FISICA/ MENTE La storia dell'astronomia dai miti dell'antichità all'Universo infinito - Roberto Renzetti

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FISICA/ MENTE La storia dell'astronomia dai miti dell'antichità all'Universo infinito - Roberto Renzetti
ASTRONOMIA 4

                                                                    FISICA/
                                                                    MENTE

                       La storia dell'astronomia dai miti
                       dell'antichità all'Universo infinito
                      PARTE IV: La gravitazione universale di Newton e
                           l'esplosione dell'universo di Herschel
                                                                      Roberto Renzetti

               ALLA PARTE III

               NEWTON: LA GESTAZIONE E PUBBLICAZIONE DEI PRINCIPIA

                     Il primo tentativo di comprendere la gravitazione Newton lo fece negli anni mirabili del
               1665-1666, quelli della leggenda della mela. L'intuizione fondamentale di Newton fu quella
               di mettere insieme la caduta di un oggetto, la Luna legata alla Terra e le leggi di Kepler. La
               Luna è evidentemente legata alla Terra da una qualche forza. Estrapolando ci si può chiedere
               se si tratta della stessa forza che lega la Terra al Sole e il Sole agli altri pianeti e così via.
               Insomma si tratta di capire se vi è una qualche unificazione tra forze, come si direbbe oggi.

                     Kepler aveva stabilito che le orbite dei pianeti intorno al Sole sono ellittiche. Ma un
               moto su un'orbita quasi circolare (non rettilinea) deve prevedere delle forze centrifughe
               come Huygens aveva chiaramente stabilito. Queste forze si potevano calcolare (per una
               circonferenza) e quindi si aveva la possibilità di capire quanto dovevano essere intense le
               forze centripete, quelle che tiravano verso il centro. Infatti, per mantenere un'orbita, vi deve
               essere equilibrio tra le due forze. E Newton fece questi calcoli nell'approssimazione di orbite
               circolari (non troppo lontane da come in realtà sono). Per fare i conti in modo più attinente
               alla realtà realizzò un'esperienza in cui si poteva valutare la pressione esercitata da una
               piccola sfera ruotante all'interno di una sfera cava sulla superficie interna della sfera stessa.
               Con la terza legge di Kepler si calcolò la forza centripeta che avrebbe dovuto trattenere un
               pianeta nella sua orbita. Iniziò a capire che tale forza va come l'inverso del quadrato della
               distanza del pianeta dal Sole. Calcolò quindi la forza necessaria a mantenere la Luna in
               orbita intorno alla Terra e la confrontò con quella di gravità. Insomma, una linea di pensiero
               era stabilita anche se mancavano precisi raccordi, misure e calcoli. Visto il tutto a posteriori
               sembra che le cose stiano a posto ma incomplete. Ma Newton non portò avanti il suo lavoro
               che comunque era carente di un qualche dato sperimentale come la corretta lunghezza

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               dell'arco di meridiano che sarebbe servita per una determinazione precisa della distanza
               della Terra dalla Luna. Se avesse disposto di una biblioteca, che non c'era nel luogo dove si
               era ritirato, avrebbe potuto avere dei dati che gli mancavano e si sarebbe accorto che la sola
               gravità non sarebbe bastata a controbilanciare la forza centrifuga della Luna intorno alla
               Terra. Inoltre vi era il problema di capire se la gravità, da sola, era in grado di originare la
               forza centrale che teneva la Luna intorno alla Terra o se fosse necessario ricorrere a qualche
               altra forza non nota (qui vi era il rischio che Newton avesse la tentazione di assegnare questa
               forza eventualmente non nota a qualche vortice di tipo cartesiano se non, peggio, a delle
               emanazioni di tipo kepleriano).

