Welfare state di Kees van Kersbergen e Philip Manow
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Welfare state di Kees van Kersbergen e Philip Manow Contenuti del capitolo 1 Introduzione 2 Che cos’è il welfare state? 3 La nascita del welfare state 4 L’espansione del welfare state 5 Variazioni tra i sistemi di welfare sviluppati 6 Gli effetti del welfare state 7 Le sfide e le dinamiche dei welfare state contemporanei 8 Conclusione Guida per il lettore Il sistema di welfare (di seguito welfare state) è importante per la nostra com- prensione della politica democratica nelle società moderne, esattamente come conoscere la politica moderna è cruciale per comprendere le cause, le fonti di variazione e le conseguenze degli interventi sociali dello stato nei mercati e nelle famiglie. Il capitolo si focalizza sui temi cruciali, quali la nascita, l’espansione, la variazione e la trasformazione del welfare state; quindi spiega che studiare il welfare state significa necessariamente entrare nel dibattito su alcune delle que- stioni più importanti e ricorrenti della scienza politica comparata e della econo- mia politica.
2 Scienza politica 1 Introduzione Perché il welfare state è interessante per la scienza politica comparata? Perché rappresenta la trasformazione singola più importante delle democrazie capitali- ste avanzate nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Capire il wel- fare state è cruciale per capire la politica moderna, esattamente come compren- dere la politica moderna è cruciale se si vogliono comprendere le cause della formazione e dello sviluppo del welfare state, così come i suoi diversi effetti so- ciali ed economici. Inoltre, studiare il welfare state ci mette a confronto con alcu- ne delle questioni più importanti e durature della scienza politica. Attraverso differenti prospettive normative, l’economia politica classica (John Stuart Mill e Karl Marx) era convinta che capitalismo e democrazia fossero in- compatibili. Tuttavia, i sistemi statali di welfare dell’Occidente dimostrano che capitalismo e democrazia in realtà possono funzionare assieme, anche con con- seguenze positive per entrambi. Un’alta spesa sociale non necessariamente ha effetti dannosi sulla competitività economica, come dimostra la combinazione di un welfare state generoso e un’economia di mercato competitiva in un paese come la Svezia. La «lotta di classe democratica» (si veda Lipset 1960: 220; Korpi 1983) consente un benefico compromesso di classe e il welfare state sembra es- serne la realizzazione più importante. La scienza politica ha studiato le origini, la crescita e le crisi del welfare state, testando varie teorie della mobilitazione politica e dello sviluppo. Chi e che cosa erano centrali in questo processo: le classi sociali, il movimento dei lavoratori, le eredità storiche delle strutture statali, le guerre, lo sviluppo economico, le pres- sioni demografiche, gli interessi dei datori di lavoro? Le diverse strutture politi- che, gli attori e le lotte sono responsabili per le differenze nella dimensione, nel tipo e nella qualità dei welfare state? Gli scienziati politici hanno anche studiato l’impatto del welfare state (le sue prestazioni) per vedere in quale misura la po- litica conti per la società e l’economia. La politica (ad esempio, la forza dei mo- vimenti e dei partiti politici oppure la composizione dei governi) conta per il ti- po di politiche sociali ed economiche (output) realizzate in un paese? E queste politiche influenzano le variabili sociali ed economiche (esiti) come lo sviluppo economico, la disoccupazione, la disuguaglianza e la povertà? Infine, vi è anche un interesse pratico nello studio del welfare state. Molte persone prestano attenzione se vivono in una società in cui il rapporto tra il de- cile del reddito più alto e di quello più basso sia attorno al 5,7 (Stato Uniti) op- pure attorno al 2,5 (Germania) (Smeeding e Gottschalk 1999). Inoltre, molte persone prestano attenzione se vivono in una società in cui la tassazione e i tra- sferimenti del welfare state riducono la povertà del 13 (Stati Uniti) o dell’82 per cento (Svezia; si veda Iversen 2006). Lo studio del welfare state affronta questio- ni fondamentali di giustizia sociale, nozioni basilari di una buona società e livelli non tollerabili di disuguaglianza ed esclusione sociale. Ciò presenta anche un
Welfare state 3 lato tecnico: dati gli obiettivi politici certi (come il pieno impiego), ci piacerebbe sapere come raggiungere al meglio questo obiettivo. Accurati studi comparati circa il funzionamento dei programmi di protezione sociali ci forniscono questo sapere pratico sul «come fare per». PUNTI CHIAVE • Il welfare state è il prodotto dell’interazione tra uguaglianza politica (democrazia) e di- suguaglianza economica (capitalismo). • Il welfare state rappresenta una trasformazione fondamentale delle democrazie capi- taliste avanzate nel periodo successivo al 1945. • La scienza politica tenta di spiegare l’emergere, lo sviluppo e le conseguenze dei wel- fare state, ma affronta anche temi fondamentali di giustizia sociale e buona società. 2 Che cos’è il welfare state? Che cosa si intende quando si parla di welfare state? Harold L. Wilensky descri- veva «l’essenza del welfare state» come «gli standard minimi, tutelati dal gover- no, di reddito, nutrimento, salute, abitazione e istruzione, assicurati a ogni citta- dino come diritto politico e non come carità» (Wilensky 1975: 1). Qui il sistema di welfare è prima di tutto uno stato democratico che, in aggiunta ai diritti civili e politici (si vedano Marshall 1950 e il Box 1), garantisce la protezione sociale come un diritto collegato alla cittadinanza. La maggior parte degli scienziati politici tende a pensare secondo le linee stato-centriche patrocinate da Wilen- sky e concorda che le politiche sociali debbano essere viste come «linee di azio- ne statale per ridurre l’insicurezza sul reddito e fornire standard minimi di red- dito e servizi e, pertanto, in grado di ridurre le disuguaglianze» (Amenta 2003: 92). Gli stati-nazione che dedicano «la maggior parte dei propri sforzi burocra- tici e fiscali in queste direzioni erano e sono considerati come “welfare state”» (Amenta 2003: 92). Il vantaggio delle definizioni stato-centriche è di essere nette e di fornire operazionalizzazioni lineari per la ricerca empirica: il welfare state, il suo svi- luppo e la sua espansione sono misurati in termini di spesa pubblica sociale, espressa come percentuale del totale della spesa dello stato o del prodotto in- terno lordo (PIL). Tuttavia, vi sono molti inconvenienti in questo approccio. Un’attenzione esclusiva sulla politica sociale tende a trascurare il fatto che lo stato sia un’istituzione importante, ma non l’unica, che fornisce servizi di welfa- re. Inoltre, non è semplice tracciare una linea chiara tra politiche sociali e altre politiche che promuovono il welfare. Infine, non tutte le politiche sociali pro- muovono realmente il welfare, anche se questa potrebbe essere la loro inten- zione (Hill 2006: Capitolo 1). Gøsta Esping-Andersen (1990) ha criticato l’attenzione esclusiva sulla spesa
