenti e le aspettative di famiglie ed imprese; allo stesso tempo
hanno iniziato a manifestarsi segnali di rallentamento in alcuni Paesi emergenti, conseguenza
dell’indebolimento nella domanda esterna, degli investimenti rallentati e dei bassi livelli dei prezzi
delle materie prime. Per quanto riguarda il continente europeo sono deboli sia la domanda che
l’attività produttiva, ma in particolare il PIL della zona euro si è contratto ulteriormente a causa
delle misure pubbliche e private di aggiustamento del debito pubblico e delle difficoltà di accesso al
credito delle famiglie e delle imprese. Con il deprezzamento dell’euro nei confronti delle principali
valute le esportazioni sono aumentate verso gli Stati Uniti, l’America Centro-Meridionale oltre che
in Russia.
Per quanto riguarda gli IDE in entrata, il loro valore complessivo è stato segnato da una forte
flessione, dovuta alla costante incertezza sulla ripresa economica internazionale e all’atteggiamento
prudenziale degli investitori, che comunque sia hanno continuato ad investire nei Paesi emergenti

3
  Fonte: “L’Italia nell’economia internazionale. Sintesi del Rapporto 2011-2012”.
4
  L’investimento diretto estero è il flusso di investimenti effettuati dagli operatori in diversi paesi da quello dove è
insediato il centro della loro attività. Noti con la sigla IDE, in particolare si intende gli investimenti internazionali volti
all’acquisizione di partecipazioni “durevoli”( di controllo, paritarie o minoritarie) in un’impresa estera (mergers and
acquisitions) o alla costituzione di una filiale all’estero, che comporti un certo grado di coinvolgimento dell’investitore
nella direzione e nella gestione dell’impresa partecipata o costituita. È uno degli aspetti centrali del fenomeno di
globalizzazione dell’economia mondiale. Fonte: dizionario online di economia e finanza del 2012, treccani.it.
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più che in quelli avanzati. Infatti quelli rivolti a quest’ultimi si sono ridotti, ma in modo ancora più
marcato lo sono stati quelli in entrata ed in uscita dall’Unione Europea, a causa delle condizioni
sfavorevoli sulle prospettive incerte riguardanti l’uscita dalla crisi.
Un maggior contributo alla dinamica e gli scambi internazionali è stato dato dall’Asia, in particolare
Cina ed India hanno svolto un ruolo trainante nell’economia mondiale sin dal 2007.
Negli ultimi due anni la Cina, oltre ad aver consolidato il proprio ruolo come primo esportatore
mondiale di merci, ha raddoppiato i suoi investimenti nell’Unione Europea rispetto a quelli negli
Stati Uniti, questo con l’obbiettivo di acquistare tecnologie che le permettano di modernizzare le
imprese nazionali ed avanzare nelle reti produttive internazionali.
Nel terzo trimestre del 2013 l’attività economica mondiale e gli scambi internazionali hanno ripreso
ad essere positivi, sebbene a ritmi diversi fra le economie avanzate e quelle emergenti. Nelle prime
è ripresa la crescita, con segnali positivi che arrivano dal PIL degli USA e anche dalla zona euro
sembra esserci una modesta ripresa. Nelle seconde vi sono andamenti diversi del prodotto fra i
principali Paesi emergenti, ad esempio in Cina la crescita si è rafforzata grazie alle misure di
sostegno e agli investimenti effettuati, al contrario in India è rimasta moderata nonostante il
deprezzamento della moneta interna ed il recupero della produzione nel settore agricolo.

1.1 La situazione italiana
Dal 2007 la crescita dell’economia italiana ha subito un leggero rallentamento, restando inferiore a
quella dell’Eurozona e confermando i problemi strutturali interni che da molto tempo la frenano.
Allo stesso tempo anche le importazioni di beni e servizi sono diminuite a causa dell’indebolimento
della domanda interna mentre le esportazioni hanno avuto una crescita positiva anche se inferiore
rispetto a quella dell’anno precedente, conseguenza del rallentamento della domanda esterna e
dell’apprezzamento dell’euro sulle altre valute, in particolare il dollaro, nonostante le imprese
nazionali abbiano adottato la strategia della discriminazione di prezzo per restare competitive,
questa ha comportato l’applicazione di prezzi inferiori sul mercato esterno alla zona euro rispetto a
quelli applicati nel mercato interno di essa. Anche la capacità di attrarre investimenti diretti esteri
dell’Italia è decrescente, nonostante non sia mai stata elevata, e le imprese estere presenti sul
territorio nazionale siano ancora poche.
Dal 2008 al 2010 la crescita economia nazionale è sempre stata negativa come lo sono state le quote
delle importazioni e delle esportazioni. Questo non dipende solo dalla crisi economica globale o dai
problemi strutturali interni all’Italia ma anche dalla tendenza iniziata prima della crisi da circa un
decennio, che coinvolge tutti i Paesi sviluppati a causa dei cambiamenti nella distribuzione

