Glass Cockpit - Filippo Capuano

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Glass Cockpit

Discutere oggi di automazione potrebbe sembrare a prima vista inutile e superato, stante
la grande ed autorevole quantità di letteratura sull’argomento.
Sovente infatti, esperti, studiosi e ricercatori pubblicano commenti, proprio sui rapporti
che intercorrono tra l’uomo e le macchine che inventa, attenti nel puntualizzare i vantaggi
che ne derivano con gli svantaggi che conseguono da un suo inappropriato utilizzo.

Dato però che alcuni gravi disastri occorsi negli ultimi anni, non soltanto aeronautici,
hanno avuto come causa principale e spesso come concausa proprio il rapporto
intercorrente tra l’uomo e l’automazione, troppo facilmente indicati come human error,
riproporre alcune considerazioni non può che ulteriormente sollecitare a riflettere su
questo e particolare aspetto dell’human performance.

E’ per esempio un problema serio quello rappresentato dalla grande quantità di piloti che
già adesso, ma ancor di più nei prossimi anni, si troveranno a dover “ transitare “ da
aeroplani cosiddetti convenzionali ad aerei a tecnologia glass cockpit.

Le flotte delle maggiori compagnie aeree sono per lo più composte da aerei che usano
una diversa tecnologia costruttiva e di presentazione dei dati di volo.E’ abbastanza facile
riscontrare la contemporanea presenza di aerei dal cockpit cosiddetto tradizionale, con altri
interamente a tecnologia Glass.
In alcuni casi convivono anche aerei che utilizzando parte di entrambe le tecnologie,
rappresentano di fatto soluzioni ibride di pilotaggio.

Le compagnie aeree hanno acquistato aerei sempre più sofisticati a mano a mano che
l’industria aeronautica li ha resi disponibili, proprio per i vantaggi economici che derivano
dal loro utilizzo.
Risparmi orientati non soltanto alla riduzione del consumo di carburante, da sempre
cospicua voce di bilancio, ma anche ad altri elementi di costo, tra i quali quello relativo
all’addestramento dei piloti.
Più di venti anni fa infatti, erano necessari quattro mesi di ground course per imparare un
aereo come il Boeing 707. Oggi, grazie all’automazione avanzata, un pilota completa in
appena dieci giorni la transizione su un Boeing 777 e questo rappresenta senz’altro un
notevole risparmio.
A prima vista quindi solo ed indiscutibili vantaggi.

Nella realtà invece, gli incidenti accaduti negli ultimi anni, hanno dimostrato in tutta la loro
drammaticità, che i risparmi conseguiti nell’addestramento dei piloti sono stati poi pagati a
caro prezzo.

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Disastri come quello accaduto a Kathmandu, in Nepal, ad un A310 della Thai Airways, o
quello di Nagoya di un A300 della China Airlines o ancora quello di Calì, che ha visto
protagonista un Boieng 757 dell’American Airlines e che da soli hanno ucciso centinaia di
persone, dimostrano come sia facile smarrire l’awareness su un aereo automatizzato.

Piloti esperti ed addestrati, familiari con l’environment circostante, hanno commesso errori
talmente banali e macroscopici, al punto da sbagliare di 180° la direzione desiderata e
dirigersi inconsapevolmente verso la morte.

Questi sono motivi certamente sufficienti, per avanzare ragionevoli dubbi che quanto detto
e fatto finora in materia di training automation non sia ancora abbastanza, e che altre vie
debbano per forza di cosa essere esplorate.

Si dice spesso che gli incidenti la cui probabile causa è da ricercare nell’human factor siano
il 70-75%. Questo dato è sicuramente sbagliato: sono infatti quasi il 100%.
Basta riflettere su chi progetta gli aerei, su chi disegna il cockpit, su chi decide le rotte,
sull’environment, sulla cultura di compagnia, etc. e la risposta sarà sempre la stessa:
l’uomo.
Non ci si può quindi riferire al pilota come causa human factor, solo perché è l’ultimo
anello della catena prima dell’incidente, quando tutto il processo che governa le sue
decisioni prima è human factor.

Come si può pensare che il pilota riesca a “ transitare “ un modello mentale
completamente nuovo e per certi verso opposto a quello al quale è abituato in appena una
quindicina di giorni ?

Pilotare aerei glass cockpit significa apprendere una filosofia di volo nuova, che si
concretizza nel favorire il passaggio da un ruolo di pilotaggio per così dire “ attivo “ , che
esplicando un controllo continuo su decine e decine di parametri consente di determinare
le scelte necessarie per la prosecuzione del volo, ad un altro quasi “ passivo “, da
programmatore e supervisore di sistemi completamente automatici, dove l’avanzatissima
tecnologia determina in proprio la maggior parte delle scelte necessarie.

Mentre da un lato, il pilota dell’aeroplano convenzionale decide l’azione ed agisce sui
comandi, secondo una formula            pilot                 controls              aircraft,
dall’altro lato, il pilota Glass Cockpit si trova a dover sorvegliare la corrispondenza tra
l’azione precedentemente programmata o comunque voluta e quella realmente effettuata
dall’aereo, secondo una formula,

PILOT            CDU              FMS            CONTROLLER
              AUTOPILOT                   CONTROL SYSTEM
                            AIRCRAFT

Un lavoro più di monitor and vigilance che di azione vera e propria.