                     Un fatto nuovo si verificò nel 1672. Nel 1667 Luigi XIV aveva fondato l'Osservatorio
               di Parigi e, nell'ambito delle attività di tale osservatorio, era stata affidata all'abate-
               astronomo Jean Picard (1620-1682) l'impresa di misurare un arco di meridiano per arrivare a
               determinare la grandezza della Terra. Picard, servendosi del metodo indicato nella
               Cosmographia di Francesco Maurolico (triangolazioni ed orientazione mediante la Stella
               Polare e la Stella Delta di Cassiopea) e di alcune misure già fatte da Snell, misurò la
               lunghezza di un arco del meridiano passante per Parigi (stabilì che un grado di meridiano
               corrispondeva ad una lunghezza di 111,196 chilometri con una precisione, come si vede,
               molto grande). Il lavoro era iniziato nel 1669 ed i risultati furono pubblicati proprio nel 1671
               in una memoria dal titolo Mesure de la Terre. Questi risultati di Picard furono comunicati
               alla Royal Society da Oldenburg l'11 gennaio 1672 e Newton ebbe l'opportunità di rifare i
               suoi calcoli con molta maggiore precisione. Poiché si rese conto che tutto tornava il suo
               parossismo divenne tale che non riuscì materialmente a finirli dandone incarico ad un
               conoscente. Newton era arrivato a stabilire con esattezza la forza che lega la Luna alla Terra.
               E qui nasce subito un fatto del tutto incomprensibile: perché Newton tacque per quasi venti
               anni, fino alla pubblicazione dei Principia, senza far conoscere questo suo stupefacente
               risultato ? Vi doveva essere qualcosa che gli sfuggiva e che lo rendeva timoroso di
               squalificarsi per sempre. Intuiva che doveva esservi una attrazione universale ma egli
               lavorava solo con la forza di gravità. Come accordare le varie cose ? Inoltre vi era il
               problema di come tener conto della distanza Terra-Luna. In alcuni calcoli Terra e Luna
               erano considerate puntiformi ma quando si passava alla gravità, occorreva considerare la
               distanza tra i centri di Terra e Luna o quella tra le rispettive superfici ? Ed in ambedue i casi,
               qual era il raggio corretto della Terra ? Troppe incertezze. Newton preferì aspettare. Nel
               1673 un'altro pezzo utile alla comprensione del problema si aggiunse: Huygens aveva
               pubblicato un suo lavoro sulle forze centrifughe, l'Horologium oscillatorium (l'altro, il De vi
               centrifuga, sarà pubblicato postumo nel 1703 ma forse alcuni risultati erano stati comunicati
               direttamente da Huygens a Newton). E la relazione trovata da Huygens è indispensabile per
               determinare la dipendenza dall'inverso del quadrato, occorre metterla a sistema con la terza
               legge di Kepler per ricavare tale dipendenza.

                   Per 6 anni questa ricerca sembrò cadere nel dimenticatoio da parte di Newton. Leggo
               da Hayli:

                         la seconda legge di Kepler o legge delle aree, enunciata nel caso delle ellissi
                         planetarie, è vera per ogni movimento, purché la forza che si esercita su un
                         punto materiale sia una forza centrale, passi cioè da un punto fisso; se questa
                         forza e inversamente proporzionale al quadrato della distanza dal centro
                         d'attrazione al punto materiale, il movimento di questo avverrà secondo una
                         sezione conica, cioè secondo un cerchio, una ellissi, una parabola o un'iperbole,
                         essendo il centro di attrazione nel centro del cerchio o in uno dei fuochi della
                         conica; inversamente un punto materiale che descrive una ellissi attorno ad uno
                         dei suoi fuochi, come nel caso dei pianeti, è sottoposto ad una forza centrale
                         diretta verso il fuoco, inversamente proporzionale al quadrato della distanza.