4 Scienza politica sociale pubblica e dello stato, sostenendo che il welfare state «non può essere compreso solo in termini di diritti che garantisce» e dell’ammontare di denaro che spende. È difficile concepire che «nessuno abbia combattuto per la spesa in sé». Quel che si ha bisogno di conoscere è invece per quale obiettivo è impiega- to il denaro. Inoltre, dobbiamo evitare di studiare l’attività del welfare state se- paratamente perché «dobbiamo anche prendere in esame in che modo le attivi- tà dello stato siano intrecciate con il ruolo del mercato e della famiglia nella previdenza sociale» (Esping-Andersen 1990: 21). È la specifica miscela istitu- zionale tra mercato, stato e famiglia che caratterizza come una nazione fornisce lavoro e welfare ai suoi cittadini, e varie nazioni lo fanno in modalità molto differenti. La questione di quanto spenda uno stato (costo del welfare) è molto meno rilevante delle questioni che chiedono (1) su cosa lo stato spende le pro- prie risorse pubbliche, (2) come influenza la distribuzione delle risorse e delle possibilità di vita in modi diversi dalla spesa (ad esempio, tramite le spese fisca- li; attraverso il welfare state «nascosto» – Howard 1993; Hacker 2002) e (3) quali altre istituzioni sociali svolgono un ruolo nella previdenza sociale. Come hanno sostenuto Fritz Scharpf e Vivien Schimdt (2000: 7), tutti i welfa- re state … forniscono l’istruzione primaria e secondaria gratuita e tutti forniscono assistenza sociale per evitare la povertà estrema. Al di là di questo, i modelli dell’«età dell’oro» differiscono fondamentalmente l’uno dall’altro lungo due dimensioni: quanto gli obiettivi di welfare sono perseguiti attraverso la regolamentazione dei mercati del lavoro e dei rapporti di lavoro oppure attraverso il «welfare state formale» o i trasfe- rimenti e i servizi finanziati pubblicamente, e quanto ci si attende che i servizi «di cura» siano forniti in modo informale nella famiglia o attraverso servizi professionali. Il mercato, lo stato e la famiglia possono tutti essere i principali fornitori di wel- fare (Esping-Andersen 1990, 1999, 2002). L’interazione specifica tra queste isti- tuzioni nella fornitura di lavoro e welfare è chiamata «regime di welfare». Si tratta di un sistema complesso di gestione dei rischi sociali, dove ciascuna istitu- zione rappresenta un principio radicalmente differente nel farlo: «All’interno della famiglia, il metodo dominante di allocazione, presumibilmente, è quello della reciprocità […] I mercati sono governati dalla distribuzione tramite il lega- me del contante e il principio dominante di allocazione nello stato prende la forma della ridistribuzione potestativa» (Esping-Andersen 1999: 35-6). Ciò che fa un’istituzione influenza ciò che possono, vogliono o dovranno fare le altre. Esping-Andersen fornisce un succinto esempio: … una famiglia tradizionale con l’uomo lavoratore avrà meno richieste di servizi so- ciali pubblici o privati rispetto a un nucleo familiare con entrambi i coniugi lavoratori. Tuttavia, quando le famiglie forniscono servizi a se stesse, il mercato ne è direttamente influenzato perché vi sarà meno offerta di lavoro e minori sbocchi per i servizi. A sua volta, se lo stato fornisce asili nido più economici, sia le famiglie sia il mercato cambie-
Welfare state 5 Box 1 – I tre elementi della cittadinanza secondo Marshall Propongo di dividere la cittadinanza in tre parti. Queste tre parti, o elementi, le chiamerò parte civile, politica e sociale. L’elemento civile è composto dei diritti necessari alla libertà individuale: libertà della persona, libertà di parola, pensiero e fede, il diritto alla proprietà e a concludere contratti validi, e il diritto alla giustizia. […] Con l’elemento politico mi riferisco al diritto di partecipare all’esercizio del potere politico come membro di un organismo investito dell’autorità politica, oppure come un elettore dei membri di tale organismo. […] Con l’elemento sociale intendo l’insieme completo, dal diritto a un minimo di benessere economico e di sicurezza al diritto alla condivisione fino fondo del patrimonio sociale e a vivere la vita di essere umano civile secondo gli standard prevalenti in una società. È possibile assegnare, senza esercitare troppa violenza all’accuratezza storica, il periodo formativo nella vita di ciascuno degli elementi a un secolo differente: i diritti civili al XVIII secolo, i diritti politici al XIX e i diritti sociali al XX. (Marshall 1965: 78 e 81) ranno: vi saranno meno casalinghe, più partecipazione della forza lavoro e un nuovo moltiplicatore delle domande causate dalla maggiore propensione dei nuclei familiari a doppio reddito nell’acquistare servizi (1999: 36). Certi rischi della vita diventano potenzialmente rischi sociali e soggetti alle lotte politiche (1) perché sono condivise da molte persone e, pertanto, influenzano il welfare della società nel suo complesso (ad esempio, una perdita di reddito do- vuta a disabilità e/o vecchiaia), (2) perché sono interpretati come una minaccia per alcuni strati della società (ad esempio, la povertà che causa la protesta e le rivolte contro l’élite al governo) e (3) perché i rischi sono al di là del controllo di ogni individuo (ad esempio, la disoccupazione in una società di mercato). Que- ste sono condizioni specifiche per cui i rischi divengono rischi sociali; il perché e il come ciò accada è stato il tema di decenni di ricerca. PUNTI CHIAVE • I welfare state forniscono ai cittadini l’istruzione gratuita e li proteggono contro l’estre- ma povertà. Al di là di questa protezione sociale minima, i welfare state differiscono ri- guardo alla generosità e alla portata della protezione sociale contro i rischi di malattia, invalidità, disoccupazione e vecchiaia. • Lo stato non è la sola istituzione che fornisce servizi di welfare. • Il mercato, lo stato e la famiglia si influenzano l’un l’altro rispetto a quanto assumono della funzione di fornire lavoro e welfare. Essi formano un regime di welfare, il quale è un sistema complesso per la gestione dei rischi sociali.
