IL PERCORSO ARABO-NORMANNO DICHIARATO DALL'UNESCO 'PATRIMONIO MONDIALE DELL'UMANITÀ

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     IL PERCORSO ARABO-NORMANNO DICHIARATO
         DALL'UNESCO 'PATRIMONIO MONDIALE
                   DELL'UMANITÀ
Palermo segna una data importante nel calendario infatti il 3 luglio del 2015 a Bonn il
Comitato del Patrimonio Mondiale dell'Unesco ha dichiarato l'itinerario Arabo
Normanno "Patrimonio Mondiale dell'Umanità" inserendolo quindi di diritto nella World
Heritage List.
Lo stile Arabo-Normanno è unico nel suo genere ed esclusivo di Palermo, Cefalù e
Monreale e si caratterizza per l'unione di due mondi opposti: quello arabo - musulmano e
quello normanno - cattolico.
I due secoli e mezzo di dominazione araba (dall'827 alla fine del XI secolo) resero la città
una tra le più ricche ed importanti dell'epoca: splendidi palazzi, moschee, minareti, giardini
e fontane vengono eretti.
Ai giorni nostri non sussiste purtroppo alcun monumento di rilievo appartenente all'epoca
musulmana. Questi splendidi palazzi arabi spariscono, infatti, con l'arrivo dei Normanni,
che se ne appropriano per riallestirli e modificarli, rendendo impossibile distinguerne
l'antica funzione.
I Normanni decidono di emulare il grande sfarzo degli arabi e riconoscono alle maestranze
musulmane una notevole bravura: da questo connubio nasce, appunto, lo stile arabo-
normanno.
Gli elementi tipici di questo stile per le chiese e le costruzioni civili sono: pianta basilicale a
croce latina o greca, torri e portale sulla facciata, coro spesso sormontato da cupole,
abbelliti da mosaici bizantini realizzati da artisti greci e da ornamenti arabi (archi a ferro di
cavallo, decorazione fatta di arabeschi1 etc.); i palazzi sono immersi in grandi parchi con
distese d'acqua e provviste, nel loro interno, di due caratteristiche aree: l'iwan (sala a tre
esedre) e il cortile all'aperto, circondato da portici e abbellito da una o più fontane,
decorati da pavimenti marmorei o costituiti da mattoni disposti a spina di pesce, pareti
ricoperte da mosaici con motivi arabeggianti e infine soffitti ed archi adorni di muqarnas
(decorazione ad alveoli o a stalattiti) scolpiti e dipinti.
1) L'arabesco è uno stile ornamentale composto da elementi calligrafici e/o motivi
   geometrici. Il termine deriva dal fatto che lo stile era adoperato, e lo è ancor oggi, per
   decorare le superfici perimetrali, sia esterne che interne, soprattutto di moschee.

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I monumenti in stile Arabo Normanno che fanno, o faranno in breve, parte dell'itinerario
Patrimonio dell'Unesco sono:
A Palermo
    ✓   Palazzo Reale o dei Normanni.
    ✓   Cappella Palatina
    ✓   Cattedrale
    ✓   Castello della Zisa
    ✓   La Cuba
    ✓   Cuba Soprana
    ✓   Castello dell’Uscibene
    ✓   Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio o della Martorana
    ✓   Chiesa di San Cataldo
    ✓   Chiesa di San Giovanni degli Eremiti
    ✓   Chiesa Santa Maria dello Spasimo
    ✓   La chiesa della SS. Trinità “Magione”
    ✓   Chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi
    ✓   Ponte dell’Ammiraglio
    ✓   Il Castello di Maredolce
    ✓   La Chiesa di Santo Spirito “Chiesa dei Vespri”

A Monreale
    ✓ Duomo di Monreale
    ✓ Chiostro di Monreale

A Cefalù
    ✓ Cattedrale di Cefalù
    ✓ Chiostro di Cefalù

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                                     PALERMO
Il sito dell'antica città. Palermo nacque sui margini marini di una vasta conca
resa fertile dalla clemenza del clima e dall'abbondanza di acque. I primi coloni vi
trovarono facili approdi alle foci dei numerosi fiumi. Due di questi erano
particolarmente importanti: l'uno, scendendo da ovest per i Denisinni, si
allargava nella depressione del Papireto, del Capo, di S. Onofrio e della Conceria
e sfociava nel mare congiungendo le sue acque all'altro che, scendendo dalla
fossa della Garofala a sud-ovest, lambiva alla sua destra l'anfrattuoso terreno
dell'Albergaria, inondava i Lattarini e finiva nel mare poco oltre i Quattro Canti di via
Roma. Il primo, detto Papireto, era alimentato da parecchie sorgenti ed aveva regime
quasi stabile e perenne vegetazione di papiri da cui il suo nome; l'altro, detto dagli
Arabi «fiume del Maltempo» e più recentemente Kemonia, era a regime
torrentizio. Entrambi erano poco profondi ed insensibilmente, per tutto il medio evo,
andarono colmandosi. Nel sec. XVI le loro foci erano già interrate e l'antico
approdo s'era ristretto alla Cala attuale.
L'antica situazione geografica generò probabilmente il nome di Palermo, derivato dal
greco Panormos o anche Pànhormos che deriva dall'unione di due parole
greche, Pan (tutto) ed Hòrmos (porto), questo particolare nome deriva dalla
conformazione stessa della città, che si trovava alla convergenza di due fiumi i quali,
circondandola creavano un enorme (per l'epoca) approdo naturale. Oltre a questo la città,
come tutte le città fenicie, basava la sua economia sul commercio marittimo. La prima
fonte a dare questo nome alla città è Tucidide che descrivendo la Sicilia all'arrivo
dei Greci parla       di Palermo, Mozia e Solunto come         le     più       importanti
colonie Puniche presenti sull'isola.
Il nome Panormos è comunque molto utilizzato dai greci per indicare città rinomate per il
proprio porto e lo troviamo in altri punti del Mediterraneo.
Questo nome andò diffondendosi più di quello fenicio, grazie alla maggiore influenza e
presenza greca sull'isola, ma, nonostante ciò, i Greci non riusciranno a controllare mai la
città che resterà una città Punica ed autonoma fino al periodo romano.

Le colonizzazioni pre-romane (sec. VIII - 254 a. C.). Tra il Kemonia ed il Papireto
sorgeva, poco elevata, una penisola lunga un chilometro e larga la metà. L'approdo
alle sue coste era facile ed essa era agevolmente fortificabile. I Sicani nel terzo
millennio, i Cretesi nella seconda metà del secondo millennio, gli Elimi attorno al sec.
XII a. C. e quindi i Greci nell'VIII secolo si stabilirono, più o meno precariamente, su
quella penisoletta. Tra l'VIII ed il VII secolo avvenne la massiccia colonizzazione dei
Fenici di Cartagine.
Nel secolo VI una forte cinta di mura fu gettata attorno alla zona dell'attuale palazzo
reale, di piazza Vittoria, del quartiere militare di S. Giacomo e del palazzo
arcivescovile (Paleopoli); due secoli dopo f u fortificato robustamente il restante
territorio della penisoletta, dove si formò una nuova città (Neapoli).