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internazionale delle attività manifatturiere, con il maggior peso di acquisto dalla Cina e da altri
Paesi emergenti e dell’aumento tendenziale dei prezzi delle materie prime e del rincaro petrolio.
Dal 2010 c’è stata una modesta crescita del PIL interrotta nella seconda metà del 2011 perché
influenzata dall’instabilità del contesto estero, dal calo di fiducia dei cittadini e dall’avvio di
manovre restrittive adottate per affrontare la crisi dei debiti sovrani. Di conseguenza la domanda
nazionale ha subito una flessione soprattutto nella componente degli investimenti. Nonostante ciò il
tasso di crescita medio anno del PIL è stato positivo solo grazie al contributo positivo delle
esportazioni nette5, dovuto al forte rallentamento delle importazioni derivante dalla riduzione della
domanda nazionale che ha permesso di migliorare i conti con l’estero, poiché si è lievemente ridotto
il disavanzo corrente della bilancia dei pagamenti 6 , grazie al miglioramento del saldo delle merci e
servizi. Sono ripresi anche gli IDE sia in entrata che in uscita.
Nel 2012 l’Italia è nuovamente in grave recessione ed il PIL è sceso del 2,4%, annullando
completamente il recupero avvenuto nel biennio precedente. La domanda è caduta più che del 2009,
i consumi delle famiglie si sono drasticamente ridotti a causa della diminuzione del reddito
disponibile e dell’aumento del tasso di disoccupazione, che è salito al 10,7%. L’unico dato che ha
influenzato positivamente il PIL è stato quello della domanda estera anche se non è riuscito a
compensare il pesante apporto negativo derivante dalla domanda nazionale. Da ciò è derivato un
drastico abbassamento del disavanzo corrente della bilancia dei pagamenti, ed il riequilibrio dei
conti con l’estero segnala la profondità della recessione più che l’andamento positivo delle
esportazioni. Il deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro, già iniziato nel 2011 , ha avuto
complessivamente un effetto sfavorevole sulle quote di mercato mondiale delle esportazioni
italiane, diminuite sia per le merci che per i servizi commerciali7. Le esportazioni di beni e servizi
sono aumentate leggermente al di sotto del commercio mondiale ma le loro quote sull’esportazioni
della zona euro indicano un recupero. I margini creati da tale deprezzamento sono stati utilizzati per
praticare prezzi leggermente più remunerativi nei paesi esterni all’Eurozona, rispetto a quelli
praticati sulle vendite interne ad essa. Il valore delle importazioni è calato ed anche i flussi degli
IDE sia in entrata che in uscita hanno subito una contrazione molto più accentuata rispetto a quella
registrata a livello mondiale.
Per quanto riguarda il primo trimestre del 2013 il PIL è diminuito dello 0,6%, conseguenza del calo

5
  La differenza tra esportazioni ed importazioni è chiamata esportazioni nette o saldo commerciale. Fonte “Scoprire la
macroeconomia”, Oliver Blanchard.
6
  Le transazioni di un paese con il resto del mondo sono riassunte in una serie di conti chiamati bilancia dei pagamenti.
La tabella è divisa in due parti da una linea, le transazioni vengono distinte in transazioni sopra la linea (il conto
corrente) e quelle sotto la linea (il conto capitale). Fonte: “Scoprire la macroeconomia”, Oliver Blanchard.
7
  In quanto l’impatto nominale negativo di tale deprezzamento sui prezzi relativi si è rilevato, almeno nell’immediato,
più forte che dello stimolo positivo sulle quantità, impresso dal guadagno di competitività che ne deriva. Fonte:
“L’Italia nell’economia internazionale. Sintesi del Rapporto ICE 2012-2013”.
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dei consumi e degli investimenti; le esportazioni hanno subito un rallentamento che riflette le
tendenze ancora deboli del commercio internazionale. I prezzi praticati sui mercati esteri, in
particolare all’interno dell’Eurozona, sono in lieve flessione, mentre le quote di mercato dimostrano
un lieve recupero rispetto agli altri paesi europei. La tenuta delle esportazioni però non è sufficiente
ad impedire che l’attività produttiva continui a ridursi, data la debolezza della domanda interna.
Anche le importazioni hanno subito una nuova flessione come il loro grado di penetrazione sul
mercato nazionale. Un leggero miglioramento nel secondo trimestre ha portato la crescita al -0,2%.
Nel terzo trimestre il PIL si è stabilizzato, malgrado la debolezza della domanda interna, per effetto
del minor reddito disponibile e della fragilità del mercato del lavoro, l’attività industriale sembra
leggermente più positiva grazie alla maggior fiducia da parte delle imprese. Sia le esportazioni che
le importazioni sono riprese, quest’ultime dopo una flessione durata 10 trimestri sono aumentate del
2% in volume. Comunque sia l’anno si è concluso con una contrazione del PIL fra l’1,7% ed il 2%.

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    5                                                        interno
                                                             nazionale
    0                                                        Importazioni di
         2007      2008      2009       2010   2011   2012   beni e servizi
   -5                                                        Domanda
                                                             nazionale
  -10
                                                             Esportazioni di
  -15                                                        beni e servizi

  -20

Fonte: elaborazioni ICE su dati ISTAT

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CAPITOLO 2. Il vino: prodotto eccellente del “Made in Italy”

2.1 Le sue classificazioni
Il vino è un prodotto legato da sempre al nome dell’Italia, che grazie al clima e al territorio ha una
tradizione vitivinicola secolare.
Difatti, ciascuna regione produce un particolare tipo di vino in quanto la singola varietà di uva
coltivata, la conformazione geologica del terreno, le condizioni meteorologiche, i vigneti stessi e lo
stile di vinificazione influiscono come fattori decisivi sull’unicità del carattere del vino.
Purtroppo nel 2012 la superficie a vite si è ulteriormente ridotta, scendendo a 655.000 ettari, ben
9.000 in meno rispetto all’anno precedente, sebbene questa diminuzione sia già iniziata da diversi
anni ( fra le sue cause vi sono l’eccessiva burocrazia che molto spesso scoraggia gli imprenditori e
il regime di estirpazione con premio per quanto si sia concluso da qualche anno8 ) e non sia un
fenomeno solo italiano9.