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                     Arriviamo ad una data molto importante, al 1684. Agli inizi di quell'anno vi era stato
               un incontro tra tre eminenti astronomi, fisici e matematici: Halley(1), Hooke e Wren(2).
               Avevano discusso della frontiera della conoscenza all'epoca, dell'argomento che tutti
               studiavano ma che aspettava una soluzione definitiva. Tutti e tre questi personaggi avevano
               studiato il problema ed erano arrivati, per vie diverse, a stabilire che la legge di attrazione
               cercata doveva avere un andamento con l'inverso del quadrato della distanza. Il problema
               comune era il conciliare tale legge con un'orbita ellittica. Si girava intorno alla forza di
               gravità e quindi agli oggetti in caduta e alla ricerca di analogia con la caduta della Luna
               sulla Terra per spiegarne la permanenza in orbita. Il tutto si originava da un passo del
               Dialogo sui Massimi Sistemi di Galileo nel quale si attribuisce a Platone un'origine del
               sistema planetario da un moto di caduta. Le conversazioni tra i tre portarono ad un nulla di
               fatto. Ma Halley fu informato da Wren che Newton (che Halley aveva conosciuto nel 1682),
               si era in precedenza occupato del problema che li assillava e ciò lo convinse a recarsi a
               Cambridge per incontrarlo. La cronaca dell'incontro è raccontata da A. De Moivre(3). Halley
               chiese a Newton quale traiettoria orbitale dovrebbe seguire un corpo che ruota intorno ad un
               altro con lo attrae con una forza inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.
               Newton rispose che tale traiettoria era un'ellisse. Halley gli chiese come faceva a saperlo e
               Newton rispose che lo aveva calcolato. Si diresse allora verso il luogo dove conservava i
               calcoli ma ... non li trovò. Si accordarono allora che Newton avrebbe rifatto i calcoli e li
               avrebbe inviati ad Halley. L'impegno fu mantenuto ed a novembre Halley li ebbe inoltre
               ricevette anche un trattato, scritto da Newton, De motu corporum in gyrum, in cui erano
               risolti una quantità incredibile di problemi di movimento di differenti pianeti. Il lavoro era
               chiaro e convincente ed Halley tornò a Cambridge per convincere Newton a presentare i
               suoi lavori alla Royal Society. Al ritorno a Londra, Halley fece una relazione alla Società
               delle scoperte di Newton e parlò anche del De motu che sarà la base su cui Newton costruirà
               i Principia tra il 1685 ed il 1686.

                     Newton, in quest'opera che è un caposaldo della storia della scienza, era riuscito
               finalmente a integrare tutti i singoli pezzi in una elaborazione unica molto solida ed in grado
               di sfidare tutte le obiezioni. Integrando quanto ho già detto, Newton aveva fatto ulteriori
               passi in avanti: aveva mostrato che la forza che si esercita tra due sfere omogenee è la stessa
               che agisce tra due masse puntiformi sistemate al centro delle sfere suddette e che l'orbita che
               si ottiene da una legge dell'inverso del quadrato è una sezione conica(4). Aver stabilito ciò
               diventa facilmente una parte fondamentale della gravitazione universale: la forza di cui
               sopra, risulta proporzionale al prodotto delle masse ed inversamente proporzionale alla
               distanza tra i centri delle masse medesime, risolvendo uno di quei dubbi che probabilmente
               lo aveva fermato anni prima. Con questo in mano, insieme ai dati sperimentali e le misure
               che venivano effettuate (Picard) ed ai risultati teorico-sperimentali di Huygens sulla forza
               centrifuga, Newton riuscì finalmente a confrontare la forza di gravità terrestre con quella che
               tiene legata la Luna alla Terra ed a trovare la loro identità. Da questo momento era stabilita
               un'attrazione universale, un qualcosa che valeva per quella mela come per la Luna, come
               per il Sole e tutto lo spazio.