Sull’aeroplano convenzionale si ha una risposta immediata e visibile all’azione che si
compie e tutto risulta in primo piano, perfettamente chiaro.
Nell’aereo glass cockpit le cose non avvengono proprio così.

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Quando sull’aeroplano convenzionale si intende livellare, la tecnica suggerisce di ridurre il
variometro a valori prestabiliti, fino ad annullarlo completamente alla cattura della quota
desiderata. I piloti fanno affidamento alle indicazioni del variometro e dell’altimetro per
mantenere e verificare il mantenimento di una altitudine.

Nel glass cockpit, l’aereo passa invece da una fase di climb ad una di capture con una
simbologia convenzionale. Successivamente raggiunge la fase di cruise.
L’autoflight system informa il pilota attraverso l’FMA dei cambiamenti nel suo modo di
operare. Il pilota non ha più quindi come riferimento primario il variometro e l’altimetro,
bensì il passaggio dei modes del suo autoflight system.

Quanto tratto da un ASRS (air safety report system ) si commenta da solo:

“ We missed the crossing altitude by 1000 feet. The captain was… busy trying to program
the FMC. Being new in an automated cockpit, I find that pilots are spending too much time
playing with the computer at critical times rather than flying the aircraft.”

Non tutto quindi è “ visibile “ e sotto controllo come si pensa. Un interruttore posto su
posizione
“ ON “ nell’aereo glass cockpit, attiva impianti dei quali il pilota ignora perfino l’esistenza.
Poi, alcuni accorgimenti, come l’autotrim e una migliore insonorizzazione hanno reso più
difficile la percezione globale del movimento dell’aereo nello spazio.
E’ diventato quindi indispensabile controllare con un continuo linguaggio man-machine-
man che l’aereo “ faccia “ esattamente ciò che si desidera.
I piloti non possono più contare sulla loro percezione sensoriale e questo ha posto sul
tappeto la necessità di addestrarli ad una nuovo e più completo concetto di crew
communication e di situational awareness.

Knowledge automation, monitor and vigilange, situation awareness, mode awareness,
boredom, complacency, over-reliance, abuse of automation, distrust, automation
intimidation,automation design, crew communication, decision making, sono solo alcune
delle cose che dovrebbero costituire le fondamenta sulle quali costruire il programma di
addestramento.
I programmi ricalcano però troppo spesso schemi vecchi, osbsoleti, provenienti da quanto
fatto in addestramento su aerei convenzionali, seppur con alcune varianti, come il concetto
di need to know, nice to know. Si continua a studiare l’impianto, le sue avarie e le
procedure per risolverle.

Niente o troppo poco si dice invece sulle relazioni che intercorrono tra l’autothrust,
l’autopilota e l’FMS e quali sono i vari livelli di automazione che il sistema è in grado di
fornire in funzione dell’avaria di uno o più componenti, sulle difficoltà di programmazione,
sul cattivo utilizzo che dell’automazione si può fare, quale quella di programmare
continuamente un cambio di pista in fase di avvicinamento utilizzando l’FMS.

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Un ruolo importantissimo svolge nell’intero loop, l’ingegneria della manutenzione alla quale
è richiesto di mantenere l’efficienza degli impianti di bordo.
Anche i tecnici della manutenzione devono essere addestrati ad acquisire un modello
mentale nuovo. Rendere indisponibile infatti per un certo tempo l’impianto di autothrottle
sull’aeroplano convenzionale, non è la stessa cosa di rendere indisponibile un impianto
autothrust sull’aereo glass cockpit, dove rappresenta elemento fondamentale delle
operazioni di volo.

Se il glass cockpit ha consentito di ridurre i tempi di addestramento alla conoscenza del
need to know, dall’altro ha spalancato le porte all’esigenza di apprendere un modello
mentale di comportamento per il quale nessun addestramento è in linea con le esigenze e
dove solo un adeguato tempo di permanenza sull’aereo può contribuire ad aiutare, non
certamente a risolvere, le difficili problematiche di adattamento ad un nuovo quanto
diverso modello mentale di pilotaggio.

Nel Glass Cockpit, alcune qualità proprie del pilota, skills consolidati da sempre, sono
prepotentemente rimessi in discussione alla luce di un terzo soggetto, apparentemente
docile e controllabile, ma dai risvolti invece pericolosi ed inaspettati: l’automazione
avanzata.

Volare con un glass cockpit significa far propria la convinzione che i comandi, i pulsanti, le
leve, le manopole, sono degli attivatori di programmi, interruttori di processo.
Significa capire senza ombra di dubbio che l’architettura del cockpit, semplice nella sua
presentazione, nasconde in realtà complesse soluzioni di ingegneria, decine e decine di
sottosistemi che obbediscono a logiche sconosciute e non scritte sui manuali di volo a
disposizione dei piloti.
Significa ancora credere che un computer, seppur sofisticato, è in grado di rilevare e
diagnosticare un’avaria e di suggerire le opportune azioni per la sua risoluzione.