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Tra la Paleopoli e la Neapoli rimase il vecchio muro divisorio.
Alla fine del V secolo il siracusano Dionisio I, in lotta con Cartagine, tentò l'assalto
alla città ma questa resistette. Però nel 277 essa, inspiegabilmente debole, cadde
nelle mani di Pirro che la tenne un anno.
Panhormus romana (254 a.C. • 491 d.C.). Scoppiato il conflitto egemonico tra Roma e
Cartagine (264), si combatté in Sicilia per terra e per mare. Panormo, porto di
notevole valore strategico, f u uno dei cardini della contesa. Nel 258 f u assediata
vanamente dal console romano A. Attilio. Quattro anni dopo fu però costretta ad
arrendersi ai rinnovati attacchi dei Romani che poi, nel 251, frustrarono un
poderoso attacco del cartaginese Asdrubale.
Sotto i nuovi conquistatori, la città mantenne una vita attivissima, f u libera ed
immune, ma non mutò sostanzialmente il suo impianto urbanistico. Le case di
piazza Vittoria attestano la splendidezza del patriziato romano dominatore.
Durante la dominazione romana si mantenne il nome greco anche se avvenne una piccola
modifica di pronuncia, infatti il nome assimila una forma più simile al latino cambiando la
declinazione in Panormus, in questa prima fase però il nome mantiene lo stretto legame
con il nome greco.

                                        la città antica

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Palermo bizantina (535-831 d. C.). A metà del V secolo la Sicilia è corsa dai
Vandali di Genserico; anche Palermo è messa a sacco dopo disperata
resistenza. Gli Ostrogoti la occupano nel 491 e la fortificano saldamente. Nel
535 i Bizantini di Belisario spingono le loro navi sotto le mura della città e
sopraffanno i Goti. Segue un periodo di relativa sicurezza. La Chiesa romana
allarga in Sicilia la sua influenza e rafforza i l suo patrimonio. Panormo è
posta da Gregorio Magno a capo dell'amministrazione dei beni della Sicilia
occidentale. Nella città si fondano tre conventi ed un ospizio. Palermitano è il
papa Sergio, vissuto verso il 672.
Palermo musulmana (831-1072). Nel- 1'827 la espansione musulmana,
favorita dalla discordia dei dirigenti bizantini, investe la Sicilia.
Nell'831 le armate dell'Islam attaccano Palermo che si difende
disperatamente ma è costretta a cedere per fame e per peste.
Ulteriore passaggio prima della forma moderna avviene con la dominazione araba, quando
il nome originale diviene Balarm come ci viene riportato dagli storici arabi Ibn Hawq e
Edrisi e viene pronunciato Bal(e)rm, anche se alcuni storici arabi contemporanei alla
dominazione chiamavano la città semplicemente Madìnah che in arabo identifica la città
per antonomasia, questo sottolinea l'importanza che aveva raggiunto la stessa città sotto
la dominazione araba.
Con i nuovi conquistatori, la città assume, in Sicilia e nel Mediterraneo, un
ruolo eminente; accoglie stranieri di ogni nazione, moltiplica i suoi abitanti,
sviluppa la sua industria ed i suoi commerci. Vi risiede l'emiro la cui
dipendenza dal califfo d'Africa è solamente nominale; egli ha poteri civili,
militari e giudiziari. Amministra la città un consiglio municipale formato da
musulmani d'antica e recente nobiltà mercantile.
I vinti non sono oppressi, anzi l'emiro richiede il loro appoggio
nell'incessante lotta con la nobiltà ricca e invadente. Quando l'equilibrio si
spezzerà in favore di quest'ultima, sarà lo sfaldamento dello stato musulmano
e prevarranno i conquistatori normanni.
Palermo ha in età islamica impetuoso sviluppo. La città antica è insufficiente
a contenere l'accresciuto numero degli abitanti che ascendono a 300 mila. Al
di là dei due corsi d'acqua e dell'insenatura del porto, in meno di un secolo,
sorgono case, palazzi, edifici pubblici e diecine di moschee.
Alla metà del X secolo i quartieri di Palermo sono i seguenti: 1) Il Cassaro (al-
Qasr) cioè il quartiere del castello: è la città vecchia con nove porte, per corsa in
lunghezza dalla omonima via lastricata, rigurgitante di mercanzie. Vi abitano i
nobili ed i ricchi mercanti e vi hanno sede l'amministrazione citta dina e le
pubbliche scuole. 2) La Kalsa (al-H alisah) cioè l'eletta, quartiere fortificato, sede
dell'emiro, delle sue truppe, degli        uffici   governativi, dell'arsenale e delle
prigioni. Sorge ex novo nel 937-38 per tenere in rispetto la prepotente nobiltà
del Cassaro. 3) I quartieri sud orientali, compresi all'incirca nel peri metro di via
Porta di Castro, via Schioppettieri, il basso Cassaro, via Cinturinai, corso
Garibaldi, corso Tukory e la Porta di Castro. Non sono fortificati ed hanno

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carattere mercantile. 4) Il quartiere degli Schiavoni, al di là del Papireto, che si
estende fino al mare. Vi si affollano gli Schiavoni, famosi pirati assoldati dagli
Arabi per le scorrerie nella penisola ita liana. Vi tengono altresì i loro fondachi i
mercanti genovesi, amalfitani, pisani, veneziani, ecc.
Palermo s'è formata e rimarrà sostanzialmente immutata per quasi un
millennio.
Palermo normanna (1072-1195). A principio dell'XI secolo i l dominio
musulmano in Sicilia vacilla. Bizantini, Pisani e Normanni vi fanno frequenti
scorrerie e saccheggi.
Nel 1061 i Normanni vi sbarcano in forze e nel 1063 danno man forte ai
Pisani, che forzano il porto di Palermo rompendone la catena che lo chiude e
fanno ingente bot tino che destinano alla fabbrica del loro Duomo. Nel 1072
Ruggero e Roberto il Guiscardo prendono Palermo dopo cinque mesi
d'assedio. Nel 1091 tutta la Sicilia è nelle mani dei prìncipi normanni che se
la spartiscono e vi instaurano il regime feudale, primo germe della sua
decadenza. Palermo è ancora splendida sebbene piccone dei nuovi dominatori
abbia demolito le numerose moschee; vi fioriscono il commercio, le industrie
e la cultura. Il conte Ruggero, morendo nel 1101, lascia al figlio Ruggero uno
stato ben governato e questi può assumere nel 1130 la corona regia.
Ulteriore passaggio avviene con la dominazione normanna in questo periodo il legame con
l'arabo è molto forte, infatti la lingua parlata rimane la stessa e di conseguenza la forma
araba diviene dapprima Balermus, echeggiando la precedente pronuncia latina su una
base araba, e successivamente Balarmuh sempre con la pronuncia Bal(e)rmuh.
Sulla Paleopoli si fortifica il palazzo che era servito agli emiri prima di tra sferirsi
alla Kalsa; in esso due torri munitissime fanno fede della potenza dei monarchi
normanni. Presso la corte è un opificio di stoffe seriche ed uno stuolo d'artisti
edifica l'incantevole Cappella Palatina. Un estesissimo parco regio abbraccia la
città: in esso sono palazzi e luoghi di diletto, fra i quali la Zisa, la Cuba e la
Favara.
La Chiesa riassume gli antichi privilegi e molti altri ne conquista
infeudandosi. Sorgono innumerevoli le chiese e i conventi; si edificano i
duomi di Monreale e di Palermo.
Le ricchezze di tanti secoli d'intensa attività impinguano i nuovi dominatori
che coltivano le arti. I musulmani, che sono ancora l'anima di ogni attività
cittadina, sfollano il Cassaro ed occupano il vecchio quartiere degli Schiavoni chia-
mato ora Sera-caldi dalla maggiore via che l'attraversa. Nella depressione attorno
alla Cala sono ancora i mercanti delle città marinare italiane: ivi è la Amalfitania.
Più a nord viene rafforzato il castello a mare, già erett o in età islamica a difesa
del porto. I quartieri di sud-est si amalgamano costituendo quello
dell'Albergheria o Albergaria, contiguo alla Kalsa; gente di parecchie lingue, variamente
dedita al commercio, popola ancora la città.