                    Credo convenga dire le cose in modo più particolare e semplice. Il fatto che i pianeti ed
               il Sole nello spazio potessero essere assimilati a punti materiali, poteva essere accettato
               senza troppa fatica date le enormi distanze. La cosa che turbava era una mela che cadeva a
               due metri dal suolo. Come è possibile qui fare le approssimazioni planetarie ? L'idea geniale
               di Newton è quella di affermare che la mela non si trova a due metri dalla superficie della
               Terra ma a circa 7000 Km dal suo centro ! Insomma la Terra si assimila ad una massa
               concentrata nel suo centro. Quando si va a fare il conto della forza centrifuga della mela la
               distanza da considerare non è 2 metri ma circa 7.106 metri. Questo è il succo della stupenda
               intuizione di Newton che egli tratta nel Primo Libro (dei tre) dei Principia.

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                     In relazione a questa scoperta di enorme importanza, Newton riesce ad immaginare
               qualcosa di altrettanto evocativo da destare profonda emozione, perfino artistica. Egli ci
               presenta un esempio clamoroso del dove si può arrivare immaginando anche senza
               sperimentazione, un poco come Galileo che si diceva certo che anche senza esperienze le
               cose sarebbero andate in quel modo. Newton sta discutendo dei satelliti. Ed immagina un
               satellite artificiale per la Terra. Come metterlo in orbita? La figura che Newton ci offre
               spiega benissimo cosa egli pensi.

                    Vediamo il ragionamento aiutandoci con una figura utilizzata dallo stesso Newton, con
               quell'enorme enorme potenza evocativa di cui dicevo che, per chi sa leggere la scienza, è
               una vera imponente opera d'arte:

                    Se ci mettiamo sulla cima di una montagna V e lanciamo un sasso o spariamo un
               proiettile, esso cadrà in D, in E, in F o in G a seconda della spinta che gli forniamo. Se la
               spinta è più grande ? Allora il proiettile continuerà a cadere ... senza mai incontrare la Terra
               sotto di sé. Questa caduta continua è quella che sperimenta un satellite messo in orbita ed è
               quella che sperimenta la Luna che cade continuamente intorno alla Terra. Newton fece
               anche dei conti utilizzando tre dati: il periodo di rivoluzione della Luna intorno alla Terra, la
               distanza Terra-Luna, il raggio della Terra. Trovò alla fine il valore dell'accelerazione di
               gravità. Tutto questo a partire da un pregiudizio, da una ipotesi: il fenomeno di caduta è lo
               stesso per una mela, per un proiettile, per un satellite. La gravità unifica i tre fenomeni. E
               questa conclusione, che rappresenta uno dei primi tentativi di riportare la spiegazione dei
               fenomeni naturali a concetti generali, è fondamentale nell'epoca di Newton ed è permessa
               solo dalla matematica. Infatti, se Newton avesse sostenuto l'identità dei tre fenomeni con dei
               meri ragionamenti, non si sarebbe sottratto all'accusa di ricercare cause occulte.

                     Con in mano la gravitazione universale, con tutta la meccanica costruita a lato, si apriva
               letteralmente un mondo di indagini e di formalizzazioni. Newton si buttò a capofitto dentro
               tali elaborazioni anche dimenticando i pasti ed il sonno (come ha raccontato il suo
               compagno di stanza a Cambridge, il suo omonimo Humphrey Newton), dividendo tale
               lavoro solo con le sue ricerche alchemiche.
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                    Dopo varie difficoltà di vario tipo (polemiche di priorità, perfezionismo di Newton,
               scelta della formulazione matematica, finanziamenti, ...), alla fine, nell'estate del 1687
               furono finalmente pubblicati i Philosophia naturalis Principia mathematica. L'opera era in
               latino e scritta in modo rigoroso, per chi già aveva confidenza con la materia trattata.

                     Galileo ed Huygens avevano sviluppato una meccanica dei corpi sulla superficie della
               Terra; 1'opera di Newton se ne differenzia per la generalizzazione del principio d'inerzia, per
               l'introduzione del concetto di forza attraverso una definizione, alquanto discutibile, del
               concetto di massa e per l'estensione della validità delle leggi meccaniche a tutto l'universo.