L’aviazione con l’avvento dell’elettronica ha raggiunto livelli di automatismi fantastici ed
impensabili fino a poco tempo addietro.
Gli autopiloti a due assi, in grado a malapena di mantenere costanti due semplici
parametri, hanno ceduto il passo ad impianti completamente autonomi.

L’automanetta del DC9, per esempio, quasi mai usata “ perché funzionava male “, oppure
lo speed command, le cui indicazioni dovevano in ogni caso essere comparate con quelle
dell’anemometro, sono stati spazzati via da sistemi in grado di armonizzare le diverse e
complesse esigenze di un aeroplano in movimento.
L’automazione ha consentito di disegnare profili di volo, all’interno dei quali l’aeroplano si
autoprotegge dal superamento di valori fondamentali, legati all’angolo di pitch, alla bassa
e alta velocità, agli eccessivi angoli di virata.
L’integrazione dell’autopilota e dell’automanetta, unitamente al flight management system,
ha consentito di sviluppare un autoflight system capace di percorrere un’intera procedura
strumentale, variando la quota quando previsto, virando al momento opportuno,
applicando la corretta variazione di velocità di avvicinamento in funzione della
configurazione.

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La navigazione, un tempo di esclusiva competenza del navigatore, poi integrata nel
pilotaggio, oggi è svolta egregiamente dal sistema FMS.
Dati necessari a condurre una navigazione efficiente ed economica, come quelli
meteorologici, di performance , di calcolo preciso della rotta, con determinazione di prue e
distanze e che costringono il pilota di aeroplani convenzionali a calcoli a volte e per forza
di cose approssimati, impegnandone grandemente l’attenzione e lievitando i costi delle
operazioni, oggi sono automaticamente e costantemente calcolati dai sistemi automatici,
in relazione ai costi di esercizio predeterminati.

Il controllo periodico di corretto funzionamento degli impianti, l’attenzione richiesta in
particolari fasi di volo, le difficoltà ed il tempo necessario ad identificare malfunzionamenti,
hanno lasciato il posto ad impianti di sorveglianza elettronici, meccanismi in grado di
diagnosticare le parti di un impianto in avaria e di presentare le manovre correttive
necessarie.

Le informazioni provenienti da impianti tipicamente deputati alla sorveglianza anticollisione
con il terreno e gli altri aeroplani, come EGPWS, (l’enhanced ground proximity warning
system) ed il TCAS, (traffic collision and avoidance system) permettono operazioni più
sicure in aree ad elevata densità di traffico. Gli echi provenienti dal radar meteorologico,
integrati nel navigation display e sistemi come l’WSAS (wind shear advisory system)
consentono una immediata valutazione della situazione meteorologica presente lungo la
rotta e la possibilità di anticipare ed evitare fenomeni pericolosi come l’wind shear.

Ma tutti questi sistemi, se da un lato aiutano il pilota, dall’altro e specialmente in
condizione di fatigue e stress, rischiano di farlo precipitare in un baratro di confusione e
disorientamento, anticamera dell’incidente.
Il CRM ( crew resources management ) nell’addestramento al glass cockpit diventa
inscindibile elemento di notevole importanza e dovrebbe essere presenza concreta e
costante di una transizione e non momento saltuario del processo di educazione alla
nuova filosofia di volo.
Il pilota deve essere facilitato all’apprendimento a mano a mano che scopre le logiche di
funzionamento dell’automazione.
La comunicazione man-machine-man, un corretto processo di decision making,
l’applicazione delle corrette SOP, la coscienza della awareness, sono parti importanti così
come la descrizione di un impianto e delle sue avarie.
Gli incidenti occorsi ad aerei glass cockpit dovrebbero essere analizzati e diventare parte
integrante di un corso di transizione per permettere la visibilità dei comportamenti
sbagliati e facilitarne il riconoscimento.

I piloti dovrebbero effettuare più sessioni di simulatore rispetto a quelle previste, in modo
da mantenere allenati quegli skills necessari soprattutto in caso di degrado del sistema.
Le avarie dovrebbero essere presentate con il “ criterio a grappolo “ ciò che consentirebbe
di mantenere adeguato il livello di conoscenze.

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C’è quindi ancora molto da fare,in termini di ingegneria e in termini di training and
education.
Molte soluzioni sono ancora al loro stato embrionale e certamente il glass cockpit
rappresenta un punto di partenza verso un cockpit finalmente in grado di mostrare la
navigazione su un piano tridimensionale dove l’aereo sia “ visibile “ rispetto al mondo
circostante, non solo in termine di profilo laterale ma anche e soprattutto in termini di
profilo verticale.

“ The captain than said, ‘ What’s going on, ‘ at which point the aircraft was observed 300
feet high; it had entered a subtle climb seemingly on its own accord… This is another case
of learning to type 80 words a minute instead of flying the aircraft. The more automation
there is in the aircraft, it just means the flightcrew should work that much harder to
remain an active and integral part of the loop”.

Roma 10.10.99

Com.te F. Capuano

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