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Finché è re il forte Ruggero, la monarchia è salda; alla sua morte (1154) la
nobiltà feudale ricca e potente ne insidia l'autorità. Maione di Bari, ministro di
Guglielmo I, s'adopera a rafforzare il vacillante prestigio del suo re, ma è
assassinato da Matteo Bonello, signore di Caccamo. Guglielmo II (1166-1189)
accoglie quell'eredità compromessa ed avviata a rovina.

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                         Palazzo Reale o dei Normanni

Nulla rimane delle antichissime costruzioni che qua dovettero sorgere fin dalle origini della
città. Probabilmente uno spesso strato di terra ricopre i resti della cittadella qui elevata dai
Punici e dai Romani: Gli emiri arabi nel IX sec vi costruirono il loro Palazzo che poi dal 1072,
divenne sede Normanna e tale rimase ancora in età Sveva. Al tempo di Federico II vi fiorì
quella scuola poetica siciliana che tanto peso ebbe nello svolgimento della letteratura
italiana.
Al declino della potenza sveva (1266) corrisponde il declino di queste fabbriche che a metà
del 500, erano, ad eccezione della reale cappella, in rovina. Dal 1555, restaurato ebbero
dimora i viceré e vi soggiornarono i re spagnoli, borbonici e savoiardi. Dal 1947 vi ha sede
l’Assemblea regionale siciliana.
La primitiva dimora degli emiri fu un fortilizio o Qasr cioè castello. I Normanni
accentuarono tale carattere delle fabbriche, ne aggiunsero altre nuove e posero a centro la
cappella. Quattro torri erano ai vertici dell’irregolare poligono della pianta: la Pisana a
nord, la Greca a mezzogiorno e, tra le due la Joaria e la Chirimbi. In una larga corte avanti il
palazzo, limitata da loggiati, era la spaziosissima aula regia o sala verde, magnificamente
decorata. Ivi il re teneva banchetto o assemblea. Gli appartamenti, i servizi e gli alloggi del

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personale, erano in edifici articolati fra terrazze, loggiati, gradinate, giardini e bacini
d’acqua.
Stilisticamente questo complesso rappresentava il culmine dell’arte palazziale Fatimita in
oriente.
Dopo un periodo di abbandono nel 1570 i viceré spagnoli, trasformarono ogni cosa e
demolirono le torri. Furono edificati il cortile meridionale quello pensile detto della
fontana, gli appartamenti sulla piazza e la facciata principale.
Nel 1647-48 furono aggiunti i due bastioni di S. Maria e di S. Michele per salvaguardarlo
dagli attacchi popolani; essi furono demoliti nel 1848.
Nel 1921 iniziarono i lavori di restauro che ripresero dopo l’ultima guerra e continuano
tuttora.
All’interno è possibile ammirare, oltre alla splendida Cappella Palatina, la Sala d’Ercole,
costruita nel 1560 ed è così chiamata per la presenza di dipinti che rappresentano scene
dell’eroe mitologico realizzate da Giuseppe Velasquez; la Sala del Duca di Montalto
decorata da affreschi eseguiti da Pietro Novelli; la Sala dei Viceré dove sono esposti
ventuno ritratti di viceré, presidenti e luogotenenti del regno; la Sala di Re Ruggero dove
alle pareti e sulle volte sono stati collocati dei mosaici a motivi naturalistici su un fondo di
tessere dorate; la Sala della Regina, in stile pompeiano con pitture eseguite da Giuseppe
Patania etc.
La Torre Pisana ospita dal 1791 l’Osservatorio Astronomico.

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                                     Cappella Palatina

Ubicata al primo piano del Palazzo dei Normanni, fu realizzata tra il 1130 ed il 1132 ai
tempi del regno di Ruggero, come cappella del Palazzo Reale.
Nel 1132 fu elevata a Parrocchia e fu intitolata a SS. Pietro e Paolo, ma col passare del
tempo la doppia intitolazione venne dimenticata e la Parrocchia viene chiamata
semplicemente di S. Pietro.
I muri esterni sono in parte occultati dalle costruzioni successive; l’ingresso è preceduto da
un loggiato ad archi acuti su alti piedritti; i mosaici che si vedono sulle pareti interne della
loggia sono moderni e hanno sostituito quelli più antichi del XVI sec.
La chiesa è di moderate proporzioni, (m 32 di lunghezza, m. 12.40 di altezza e m. 18
l’altezza della cupola) e fonde la pianta basilicale latina delle navate con quella centrica del
santuario. Questo è sollevato di alcuni gradini sul piano delle navate e riceve solennità
dalla presenza di grandi archi ogivali.
La cappella è interamente coperta da una incantevole decorazione musiva in oro eseguita
da maestranze bizantine che riporta temi iconografici religiosi, nella cui cupola troneggia
un maestoso Cristo pantocratore attorniato da Angeli ed Arcangeli.
La Cappella ha tre navate separate da dieci colonne, cinque per lato, di granito egiziano. Il
pavimento è di mosaico secondo un disegno che reca motivi uguali e continuamente
ripetuti; particolarmente interessante e ricco è quello posto ai piedi della cupola, dove è
presente un disegno geometrico, chiaramente di ispirazione bizantina.

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Il ricchissimo soffitto è a stalattiti, con pitture di stile islamico: due file di grandi cassoni a
forma di stella a otto punte, che chiudono una cupoletta lobata a otto spicchi curvi; la
stella è formata da due facce, l’interna è adorna di decorazioni geometriche, l’esterna,
invece, da caratteri (cufici) 1 dell’antica scrittura araba.
     1) Cufico o Kufico è uno stile calligrafico della lingua araba, (con forme rigide
        impiantate su una linea orizzontale) che prende il nome della città irachena di Kufa.