6 Scienza politica 3 La nascita del welfare state Che cosa guida la nascita e lo sviluppo del welfare state? Possono essere identi- ficate tre prospettive teoriche: (1) un approccio funzionalista, (2) una spiegazio- ne con la mobilitazione di classe e (3) una letteratura che evidenzia l’impatto delle istituzioni dello stato e l’autonomia relativa delle élite burocratiche. 3.1 Approccio funzionalista «Il welfare state è una risposta ai problemi creati dall’industrializzazione capita- lista»: la teoria funzionalista vede il welfare state come una risposta dello stato ai crescenti bisogni dei suoi cittadini. Questi bisogni emergono con la scomparsa dei tradizionali mezzi di sussistenza e dei tradizionali legami di mutua assistenza (in famiglia, attraverso le gilde o la carità) e con l’espansione dei rischi della moderna società industriale: infortuni sul lavoro, disoccupazione ciclica, incapa- cità di guadagnarsi da vivere a causa di malattia o vecchiaia. In una società che si modernizza rapidamente, le domande di protezione contro i nuovi rischi divengono pressanti. Nel soddisfare tali richieste, la porta- ta dell’intervento dello stato aumenta notevolmente e la natura dello stato vie- ne trasformata. Secondo Peter Flora e Arnold Heidenheimer (1981: 23): Con la trasformazione strutturale dello stato cambiano anche la base della sua legitti- mità e le sue funzioni. Gli obiettivi della forza o della sicurezza esterne, della libertà economica interna e l’eguaglianza di fronte alla legge sono sempre più sostituiti da una nuova ragione d’essere: la fornitura di servizi sociali garantiti e il trasferimento di denaro secondo una modalità standardizzata e di routine che non sia limitata all’assi- stenza dell’emergenza (Flora e Heidenheimer 1981: 23). La maggiore richiesta di sicurezza socio-economica proviene da un sistema di capitalismo industriale che sposta masse di persone e li rende dipendenti dai capricci del mercato del lavoro, distruggendo così le tradizionali forme di prote- zione sociale. L’industrializzazione ha comportato rapidi cambiamenti nelle con- dizioni di lavoro, l’emergere di un libero contratto di lavoro e la perdita della sicurezza del reddito. Gli sviluppi del welfare state sono relativi ai problemi del disordine sociale e alla disintegrazione causata dallo sviluppo industriale capita- lista (Flora e Alber 1981: 38). La modernizzazione è stata vista come causa della disintegrazione sociale. Il welfare state è intervenuto per risolvere i problemi dell’integrazione sociale. Questa teoria si attendeva la convergenza delle politiche: nazioni differenti che avrebbero adottato politiche sociali ed economiche simili. Se i welfare state differivano riguardo alla copertura che forniscono e ai benefici che garantisco- no, le cause della variazione erano considerate «cronologiche», ossia spiegate da un differente tempismo nell’industrializzazione e nella modernizzazione nei vari paesi. Queste differenze dovrebbero scomparire nel lungo periodo.
Welfare state 7 Box 2 – La comparsa del welfare state Il welfare state moderno è un’invenzione europea, allo stesso modo dello stato-nazione, della democrazia di massa e del capitalismo industriale. Esso nacque in risposta ai pro- blemi creati dall’industrializzazione capitalista, fu guidato dalla lotta di classe democrati- ca e seguì le orme dello stato-nazione. (Flora 1986: xii) 3.2 Mobilitazione di classe «Lo sviluppo del welfare state fu guidato dalla lotta di classe democratica»: la mobilitazione di classe e le teorie dei gruppi di interesse evidenziarono che gli attori politici collettivi, come i movimenti laburisti, i gruppi di interesse speciali e i partiti politici richiedono e combattono per ottenere politiche sociali nell’in- teresse della loro clientela. Il welfare state viene quindi visto come l’esito di una lotta tra classi sociali e le loro organizzazioni politiche, ciascuna con la propria base di potere. In un’economia di mercato in cui il reddito deriva dalla vendita della propria forza lavoro, siccome niente impedisce al lavoro di essere «commerciabile» esso diventa una minaccia esistenziale per il lavoratore: disoccupazione, malattia, invali- dità dovuta a incidenti o vecchiaia ecc. Il mercato non poteva né far fronte diretta- mente a questo nuovo tipo di rischi sociali (ad esempio, attraverso assicurazioni private), né fornire i beni collettivi necessari a risolvere questi problemi. Pertanto, se molti dei nuovi rischi derivavano dal trattare il lavoro come una merce, il compi- to principale del welfare state sembrava collocarsi nella demercificazione del lavo- ro, ossia nel garantire il sollievo temporaneo del lavoro dalla pressione derivante dal vendere se stesso sul mercato del lavoro. Un tale effetto della demercificazione, grazie all’intervento del welfare state, è nell’interesse stesso dei lavoratori, pertanto sembra lineare identificare il movimento laburista come la principale forza politica trainante dietro la formazione e lo sviluppo del welfare state. Questi approcci non evidenziavano la convergenza, bensì la variazione tra i welfare state: più potente era il movimento laburista, più il welfare state tendeva a essere elaborato. Le cause per la variazione sono «sincroniche», ossia ci si at- tende che persistano nel lungo termine, o almeno tanto a lungo quanto persisto- no i differenziali di forza. 3.3 Istituzioni statali e burocrazia Il welfare state ha seguito le orme dello stato-nazione»: le teorie istituzionaliste alla fine puntano a quelle norme e regolamentazioni del policy-making (demo- cratico) e delle strutture dello stato che operano in relativa autonomia dalle
8 Scienza politica pressioni sociali e politiche in quanto determinanti principali all’emergere e allo sviluppo del welfare state. L’approccio evidenziava l’aspetto della «costruzione dello stato» nei welfare state (Skocpol 1985, 1992; Skocpol e Orloff 1986). Quando per la prima volta i paesi dovettero fronteggiare i problemi sociali generati dalle moderne società industriali, acquisì importanza se la loro élite burocratica fosse relativamente autonoma, come in Giappone (Garon 1987) o in Svezia (Heclo 1975), o se la mancanza di autonomia burocratica portasse alla «politicizzazione» nella for- mazione dei primi welfare state e al clientelismo del welfare. Ad esempio, la se- vera critica che il movimento progressista statunitense avanzò contro il clienteli- smo politico nelle pensioni dei veterani a lungo delegittimati e la tardiva prote- zione sociale statale negli Stati Uniti (Skocpol 1992). Questo esemplifica l’im- portanza della sequenzialità storica. Che cosa è arrivato per primo: la formazio- ne di una burocrazia weberiana o di una democrazia di massa (Kamens 1986)? Se ci si concentra su come lo stato si sia fatto carico della responsabilità per i suoi cittadini, è più semplice riconoscere che i primi programmi di welfare state non erano sempre esclusivamente diretti ai lavoratori, ma spesso verso altre ca- tegorie sociali i cui rischi non coincidevano con la classe sociale – come i soldati o le madri (Skocpol 1992; si veda anche Pedersen 1990, 1993). La letteratura ha fatto propri i contributi precedenti ignorando in gran parte il fatto che, per essere demercificati, bisogna prima essere mercificati (Pedersen 1990; Lewis 1992; Orloff 1993; Sainsbury 1994, 1996; O’Connor et al. 1999; Mor- gan 2002, 2003, 2006). La demercificazione in quanto concetto analitico ignorava il fatto che molte donne rimanessero in primo luogo escluse dal mercato del la- voro. A dispetto della rivendicazione secondo cui la produzione di welfare deb- ba essere analizzata nel contesto della triade stato, mercato e famiglia (Esping- Andersen 1990), la famiglia ha di fatto occupato un ruolo minore nelle analisi successive. È stata la critica femminista verso le letteratura sulla mobilitazione di classe che ha introdotto concetti quali «de-familizzazione» che discuteva co- me e in quale misura la previdenza statale di welfare potesse sostituire quei ser- vizi sociali tradizionalmente forniti dalla famiglia (Esping-Andersen 1999). Le intuizioni della scuola istituzionalista corrispondono bene alle prime os- servazioni della letteratura della modernizzazione, ossia che in realtà spesso so- no stati i paesi meno democratici, dove il suffragio non era ancora esteso, i pio- nieri nella costruzione del welfare state. Inoltre, non sempre i paesi più avanzati economicamente erano alla guida nell’introduzione di programmi pubblici di protezione sociale. Sono, piuttosto, le prime strategie preventive da parte delle élite dello stato che anticipano le agitazioni dei lavoratori a spiegare gran parte del ruolo pionieristico di nazioni non ancora pienamente democratiche ed eco- nomicamente meno avanzate come la Germania e l’Austria alla fine del XIX secolo. Qui i diritti sociali non erano garantiti da estesi diritti politici e di parte- cipazione dei lavoratori, ma erano una sorta di compensazione per la mancanza di tali diritti (Flora e Alber 1981; Alber 1982).
