GRECIA - La vittoria del "No" al referendum popolare sulla proposta di accordo presentata dai creditori internazionali
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ISSN 2037-6677 DPCE online 2015-2 GRECIA – La vittoria del “No” al referendum popolare sulla proposta di accordo presentata dai creditori internazionali di Tania Abbiate Il 5 luglio 2015, il 61,2% dei greci si è pronunciato contro la proposta di accordo tra la Grecia e i creditori internazionali (Commissione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale) in un referendum popolare, che ha scosso non solo tutto il Paese, ma l'intera Unione Europea: la consultazione andava infatti a toccare questioni assai delicate nel rapporto fra il Paese e l'Unione, tanto che numerosi leader stranieri e alcune autorità europee si erano persino espressi in merito al voto e alle sue conseguenze. Il referendum era stato annunciato dal Primo Ministro ellenico Alexis Tsipras il 26 giugno 2015, a due giorni dalla scadenza del prestito da 1,6 miliardi di euro concesso dal Fondo Monetario Internazionale e nel pieno delle trattative con i creditori sulla erogazione dell’ultima tranche di aiuti del corrente programma di sostegno finanziario alla Grecia. La decisione di coinvolgere direttamente i cittadini è stata accolta da aspre critiche sia a livello interno che a livello internazionale, così come era avvenuto nel 2011, allorché l’allora Primo Ministro greco George Papandreou aveva proposto un referendum sugli accordi di aiuto con la troika. Mentre in quell’occasione l’opposizione di alcuni membri del suo Esecutivo e le proteste dei Governi europei avevano portato Papandreou a ritirare la proposta, questa volta le polemiche non hanno impedito lo svolgimento della consultazione popolare. www.dpce.it 1
DPCE online 2015-2 Circa 10 milioni di cittadini greci sono così stati chiamati a pronunciarsi sul seguente quesito: «Deve essere accettato il piano d’accordo proposto da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale all'Eurogruppo del 25 giugno 2015, composto da due parti che insieme costituiscono la proposta complessiva. Il primo documento è intitolato «Riforme per il completamento dell'attuale programma ed oltre» ed il secondo «Analisi preliminare per la sostenibilità’ del debito»?». Benché la traduzione dei documenti presentata ai votanti fosse viziata da alcuni errori e la proposta dei creditori fosse lievemente cambiata al momento dello svolgimento del referendum, non si può negare che la maggioranza dei greci si sia espressa in maniera sostanzialmente contraria rispetto al piano d’accordo. Come già anticipato, infatti, il 61,2% degli elettori si è dichiarato contrario, mentre solo il 38,2% si è espresso in favore. Il risultato della consultazione ha ribaltato le primissime previsioni che prefiguravano una vittoria del “sì” e ha aperto scenari inediti. All’orizzonte si profila infatti un inasprirsi della tensione tra creditori internazionali e la Grecia, il cui Governo, dichiaratamente ostile alle politiche di austerità promosse dalla Gruppo di Bruxelles, deve ora fare i conti con un nuovo problema: la popolazione ellenica nutre infatti forti aspettative di un cambiamento radicale della politica europea, fino ad ora improntata al rigore e all’austerità. Tuttavia, proprio la condizione di isolamento in cui il Governo greco si trova rende assai difficile la realizzazione di un simile scenario. Al di là delle molte implicazioni di carattere politico che questo voto comporta, merita soffermarsi sui profili giuridico-costituzionali della vicenda. A tal riguardo occorre innanzitutto sottolineare che il ricorso all’istituto referendario ha trovato fondamento giuridico nell’art. 44, c. 2 della Costituzione. Questa disposizione sancisce che: «Il Presidente della Repubblica può, su proposta del Governo, indire con decreto un referendum su questioni di elevata importanza previa approvazione da parte della maggioranza assoluta dei membri del Parlamento. Un referendum sulle leggi riguardanti questioni di carattere sociale particolarmente rilevanti, con l’eccezione della materia fiscale, può essere indetto tramite decreto del Presidente della Repubblica, dopo una decisione in tal senso da parte dei tre quinti dei componenti del Parlamento […]». L’articolo prevede dunque due fattispecie, caratterizzate da due diversi regimi giuridici: una riguarda le «gravi questioni nazionali» e l’altra «le leggi riguardanti questioni di carattere sociale particolarmente rilevanti, con l’eccezione della materia fiscale». www.dpce.it 2