Fonte: elaborazioni Corriere Vinicolo su dati Agea, dal sito italiaatavola.net

8
  La nuova OCM del settore vitivinicolo per rafforzare la qualità in esso ha previsto la concessione di incentivi
all’estirpazione indirizzati verso vigneti obsoleti e di scarsa qualità, ovvero ha dato la possibilità ai produttori di
estirpare i propri vigneti in cambio di un risarcimento in denaro per incentivare l’abbandono di tutte quelle superfici
vitate che non presentano le condizioni di adeguamento al mercato. Tale regime è stato applicato fino alla campagna
viticola 2010-2011. Fonte: politichearicole.it, provincia.bologna.it
9
  La Francia in 10 anni ha perso circa 100mila ettari mentre la Spagna quasi 300mila. Fonte: “Vigneto Italia, superfici
coltivate in calo. Persi 9mila ettari nel 2012”, italiaatavola.net
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A livello mondiale rappresenta la terza superficie, preceduta dalla Spagna, che detiene il primato, e
dalla Francia, ed è invece seguita da Turchia e Cina.

Fonte: elaborazioni Corriere Vinicolo su dati Agea, Ministeri dell’Agricoltura francese e spagnolo e istituti di
statistica o associazioni dell’industria vinicola dei vari Paesi. Per Cina e Turchia, fonte OIV; italiaatavola.net

Nonostante la sua terza posizione e la riduzione delle superficie vitate, nel 2013 ha ottenuto il
record della produzione con 45 milioni di ettolitri, dopo un biennio sfavorevole10, superando la
Francia, il suo principale concorrente nell’aggiudicarsi il primato della produzione, che ne ha
prodotti solo 44 milioni a causa dei fattori climatici sfavorevoli.

Il procedimento per ottenere il vino comprende varie fasi: inizia dalla vendemmia e termina con
l’imbottigliamento e lo stoccaggio11; per alcune di queste fasi di tradizione secolare oggi vengono
impiegati dei macchinari per agevolarne lo svolgimento.

10
   Dopo un’abbondante produzione nel 2010 con 49,6 milioni di ettolitri grazie alla quale l’Italia si era confermata
primo produttore, sia il 2011 che il 2012 sono state annate poco produttive (entrambe sotto i 41 milioni di ettolitri)
sebbene il 2012 abbia riconfermato l’Italia come leader mondiale della produzione. Fonte: “Vendemmia 2012, Italia e
Francia la sfida continua” , la stampa.it .
11
   vendemmia (raccolta dell’uva matura dalla vite), pigiatura (prima vera e propria fase di trasformazione dell’uva in
vino, poiché consiste nel comprimere i grappoli con un’apposita macchina, come la pigiatrice a rulli, al fine di far uscire
il succo dagli acini), fermentazione alcolica o più propriamente vinificazione ( tale fase può durare da un giorno ad una
settimana, fino a 10 giorni nel caso di vini complessi. Il mosto viene inserito nel contenitore della fermentazione (il
tino) per la cosiddetta “macerazione”. Durante la fermentazione alcolica i lieviti trasformano gli zuccheri del mosto in
alcool e anidride carbonica. La vinificazione può essere in bianco, rosso e rosato in base alla tipo di produzione),
svinatura, invecchiamento o maturazione (consiste nel travasare il vino, purificato dai residui solidi e dalle vinacce,
nelle botti dove avviene una seconda fermentazione e un’ulteriore trasformazione dello zucchero residuo, tutto ad una
temperatura di 15°. Quando il vino non produce più anidride carbonica, la maggior parte dei vini bianchi è pronta
all’imbottigliamento, mentre per i vini rossi inizia la fase di invecchiamento, generalmente in botti di legno, che può
durare fino a 5 anni ) infine l’imbottigliamento e lo stoccaggio ( il vino viene imbottigliato e conservato in un locale
fresco per tutto l’anno , circa 15°, buio e con scarsa umidità. Anche il tappo è importante perché le bottiglie per i primi
10 giorni devo essere poste verticalmente e poi adagiate su un fianco). Fonte: franciacortablog.net ,
ricettedellanonna.net , spagni.com , eurobacco.eu .
                                                                                                                          12
Riguardo alle sue classificazioni esistono diverse suddivisioni: alcune sono di carattere normativo
(sia nazionale che comunitario) e si riferiscono ai disciplinari di produzione, altre si basano sulle
caratteristiche organolettiche e sul sistema di vinificazione.

Per quanto riguarda la regolamentazione nazionale ed europea, il vino è un prodotto altamente
regolamentato dalla vigna al consumatore.
Quest’ultima con la riforma Fischler del 2003 (entrata in vigore fra il 2005 e il 2008) ha modificato
la politica agraria comune (PAC) di tutti i settori agricoli attraverso la riforma dell’intera
Organizzazione Comune di Mercato (OMC) 12 fino a crearne una unica. Il settore vitivinicolo è stato
l’ultimo ad essere riformato, nel dicembre del 2007, dopo una lunga trattativa con la pubblicazione
dei Reg. CE 479/2008 e Reg. CE 555/200813. Queste norme sono molto articolate e complesse,
perché regolamentano nel dettaglio tanti aspetti peculiari del settore come: il potenziale viticolo, le
misure di mercato, le pratiche enologiche, l’etichettatura, la promozione ed anche il sostegno della
viticoltura con finalità paesaggistiche.
Il Reg. CE 479/2008 contiene una classificazione dei vini valorizzandone la territorialità, infatti li
suddivide in:

      DOP – denominazione di origine protetta
      IGP – indicazione geografica protetta
      Vini senza denominazione di origine (o senza DOP/ IGP), che si distinguono in :
     -   vini varietali
     -   vini generici.14