Welfare state 9 L’approccio delle risorse di potere e la letteratura istituzionalista reagirono al fatto che il legame causale tra industrializzazione (o, più in generale, moderniz- zazione) e sviluppo del welfare state non fosse sempre elaborato correttamente dal punto di vista teorico e non frequentemente confermato dal punto di vista empirico (si vedano Cutright 1965; Wilensky e Lebeaux 1965; Pryor 1968; Rim- linger 1971; Kerr et al. 1973; Jackman 1975; Wilensky 1975). Per dimostrare la grande varietà esistente tra i welfare state occidentali, la Figura 1 colloca i paesi in due dimensioni: in base al momento cronologico in cui tali paesi hanno intro- dotto il primo programma fondamentale di assicurazione sociale e in base al momento economico, ossia secondo il livello di sviluppo e prosperità economica, in cui tali paesi hanno introdotto questo programma. Come mostra la Figura 1, non c’è una relazione chiara tra il livello della mo- dernità, dell’industrializzazione oppure del PIL pro capite e la relativa «precoci- tà» o «tardività» nella formazione del welfare state. I paesi anglosassoni (Regno Unito, Stati Uniti, Canada) introdussero programmi di protezione sociale relati- vamente tardi ed ebbero un livello relativamente elevato di sviluppo economico. Con loro vi sono i paesi protestanti-liberali come i Paesi Bassi o la Svizzera, che Figura 1 – Livello di sviluppo economico nel momento dell’introduzione dei primi fondamentali programmi di protezione sociale Anno di introduzione $ 2.860 1930 I II USA CAN 1920 POR GRE SWZ 1910 JAP NTL AUS 1902 1900 ITA SPA FRA NZL UK FIN NOR BEL 1890 DEN SWE AUT GER 1880 IV III 1.000 2.000 3.000 4.000 5.000 6.000 7.000 PIL pro capite (in dollari Geary-Khamis) Fonte: Schmidt (1998: 180) e Maddison (1995: 194-201); si veda anche Wagschal (2000: 49)
10 Scienza politica si qualificano anch’essi come ritardatari nel welfare (Manow 2004). La Germa- nia e l’Austria sono stati pionieri nel welfare in senso cronologico, ma alcuni paesi introdussero i primi programmi di assicurazione sociale a un livello molto inferiore di sviluppo economico rispetto a essi (ad esempio, Giappone, Portogal- lo, Finlandia e Italia). Tuttavia, le forze politiche e sociali che possono essere ritenute responsabili per la costruzione precoce o tardiva del welfare state possono anche spiegare i differenti percorsi degli ulteriori sviluppi del welfare state? Questa è la doman- da per il prossimo paragrafo. PUNTI CHIAVE • Il welfare state è stato inteso come la risposta (funzionale) ai problemi sociali generati dalla modernizzazione, come risultato dei conflitti politici tra capitale e lavoro nelle moderne società capitaliste e come elemento centrale nella costruzione dei moderni stati-nazione. • Non vi è una connessione ovvia tra il livello dello sviluppo economico o della democra- tizzazione di una società e lo sviluppo del relativo welfare state. • Approcci differenti hanno obiettivi esplicativi o problemi differenti: l’approccio funzio- nalista tenta di spiegare la convergenza dei moderni welfare state; l’approccio delle risorse di potere e l’approccio istituzionalista tentano di prendere in esame le variazio- ni durature tra i welfare state. 4 L’espansione del welfare state 4.1 L’impatto della socialdemocrazia Negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo un nuovo approccio criticava la logica della tesi dell’industrializzazione e dell’opinione del votante mediano se- condo cui la politica democratica in quanto tale possa spiegare l’espansione del welfare state (Jackman 1975, 1986). L’obiettivo teorico era dimostrare come la politica contasse per i differenti percorsi dei welfare state che i paesi avevano seguito nel periodo post-bellico, focalizzandosi in particolare su come le diffe- renze nella composizione dei governi politico-partitici spiegassero le differenze nell’espansione del welfare state. Ad esempio, Christopher Hewitt (1977) soste- neva che il governo socialdemocratico fosse una condizione necessaria per l’espansione e per esiti egualitari. L’importanza esplicativa della politica partiti- ca era sottolineata anche dalle fallite previsioni dei modelli economici basati sul teorema del votante mediano. Allan Meltzer e Scott Richard (1981) introdusse- ro un modello il quale prediceva che la ridistribuzione del welfare state sarebbe cresciuta con l’incremento della disuguaglianza nel reddito. Con la tipica distri- buzione del reddito asimmetrica a destra, il reddito del votante mediano è al di
Welfare state 11 sotto del reddito medio, così egli dovrebbe sviluppare un interesse verso la ridi- stribuzione – un interesse che dovrebbe diventare più forte con la crescita della disuguaglianza nei redditi. Tuttavia, non sono le società altamente diseguali a ridistribuire di più. Al contrario, paesi come la Svezia e la Norvegia hanno en- trambi una struttura di redditi e salari già altamente compressa e un welfare state generoso, e paesi come gli Stati Uniti combinano un distribuzione disegua- le del reddito pre-tasse con un welfare state piuttosto residuale. Molti studi hanno corroborato l’effetto causale della forza socialdemocratica sulla prestazione del welfare state e hanno scoperto le condizioni sotto le quali questi movimenti erano realmente in grado di rifrangere l’operare del mercato attraverso i programmi di protezione sociale. La demercificazione era risultata essere la più forte se la sinistra era forte (Stephens 1979) e la destra era divisa (Castles 1978). Inoltre, i tentativi socialdemocratici di espandere il welfare state erano i più efficienti se il partito era supportato da un movimento sindacale for- te e coerente (Stephens 1979; Higgins e Apple 1981). Gli studi quantitativi transnazionali hanno ampiamente testato la tesi per cui la forza lavoro politicamente organizzata (socialdemocrazia) era responsabile principalmente per la trasformazione sociale del capitalismo (Hewitt 1977; Ste- phens 1979; Korpi 1983, 1989; Hicks e Swank 1984; Esping-Andersen 1985a; Griffin et al. 1989; Alvarez et al. 1991; Hicks 1999; si vedano anche Huber e Ste- phens 2001). La principale scoperta della letteratura è stata: più la massa della popolazione è organizzata come lo sono i salariati all’interno di un movimento socialdemocratico, più tende a essere elevata la qualità (universalismo, solidarie- tà, ridistribuzione) degli assetti di welfare e, come risultato, più è elevata l’esten- sione dell’uguaglianza. Pertanto, un welfare state sviluppato era interpretato come prova di un decisivo spostamento nell’equilibro di poteri a favore della classe lavoratrice e della socialdemocrazia (si veda Shalev 1983). Fin dal primo studio di Hewitt (1977), vi erano notevoli prove in favore dell’ef- fetto socialdemocratico sulla distribuzione del reddito (Björn 1979; Stephens 1979; Hicks e Swank 1984; Swank e Hicks 1985; Muller 1989; Hage et al. 1989). Eppure, per diverse ragioni la distribuzione del reddito era una variabile proble- matica: per ragioni tecniche, i dati aggregati disponibili fino all’arrivo dello Study Income Luxembourg (Mitchell 1990; Smeeding et al. 1990) non erano realmente comparabili; per ragioni teoriche, la distribuzione del reddito era problematica nella misura in cui i tipi di programmi universalistici e generosi di welfare asso- ciati alla politica socialdemocratica di successo tendevano a perdere il loro effet- to ridistributivo perché favorivano sempre più la classe media (LeGrand 1982; Goodin e LeGrand 1987; Esping-Andersen 1990; Korpi e Palme 1998). Qualche prova suggeriva che l’effetto socialdemocratico era più evidente se rapportato alle caratteristiche istituzionali dei welfare state (Korpi 1989; Myles 1989; Esping-Andersen 1990; Palme 1990; Kangas 1991). Tuttavia, dato che la ricerca si è spostata nella direzione di studiare le proprietà istituzionali e quali- tative dei welfare state, essa si è anche allontanata dal tipo «più o meno» oppu-