                    Per ciò di cui ci stiamo occupando Newton, nella prima parte dei Principia, affronta lo
               studio del moto dei corpi soggetti a forze centrali ed in particolare dimostra che, se vale la
               terza legge di Kepler (il quadrato del periodo di rotazione di un pianeta intorno al Sole è
               proporzionale al cubo della distanza di tale pianeta dal Sole medesimo), le forze centrali
               debbono risultare inversamente proporzionali ai quadrati delle distanze.

                                                                                                   (
                    Questo risultato verrà ripreso nella terza parte dei Principia 5), come vedremo nel
               prossimo paragrafo, nella quale Newton si occupò dell'applicazione ai pianeti delle leggi
               della meccanica precedentemente trovate, costruendo il suo sistema del mondo e la famosa
               legge di gravitazione universale.

                     Questa legge dice che: due corpi di massa m ed M si attraggono reciprocamente con
               una forza F che è proporzionale, secondo una costante G, al prodotto delle masse dei due
               corpi ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza r che, appunto, separa i due
               corpi. La G rappresenta la costante gravitazionale [che sarà misurata con precisione da
               Henry Cavendish nel 1798 con una bilancia di torsione da lui stesso realizzata. Oggi
               disponiamo di misure accurate che per G forniscono: G = (6,67428 ± 0,0007).10-11m3.Kg-1.
               s-2].

               LA GRAVITAZIONE UNIVERSALE

                       Newton, che era altro personaggio da Galileo, legato in vari modi alla metafisica,
               alla magia ed all'alchimia, non provava fastidio a leggere Kepler. Conosceva quindi le sue
               leggi, anche perché, rispetto a Galileo, erano trascorsi moltissimi anni (78, per la
               precisione). Le tre leggi di Kepler, che riguardano e descrivono il movimento nel suo
               insieme (si possono definire integrali), giocarono un ruolo importante nel processo che portò
               Newton a ricavare la legge di gravitazione universale che permette di dedurre dallo stato del
               sistema in un momento dato, lo stato immediatamente successivo (si può definire
               differenziale). Quella di Newton è la prima legge che viene formulata in grado di soddisfare
               il principio di causalità e di avviare ad un compiuto meccanicismo.

                     Iniziamo con il ricordare le Leggi di Kepler:

                         1) i pianeti si muovono intorno al Sole in orbite ellittiche;

                         2) il raggio vettore che unisce il Sole e ciascun pianeta (o un pianeta ed i suoi
                         satelliti) descrive aree uguali in tempi uguali;

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                         3) i cubi delle distanze dal Sole di due o più pianeti stanno tra loro come i
                         quadrati dei rispettivi periodi di rivoluzione [che si può anche dire: i quadrati
                         dei tempi che i pianeti (o i satelliti) impiegano nella loro orbita variano col cubo
                         delle loro distanze medie dal Sole (o dal rispettivo pianeta)]:

               (1)

               e poiché l'ultima uguaglianza vale per tutti i pianeti, ciò vuol dire che tra cubi delle distanze
               e quadrati dei periodi vi è un rapporto costante(6):

               (2)

                    Tralascio la Prima legge di Kepler perché Newton partì, per i suoi calcoli, dal supporre
               le orbite circolari (modificò in seguito tale assunto) e seguo la linea di pensiero di Newton,
               servendomi del libro di Holton e Brush.

                    Intanto, se si ammette la Prima Legge di Newton (che abbiamo visto), occorre
               ammettere che, in assenza di forze, un corpo seguirebbe indefinitamente muovendosi in
               linea retta (o restando immobile: qui si aprirebbe un altro vespaio di problemi relativo al
               sistema di riferimento ma della cosa ho trattato ampiamente altrove). Il fatto che un corpo
               sia costretto in un'orbita circolare mostra che esso è soggetto ad una forza che chiameremo
               centrale perché diretta, istante per istante, verso il centro della traiettoria del moto. Questa fu
               la conclusione a cui arrivò Newton a partire dalla Seconda legge di Kepler (vedi Principia,
               Libro I, Proposizioni I e II). Per seguire il suo ragionamento serviamoci della figura
               seguente:

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ASTRONOMIA 4

                     Un corpo si muove in linea retta a velocità costante. Ad intervalli uguali di tempo ∆t,
               percorrerà spazi uguali PQ = QR = RS = .... . Rispetto ad un punto fisso O (dovunque sia
               messo O), la linea che unisce O con il corpo mobile, spazzerà aree uguali in tempi uguali
               visto che i triangoli PQO, QRO, RSO, ... sono tutti uguali per avere uguali basi ed uguali
               altezze. Supponiamo ora che tale corpo subisca un impulso (per un tempo ∆t) in Q a seguito
               dell'applicazione di una forza diretta lungo QO. La direzione del moto cambia in una
               direzione che si ottiene combinando vettorialmente la velocità iniziale che porterebbe
               l'oggetto in R con quella che, istantaneamente e se agisse da sola, sposterebbe il corpo da Q
               a Q' (figura b). In definitiva il mobile va a finire in R'. Ciò che interessa ora è che l'area
               spazzata nel tempo suddetto ∆t, non viene modificata poiché all'area del triangolo QRR' che
               viene sottratta a ciò che si sarebbe avuto senza l'impulso, si aggiunge ora l'area del triangolo
               ORR' che è uguale a quella sottratta (hanno la stessa base e la stessa altezza, poiché QQ'
               risulta parallelo a RR'). Per la proprietà transitiva l'area OQR' risulta poi uguale a OPQ. La
               cosa prosegue: l'oggetto in R' riceve un altro impulso lungo R'O e tutto si ripete con il solo
               cambiamento dei triangoli. Possiamo allora concludere che forze centrali applicate in
               intervalli di tempo uguali non modificano le aree spazzate per unità di tempo. Ora non resta
               che rendere gli intervalli di tempo ∆t piccoli a piacere (processo al limite per ∆t tendente a
               zero) per ottenere una forza diretta verso il centro come una forza centripeta continua e per
               trasformare la linea spezzata in una curva continua.

                    Siamo alla conclusione di Newton: dato che i pianeti, in accordo con la Seconda legge
               di Kepler, spazzano aree uguali in tempi uguali, la forza che agisce su di essi deve essere
               una forza centrale che agisce con continuità (riferendosi ad una ellisse e non ad una
               circonferenza in luogo del centro si dovrà considerare uno dei fuochi).

                    Fin qui, dalla Seconda Legge di Kepler, Newton ha trovato che i pianeti sono soggetti a
               forze dirette verso il centro del moto. Vediamo come, a partire dalla Terza legge di Kepler,
               Newton ricava la nota legge dell'inverso del quadrato che regola tale forza (è una delle
               possibili ricostruzioni poiché non si conoscono documenti che testimonino cosa in realtà egli
               abbia fatto).

                    Abbiamo visto che un oggetto che si muove di moto circolare ha una accelerazione
               centripeta data dalla relazione trovata da Huygens(7):

               (3)

               E la v che compare in questa relazione è la velocità lungo una circonferenza di raggio R e
               cioè:

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ASTRONOMIA 4

               (4)

               (dove 2πR è la lunghezza dell'intera circonferenza e T - periodo - è il tempo necessario a
               percorrerla tutta e ricordando che il periodo T è l'inverso della frequenza ν).

                       Sostituendo la (4) nella (3) otteniamo:

               (5)

                    Possiamo ora scriverci l'espressione esplicita della forza centripeta che agisce sul
               pianeta a partire dalla Seconda legge di Newton:

               (6)

               In questa espressione compare il termine T2 , al posto del quale possiamo porre il suo valore
               R3/K dato dalla Terza legge di Kepler (2). Otteniamo così:

               (7)

               ed abbiamo trovato un risultato di grande importanza: la forza che il Sole esercita su ogni
               pianeta è inversamente proporzionale al quadrato della distanza del pianeta dal Sole.