12
   OCM ovvero l’insieme delle norme che la Commissione Europea stabilisce per disciplinare uno specifico mercato
agricolo, in vista del raggiungimento di obiettivi di Politica Agricole Comune (PAC). Fonte: “Guida per la
classificazione e l’etichettatura dei vini a D.O e I.G” della Camera di Commercio di Campobasso in base al Reg. CE
479/2010.
13
  “ Reg. CE 479/2008 relativo all’organizzazione del mercato vitivinicolo, in vigore dal 1° agosto 2009.
Reg. CE 555/2008 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio relativo
all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo, in ordine ai programmi di sostegno, agli scambi con paesi terzi, al
potenziale produttivo e ai controlli del settore vitivinicolo”. Fonte “Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea” eur-
lex.europa.eu
14
   Si veda “Appendice”.
                                                                                                                          13
Fonte: Fonte: “Guida per la classificazione e l’etichettatura dei vini a D.O e I.G” della Camera di
Commercio di Campobasso in base al Reg. CE 479/2008

In Italia la normativa europea è stata regolamentata dal D. Lgs 61/201015 .
A queste denominazioni comunitarie, lo stesso regolamento CE permette di affiancare o sostituire
quelle tradizionali del Paese di produzione, questo grazie all’attenta salvaguardia delle tradizioni
nazionali da parte dell’UE, che per l’Italia corrispondo:

      Alla categoria IGP coincide il riconoscimento nazionale dell’IGT - indicazione geografica
         tipica
      Alla categoria DOP sono affiancati i riconoscimenti:
     -   DOC - denominazione di origine controllata
     -   DOCG - denominazione di origine controllata e garantita16

Inoltre, all’interno di queste la normativa italiana permette di specificare sottozone geografiche
oppure sottodenominazioni, come: classico, riserva e superiore17.

15
   D. Lgs 8 aprile 2010 n. 61 “ Tutela della denominazione di origine e delle indicazioni geografiche dei vini” entrato in
vigore l’11 maggio del 2010. Fonte: camera.it
16
   Si veda “Appendice”.
17
   Si veda “Appendice”.
                                                                                                                         14
In sostanza la classificazione nazionale può essere rappresentata come una piramide geo-qualitativa,
alla cui base si trovano i vini senza denominazione di origine, ossia quelli soggetti a minori
restrizioni e vincoli di legge ma ugualmente sottoposti a norme e controlli per quel che riguarda gli
aspetti igenico-sanitari. Al di sopra di essi si trovano le altre tipologie “territoriali”, soggette a rigide
regolamentazioni (raccolte in dei disciplinari18), via via più restrittive e vincolanti man mano che si
sale verso il vertice, rappresentato dai vini DOCG.
Inoltre annualmente apposite Commissioni verificano che il vino di ogni singolo produttore soddisfi
tali requisiti.

“La piramide geo-qualitativa dei vini”

Fonte: “Le classificazioni e le menzioni dei vini” su ristochicco.it

18
   Le norme che regolano i vini a denominazione di origine sono raccolte in dei disciplinari che definiscono gli standard
qualitativi di produzione e per ciascuna categoria specificano: la zona di produzione dell’uva, la resa massima per
ettaro, il titolo alcolometrico minimo e alcune caratteristiche fisico- chimiche e organolettiche distintive. Fonte: “DOC e
DOCG? TVB!(Ossia la classificazione dei vini in Italia)”, vinicartasegna.it.
                                                                                                                         15
Nel 2012 l’Italia vantava 118 vini a IGP e 403 a DOP, di cui 330 DOC e 73 DOCG.
Facendo riferimento alla superficie territoriale: le DOP rappresentano il 48%, le IGP il 27% mentre
i vini senza denominazione d’origine rappresentano quasi il 25%.
Il Piemonte è la regione con il primato regionale con 58 denominazioni, davanti alla Toscana con
56 e il Veneto con 50.
Nel 2013 le denominazioni d’origine sono diminuite scendendo a 331 DOC e 59 DOCG, mentre le
IGP sono rimaste invariate.

Fonte: elaborazioni Corriere Vinicolo su dati Agea, dal sito italiaatavola.net

Per quanto riguarda le altre classificazioni possono essere fatte tenendo presenti altri fattori come il
sistema di vinificazione, che distingue i vini normali da quelli speciali 19, oppure in base a delle
caratteristiche organolettiche intrinseche al prodotto, come ad esempio la classificazione degli
spumanti basata sul residuo zuccherino (Reg. CE 607/200920 – allegato XIV).

19
   Si veda “Appendice”.
20
   “Reg. CE 607/2009 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio per quanto
riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali,
l’etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli”. Fonte “Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea”,
eur-lex.europa.eu

                                                                                                                            16
2.2 La domanda del “prodotto” vino
Generalmente la domanda di un bene dipende da vari fattori21, in primis dal reddito del
consumatore. Infatti se questi ne possiede una maggior quantità sarà più propenso ad acquistare una
maggior quantità del prodotto in questione. Tale relazione è nota come curva di domanda
individuale che difatti indica la quantità del bene o del servizio che il consumatore acquisterà a
diversi livelli di prezzo22. La curva di domanda individuale è analoga alla curva di domanda di
mercato23, rappresentata dalla retta DD ( Demand Diagram), dove sull’asse verticale è rappresentato
il prezzo reale del bene24 mentre su quello orizzontale la quantità di esso domandata.

Di tale curva si possono avere due interpretazioni: una verticale e l’altra orizzontale. La prima
determina il prezzo di riserva25 dell’acquirente in base alla quantità domandata, la seconda indica la
quantità di prodotto che il consumatore è disposto ad acquistare a vari livelli di prezzo.
La caratteristica principale di tale curva è quella di essere inclinata negativamente, cioè la quantità
domandata aumenta al diminuire del prezzo del bene (difatti il prezzo e la quantità sono
inversamente proporzionali). Questa è nota come legge della domanda.