12 Scienza politica re «più grande è, meglio è» della concezione lineare socialdemocratica. Lo stu- dio di Kangas (1991: 52) sulla spesa sociale e sui diritti conclude quindi che «i più grandi non sono necessariamente i migliori, ma i migliori raramente sono i più piccoli». 4.2 Il neo-corporativismo e l’economia internazionale Altri hanno sostenuto che l’efficacia politica dei partiti di sinistra nel demercifi- care il lavoro e promuovere l’espansione del welfare state dipendeva anche più strutturalmente da un sistema di rapporti industriali centralizzato e neo-corpo- rativo (Cameron 1978, 1984; Schmidt 1983; Scharpf 1984, 1987; Hicks et al. 1989). David Cameron (1978, 1984) suggeriva che l’associazione tra una forte social- democrazia e i welfare state fosse legata alla posizione di un paese nell’econo- mia internazionale. La vulnerabilità che economie piccole e aperte avevano af- frontato aveva favorito l’espansione dell’economia pubblica così tanto da ridur- re l’incertezza tramite le garanzie sociali, il pieno impiego e una gestione più at- tiva dell’economia da parte del governo. Peter Katzenstein (1985) sosteneva che la reale catena causale appariva essere quella per cui piccole nazioni aperte svi- luppavano strutture corporative democratiche come modo per potenziare il con- senso interno, facilitare gli aggiustamenti economici e mantenere la competitività internazionale. Mentre il corporativismo democratico era promosso dalla pre- senza di forti movimenti laburisti socialdemocratici, Katzenstein pensava a Sviz- zera e Paesi Bassi per suggerire che essi non costituissero una condizione neces- saria (si veda anche Keman 1990; Garrett 1998). Più probabilmente la socialdemocrazia promuoveva l’espansione del welfare state se la sua forza parlamentare era accompagnata da forti meccanismi per la costruzione del consenso sia nella polity sia nell’economia (Schimdt 1983; Ke- man 1988; Hicks et al. 1989). L’intermediazione neo-corporativa venne a giocare un ruolo importante nel mantenere le politiche di welfare durante i periodi di crisi economica: la battaglie per la ridistribuzione che scoppiano quando declina lo sviluppo erano gestite meglio con le organizzazioni di interesse «onnicom- prensive». Alexander Hicks e Duane Swank (1984) e Edward Muller (1989) sug- gerivano che la forza dei partiti di sinistra (e l’apertura economica) influenzasse direttamente la distribuzione del reddito, mentre la sindacalizzazione e la centra- lizzazione della contrattazione sui salari avevano effetti indiretti decisivi fornen- do la base elettorale alla socialdemocrazia. Alla fine degli anni Ottanta, la letteratura giunse all’accordo che partiti e sin- dacati da soli avevano un piccolo effetto, e il successo della socialdemocratizza- zione richiedeva una configurazione con forti partiti di sinistra al governo soste- nuti da un movimento sindacale centralizzato e onnicomprensivo (Alvarez et al. 1991; Garrett 1998). Solo nelle economie «coerentemente» liberali, in cui un de- bole movimento laburista s’imbatteva in un dominio politico dei partiti conser- vatori, oppure nelle economie coerentemente socialdemocratiche, dove un forte
Welfare state 13 movimento laburista andava a braccetto con i governi di sinistra, ci si attendeva che politiche macroeconomiche, contrattazione sui salari e spese di welfare fun- zionassero bene nel completarsi a vicenda. Dall’altro lato, ci si attendeva che «economie incoerenti» funzionassero molto meno bene quando governi di de- stra che perseguivano politiche economiche neo-liberali s’imbattevano in una forte resistenza sindacale, causando lotte industriali, o quando il tentativo di ge- stione macroeconomica dei governi di sinistra era ostacolato da sindacati parti- colaristici e frammentati che si rivelavano incapaci di farsi coinvolgere in una concertazione salariale. Il dibattito odierno riguardo all’impatto della globaliz- zazione sulla sostenibilità dei generosi programmi di welfare riflette sotto molti aspetti il precedente dibattito corporativo sulle vulnerabilità economiche nelle economie aperte e il concomitante bisogno di compensazione di welfare (si veda sotto e il Capitolo 14). 4.3 Ridistribuzione dei rischi In una delle sfide più importanti alla letteratura, Peter Baldwin (1990) rifiutava il legame causale tra socialdemocrazia e politiche sociali solidaristiche nel loro insieme. Baldwin mostrava che, mentre la crescente uguaglianza poteva essere stata un tratto caratterizzante dei moderni welfare state, essa non era stata il suo obiettivo. Il welfare state riguardava più che altro la ridistribuzione dei rischi piuttosto che la ridistribuzione della ricchezza: l’uguaglianza si riferiva alla ridi- stribuzione dei rischi. La teoria del rischio e della distribuzione consentiva il ri- fiuto di ciò che Baldwin chiamava la causa laburista (ossia la mobilitazione di classe) per la sua stretta attenzione alla classe lavoratrice come la sola categoria a rischio. L’intuizione critica era che la classe poteva coincidere, ma raramente era così, con una categoria a rischio. Il punto di vista laburista assumeva che le politiche di welfare potessero essere spiegate in termini di vittoria della classe lavoratrice sulla borghesia. Ciò che storicamente aveva determinato la solidarietà delle politiche sociali non fu la forza della classe lavoratrice ma, al contrario, il fatto che «gruppi diver- samente privilegiati scoprirono che essi condividevano con gli svantaggiati un co- mune interesse alla riallocazione del rischio» (Baldwin 1990: 292). In modo analo- go, Heclo e Madsen (1986) e Therborn (1989) sostenevano che i principi di solida- rietà ed eguaglianza che caratterizzano la socialdemocrazia svedese avevano me- no a che fare con il socialismo che non con la tradizione storica svedese. L’impli- cazione era che il modello svedese fosse inapplicabile altrove (Milner 1989). 4.4 Democrazia cristiana e dottrina sociale cattolica Uno dei problemi fondamentali del modello socialdemocratico era che diversi paesi (ad esempio, i Paesi Bassi o la Francia) perseguivano l’eguaglianza e ave- vano un grande welfare state senza il patrocinio di un forte movimento laburista
