"Happy Birthday, Black Tuesday!" Intervista a Luca Bertini

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Domenico Quaranta - http://domenicoquaranta.com/

“Happy Birthday, Black Tuesday!”
Intervista a Luca Bertini
Domenico Quaranta

Published in: Extrart, June 2005.

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     Per chi ha scarsa confidenza con grafici e indici, non deve essere facile percepire
il dramma di un crollo in Borsa, nemmeno se si tratta del terremoto finanziario per
eccellenza, quello del 29 ottobre 1929. Non parlo, certo, degli effetti collaterali, le
banche che chiudono, gli sventurati che si buttano dal grattacielo, le famiglie piccolo
borghesi andate ad arricchire, di punto in bianco, le file degli homeless. Parlo della
forza tragica di un indice che scende, attratto verso il basso da una forza irresistibile;
dell’incubo prodotto da un guazzabuglio di numeri impazziti, privato, tutto a un
tratto, di qualsiasi logica interna. Quando un codice non ci appartiene, la prima cosa
che va persa è la sua capacità di trasmettere emozioni. Ma cosa succede se questo
codice viene tradotto in una lingua capace, più di altre, di parlare direttamente al
cuore? È quello che ha tentato Luca Bertini con 29, appropriandosi dei dati di quello
storico crollo, li ha convertiti, attraverso un software apposito, in note, che ha poi
fatto eseguire a una banda jazz. La colonna sonora dei Roaring Twenties chiude il
cerchio, che parte dagli anni Venti e agli anni Venti ritorna, restituendocene tutta
l’atmosfera languida e sovraeccitata. Ma il jazz serve anche per correggere i limiti
della traduzione che, si sa, è sempre imperfetta. Non esiste linguaggio che sappia
tradurre il dramma nel suo istante più autentico: così, quando la follia dei numeri
raggiunge il parossismo, e le note diventano ineseguibili, ecco intervenire
l’improvvisazione, l’assolo.
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     DQ. Innanzitutto: perché il 1929? Cosa spinge un artista che lavora con
virus, software e protocolli di rete a interessarsi al crollo di Wall Street?

     LB. Direi più che altro come può non interessarsene… Oggi dipendiamo
totalmente da equilibri economici che non siamo in grado di comprendere nella loro
natura che ha perso ogni rapporto con la realtà. Fluttuazioni invisibili influenzano la
nostra vita quotidiana in modo imprevedibile e tutto il “primo mondo” dipende in
gran parte da scelte – non soltanto economiche – di una sola nazione. Nel ’29 il
capitalismo nella sua fase selvaggia, in un certo senso da adolescente, inciampa nel
Black Tuesday producendo una crisi economica e sociale inimmaginabile fino a
pochi anni prima. Come altri elementi che mi hanno attratto, nella crisi del ‘29 vedo
una smagliatura, il nervo scoperto di un sistema lucido, bellissimo e spietato come il
nostro. Con i virus innamorati [Vi-con], il Numero Verde morboso e la radio pirata
che coordinava rivoluzioni autistiche [I.iar], sostanzialmente mettevo in atto uno
“spettacolo privato” infiltrandomi e nascondendomi nell’infrastruttura
dell’informazione. Era, insomma, un approccio che produceva una
spettacolarizzazione all’invisibile, rendendola intima e “privandola” del suo naturale
contatto con il mondo esterno e con la massa. Con 29 c’è invece una
spettacolarizzazione dell’invisibilità. Spostamenti economici nati e morti in pochi
istanti di una giornata distante 75 anni vengono celebrate concettualmente e
scenicamente attraverso un concerto Jazz di 16 elementi e due cantanti, con abiti da
scena e mannequin. Il crollo del 29 Ottobre 1929 poi, oltre ad essere un evento
entrato nella mitologia del mondo della finanza e della cultura popolare è una
giornata che ha simbolicamente salutato l’America del mito per abbracciare quella
della grande depressione. È innegabile che quell’implosione (im)prevedibile non sia
poi così lontana e polverosa come appare.
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     DQ. 29 si è sviluppato attraverso un percorso complesso. Ne puoi enucleare,
in breve, le tappe?