21
   Le determinanti della domanda sono: il reddito disponibile dei consumatori, i gusti e le aspettative che i consumatori
hanno sul livello dei prezzi e sul loro reddito, i prezzi dei beni sostitutivi e complementari ed infine i fattori
demografici. Fonte: “Microeconomia”, Robert H. Frank
22
   Fonte: “Microeconomia”, Robert H. Frank
23
    La curva di domanda di mercato è la retta che indica la relazione che intercorre fra la quantità del bene o del servizio
ed il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare per acquistarlo. Fonte: “Microeconomia” , Robert H. Frank.
24
   Prezzo reale del bene è il prezzo dello stesso in relazione a quello di tutti gli altri beni e servizi. Fonte:
“Microeconomia”, Robert H. Frank
25
   Il prezzo di riserva del consumatore indica il prezzo massimo che questi è disposto a pagare. Fonte:
“Microeconomia”, Robert H. Frank
                                                                                                                           17
Inoltre la domanda di un bene varia in funzione del prezzo dello stesso. Ad esempio un suo
aumento, influenza le decisioni di acquisto di un consumatore per due motivi:
     1) rende più competitivo il prezzo dei suoi principali sostituti26, tale effetto si chiama effetto di
         sostituzione
     2) riduce il potere di acquisto del consumatore, noto come effetto di reddito.

Questi due effetti se sommati determinano l’effetto totale dell’aumento del prezzo.
L’effetto di sostituzione provoca una variazione della quantità acquistata di segno opposto a quello
della variazione del prezzo, per cui con un aumento si avrà una minor quantità domandata, mentre
l’effetto di reddito dipende dalla tipologia del bene. Nel caso di beni normali27, l’effetto di reddito e
quello di sostituzione hanno la stessa direzione, di conseguenza al crescere del prezzo diminuisce
sia il potere di acquisto del consumatore che la quantità domandata del bene; in tal caso i due effetti
si rafforzano a vicenda. Al contrario nel caso di beni inferiori28, i due effetti hanno direzioni opposti
e quindi tendono ad annullarsi l’un l’altro.

Per una particolare tipologia di beni, nota come “beni di Giffen”, tali regole generali non valgono
ma soprattutto la legge della domanda per questi non si verifica, poiché la loro curva di domanda è
inclinata positivamente. Di conseguenza un incremento del loro prezzo comporta un aumento della
quantità domandata; questo perché l’effetto totale di un incremento di prezzo causa un aumento,
anziché una riduzione, della quantità domandata.
Tali beni appartengono alla categoria dei beni inferiori ma si differenziano da quest’ultimi perché
l’effetto di reddito va più che a compensare l’effetto di sostituzione ed inoltre assorbono una quota
rilevante del reddito del consumatore, così che un aumento di prezzo del bene considerato causa una
significativa riduzione del potere di acquisto del consumatore. Nella realtà è improbabile che un
bene soddisfi entrambe queste due caratteristiche, dato che nella maggior parte dei casi i beni
assorbono quantità piuttosto limitate del reddito del consumatore.

Inoltre vi è una categoria di beni, quella dei beni di lusso, per i quali il prezzo è un indicatore della
qualità del bene stesso, ossia ad un elevato prezzo corrisponde una maggior qualità e nel caso

26
   I Beni sostituti sono quei beni, come il tè ed il caffé, che possono soddisfare il medesimo bisogno. Fonte:
“Microeconomia” di O.Blanchard
27
   Beni normali quando un aumento del reddito comporta un aumento della quantità domandata. Fonte:
“Microeconomia” di O.Blanchard
28
   Beni inferiori quando ad un aumento del reddito diminuisce la quantità domandata di tali beni. Fonte:
“Microeconomia” di O.Blanchard
                                                                                                                 18
contrario ad un minor prezzo una minor qualità. Tali beni non soddisfano un bisogno primario29, ma
grazie ad un’attenta strategia di marketing creata sul giusto posizionamento30 del prodotto, sulla
forte immagine del produttore e sulla potenza della marca, farà sì che i consumatori acquistino
ugualmente il bene in questione, e come per i beni di Giffen un incremento del prezzo indica un
miglioramento della qualità offerta.

In particolare il “prodotto” vino appartiene alle ultime due categorie, ma la sua appartenenza all’una
o all’altra tipologia dipende dalle scelte del produttore riguardanti il posizionamento del suo
prodotto sul mercato31 ed in seguito la sua commercializzazione, tali scelte porteranno i
consumatori ad attribuire determinati valori al prodotto e di conseguenza ad aumentare la loro
disponibilità a pagare anche un prezzo più elevato.