14 Scienza politica socialdemocratico (Castles 1978, 1985; Stephens 1979; Wilensky 1981; Skocpol e Amenta 1986). Sia l’incapacità di spiegare le prime riforme del capitalismo dalle élite statali conservatrici e liberali, sia il fatto che altri partiti politici agivano come attori favorevoli al welfare, resero chiaro che il processo politico di costru- zione ed espansione del welfare state aveva bisogno di essere riconsiderato. Una risposta venne da coloro che mostrarono come la democrazia cristiana (il catto- licesimo politico) costituisse un equivalente funzionale o un’alternativa alla so- cialdemocrazia rispetto all’espansione del welfare state (Wilensky 1981; Schmidt 1982). Per John Stephens (1979: 100) «sembrava possibile che gli aspetti antica- pitalistici dell’ideologia cattolica – come le nozioni di salario equo e proibizione dell’usura – così come la generale attitudine positiva della Chiesa cattolica verso il welfare per i poveri potessero incoraggiare la spesa governativa per il welfa- re», di conseguenza non si poteva far coincidere la forza del lavoro con la forza della socialdemocrazia. I partiti cristiano-democratici che si collocavano al cen- tro godevano di un considerevole supporto da parte della classe lavoratrice ed erano comunemente sostenuti dai potenti sindacati cattolici (si veda van Ker- sbergen 1995). La costellazione politica era altamente favorevole allo sviluppo del welfare state. 4.5 Tendenze secolari Evidenziare l’agenzia politica contro gli approcci funzionalisti ha il pericolo di cadere nell’altro estremo di negare quanto dello sviluppo del welfare sia in- fluenzato da processi secolari al di là del controllo dei singoli attori politici. Al- cuni di essi includono: 1. L’invecchiamento demografico: una più lunga aspettativa di vita e un basso tasso di nascite conducono all’invecchiamento demografico e all’incremento della domanda di spesa sociale per la salute, le pensioni e le cure. I progressi medici sono costosi e impongono uno sforzo crescente per la spesa sanitaria. 2. Il morbo di Baumol: la produttività incrementa più lentamente nei servizi che nel settore manifatturiero, ciò significa che i servizi (sociali) incrementeranno in importanza economica. Contemporaneamente, le economie con un settore più ampio di servizi cresceranno a un passo più lento (Pierson 2001). 3. La deindustrializzazione: ossia la perdita di posti di lavoro nell’agricoltura e nell’industria incrementa la domanda di compensazione al welfare state (pro- tezione del posto di lavoro; ri-qualificazione; politiche attive del mercato del lavoro) (Iversen e Cusack 2000). 4. La legge di Wagner: così denominata dal nome dell’economica tedesco Adol- ph Wagner (1835-1917), predice una quota di spese pubbliche sempre mag- giore nelle economie industriali sviluppate, la quale causa una tendenza seco- lare verso una maggiore spesa pubblica in tutte le economie sviluppate.
Welfare state 15 5. «La politica del profitto» (si veda Buchanan 1977): la politica mira ad espan- dere la spesa pubblica per massimizzare il proprio «reddito politico» e au- mentare le proprie prospettive di rielezione. 6. La maturità del programma, il «feedback positivo» e gli effetti di cricca (clic- que) − ciascun programma di welfare alleva i propri sostenitori. Una volta introdotto, è quasi impossibile abbandonare una schema welfaristico in un momento successivo (Pierson 1994, 1998; Huber e Stephens 2001). Mentre tutti i welfare state avanzati hanno a che fare con queste sfide secolari, le loro vulnerabilità e opportunità nell’affrontarle variano a seconda del loro as- setto istituzionale. PUNTI CHIAVE • L’impatto politico dei partiti di sinistra sul welfare state dipende dallo sviluppo di un sistema di rapporti neo-corporativo e centralizzato che consente di rafforzare il con- senso interno, facilitare la regolamentazione economica e mantenere la competitività internazionale. • Critiche importanti al modello socialdemocratico o laburista: (1) il welfare state riguar- da il ridistribuire i rischi sociali e la classe lavoratrice è solo una categoria a rischio; (2) vi sono paesi che perseguono l’eguaglianza e un welfare state sviluppato, ma non hanno un forte movimento laburista socialdemocratico. • Vi sono altri attori a favore del welfare state (ad esempio, la democrazia cristiana) e importanti processi non politici (ad esempio, l’invecchiamento demografico) che ne promuovono l’espansione e lo sviluppo. 5 Variazioni tra i welfare state sviluppati Ogni welfare state è una combinazione «unica» di regolamentazioni e istituzioni. Tuttavia, nella scienza non siamo interessati all’unicità, ma alla comparabilità e alla variazione sistematica. Per comparare i welfare state, si possono distinguere alcune semplici dimensioni di variazione. Esse comprendono: (1) il welfare state è finanziato tramite tasse o tramite contributi? (2) Ogni cittadino è protetto o, piut- tosto, ogni lavoratore (e i suoi dipendenti) è assicurato? (3) I benefici sono un di- ritto, guadagnato tramite precedenti contributi ai programmi di assicurazione so- ciale o collegato allo status della cittadinanza, oppure i benefici dipendono dalla comprovata necessità, ossia sono condizionati alla prova dei mezzi? (4) I benefici sono uniformi (tariffa piatta) o riflettono il reddito precedente, ossia si tratta di pensioni o sussidi temporanei di disoccupazione che sostituiscono il salario oppu- re mirano a mettere in sicurezza uno standard «minimo» di vita? Che i sistemi di welfare presentino una varietà limitata può essere in parte spiegato dal fatto che scegliere una particolare soluzione istituzionale in una di-
16 Scienza politica mensione restringe allo stesso tempo l’insieme di scelte nelle altre. I sistemi di welfare avanzati rappresentano pacchetti o gruppi di risposte normative e istitu- zionali ai problemi sociali della società moderna. Vi sono solo molte possibili opzioni per proteggersi contro i rischi sociali e le varie misure protettive non possono essere liberamente combinate. Si prenda come esempio il finanziamento del welfare state: se il welfare state è finanziato dal gettito fiscale, l’idoneità dovrebbe essere legata allo status dei cittadini (con o senza la prova dei mezzi), ma non al rapporto di lavoro. Tuttavia, questo vorrebbe anche dire che è improbabile che i benefici riflettano il reddito precedente, bensì una nozione sociale di uno standard (minimo) di vita social- mente giusto e accettato. Al contrario, in un welfare state finanziato tramite con- tributi le deduzioni proporzionali dal libro paga giustificano benefici differen- ziati che riflettano la lunghezza del periodo di contribuzione precedente e il li- vello dei contributi pagati. Se la protezione sociale è principalmente collegata al rapporto di lavoro, sembra essere una soluzione «naturale» assicurare coloro che non hanno impiego come lavoratori dipendenti (ad esempio, moglie e bam- bini) tramite il membro della famiglia che ha un lavoro dipendente. In quanto insiemi di soluzioni normative e istituzionali ai problemi sociali i sistemi di welfare possono essere analizzati come modelli o regimi. Già alla fine degli anni Cinquanta Richard M. Titmuss (1958) suggeriva di distinguere fra: • Modello residuale di welfare, in cui la protezione sociale «entra in gioco dopo il crollo del mercato privato e della famiglia in quanto canali «naturali» per il soddisfacimento dei bisogni sociali» (Flora 1986: xxi). • Modello dei meriti e dei rendimenti, in cui i diritti e i benefici di welfare sono legati al rapporto di lavoro e riflettono «merito, prestazione lavorativa e pro- duttività» (ibid.). • Modello ridistributivo istituzionale, in cui le istituzioni sociali di welfare sono una parte integrante della società, fornendo «servizi universalistici al di fuori del mercato in base al principio del bisogno» (ibid.). Ovviamente, vi è una notevole sovrapposizione tra la tipologia di welfare state di Titmuss e i Three Worlds of Welfare Capitalism di Esping-Andersen (1990). In questo testo, Esping-Andersen distingue fra tre regimi. 