     LB. Il progetto si è strutturato in tre fasi: 1) recupero dati, 2) analisi , 3)
transcodifica. Per celebrare la giornata del 29 Ottobre 1929 dovevo accedere ai
tabulati degli Intraday Data – le informazioni relative alle oscillazioni interne della
giornata di scambi. Poiché questi dati non sono stati ancora digitalizzati, e visto che
non sono possibili fotocopie di materiale così fragile, sono dovuto andare fisicamente
negli archivi di Wall Street per caricarli nel mio computer. Ho quindi ricercato le
categorie borsistiche a cui le ditte erano riferite e disegnato i loro grafici. Una volta
ottenuto un grafico x y che descrivesse l’andamento – per esempio – del settore degli
industriali, con la collaborazione di un musicista e la consulenza di un matematico ho
creato un software per strumento musicale, capace di convertire i dati numerici in
note, assegnando ad ogni settore uno strumento che si adattasse alle sue
caratteristiche in base alla sua estensione e alla prevedibile configurazione di toni alti
o bassi o ripetitivi o scale particolarmente cromatiche.

     DQ. In un progetto così articolato, e dilatato nel tempo, difficilmente il
risultato finale coincide esattamente con le intenzioni iniziali. Hai incontrato,
durante il percorso, intralci o sorprese che hanno imposto virate imprevedibili al
progetto?

     LB. Ho vissuto sommerso dai numeri per circa due mesi e la musica mi è
“apparsa” solo nelle ultime settimane di lavoro. Mano a mano che lavoravo i dati
spedivo gli spartiti al direttore d’orchestra, non avevo mai una visione d’insieme
dell’esecuzione. Mi aspettavo una musica atonale, ma non – anche se solo in alcuni
momenti – ineseguibile. Alcuni passaggi che coincidevano con i tracolli di interi
settori producevano infatti una musica fisicamente ineseguibile, velocissima e
caotica, riproducibile solo attraverso un computer. Ho allora pensato che erano questi
i momenti in cui il jazz poteva liberare tutta la sua forza espressiva. Infatti, del
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progetto mi ha sempre interessato la commistione di una speculazione al suo apice
causata in gran parte da ricchi wasp – bianchi protestanti convinti nella tensione
semi-religiosa del liberismo economico – e il jazz, che nasce dal basso, da un
sottoproletariato dell’america post-schiavista che, simmetricamente, vive la musica
con accezioni quasi mistiche.

     Se non avessi avuto l’ineseguibilità di alcuni momenti musicali quindi non avrei
mai potuto sfruttare gli attimi di panico borsistico come vitale celebrazione
dell’america nera.

     DQ. Il modo in cui 29 viene presentato al pubblico è coerente con una
tendenza abbastanza diffusa negli esiti recenti dell’arte che ha a che fare con i
nuovi media: il rifiuto di ogni estetica cyber, hi-tech o low-tech, spesso esibita
fino a pochi anni fa. La tecnologia scompare, e viene utilizzata, finalmente, per
parlare di qualcos’altro…

     LB. Non sono mai stato affascinato dall’estetica hi o low-tech:
l’autoreferenzialità della tecnologia, a meno che non sia strumentale al progetto,
evidenzia secondo me un’infatuazione o, peggio ancora, una sacralizzazione dell’idea
di tecnologia, oggi molto frequente. Anche il pettine è uno strumento tecnologico.
Donare l’aura alla “tecnologia” è ingenuo in un quotidiano in cui utilizziamo una
scheda magnetica per pagare, facciamo svogliatamente zapping su canali di altri
continenti e sappiamo se la settimana prossima farà bel tempo in Puglia.