29
   Murray considera il bisogno un “costrutto ipotetico” in quanto la sua natura fisica o chimica è sconosciuta; esso ha
sede nel cervello ed è in grado di controllare ogni comportamento degno di nota. Murray fornisce un elenco abbastanza
schematico dei bisogni dell’individuo, che classifica secondo quattro dimensioni: bisogni primari (viscerogenici) e
secondari (psocoenici), a seconda che abbiano origine fisiologica o meno; bisogni positivi o negativi, a seconda che il
soggetto sia attirato o respinto dall’oggetto; manifesti o latenti, a seconda che il bisogno conduca a un comportamento
reale o immaginario; bisogni di cui l’individuo è consapevole o inconsapevole; a seconda che mantenga nei loro
confronti un atteggiamento introspettivo o meno. Fonte: “ Market-driven management. Marketing strategico e
operativo”, Jean-Jacques Lambin, con la collaborazione di Emanuela Tesser.
30
   Ries e Trout (1981) diffusero per la parola posizionamento indicando con essa “il processo di collocazione di un
prodotto nella mente del consumatore”. Fonte: “ Market-driven management. Marketing strategico e operativo”, Jean-
Jacques Lambin, con la collaborazione di Emanuela Tesser.
31
   Il posizionamento del prodotto sul mercato in base al vantaggio competitivo, ovvero l’insieme delle caratteristiche o
attributi detenuti da un prodotto (o marca) che gli conferiscono un certo grado di superiorità nel confronti dei
concorrenti diretti. Il vantaggio competitivo può essere di qualità (quando si basa su qualità distintive del prodotto) e di
costo (quando si basa sulla superiorità dell’impresa nel controllo dei costi di produzione, di amministrazione o di
gestione del prodotto). Fonte: “ Market-driven management. Marketing strategico e operativo”, Jean-Jacques Lambin,
con la collaborazione di Emanuela Tesser.
                                                                                                                           19
2.3 Com’è cambiato il consumo interno
Sebbene nel 2012 si sia confermata primo Paese esportatore mondiale (per quantitativi esportati) e
primo verso gli Stati Uniti; il consumo interno è in calo già da oltre un decennio e la crisi
economica non ha fatto altro che accentuarlo maggiormente.
Infatti se un quarto di secolo fa l’Italia rappresentava il secondo consumatore di vino al mondo, con
oltre 36,6 milioni di ettolitri, ed il primato lo deteneva la Francia con 41,7 milioni di ettolitri bevuti
ogni anno; nel 2012 si è classificata terzo consumatore mondiale con 22,6 milioni di ettolitri (con il
26,5% in meno rispetto al 2000) dopo la Francia con il primato di 30,2 milioni di ettolitri (-12,3%
del 2000) e gli Stati Uniti, al secondo posto, con 29 milioni (+36,8% del 2000).

Secondo Jancis Robinson, l’esperta di vini che scrive sul Financial Time, il calo dei consumi è
legato in parte a una diversa immagine di chi beve vino diffusa dalla società, per di più questa
tendenza non riguarderebbe solo l’Italia, ma tutti e tre i principali produttori di vino al mondo, vale
a dire: Italia, Francia e Spagna. Lei sostiene che:

 “il vino fa parte delle tradizione storica di questi Paesi: chi beve vino è ormai come una persona “vecchio
stile”, e viene associato ai contadini di una volta, a differenza invece delle birre più pubblicizzate, o dalle
bevande gassate, dei liquori, che hanno un’immagine più giovane e moderna ” 32.

Difatti la domanda nazionale di vino tra il 2007 e il 2012 è calata del 4,5%.
Per quanto riguarda il consumo pro capite annuo, molte associazioni di esperti del settore
vitivinicolo, come ad esempio Assoenologi33, hanno dimostrato che il consumo individuale dagli
anni Settanta ad oggi è diminuito gradualmente, cioè se negli anni Settanta un italiano beveva
giornalmente due bicchieri di vino, per un consumo individuale medio annuo di 110 litri, nel 2012
questi beve solamente un mezzo bicchiere al giorno, per un consumo medio annuo al di sotto dei 40
litri, confermandosi di circa 38 litri nel 2013. Tutto ciò corrisponde ad una diminuzione di circa il
67% dagli anni Settanta ad oggi, dal momento che solo fra il 2006 e il 2012 è stata pari al 15%.
Prima dell’inizio della crisi, nel 2007, il consumo pro capite annuo era di 45 litri. Purtroppo
secondo Assoenologi questo trend negativo continuerà ancora.

32
  Citazione di Jancis Robinson nell’articolo “Come cambia il consumo di vino in Italia”, post.it
33
  Associazione Enologici Enotecnici Italiani – Assoenologi. È l’associazione nazionale di categoria dei tecnici
vitivinicoli più antica e numerosa al mondo. È stata fondata nel 1891, ha compiuto 122 anni di attività, raggruppa e
rappresenta quasi 4.000 tecnici attivamente operanti sul territorio nazionale. Ha la sede centrale a Milano e altre
diciassette sedi distaccate. Fonte: assoenologi.it
                                                                                                                       20
Per di più la Coldiretti ha stimato che nel 2012 gli italiani hanno bevuto 22,6 milioni di ettolitri
come nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, e che la quantità consumata a livello nazionale è la
medesima di quella esportata.
Pertanto tale mutamento nelle abitudini del consumo di vino può essere una conseguenza del
cambiamento delle abitudini alimentari degli italiani, riconducibili sia a motivi di salute che a fattori
legati alla dieta. Questo ha difatti influito trasformandoli dall’essere consumatori abituali a
sporadici.

Fonte: inumeridelvino.it

Di conseguenza l’utilizzo del vino stesso è cambiato, cioè dall’essere una semplice bevanda dal
consumo giornaliero e familiare è diventata una bevanda “glamour” presente alle prime delle
stagioni teatrali, alle sfilate di moda, agli eventi sportivi o alle aste di beneficenza. Tutto ciò ha fatto
sì che si sia largamente diffusa ed ampliata negli anni la tendenza di consumare vino durante gli
aperitivi, soprattutto fra i giovani, che lo alternano con cocktail alcolici di tendenza.