Il linguaggio dei mosaici La decorazione musiva svolge una funzione didattica di richiamo
alla fede e alla ortodossia. Vi si esprime la forza della chiesa cristiana, lo stato imperiale di
Cristo (con chiara allusione alle ambizioni politiche di Ruggero).
La decorazione della cupola simbolizza il regno celeste dove Cristo è supremo signore, con
santi profeti ed evangelisti; alcune scene della vita di Cristo sulla terra.
Nella navata maggiore scene del vecchio testamento, dalla creazione del mondo alla lotta
di Giacobbe con l’angelo.
Nella cupola è il Cristo Pantocrator (signore del creato) benedicente alla greca, circondato
da quattro arcangeli (Michele, Uriele, Raffaele e Gabriele) e da quattro angeli ecc.
Nell’abside: la presentazione al tempio l’annunciazione, la natività, la resurrezione, la
discesa al Limbo, la Pentecoste ecc.
Nella navata centrale sono storie della Genesi Creazione della luce e delle acque, divisione
della terra dalle acque, creazione degli astri, creazione di Adamo, Dio si riposa ecc.).
Nelle pareti delle navatelle sono narrate le storie dei santi Pietro e Paolo.

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                                     Cattedrale

È considerata il “libro di storia di Palermo”, poiché tutte le dominazioni che si sono
succedute nel corso dei secoli hanno lasciato traccia del loro passaggio; la costruzione
risale al 1184. (Gualtiero Offamilio, non il fantomatico inglese Walter of the Mill ma un
membro della famiglia reale, arcivescovo di Palermo, fece abbattere il vecchio tempio e
costruire l’attuale grandiosa cattedrale che fu consacrata nel 1185)
Dell’antica costruzione, splendido esempio di architettura Fatimita, rimangono, i muri alti
della navata centrale, le tre absidi, gli ordini bassi delle quattro torri angolari, una residua
parte del cimitero dei re (visibile al di sopra della sacrestia vecchia) e la torre occidentale
(senza i campanili)
Suggestivo è il prospetto meridionale (quello posto su via Vittorio Emanuele) con il
bellissimo portico realizzato nel 1453, il quale rappresenta un capolavoro del gotico fiorito
catalaneggiante e la balaustra in marmo che circonda il piano della Cattedrale del 1574,
realizzata da Vincenzo Gagini e successivamente ornata da statue di santi e sante siciliane.
In età barocca l’interno, nonostante le manomissioni e le aggiunte, era intatto nelle sue
strutture. L’ ampio interno fu radicalmente trasformato tra gli anni 1781 e 1801, donando
alla spazialità barocca una corretta proporzionalità neoclassica in cui la cupola è l’elemento
essenziale d’equilibrio.
Di ragguardevole interesse sono le tombe reali in porfido rosso, in particolare quella di
Federico II; la cappella con l’urna argentea di Santa Rosalia, patrona di Palermo,
che viene portata in processione ogni 15 luglio; l’acquasantiera realizzata da Domenico
Gagini del ‘500 con conca a conchiglia e rilievi rappresentanti il Battesimo di Gesù e
l’Annunciazione; l’Altare Maggiore in pietre semipreziose e legni pregiati del 1794 e il
tesoro, ricco di paramenti sacri, calici, breviari, ostensori etc., per la maggior parte dei

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secoli XVI, XVII e XVIII, sicuramente di notevole interesse è la tiara appartenuta a Costanza
d’Aragona, rinvenuta nel suo sepolcro.

Infine la Cripta dove si trovano sarcofagi di varie età, contenenti, per la maggior parte, resti
di arcivescovi palermitani. Ricordiamo il sarcofago di Gualtiero Offamilio (1190) fondatore
della Cattedrale.

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                                     Castello della Zisa

Il palazzo, iniziato durante il regno di Guglielmo I ed ultimato da Guglielmo II intorno al
1167, fu la residenza estiva preferita dai re e dalla sua corte. Il suo nome deriva dall’arabo
“al-Aziz”, ovvero “splendido”.
Durante i secoli ha subito diverse trasformazioni, la più rilevante è sicuramente quella
avvenuta nel 1635, dove vi furono apportate aggiunte in stile barocco, ad opera di
Giovanni Sandoval.
Esternamente si presenta come un blocco cristallino suddiviso in tre ordini orizzontali
corrispondenti ai tre piani.
Sulla facciata principale si apre un vestibolo detto “Sala della fontana”, attorno a cui
ruotano gli appartamenti delle ali meridionali e settentrionali e la cui decorazione è di
ispirazione tipicamente islamica a pianta quadrangolare trilobata, retto da coppie di
colonne; sull’arco di ingresso, invece, è stato collocato un affresco barocco detto “diavoli
della Zisa”, ovvero una serie di figure che secondo la tradizione è impossibile contare per la
loro disposizione in senso rotatorio.
Il pavimento della sala è attraversato da una canaletta che forma due vasche, quadrate
all’esterno e ottagonali all’interno, in cui scorreva l’acqua versata dalla fontana, posta sulla
parete di fondo.
La sala è interamente coperta da un rivestimento in marmo sovrastato da una fascia a
mosaico a motivi naturalistici, con tondi nella parete della fontana.

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Di notevole interesse è il particolare sistema di ventilazione, costituito da camini che
consentivano il refrigerio estivo.
All’interno del castello è ospitato il Museo d’arte islamica, con reperti provenienti dall’area
del Mediterraneo.

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                                      La Cuba
Situata all’interno di quello che un tempo era l’esteso parco di caccia dei re normanni
chiamato il “Genoard” (che in arabo significa: paradiso della terra), la
Cuba (dall’arabo qubba che vuol dire arco) sorge poco lontano da Porta Nuova
nell’attuale corso Calatafimi.

Questo sontuoso palazzo, che presenta tutti i caratteri peculiari dell’architettura d’età
normanna, fu voluto da Guglielmo II il Buono, come testimonia una iscrizione araba in
caratteri cufici che decora la cornice d’attico della fabbrica decifrata da Michele Amari nel
1849:
Nel nome di Dio, clemente e misericordioso Bada qui, ferma qui la tua attenzione, fermati e
guarda! Vedrai Egregia stanza dell’Egregi tra i re della terra, Guglielmo Secondo, non v’ha
castello che sia degno di lui, nè bastano le sue sale… nè quali notansi i momenti più
avventurati e i tempi più prosperi. E di nostro Signore il Messia mille e cento aggiuntovi
ottanta che son corsi tanto lieti”.
Il palazzo, coevo a quello della Zisa, che eguagliò in magnificenza, venne portato a
compimento nel 1180, era uno dei sollazzi regi (luoghi di delizie), ed un tempo era
circondato da un magnifico parco con vigneti, frutteti e da una grande peschiera.
Rimasto possedimento della monarchia di Sicilia fino agli inizi del XIV secolo, nel 1320
divenne proprietà di privati. In questo secolo venne menzionata dal Boccaccio nel suo

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“Decamerone”, che vi ambientò la sesta novella della quinta giornata riguardante l’amore
del giovane Giovanni da Procida per una giovane fanciulla destinata a Federico II d’Aragona
è chiusa nel palazzo reale.
Ritornata al patrimonio regio, nel 1436 Alfonso il Magnanimo la concesse a Guglielmo
Raimondo Moncada conte di Adernò, uno dei suoi viceré in Sicilia, finché nel 1575 durante
la      peste      venne     adibito      a     lazzaretto      per      gli      appestati.
Successivamente in epoca borbonica fu aggregato alla caserma di cavalleria dei
“Borgognoni”, subendo pesanti trasformazioni ed ampliamenti, con l’aggiunta di nuovi
corpi di fabbrica.