                    A questo punto Newton aveva trovato un risultato che valeva per tutti i pianeti rispetto
               al Sole ed evidentemente ciò che distingueva una forza da un'altra doveva essere la costante
               K, la massa m e la distanza R. Egli estese il risultato alla Terra con la Luna, ad ogni pianeta
               con i suoi satelliti e, cosa di notevole coraggio e spessore a due qualsiasi masse. Dice
               Newton:

                         Tutti i corpi dell'Universo si attraggono mutuamente con una forza
                         gravitazionale, come quella esistente tra una pietra che cade e la Terra; di
                         conseguenza, le forze centrali che agiscono sui pianeti non sono altra cosa che
                         un'attrazione gravitazionale da parte del Sole.

                    Restava da capire quale proprietà di un data massa determina la sua attrazione
               gravitazionale da parte di altre masse; quale proprietà della Terra determina il valore di
               4π2Κ per la Terra; quale proprietà del Sole determina il valore 4π2Κs per il Sole. E Newton
                    t
               avanza l'idea che il prodotto 4π2Κ dipenda da qualche proprietà dei corpi e, se l'attrazione
               gravitazionale è una proprietà comune a tutti i corpi, quel prodotto può dipendere dalla
               quantità di materia del corpo, cioè dalla sua massa. La cosa più semplice è partire dalla
               proporzionalità con la massa, cioè per la Terra dovrà valere (G costante di proporzionalità
               tra 4π2Κ ed m):

               (8)

               per il Sole:

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ASTRONOMIA 4

               (9)

               e così via per ogni altro pianeta.

                       Da qui si ricava che la forza gravitazionale di attrazione che un corpo di massa m1
               esercita su un corpo di massa m2 ad una distanza R è:

               (10)

               e, per quanto detto, ogni massa attira un'altra massa e quindi si avrà anche una forza di
               attrazione che la massa m2 eserciterà sulla massa m1, data da:

               (11)

               e queste due forze sono di verso opposto ma uguali in grandezza. Basta confrontare allora la
               (24) e la (25) per affermare che le due masse si attraggono con una forza data da:

               (12)

               e questa è la famosissima legge di gravitazione universale. Si tratta solo di determinare G, la
               costante gravitazionale, e la cosa sarà realizzata per la prima volta, come accennato, da
               Henry Cavendish nel 1798 (cento anni dopo!) con la sua bilancia di torsione (la difficoltà
               nasceva dal fatto che è estremamente difficile riportare la gravitazione in un laboratorio per
               effettuare delle misure e Cavendish riuscì in questa impresa).

                     Tutto questo a me serviva solo per dire che il peso di una data massa è la forza con cui
               tale massa è attratta dalla Terra (avrei potuto semplicemente dirlo ma la cosa sarebbe
               risultata una specie di dogma di provenienza metafisica). Risulta evidente che mentre la
               massa si conserva, il peso varia da pianeta a pianeta e da luogo in luogo (basta avere a mente
               le immagini degli astronauti in condizioni di assenza di peso: il peso se ne va e la massa
               resta!). Cerchiamo di capire brevemente le due cose.

                       Dalla (12) si vede che una data massa m1 sarà attratta da un dato pianeta che avrà una
               sua massa m2 e questo originerà il peso di m1. E' evidente che, al cambiare pianeta, cambia
               m2 e quindi cambia la forza di attrazione, cioè il peso.