5.1 Regime liberale anglosassone In un regime liberale, i benefici tendono a essere bassi e a tasso fisso. Essi preve- dono la prova di mezzi o sono diretti a gruppi chiaramente delineati nella socie- tà. Il welfare state è finanziato in maniera predominante dal gettito fiscale. Una protezione sociale più completa deve essere acquistata individualmente sul mer- cato (ad esempio, assicurazione sulla vita o piani pensionistici privati), dato che il welfare state protegge solo il piccolo gruppo dei maggiormente bisognosi. La
Welfare state 17 spesa pubblica per la protezione sociale è bassa dal punto di vista comparato. Questo regime di welfare è da ricercarsi dove i partiti conservatori sono sovente al governo, negli Stati Uniti e nel Regno Unito e, in qualche misura, anche in Australia e Nuova Zelanda (si veda sotto). 5.2 Regime socialdemocratico scandinavo Il regime socialdemocratico scandinavo è anch’esso finanziato perlopiù tramite il gettito fiscale, ma a differenza del modello liberale i benefici sono garantiti senza la prova dei mezzi. I benefici rappresentano un diritto dei cittadini e ten- dono a essere molto più generosi: si tratta di «un welfare state che vuole pro- muovere un’uguaglianza secondo gli standard più elevati» (Esping-Andersen 1990: 28), di conseguenza i livelli della spesa pubblica tendono a essere molto maggiori. I regimi socialdemocratici forniscono anche servizi di welfare per la cura, la salute, l’istruzione; il welfare state stesso diviene un fondamentale dato- re di lavoro che crea molti posti di lavoro femminili (Huber e Stephens 2000). Questo regime lo si ritrova principalmente nei paesi scandinavi, in cui i partiti socialdemocratici sono forti e spesso partecipano al governo, dove i livelli di sindacalizzazione sono elevati e la destra politica è divisa. 5.3 Regime conservatore continentale Infine, il regime continentale conservatore si avvicina al modello della «realizza- zione della prestazione» di Titmuss. Qui i diritti sociali non sono basati sullo status del cittadino ma sul rapporto di lavoro. Il welfare state è finanziato tramite contributi anziché tramite tasse. Coloro che non hanno un impiego sono coperti dal coniuge o dai familiari che invece hanno un impiego. I benefici di welfare si differenziano a seconda del reddito e all’insieme dei contributi versati al fondo dell’assicurazione sociale. Il welfare state conservatore ha trasferimenti forti e servizi snelli. Basato sui prin- cipi dell’occupazione, il welfare state conservatore mostra un alto grado di frammentazione dei programmi. I gruppi occupazionali più importanti (colletti bianchi e colletti blu, funzionari pubblici, liberi professionisti, lavoratori auto- nomi ecc.) hanno tutti i propri piani assicurativi (si veda la Tabella 1). La tipologia dei welfare state di Esping-Andersen è divenuta estremamente influente e ha orientato con successo la ricerca fino ai giorni nostri. Nello studio dello sviluppo dell’occupazione nell’economia dei servizi (Scharpf 1997b), o di proposte politiche differenti tra pieno impiego, budget equilibrati ed eguaglian- za del reddito (Iversen e Wren 1996), oppure di modelli di disuguaglianza nel reddito tra i paesi OECD (Korpi e Palme 1998), l’euristica «tre mondi» era di frequente confermata. Tuttavia, la voluminosa letteratura riguardo alla tipologia di welfare state di Esping-Andersen (si vedano Arts e Gelissen 2002) ha discusso se dovessero
18 Scienza politica Box 3 – I regimi di welfare state di Esping-Andersen [Nel welfare state liberale] predominano l’assistenza in base alla prova dei mezzi, mode- sti trasferimenti universalistici o modesti piani di assicurazione sociale. I benefici soddi- sfano principalmente una clientela a basso reddito, di solito la classe lavoratrice, i dipen- denti dello stato. […] A sua volta, lo stato incoraggia il mercato, passivamente – garan- tendo solo un minimo – o attivamente – dando sussidi a piani di welfare privati […] Nei […] welfare state fortemente «corporativi» e conservatori, l’ossessione liberale per l’effi- cienza di mercato e la mercificazione non è mai stata predominante e, in quanto tale, la concessione dei diritti sociali non è quasi mai stata una questione contestata. Ciò che dominava era la preservazione delle differenze di status; pertanto, i diritti erano collegati a classe e status. Questo corporativismo era incluso in una costruzione statale perfetta- mente pronta a sostituire il mercato come fornitore di welfare; quindi le assicurazioni private e i benefit delle frange professionali giocano un ruolo del tutto marginale […] Il terzo […] gruppo di regimi è composto da quei paesi in cui i principi dell’universalismo e della demercificazione dei diritti sociali erano estesi anche alle nuove classi medie. Po- tremmo chiamarlo il tipo di regime «socialdemocratico» poiché, in queste nazioni, la so- cialdemocrazia era chiaramente la forza dominante dietro le riforme sociali. […] I social- democratici perseguirono un welfare state che promuovesse un’eguaglianza dagli stan- dard più elevati. […] Questo modello taglia fuori il mercato e, di conseguenza, costruisce una solidarietà essenzialmente universale in favore del welfare state. Tutti beneficiano, tutti sono dipendenti e tutti presumibilmente si sentiranno obbligati a pagare. (Esping-Andersen 1990: 26-8) Tabella 1 – I tre mondi del capitalismo di welfare di Esping-Andersen I regimi di welfare «Liberale» «Conservatore» «Socialdemocratico» di Esping-Andersen (modello residuale) (modello dei meriti (modello (modelli di welfare e dei rendimenti) ridistributivo di Titmuss) istituzionale) Esempio principale Stati Uniti, Regno Unito Germania Svezia Demercificazione Bassa Media Alta Diritti sociali Basati sui bisogni Legati all’occupazione Universali Fornitura di welfare Servizi misti Trasferimenti Servizi pubblici Benefici Benefici piatti Legati ai contributi Ridistributivi Fonte: Ebbinghaus e Manow (2001: 9) essere aggiunti regimi addizionali. Alcuni aggiungono un distinto regime di wel- fare sud-europeo (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), alcuni trattano i due wel- fare state agli antipodi (Australia e Nuova Zelanda) come casi speciali (Castles 1989; Castles e Mitchell 1992; Ferrera 1996, 1997).