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La Cuba è una costruzione regolare di forma squadrata, costruita con pietre ben lavorate,
di buone proporzioni, tuttavia movimentato da quattro avancorpi a forma di torre, uno al
centro di ogni lato, e dal paramento murario esterno ripartito in lunghezza dalle “ghiere” a
rincasso e ornato da arcate ogivali. L’edificio si presenta oggi come una grande scatola
muraria semivuota, nulla più rimane, se non pochi resti, delle decorazioni dei piani interni
e dei rivestimenti del piano terra.
Originariamente l’ingresso al palazzo avveniva da uno dei lati minori del palazzo (fronte
meridionale), in corrispondenza del quale sono state ritrovate le tracce del ponticello che
lo collegava alla terraferma, essendo l’edificio circondato, come già detto, da una ‘ampia
peschiera, e introduceva dall’avancorpo in un vestibolo costituito da tre ambienti voltati
che comunicavano fra loro. Da qui si accedeva a un grande spazio centrale quadrato e
scoperto, una sorta di atrio con due fontane in nicchia sui lati nord e sud,
un impluvium (vasca) centrale, pavimento a mosaico, e quattro colonne poste in
corrispondenza dei quattro angoli (analogo all’atrio del piano superiore della Zisa e alla
sala dei venti del Palazzo Reale).
Nel lato ovest si apriva l’ampio fornice del “diwan“, la sala di rappresentanza.

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La Cuba sottana (dall'arabo Qubba, "cupola") fu costruita nel 1180 per il re Guglielmo II
d'Altavilla (1166-1189), al centro dell'ampio parco del Genoardo - dall'arabo gennet-ol-
ardh, “paradiso in terra” - il parco reale voluto da Ruggero II d'Altavilla (1130-1154).
Il Genoardo comprendeva al suo interno anche la Cuba soprana e la Cúbula (piccola cuba),
e faceva parte dei Sollazzi Regi, un circuito di splendidi palazzi della corte normanna situati
intorno a Palermo.
L'uso originale della Cuba era di padiglione di delizie, ossia di un luogo in cui il re e la sua
corte potevano trascorrere ore piacevoli al fresco delle fontane e dei giardini di agrumi,
riposandosi nelle ore diurne o assistendo a feste e cerimonie alla sera. La Cuba sottana,
appare oggi di proporzioni turriformi abbastanza sgraziate. La spiegazione è semplice. Era
originariamente circondata da un bacino artificiale profondo quasi due metri e mezzo.
L'apertura più grande, sul fronte settentrionale, si affacciava sull'acqua ad un'altezza oggi
inspiegabile.
Le notizie sul committente e sulla data sono riportate nell'epigrafe posta sul muretto
d'attico dell'edificio. La parte più importante, quella sul committente, era dispersa e fu
ritrovata nel 1849 da Michele Amari, scavando ai piedi della Cuba. La parte dell'epigrafe
ritrovata dall'Amari, esposta in una sala a lato, recita: "[Nel] nome di Dio clemente e
misericordioso. Bada qui, fermati e mira! Vedrai l'egregia stanza dell'egregio tra i re di
tutta la terra Guglielmo II re cristiano. Non v'ha castello che sia degno di lui. ... Sia lode
perenne a Dio. Lo mantenga ricolmo e gli dia benefici per tutta la vita".

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Il fatto straordinario di questa epigrafe, che dimostra la tolleranza e l'apertura della corte
normanna, è la lingua in cui è scritta: arabo fatimide in caratteri cufici. Dunque pur
riferendosi ad un re cristiano l'iscrizione è in arabo.
Nei secoli successivi, la Cuba fu destinata agli usi più vari. Il lago fu prosciugato e sulle rive
furono costruiti dei padiglioni, usati come lazzaretti dal 1576 al 1621.
In seguito svolse la funzione di caserma per una compagnia di mercenari borgognoni e
divenne infine proprietà dello Stato italiano nel 1921. Negli anni '80 comincia il restauro
che riporta alla luce le strutture del XII secolo.
Nella Cuba viene infine imprigionata Restituta, protagonista della sesta novella della quinta
giornata del Decamerone di Giovanni Boccaccio, ambientata all'epoca del re di Sicilia
Federico II (III, secondo altra numerazione) d'Aragona (1295-1337).

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Dall'esterno, l’edificio si presenta in forma rettangolare, lungo 31,15 metri e largo 16,80. Al
centro di ogni lato sporgono quattro corpi a forma di torre. Il corpo più sporgente
costituiva l'unico accesso al palazzo dalla terraferma. I muri esterni sono ornati con arcate
ogivali. Nella parte inferiore si aprono alcune finestre separate da pilastrini in muratura.
I muri spessi e le poche finestre erano dovuti ad esigenze climatiche, offrendo maggiore
resistenza al calore del sole. Inoltre, la maggior superficie di finestre aperte era sul lato
nord-orientale, perché meglio disposte a ricevere i venti freschi provenienti dal mare,
temperati ed anche umidificati dalle acque del bacino circostante.

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Dall'entrata si accede ad un locale a pianta quadrata delimitato da alte nicchie a sesto
acuto che danno all'insieme l'aspetto di una fortezza. Da questo locale si accede ad un
ampio spazio quadrato aperto da un alto arco trionfale che immette al terzo ed ultimo
spazio rettangolare che doveva costituire la sala del trono. Lo spazio centrale, dove si trova
un impluvium e dove sono state trovate le fondamenta di quattro colonne angolari, doveva
essere aperto e circondato da un percorso coperto perimetrale.

L'interno della Cuba era infatti originariamente diviso in tre ambienti allineati e
comunicanti tra loro. La sala centrale era inoltre abbellita da decorazioni a muqarnas,
delle quali ne rimane soltanto una.

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                                     Cuba Soprana
I giardini sono uno dei segni distintivi della concezione araba, ereditata dai normanni. Il
giardino, con la sua verzura, con la varietà coloristica dei fiori, con la bellezza degli alberi, è
simbolo del paradiso islamico descritto nel Corano, luogo di riposo, come l’oasi nei deserti
arabici. Scomparso il parco arabo-normanno di Palermo, possiamo avere un’idea del suo
significato attraverso gli splendidi giardini del Generalife nell’Alhambra di Granada, in
Spagna, l’unico palazzo musulmano medievale che esista ancora in Occidente.
Nel Generalife tutto è semplice, riservato, diviso in piccoli scomparti, umidi e ombreggiati; i
vialetti possono contenere appena due persone affiancate; ovunque sono piante odorose,
fitte boscaglie, fiori dai bei colori brillanti; l’acqua sgorga da infinite fontanelle e scorre
mormorando in stretti canali che si intersecano, mescolandosi alla vegetazione e
agli edifici.
Anche il parco di Palermo era ricco di fontane, vivai, chioschi, palazzi. Di queste costruzioni,
oltra alla Zisa, restano oggi solo alcune vestigia, fra cui la Cuba, che ne ripete le forme, e
la Cúbula, unico sopravvissuto fra i molti chioschi.