     Viviamo in un presente estremamente affascinante che si poggia su una
potentissima, eppure fragilissima, infrastruttura “tecnologica”, che noi siamo arrivati
a non vedere in quanto tale, ma a considerare “naturale”. Per uno strano motivo
sembra che questo non valga in arte, e che qualsiasi appropriazione degli strumenti
del presente sia o percepito da alcuni artisti come valore a sé, e visto da una certa
critica con circospezione e senso di ingerenza. E infatti qualcuno conia il prevedibile
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termine di “new media art”, e questo sintomaticamente sembra andar bene a tutti… E’
un ritardo degli artisti e della critica. Non sicuramente dell’arte.

     DQ. Il “libretto” d’opera illustra una corrispondenza rigorosa tra lo
strumento musicale e il settore borsistico di cui interpreta l’andamento. In base
a quale criterio – se un criterio esiste – è stata stabilita questa corrispondenza?

     LB. Fin dall’inizio pur privilegiando un approccio sterile e metodico nel
trattamento dei dati, sapevo che avrei comunque operato con un metodo tra i tanti
possibili. Anche se ci sono griglie logiche che rispettano più o meno la natura dei
dati, non esiste un metodo unico per eseguire questo tipo di transcodifica. La mia
unica esigenza era quella di far “cantare” la giornata di scambi, senza voler adottare
algoritmi sofisticati che avrebbero reso la musica più orecchiabile a discapito di una
certa lealtà nei confronti dei valori originali. Ho quindi pensato ad un approccio da
scala 1:1, ancorando la variazione del settore all’altezza della nota e il volume delle
contrattazioni alla durata e intensità delle note/pause. Le improvvisazioni sono state
introdotte in seguito, quando la parte relativa ad un tonfo era così complessa da
risultare non eseguibile. L’isteria monetaria anche in questo caso è un elemento che
sfugge alla previsione e alla computazione…

     DQ. Il dubbio sulla presenza di un criterio, nella domanda precedente, era
puramente retorico. Nei tuo “programmi”, siano essi un virus, un numero verde
o, come qui, un processo complesso di traduzione da un codice all’altro, tutto
funziona perfettamente; eppure si ha l’impressione che l’importante sia la
narrativa che viene sviluppata, che potrebbe funzionare anche se il
“programma” fosse fittizio. Perché è necessario che tutto funzioni?

     LB. Forse non è necessario che “tutto” funzioni, se non forse per l’artista. L’arte
dopo aver conquistato anche lo spazio mentale, ovvero il puro processo logico, è più
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che mai un tacito compromesso tra artista e spettatore. Chi osserva consapevolmente
un’opera entra in una dimensione da cane di Pavlov, per cui ogni stimolo, attrazione,
espediente inatteso diventa oggetto di contemplazione. E’ buffo che in questa
bellissima dimensione d’assurdo, una “bugia tecnica” possa rompere l’incantesimo.
Tuttavia penso che un’opera che non funzioni come dovrebbe – nel caso in cui questo
non sia strumentale all’opera o ad un suo percorso – non debba essere soddisfacente
per l’artista, poiché l’esattezza è fondamentale per la lealtà di un’opera e,
ovviamente, la credibilità di chi la crea.

     DQ. Il jazz prevede, per sua natura, una buona dose di improvvisazione,
una certa libertà nei confronti dello spartito. Uno spazio di libertà previsto, che
aggiunge, non toglie fedeltà all’interpretazione: e che sembra integrare nella
narrazione tutti i drammi e i balzi emotivi che hanno accompagnato il crollo di
Wall Street. Si può leggere 29 come una rilettura drammatica degli indici di
borsa, o come una traduzione dei dati in emozioni, a cui il jazz è perfettamente
funzionale?

     LB. Non era mia intenzione evidenziare questo o quello stato emotivo in
relazione alle dinamiche della borsa. In un certo senso sono state le transazioni a
parlare da sole, io ho solo scelto una struttura logica per il passaggio, ma non potevo
– né volevo – prevedere o pilotare il tutto. Diciamo che ho aiutato quella giornata a
tornare alla ribalta e a farsi notare, e, visto che le circostanze erano favorevoli, le ho
fatto festeggiare il compleanno insieme ad amici.
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