Nonostante tutto il vino resta la bevanda alcolica più consumata sia dagli uomini che dalle donne,
sebbene il consumo dei primi sia maggiore e più “casalingo” rispetto a quello occasionale e
“mondano” delle seconde34, e come tale si è confermata anche nel 2012. Se si confrontano le
vendite di vino con quelle delle birra dagli anni Settanta ad oggi si nota che le vendite del primo si
sono ridotte di quasi la metà, al contrario quelle della birra sono duplicate, anche se il consumo di
quest’ultima abbia risentito della crisi.
A tal proposito il grafico nella pagina seguente riporta il cambiamento percentuale della
popolazione italiana che consuma (sia abitualmente che sporadicamente) le bevande alcoliche,
distinguendo il vino e la birra dagli altri alcolici. La forbice fra le due bevande principali negli anni
si è assottigliata. E se nel 2012 solo il 52% della popolazione (sopra gli 11 anni) ha bevuto vino

34
  Secondo un’indagine svolta durante Vinitaly 2012 su un campione di quasi 3.000 visitatori presenti in fiera, con sei
fasce d’età considerate, comprese tra i 18 anni ed oltre i 60 anni emerge che gli uomini indipendentemente dall’età
(sebbene con essa il consumo si intensifichi dato che la fascia fra i 18-25 anni consuma meno delle altre fasce di età
maggiore) consumano abitualmente vino sia all’interno che all’esterno delle mura domestiche, mentre le donne da un
consumo più sporadico e legato ad aperitivi e a cene con amici fuori casa, con l’età diventa un consumo più abituale
(sebbene sia sempre minore se rapportato a quello degli uomini) e casalingo.
Fonte: “Fuori casa il consumo è donna a tutte le età, più casalinghi gli uomini”, vinitaly.com
                                                                                                                         21
almeno una volta all’anno nel 2007 era il 56% di essa. Dal 2007 al 2012 il vino ha perso il 4,2 %
della popolazione mentre la birra solo lo 0,5%.

Fonte: inumeridelvino.it su dati ISTAT

Fonte: inumeridelvino.it su dati ISTAT

Scendendo nel dettaglio, nel 2012 i consumatori abituali di bevande alcoliche rappresentano il 24%
della popolazione di cui il 21,5% sono quelli di vino ed il 4% quelli della birra; ma coloro che
bevono oltre 50 cl al giorno sono una bassissima percentuale di questo segmento, al contrario di
coloro che devono solo un bicchiere al giorno, (come è riportato nella tabella a pagina 21).

                                                                                                    22
Per di più la stessa crisi economica, che dura ormai da sei anni, ha modificato in profondità i
modelli di consumo delle famiglie; quest’ultime per far fronte alle difficoltà economiche e al minor
reddito disponibile hanno modificato la quantità e/o la qualità dei prodotti alimentari acquistati.35
Tutto ciò ha inciso sull’acquisto di vino, che non essendo più considerato un bene di prima
necessità, è divenuto un prodotto il cui consumo è correlato alla ricchezza delle persone, di
conseguenza anche le regioni più ricche saranno quelle con il maggior numero di suoi consumatori.
Difatti nel 2012 le regioni del Centro Nord, ossia Marche, Emilia Romagna e Toscana, sono quelle
dove il consumo pesante di vino (cioè quello di oltre 50 cl di vino al giorno) è più marcato che nelle
altre regioni; mentre le regioni del Nord Est, ovvero Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e
parte del Veneto, sono quelle dove il consumo sporadico si è diffuso maggiormente. Allo stesso
tempo le regioni del Sud hanno una bassa penetrazione sia di consumo che di consumo sporadico.
La regione con la più elevata penetrazione del consumo di vino è la Liguria, dove il 59% della sua
popolazione lo consuma almeno una volta l’anno.
Inoltre se nel 2007 il consumo di vino aveva la medesima penetrazione nei piccoli centri abitati e
nelle grandi città, nel 2012 nei primi il consumo è calato mentre nelle seconde resta sopra la soglia
del 50% .
Le tabelle nella pagina successiva riportano la “penetrazione di consumo di vino” per regione, ossia
il consumo abituale ed occasionale considerati congiuntamente, e la sola “penetrazione di consumo
sporadico”.

35
   Questo è stato confermato da uno studio svolto dalla Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe), sull’andamento dei
consumi alimentari dall’inizio della crisi al 2012 dimostrando che il budget degli italiani destinato alla spesa alimentare
è diminuito di 11 miliardi di euro (al netto della dinamica dei prezzi). Ed i tagli non riguardano solo le spese superflue e
i beni voluttuari ma anche le principali voci di spesa come pane e pasta , che in questi anni sono scesi in valore del 10%,
oltre a carne, formaggi ed altri articoli ancora. Fonte “Crisi. I tagli delle famiglie italiane sui consumi alimentari”,
universofood.net

                                                                                                                          23
Fonte: inumeridelvino.it su dati ISTAT

 “Paradossalmente i vini che vanno meglio durante una crisi economica sono quelli più costosi, perché
coloro che acquistano vino sono quelli con mezzi economici e quindi coloro che soffrono meno la crisi” .

Così ha affermato l’enologo Daniele Cernilli36 .

Questo sembra essere confermato dall’indagine campionaria svolta dall’ISTAT37, che mostra come
sia cambiata la spesa mensile delle famiglie negli ultimi 10 anni. Questa è aumentata in totale
dell’11% (nel dettaglio: un aumento del 14% per gli alimentari e del 10% per i non alimentari). In
termini assoluti la spesa del vino è sempre stata positiva eccetto il calo del 2009.

36
   Fonte: “Italian vintners look abroad as home sales slump” di Francesco Sportelli e Michele Barbero, dal sito
usnews.com
37
   Fonte: “La spesa per consumo di vino in Italia – aggiornamento ISTAT 2012” , inumeridelvino.it
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Fonte: dati ISTAT, inumeridelvino.it

Nel 2012 le famiglie italiane hanno speso 12 euro al mese per il suo acquisto, il 2,5% della spesa
alimentare di 468 euro. I suoi maggior acquirenti sono le coppie sole, mentre la spesa diminuisce
per tutte le coppie con figli ed in modo proporzionale al numero dei figli.
Dal punto di vista geografico, da come si evince dal grafico sottostante, il Nord spende più del Sud,
in particolare nel Nord Ovest dove la spesa è sempre stata consistente (intorno ai 15 euro a
famiglia), sta calando di anno in anno ed oggi è pari a quella del Nord Est, che al contrario è
cresciuta nel tempo. Al centro si è stabilizzata sotto i livelli pre crisi, al contempo al Sud e nelle
Isole, dove si spendeva meno da un paio di anni è aumentata.