I resti della Cuba Soprana (XII secolo) di cui parlano le fonti sono oggi inglobati
nella settecentesca Villa Napoli. In età tardomedievale questo edificio per il soggiorno dei
re normanni venne trasformato in torre agricola fortificata.

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Oggi del palazzo normanno rimane solo un muro di conci ben connessi di tufo, in cui si apre
ad una certa altezza un’arcata ogivale con doppia ghiera affiancata da finestre. In basso vi è
un’altra arcata, forse posteriore e di dubbia funzione. Un bacino artificiale o una
peschiera simile a quella antistante la Zisa doveva qualificare questo padiglione posto nel
giardino regio del Genoardo.
Il corpo rettangolare della villa settecentesca si protende con due ali verso l’esterno e
racchiude al centro un bassissimo scalone a doppia rampa, sormontato da un fastigio a
balaustra.

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Inserita all’interno del giardino della villa è la Cúbula, l’unico rimasto dei molti chioschetti
che arricchivano il Genoardo. Costruita durante il regno di Guglielmo II (XII secolo) è
caratterizzata da una struttura cubica (m 6 x 6 circa) sormontata da una cupola rialzata su
un tamburo cilindrico e rivestita da cocciopesto idraulico, il cui colore rosato fu accentuato
durante i restauri ottocenteschi del Patricolo. Le aperture ogivali sui quattro lati,
caratterizzate da una doppia ghiera liscia e una con bugne a guancialetto, favorivano il
soffiare della brezza necessaria nella calura estiva.

All’interno del padiglione, molto semplice, nicchiette tripartite agli angoli del
quadrato modulano il passaggio al cerchio di base della cupola. Una piccola fontana
ottocentesca arricchiva l’ambiente.

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A modello del sistema idrico della Zisa o del Castello della Favara o di Maredolce, dalla
parete di fondo, in prossimità della muqarnas fuoriusciva un rivo d’acqua che attraversava
l’ambiente e, oltrepassato il portale d’ingresso, andava ad alimentare la pescheria.
Al livello superiore si accede da una scalinata ricavata nei vani all’îwân centrale, dove
rimane solo la cappella con i muri perimetrali arricchiti da arcate cieche disposte secondo il
consueto stile decorativo normanno.

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                               Castello dell'Uscibene

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Castello dell'Uscibene, detto anche Palazzo Scibene o palazzo dello Scibene, la definizione
di castello è impropria perché in realtà si tratta di uno storico palazzo arabo-
normanno di Palermo.
Uno degli antichi Sollazzi Regi dei re normanni in Sicilia, situato nel quartiere Altarello di
Baida. Un palazzo “reale” di cui non si hanno fonti storiche che consentano di datare con
certezza la sua origine, ma che, insieme a quello di Maredolce, del Parco (oggi Altofonte),
la Cuba Sottana, la Cuba Soprana, la Piccola Cuba e la Zisa, costituivano i sollazzi o “palazzi
di piacere”, residenze reali destinate allo svago e al riposo specie nei periodi più caldi. Per
questo erano costruiti nella Piana di Palermo, attorniati di giardini rigogliosi, e acque che
rendevano più piacevole la residenza.
Da un’analisi stilistica, si presume che l’edificio appartenga al regno di Ruggero II (XII sec.)
dal momento che non vi è alcuna documentazione che testimoni che il palazzo esistesse
già nel periodo islamico.
La sua costruzione sarebbe databile secondo alcune interpretazioni tra il 1130 ed il 1154 in
pieno periodo ruggeriano, ma è anche possibile che la sua costruzione sia ritardabile di
alcuni decenni nel periodo compreso tra il 1154 ed il 1189.
Al centro è presente una fontana simile a quella del castello della Zisa e si trova in una sala
cruciforme, vi sono anche delle piccole volte di tipo orientale poste anche in altri edifici
contemporanei. Ad una estremità dell'edificio c'è una piccola chiesa con volte a botte.

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Nel livello inferiore troviamo ancora oggi la presenza di un îwân a pianta quadrata con due
ampie sale attigue simmetriche.

La copertura con volta a crociera ha tre nicchie, una di fondo e due laterali, coperte da
semicalotte, nella calotta di fondo in pietra e stucco restano alcune tracce di muqarnas con
alveolature, mentre nelle due nicchie laterali, costituite da catini a ombrello rivestiti di
stucco, ancora in parte riconoscibili muqarnas scanalati a sezione triangolare.

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       Chiesa Santa Maria dell'Ammiraglio (detta
                     Martorana)

La Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio fu edificata nel 1143 da Giorgio di Antiochia,
ammiraglio di re Ruggero II. Nel XV secolo fu concessa al vicino convento delle suore
benedettine, fondato nel 1194 da Goffredo ed Eloisa Martorana; da allora la chiesa venne
detta, anche “Martorana”.
L’edificio è formato dal santuario, che conserva la sua originaria struttura quadrata con
cupola sorretta da quattro arconi acuti, tipico dello stile arabo-normanno, e dalle navate
barocche, aggiunte alla fine del XVII secolo, coprendo l’atrio d’ingresso, poiché, in origine
la chiesa era preceduta da un cortile scoperto su cui si ergeva la torre campanaria,
sopraelevata durante il XIV secolo, la quale divenne, nel ‘600, l’ingresso principale della
chiesa.
L’ampio interno è a tre navate con coro retto da colonne provenienti da precedenti edifici
normanni posto sull’ingresso. Di notevole interesse sono i mosaici bizantini che ricoprono
parte dell’interno e gli affreschi settecenteschi del sottocoro, realizzati da Olivio Sozzi e
Guglielmo Borremans. Il profondo presbiterio quadrangolare del 1685 è decorato da
marmi mischi; sull’altare è un prezioso tabernacolo in lapislazzuli della fine del XVII secolo,
e l’”Ascensione” opera d’impronta raffaellita, dipinta da Vincenzo da Pavia nel 1533.
La chiesa fa parte dell'Eparchia di Piana degli Albanesi, diocesi cattolica di rito greco-
bizantino della Chiesa Bizantina in Sicilia. Recentemente si sono conclusi i lavori di
restauro.