Welfare state 19 5.4 Europa meridionale Il regime di welfare dell’Europa meridionale si distingue dal resto degli stati con un regime di welfare conservatore-continentale per: • la perdurante assenza di un piano di assistenza sociale uniforme a livello na- zionale; • il dominio della spesa pensionistica sul totale della spesa sociale; • mercati del lavoro altamente segmentati con i più elevati standard di prote- zione per i «pochi felici» nel settore statale e nelle imprese pubbliche, in com- binazione con ampi segmenti di bassa protezione nel settore privato, cui si aggiunge l’occupazione non regolamentata nell’economia sommersa; • infine, sistemi sanitari nazionali che sono piuttosto atipici rispetto ai regimi di welfare conservatori dell’Europa continentale. 5.5 Australia e Nuova Zelanda I sistemi di welfare di Nuova Zelanda e Australia rappresentano un tipo («radi- cale») a sé (Castles 1989, 1996; Castles e Mitchell 1992). Mentre il targeting gioca un ruolo di primo piano in essi, le norme sull’idoneità non sono particolarmente restrittive. Inoltre, la protezione sociale pubblica in entrambi i paesi opera spes- so «attraverso il mercato», specialmente tramite l’arbitraggio statale dei conflitti industriali, assicurando un’alta protezione dell’occupazione e salari compressi, ciò che rende l’intervento e la ridistribuzione post-hoc del welfare spesso non necessari. La tipologia di Esping-Andersen era basata su indici di demercificazione pro- pri e impiegava i dati del 1980. Di recente, Lyle Scruggs e James Allan (2006a) hanno riaperto la discussione replicando lo studio originale di Esping-Andersen con nuovi dati (si vedano i siti internet alla fine del capitolo e la Tabella 2). Essi hanno scoperto che diversi paesi sembrano essere stati mal collocati e che la coerenza all’interno dei gruppi di paesi sia meno di quanto assunto da Esping- Andersen. Tuttavia, i due studiosi si spingono troppo oltre nel concludere che vi PUNTI CHIAVE • I welfare state avanzati rappresentano pacchetti o gruppi di risposte normative e isti- tuzionali ai problemi sociali e ai rischi della società moderna come la disoccupazione, la malattia, l’inabilità al lavoro dovuta a vecchiaia e invalidità. • La letteratura distingue da tre a cinque differenti regimi di welfare: (1) un regime an- glosassone liberale; (2) un regime socialdemocratico, rintracciabile in Scandinavia; (3) un modello conservatore, tipico dell’Europa continentale; (4) un regime europeo meri- dionale e (5) un tipo «radicale» rintracciabile in Australia e Nuova Zelanda.
20 Scienza politica sia un limitato sostegno empirico alla classificazione dei regimi. Questo perché in molte istanze la loro replica non conferma l’analisi originale e perché, come essi prontamente ammettono, non hanno finora incluso la stratificazione, ossia l’altra importante dimensione su cui è basata la tipologia di regimi di Esping- Andersen. Nondimeno, il loro è un contributo critico molto gradito che miglio- rerà in modo significativo la qualità del dibattito. 6 Gli effetti del welfare state Dove gli economisti (politici) si sono interessati prima di tutto a come lo stato (il settore pubblico in generale) abbia influenzato il comportamento economico (sviluppo economico, partecipazione nel mercato del lavoro, investimenti ecc.), la ricerca nella scienza politica comparata si è concentrata sul welfare e ha teso ad assumere un approccio più ampio nello studio degli effetti delle politiche so- ciali. Dal punto di vista teorico, essi si sono ispirati a T. H. Marshall (1950; si veda il Box 1). Il suo concetto di cittadinanza sociale non solo sottolinea i diritti sociali, ma anche come la concessione di tali diritti strutturi e ristrutturi la stratificazio- ne e i rapporti di status nella società. Le questioni principali riguardano se il welfare state (1) modifichi la disuguaglianza sociale; (2) allevi la povertà; (3) ri- duca i rischi sociali e (4) se welfare state differenti hanno conseguenze diverse per la stratificazione sociale. 6.1 (Dis)uguaglianza e ridistribuzione Quando si parla di disuguaglianza e povertà, si parla di divisioni e stratificazioni sociali che causano una distribuzione differenziata dei rischi sociali. La stratifi- cazione sociale rilevante nelle nostre società riguarda lo status o i gruppi occu- pazionali, le classi sociali, il genere, l’etnia. È probabile che le politiche sociali, il loro progetto e contenuto, siano influenzate dalla differenziazione prevalente nella società e possano o meno influenzare la stratificazione e la disuguaglianza sociali. La ricerca tratta la questione se le politiche sociali strutturino, causino, riproducano, rafforzino o moderino la disuguaglianza sociale. Si suppone che classe, genere ed etnia, quali concetti, catturino sistematica- mente come la società sia strutturata tanto che certi gruppi di persone sono chia- ramente privilegiati o svantaggiati in termini di posizione lavorativa, reddito, ricchezza, status, abilità, istruzione e soprattutto potere. Ci si attende che queste caratteristiche strutturali determinino in larga misura le possibilità di vita degli individui all’interno di questi gruppi e siano affiliate a molti altri aspetti, come la salute, la felicità, il tasso di decessi, lo stile di vita, la cultura, la preferenza politi- ca ecc. Riguardo alla classe, il dibattito è se e in quale misura sia possibile «fuggire» dalla propria classe.
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