Fonte:dati ISTAT, inumeridelvino.it

Questo, però, può essere una conseguenza anche dell’aumento del prezzo del vino nel mercato
all’origine. Infatti dal 2010 i prezzi hanno cominciato a crescere, con un’accelerazione nella
seconda metà del 2011, a causa di una vendemmia molto limitata; rispettando così il modello
teorico per cui ad una minor offerta di prodotto corrisponde un incremento del suo prezzo38.
L’incremento dei prezzi è stato inversamente proporzionale alla loro qualità: cioè il prezzo dei vini
comuni è cresciuto maggiormente rispetto a quello delle IGP e delle DOP, ribaltando così
l’andamento visto fino al 2009.

38
  Una riduzione dell’offerta determina un aumento del prezzo di equilibrio e una riduzione della quantità offerta. Fonte:
“Microeconomia”, Robert H. Frank.
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Fonte: “Report Vini a Denominazione di Origine. Struttura, produzione e mercato”, ismea.it

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Tale tendenza è proseguita per tutto il 2012 segnando a fine anno un incremento del 33% per
l’intero settore sul 2011 (dopo un aumento del 20% sul 2010), risultato di una crescita del 40% per i
vini comuni e IGP, e del solo 14% per i vini DOP.
Gli incrementi più consistenti, tra i prodotti a denominazione di origine, sono stati quelli per i vini
al vertice della piramide qualitativa, anche se in media inferiori rispetto a quelli registrati negli altri
segmenti. Questo perché tale segmento è caratterizzato da una generalizzata minore variabilità della
produzione, pertanto una riduzione delle superficie vitata non colpisce tale categoria, e da una
domanda non particolarmente influenzata dal mercato internazionale.
Nel 2013 i prezzi all’origine si sono mantenuti costanti, in particolare per i vini comuni si sono
ridimensionati, e grazie all’abbondante produzione non dovrebbero aumentare.

Fonte: ismea.it

L’incremento dei prezzi all’origine ha conseguentemente provocato un rialzo dei prezzi finali, pari
al 5,5,% per il confezionato, al 4,5% a litro per le bottiglie di 75 cl a denominazione d’origine ed al
10,1% per i brik39. Questo ha fatto sì che molti prodotti appartenenti ad una determinata fascia di
prezzo siano passati a quella di prezzo superiore, rendendo problematico il confronto con i dati
dell’anno precedente. Ad esempio i vini a denominazione di origine “sotto i 2 euro” (una fascia di
prezzo che rappresenta il 25,2% del mercato) perdono a volume il 18,3%, conseguenza del fatto che
molti prodotti sono entrati nella fascia di prezzo centrale, cioè quella “tra 2 e 4 euro”, che
39
  Il prezzo medio è diventato di 4,28 euro al litro per una bottiglia di 75cl a denominazione di origine e di 1,24 per il
brik. Fonte: Ricerca SymphonyIRI per Vinitaly 2013 “ resistono il brik e gli spumanti, aumentano le bottiglie sopra i 6
euro e i vini a marca commerciale – Federdistribuzione: un effetto degli aumenti di prezzo”, vinitaly.com
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rappresenta una quota di mercato di quasi il 50% .La fascia “tra i 4 e 6 euro” copre il 14,8% mentre
per quelli “sopra i 6 euro” è del 5,4% del mercato.
A tal proposito nel 2012 sono diminuite le vendite di vino nei supermercati e per la prima volta
negli ultimi 10 anni anche il vino confezionato in bottiglia da 75cl evidenzia un dato negativo, con
un calo del 3,6% a volume per il totale del vino confezionato rispetto all’anno precedente.
Nonostante questo dato negativo, sono aumentate del 3,3% le vendite del vino in bottiglia a
denominazione d’origine nella fascia di prezzo superiore ai 6 euro (conseguenza dello “slittamento”
di molti prodotti in questa fascia di prezzo). Gli spumanti ed i brik hanno subito una leggera
flessione mentre vantano un incremento positivo le vendite di vini a marca commerciale, ovvero
quello delle catene produttrici40.
Se si fa riferimento alle quote di mercato globale (in volume) delle vendite in Gdo i vini a
denominazione d’origine detengono il 56,1%, i brik il 31,5%, la marca privata il 14,7% (composta
dalle bottiglie e dai brik).

Infine, oltre alla crisi economica e i cambiamenti delle abitudini nel consumo di vino da parte dei
consumatori anche l’invecchiamento della popolazione può essere considerato come fattore
determinante del minor consumo di questa bevanda. Infatti in base agli ultimi dati ISTAT del 2012
la popolazione italiana che supera i 65 anni rappresenta il 20,8% della popolazione totale, quasi due
punti percentuali in più rispetto al 2002, di conseguenza questa fascia della popolazione ha la
necessità di evitare il consumo di alcolici a causa dei problemi di salute.

40
  Gli spumanti hanno subito un leggero decremento dell’0,6%, i brik dell’1,7% mentre i vini a marca commerciale
hanno incrementato dell’1,9% in quantità e del 9,2% in valore. Fonte: Ricerca SymphonyIRI per Vinitaly 2013 “
resistono il brik e gli spumanti, aumentano le bottiglie sopra i 6 euro e i vini a marca commerciale – Federdistribuzione:
un effetto degli aumenti di prezzo”, vinitaly.com
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