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                                Chiesa di San Cataldo

Fu costruita nel 1154 sotto il regno di Guglielmo I per volere di Majone da Bari, Grande
Ammiraglio del re normanno, quale cappella di un sontuoso palazzo, oggi non più
esistente.
Essa costituisce l’esempio più peculiare della cultura architettonica araba al servizio dei
sovrani normanni con le tipiche cupole rosse che la sovrastano e la sua forma di
parallelepipedo che la caratterizzano.
Guglielmo I donò, nel 1182, la cappella e il palazzo ai Benedettini di Monreale che vi
rimasero fino a quando, tutto l’edificio, nel 1787, fu trasformato in ufficio postale. Le varie
manomissioni che subì l’edificio nel corso dei secoli, avevano alterato profondamente
l’aspetto della chiesa, poi riportate alla configurazione originaria dal restauro diretto da
Giuseppe Patricolo nel 1882.
Le pareti esterne sono vivacizzate dal disegno grafico delle arcate cieche e dalla fine cimasa
di coronamento.
L’interno, a pianta centrale, ha tre navate divise da colonne con capitelli di reimpiego che
sorreggono le arcate acute.
Splendidi sono il pavimento a tarsie policrome in marmo e porfido e l’altare in cui sono
incisi una croce e i simboli degli evangelisti.

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               Chiesa di San Giovanni degli Eremiti

La Chiesa di S. Giovanni degli Eremiti, uno dei più insigni edifici medievali di Palermo e uno
dei monumenti-simbolo della città, fu costruita in epoca normanna, tra il 1130 e il 1148,
sotto il regno di Ruggero II, ma radicalmente restaurata nel 1882 da Giuseppe Patricolo.
Il modulo costruttivo interno della chiesa è dato da una struttura cubica sormontata da
una cupola. Tale modulo si ripete cinque volte: due nelle campate dell’unica navata, tre nel
transetto. L’accostamento del quadrato, che rappresenta la terra, al cerchio, che
rappresenta il cielo, ricorre sia nella cultura islamica fatimita sia in quella bizantina.
L’interno è nudo e raccolto.
La navata centrale è suddivisa trasversalmente da un robusto arco ogivale uguale all’altro
che limita anteriormente il transetto.
Questo ha tre absidi semicircolari delle quali solo la centrale si pronunzia all’esterno oltre
la struttura del muro.
Annesso alla chiesa, vi è il Chiostro, di datazione problematica, verosimilmente del XIII
secolo. Esso si presenta di forma rettangolare, con gli archi a sesto acuto su colonnine
binate.

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                 Chiesa Santa Maria dello Spasimo

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Il complesso conventuale intitolato a Santa Maria dello Spasimo fu voluto nei primi anni
del XVI secolo da Jacopo de Basilicò, un ricco Giureconsulto di origini messinesi, volle
rispettare le volontà testamentarie della moglie Ilaria Resolmini, nobildonna di origini
pisane, desiderosa di innalzare una chiesa dedicata al dolore immenso di Maria, che soffre
dinanzi al figlio che crolla sotto il peso della Croce sulla via del Calvario. Il de Basilicò,
esimio uomo di legge, reduce da un viaggio in Terra Santa, dona ai padri Olivetani di Santa
Maria del Bosco, “un tenimento di case, vigne e giardino di sua proprietà ai margini del
quartiere della Kalsa, per l’edificazione di una Chiesa con
annesso convento”.
Aveva scoperto che quel terreno di sua proprietà si trovava a 60 passi da Porta dei Greci
(nella sua prima collocazione cinquecentesca), esattamente come la chiesa dedicata a
Nostra Signora dello Spasimo di Gerusalemme, che era a 60 passi dalla Porta Giudicaria
(scenario della settima stazione della “Via Crucis” con la seconda caduta di Cristo).
Il 21 maggio del 1509 una Bolla di Papa Giulio II autorizzava la donazione del de Basilicò per
l’edificazione di una chiesa con “campanile, campana, cimitero, chiostri, refettorio,
dormitorio, orti, orticelli e varie officine per la necessità dell’ordine”. Secondo le volontà
della testatrice la chiesa doveva essere terminata entro sei anni, e infatti attorno al 1516 il
de Basilicò per celebrarla degnamente, commissiona al grande Raffaello da Urbino, un
dipinto raffigurante “L’andata al Calvario“, da tutti conosciuto come lo “Spasimo di
Sicilia“, e ad Antonello Gagini un magnifico altare marmoreo destinato a incorniciarlo.
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Il progetto dei Padri Olivetani era grandioso e richiedeva ingenti risorse, cosi che i soli
capitali messi a disposizione dal de Basilicò (egli costituì una rendita di cento onze annuali
sui propri beni), risultarono insufficienti per portare a termine l’imponente opera edilizia.
Così nel maggio del 1509 a Siena l’abate generale dell’ordine di Monte Oliveto, frate
Tommaso Pallavicino autorizza il monastero di Santa Maria del Bosco a concedere in
enfiteusi l’antica “gancìa” di Santa Barbara, di proprietà dell’ordine, per un canone minimo
di cento ducati annui, nell’intento di garantire ulteriore copertura finanziaria al progetto
edificatorio del complesso. Anche i terreni donati dal de Basilicò, che all’inizio sembravano
sufficienti, risultarono invece incapaci di contenere nei loro confini il grandioso progetto
previsto da Padri Olivetani, rendendosi necessaria l’acquisizione di nuovi spazi. Nel marzo
del 1517 donna Eleonora del Tocco concede ai monaci alcuni suoi terreni adiacenti
all’erigendo monastero che si sommarono ai terreni donati dal Basilicò.
Le vicende che riguardano l’edificazione del complesso conventuale dello Spasimo furono
molto travagliate: sopraggiunsero delle difficoltà di vario genere che ne allungarono i
tempi       di     esecuzione       e     ne      alterarono      il    progetto     originario.
Capomastro della fabbrica di S. Maria dello Spasimo fin dal suo avvio fu Antonio Belguardo,
personaggio ad oggi poco noto ma certamente uno dei protagonisti dell’architettura
palermitana del primo cinquecento, che si impegnò nella realizzazione degli elementi
strutturali principali della chiesa, nella quale i caratteri architettonici rappresentano quasi
un unicum nel panorama costruttivo siciliano, per la tipica concezione dell’architettura di
gusto gotico-settentrionale, con influssi di importazione iberica che ancora oggi possiamo
ammirare.
Ma il progetto iniziale, peraltro molto ambizioso, non fu mai portato a termine, lasciando
la sontuosa opera incompiuta. Le vicende che riguardano la fabbrica del complesso dello
Spasimo sono strettamente connesse con le opere di fortificazione che si realizzarono a
Palermo a partire dal 1537, volute dal viceré don Ferrante Gonzaga per proteggere i punti
più sensibili della città. Infatti il progetto della nuova cinta bastionata redatto
dall’architetto bergamasco Antonio Ferramolino, prevedeva tra gli altri, la realizzazione di
uno dei bastioni appunto nell’area del convento dello Spasimo, la cui realizzazione provocò
seri danni all’edificio monastico e cambiò il destino del complesso. Furono abbattuti infatti,
parte del campanile della chiesa, i chiostri e le stanze dei monaci che stravolsero la
configurazione dell’intera struttura. I danneggiamenti subiti dal convento dello Spasimo
erano talmente importanti da indurre i padri a chiedere di essere ricoverati nella vicina
chiesa della Magione per potere espletare momentaneamente le loro funzioni, in quanto i
monaci inizialmente non avevano intenzione di abbandonare il loro monastero, ma la
richiesta non ebbe seguito.