DPCE online 2015-2 Il referendum di domenica scorsa rientra nella prima delle due fattispecie, come si può evincere dal fatto che la proposta governativa di indire il referendum è stata approvata con 179 voti su 300, quindi con una maggioranza superiore a quella assoluta ma inferiore a quella dei 3/5 dei componenti del Parlamento. Nondimeno, sulla legittimità del referendum popolare si è aperto un ampio dibattito di carattere costituzionale, che si spiega anche con il poco frequente ricorso allo strumento referendario: l’ultimo referendum risale infatti al 1974, quando il popolo è stato chiamato a pronunciarsi sulla scelta istituzionale tra monarchia e repubblica. La previsione costituzionale di due fattispecie referendarie e lo scarso ricorso all’istituto hanno dunque portato due cittadini greci ad adire il Consiglio di Stato (la suprema corte amministrativa, che nell’ordinamento greco svolge anche il controllo di costituzionalità delle leggi), lamentando la violazione dell’art. 44, c. 2 della Costituzione e della legge n. 4023/2011 recante la disciplina del referendum. Secondo i ricorrenti il referendum verteva sulla materia espressamente esclusa dalla possibilità di ricorrere allo strumento referendario e la formulazione del quesito non era espressa in termini «chiari e concisi» così come richiesto dall’art. 3, c. 2 della legge del 2011. Con la sentenza n. 2787/2015, resa il 3 luglio, il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso, dichiarando la sua incompetenza ratione materiae. Per motivare tale decisione, l’organo ha fatto ricorso a tre disposizioni: 1) l’art. 95, c. 1, lett. a) della Costituzione, ai sensi del quale il Consiglio di Stato è competente ad annullare gli atti delle autorità amministrative per abuso di potere o violazione delle legge; 2) l’art. 45 del decreto presidenziale n. 18/1989 che esclude la possibilità di richiedere l’annullamento degli atti e delle disposizioni governative riferiti alla gestione dell’attività politica; 3) l’art. 100, c. 1, lett. b) della Costituzione che attribuisce alla Corte suprema speciale il controllo di legittimità del referendum disposto dall’art. 44, c. 2. Al di là del rigetto della questione, i profili messi in luce nel ricorso hanno suscitato un ampio dibattito pubblico. In particolare, il breve lasso di tempo intercorso tra l’indizione del referendum e il suo svolgimento ha suscitato ampie critiche. Sulla questione è intervenuto anche il Consiglio d’Europa il quale ha affermato che tale periodo di tempo è contrario alle linee guida elaborate nel 2007 a proposito di referendum, che raccomandano un tempo di almeno due settimane. A tal proposito occorre sottolineare che né la Costituzione, né la legge che disciplina il referendum prevedono il decorso di un termine minimo tra l’indizione e lo www.dpce.it 3
DPCE online 2015-2 svolgimento del referendum, limitandosi a stabilire che la consultazione popolare debba essere effettuata «entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto presidenziale con cui viene indetto il referendum» (art. 12, c. 1 della legge n. 4023/2011). Gli unici limiti temporali previsti dalla legge si riferiscono al formato della scheda elettorale, il quale deve essere deciso entro tre giorni dalla pubblicazione del decreto presidenziale di indizione del referendum (art. 14 c. 1), e alla distribuzione delle schede tra le circoscrizioni elettorali, che deve avvenire al più tardi cinque giorni prima della consultazione (art. 14, c. 3). Benché la scansione temporale dell’iter referendario non abbia infranto alcun vincolo giuridico, il breve lasso di tempo intercorso tra la convocazione e lo svolgimento del voto ha rappresentato un aspetto sul quale ha insistito con particolare enfasi il fronte dei contrari alla decisione del Primo Ministro di coinvolgere i cittadini su una questione