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Qualche anno dopo il viceré conte di Castro si interessa per far concedere ai frati la chiesa
di S. Maria della Pinta ma anche questa volta senza esito. Tutte le altre soluzioni
prospettate dal senato cittadino e dal viceré non soddisfarono i padri Olivetani, che dopo
tante vicissitudini nel 1772 furono costretti ad abbandonare il complesso abbaziale della
Kalsa, già di proprietà del senato che lo aveva definitivamente acquistato nel novembre
dell’anno precedente, per la somma di 4000 once, e a trasferirsi definitivamente
nell’abbazia normanna di Santo Spirito.
Successivamente al trasferimento dei padri olivetani tutto il complesso viene utilizzato dal
senato per usi profani, e nel 1582 nella chiesa ormai sconsacrata, il viceré Marcantonio
Colonna, vi fece rappresentare l’Aminta di Torquato Tasso divenendo così il primo “teatro
pubblico” della città. In seguito alla grande epidemia di peste del 1624 che colpì la città, in
mancanza di strutture ospedaliere adeguate, il convento dello Spasimo fu adibito a
“lazzaretto” ed ancora a magazzino senatoriale per la conservazione delle riserve
cerealicole della città. Dal 1835 divenne ospizio di mendicità e successivamente nel 1855
l’ospedale meretricio che era aggregato all’ospedale grande di palazzo Sclafani viene
trasferito nei locali dello Spasimo (ospedale dello Spasimo, sopravvissuto fino al 1985). Alla
fine del secondo conflitto mondiale, la chiesa venne utilizzata come deposito di materiale
artistico proveniente da palazzi e chiese della città danneggiate dai bombardamenti, poi
per anni cadde nell’oblio rimanendo praticamente abbandonata fino al 1988, anno in cui si
incominciò un vasto lavoro di restauro e di ripristino dell’intero complesso, che vide
restituire alla pubblica fruizione nel 1995, il magnifico complesso abbaziale.
Oggi la chiesa con la sua navata a cielo aperto, è un luogo suggestivo adibito a spazio
culturale che ospita eventi di vario genere, un incantevole scenario per manifestazioni
teatrali e musicali.

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La storia di questo meraviglioso monumento è stata sempre legata al famoso dipinto di
Raffaello “lo Spasimo di Sicilia“, che ha una storia a dir poco affascinante. L’opera,
commissionata al grande pittore urbinate dal De Basilicò nel 1516 per adornare la cappella
funeraria che si era riservato nella chiesa, subì nel corso del tempo varie traversie.
Secondo quanto ci dice il Vasari, il quadro partì per Palermo via mare, ma a causa di una
violenta tempesta che affondò la nave, equipaggio e carico finirono in mare. Si perse tutto
tranne il dipinto, chiuso in una cassa bene imballata che la corrente

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trasportò fino a Genova. Il ritrovamento ebbe grande rilevanza e apparve come un
miracolo, alla notizia del ritrovamento i frati dello Spasimo chiesero l’intercessione di Papa
Leone X per riavere l’inestimabile dipinto, riuscendo alla fine, a portare l’opera a Palermo.
Nel 1661 il viceré conte Fernando D’Ayala riuscì ad ottenere il dipinto dall’abate Clemente
Staropoli a cui concesse privilegi e una rendita annuale (anche se fu pagata solo in parte).
Questi ne fece dono al Re filippo IV di Spagna che lo volle collocare nella sua Real Cappella
a Madrid adornandolo con preziosi arredi. Oggi se vogliamo ammirarlo dobbiamo andare al
museo del Prado di Madrid. Pazienza!

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                              La chiesa della SS. Trinità
                                     “Magione”

La chiesa della SS. Trinità, comunemente conosciuta come “Magione”, si erge sul lato
meridionale di un vasto spiazzo nella omonima piazza Magione. Una spianata formatosi in
seguito ai bombardamenti aerei del 1943 (particolarmente devastanti in questa zona) le cui
ferite ancora aperte si potevano vedere ancora non molti anni addietro.
Questa chiesa insieme all’annessa abbazia fu fondata sul finire del XII secolo da Matteo
D’Aiello, cancelliere di Tancredi, l’ultimo Re normanno, che proprio da Matteo, nel 1190,
aveva ricevuto la corona regia, secondo la testimonianza di Riccardo di San Germano “est
per ipsum Cancellarium coronatus Rege”.
Il complesso chiesa-monastero occupò un settore urbano “infra moenia in civitate
panormi”, (dentro le mura della città di Palermo) con edilizia rada, dove risultava l’unica
emergenza architettonica del posto, ed era circondato da un grande giardino (“viridarium
Chiostro di Monreale magnum”) così vasto, che nei periodi di carestia, veniva piantato a
grano per sfamare la popolazione.
Matteo D’Aiello la volle intitolare alla SS. Trinità, una scelta non casuale, come una forma di
risposta a quelle dottrine considerate ereticali, che in quei tempi, sotto forma di correnti
teologiche e filosofiche, tendevano ad alterare il concetto di “Trinità”.

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Per lo stesso motivo chiesa e convento furono donati ai monaci Cistercensi che S. Bernardo
di Chiaravalle, per istanza dell’amico Re Ruggero, aveva mandato in Sicilia anni prima.
Infatti questo ordine monastico, in quei tempi il più influente all’interno della chiesa
cattolica, rappresentava un vero baluardo a difesa del Dogma cattolico della SS. Trinità
contro tutte le dottrine ereticali del tempo.
I frati Cistercensi mantennero il possesso della chiesa e dell’abbazia per pochi anni, nel
1197 infatti l’Imperatore svevo Enrico VI, cacciava i cistercensi, che gli erano stati ostili,
concedendo gli edifici all’ordine dei cavalieri teutonici (“ordo hospitalis Sanctae Mariae
theutonicorum Jerusalem”) che annoverava lo stesso Imperatore tra i suoi confratelli.
Da questo momento la chiesa assunse il titolo “Mansio Sanctae Trinitatis“, divenendo la
casa dei Cavalieri Teutonici, cioè la “mansio theutonicorum”, da cui il nome Magione.
I cavalieri manomisero pesantemente chiesa e convento, ne stravolsero l’assetto
architettonico originario, crearono nuove cappelle all’interno della chiesa, ingrandirono il
convento e costruirono un ospedale destinato ai pellegrini di etnia germanica provenienti o
diretti in Terra Santa.
Essi possedettero il complesso religioso fino al 1492 quando la Magione fu eretta in
commenda (cioè data in affidamento) e governata per quasi due secoli da Abbati
commendatari (primo fra i quali il Cardinale Rodrigo Borgia, il futuro Papa Alessandro VI) e
anche loro vi apportarono nuove modifiche occultando preesistenti strutture medievali.
Infine nel 1787, Ferdinando III di Borbone aggregò la chiesa con tutti i suoi beni all’ordine
Costantiniano di San Giorgio.

La chiesa, realizzata da maestranze e da artisti di origini islamiche, che è stata costruita
probabilmente inglobando una struttura religiosa preesistente (moschea), rappresenta uno
degli ultimi prodotti dell’architettura medievale siciliana d’impronta fatimita (che fu una

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