di carattere economico e politico di così grande rilievo e complessità. Malgrado le polemiche, la consultazione elettorale si è svolta regolarmente e al voto ha preso parte il 63% degli aventi diritto, permettendo così di superare il quorum di validità del 40% richiesto dall’art. 16, c. 3 della legge n. 4023/2011. La vittoria del “no” non ha tuttavia consentito al Governo Tsipras di ottenere un cambiamento sostanziale dei termini dell’accordo con i creditori internazionali. Le due opzioni prospettategli al tavolo delle trattative sono state infatti l’uscita della Grecia dall’area Euro o l’accettazione di un terzo pacchetto di aiuti economici in cambio dell’adozione di pesanti misure di austerità, dello stesso tenore (se non di entità maggiore) di quelle rigettate dalla maggioranza dei votanti al referendum popolare. Posto dinnanzi a queste due alternative, il 13 luglio, il Governo Tsipras non ha potuto che accettare l’accordo con i creditori internazionali, dal momento che l’uscita dall’euro rappresenta uno scenario imperscrutabile. Sul piano interno, l’accordo ha aperto una crisi politica di ampie dimensioni in seno al partito di maggioranza greca Syriza, che si è trovato a dover giustificare la paradossale accettazione di un patto su cui i greci, tramite il referendum, si erano dichiarati contrari. In particolare, il 15 luglio, il Parlamento ellenico è stato chiamato ad approvare con una procedura d’urgenza l’accordo deciso dall’Eurogruppo e la votazione ha creato una spaccatura all’interno del partito di maggioranza: dopo un estenuante dibattito e tra le proteste di piazza, l’accordo è stato infatti approvato con 229 voti a favore e 64 contrari, fra i quali spicca in particolare la bocciatura di alcuni membri di spicco del Governo, come l’ex Ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, e del Presidente del Parlamento, Zoe www.dpce.it 4
DPCE online 2015-2 Kostantopoulou. Fondamentali sono dunque risultati essere i voti dei deputati di Nuova Democrazia, To Potami e PASOK, attualmente all’opposizione. La negoziazione con i creditori internazionali aveva peraltro già avuto ripercussioni negative sul Governo di Syriza, formatosi nel gennaio 2015 in seguito alle elezioni legislative che avevano portato il partito a conquistare la maggioranza parlamentare: dapprima il Ministro delle Finanze Yanis Varoufakis si era dimesso, lasciando il posto all’economista Euclid Tsakalotos, protagonista delle negoziazioni con l’Eurogruppo e, all’alba della seduta parlamentare sull’accordo del 13 luglio, anche la viceministra delle finanze Nadia Valavani si era dimessa esprimendo il suo disaccordo. All’approvazione dell’accordo da parte del Parlamento ellenico è seguito dunque un rimpasto della compagine governativa: il 18 luglio, il Primo ministro Alexis Tsipras ha infatti proceduto alla sostituzione di nove incarichi tra Ministri e Viceministri dell'ala radicale di Syriza, nella speranza di garantire una maggior stabilità governativa ed evitare un eventuale ricorso anticipato alle urne il prossimo autunno. Se dunque il voto del Parlamento ellenico chiude temporaneamente la trattativa tra il Paese e i creditori internazionali, la questione è ancora aperta a livello europeo: è necessaria infatti l’approvazione dell’accordo anche da parte di altri Paesi europei, o perché sussiste un obbligo in tal senso (Germania, Slovacchia, Francia, Finlandia, Estonia, Lettonia e Austria), o per scelta del Governo stesso (Spagna). A questi, inoltre, se ne potrebbero aggiungere altri (Olanda, Malta, Slovenia) qualora aumentasse l’entità finanziaria del prestito. La vicenda greca ha dunque posto in primo piano i limiti dell’Unione europea, che numerose voci hanno accusato di mancanza di solidarietà; inoltre, è emersa con sconcertante chiarezza l'incidenza che le decisioni di carattere economico adottate a livello sovranazionale hanno sul piano nazionale: in particolare il dato più allarmante emerso riguarda il fatto che il Governo Tsipras è stato in un certo senso costretto a voltare le spalle alla volontà espressa dalla maggioranza degli elettori nel referendum del 5 luglio. www.dpce.it 5
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