                    Sempre dalla (12) si vede che la forza di attrazione che sente una data massa (il suo
               peso) dipende molto dalla distanza a cui tale massa si trova rispetto, ad esempio, alla Terra.
               Spostandoci sulla Terra, questa attrazione (il peso) sarebbe sempre la stessa solo se la
               distanza di ogni punto della Terra dal suo centro fosse sempre la stessa. Ma la Terra non è
               una sfera perfetta. Quindi il peso di un dato oggetto risulterà maggiore quanto più vicini ci
               troviamo al centro della Terra (più R è piccola, di gran lunga più grande è la forza attrattiva
               e quindi il peso). La cosa era stata empiricamente scoperta da Giovanni Richer nel 1671.
               Recatosi alla Cayenna per una spedizione scientifica, si accorse che il suo orologio a
               pendolo ritardava di due minuti e mezzo al giorno rispetto all'ora solare media. Di tale

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ASTRONOMIA 4

               fenomeno, con la legge di gravitazione se ne comprendeva ora il motivo. Dall'esperienza di
               Richer, Huygens aveva stabilito che la Terra doveva essere schiacciata ai poli e rigonfia
               all'equatore (la cosa la verificò sperimentalmente mettendo a ruotare velocemente su se
               stesso un blocco d'argilla molle infilato su un asse rigido. Tale esperienza ebbe una grande
               influenza nello sviluppo delle teorie cosmologiche di Kant e Laplace). A questo proposito
               c'è la famosa querelle sull'oro. Se si comprasse l'oro a peso converrebbe comprarlo al Polo
               Nord e venderlo all'Equatore. Ma nessuno compra o vende l'oro a peso. Si comprano le
               masse d'oro. Parlo d'oro perché anche piccoli variazioni nel suo peso comporterebbero
               grandi variazioni di prezzo. Con le patate, per ora, non c'è alcun problema.

                       Da questo momento la distinzione tra peso e massa diventa indiscutibile. Essa era tutta
               all'interno dei Principia ma per evidenziarla come meritava fu necessaria l'opera di Giovanni
               Bernouilli che nella sua Meditatio de natura centri oscillationis (1714) dice esplicitamente
               che il peso di un corpo si ottiene moltiplicando la sua massa per l'accelerazione di gravità (la
               g che abbiamo incontrato nella relazione 15 e che, misurata come lì indicato, vale all'incirca
               9,81 m/sec2).

                     E' appena il caso di accennare al fatto che tramite la (12) è possibile calcolarsi la massa
               dei differenti pianeti, della stessa Terra e del Sole. E' possibile anche calcolare le masse dei
               satelliti dei pianeti ma in tal caso i calcoli sono piuttosto complessi (come è complesso il
               calcolo di pianeti senza satelliti). Tramite la (12), a partire dalla perturbazione di alcune
               orbite planetarie, si sono potuti scoprire altri pianeti.

                    Per molti versi Newton rappresenta l'apice di un determinato periodo storico, ma, per
               molti altri, egli va considerato come il capostipite di una nuova era, nella quale la scienza
               classica arrivò a maturazione, cominciando ad esistere indipendentemente da ipoteche
               teologico-metafisiche e ad esercitare un'enorme influenza nei più svariati campi dell'attività
               umana. Ma non basta. Newton intraprese anche una grossa, battaglia, qualche volta
               contraddittoria, contro tutti quei filoni di pensiero che avevano una precostituita concezione
               del mondo, base di riferimento indipendente da ogni indagine scientifica. Egli si batté contro
               ogni costrizione che volesse bloccare lo sviluppo razionale dell'indagine e del pensiero
               scientifico, per la libera espressione di ogni attività umana (certamente in questo
               avvantaggiato dal clima economico-politico-culturale dell'Inghilterra del XVII secolo).

               GLI OSSERVATORI ASTRONOMICI

                     Fino alla metà del XVII secolo le osservazioni del cielo avvenivano con mezzi e
               strumenti del singolo ricercatore che o era benestante e poteva comprarli o era anche un
               artigiano in grado di costruirseli. Non tutti ebbero la grande fortuna di Tycho che ebbe un
               osservatorio invidiabile ad Uraniborg nell'isola di Hveen realizzato tra il 1576 ed il 1580 al
               quale si aggiunse qualche anno dopo quello di Stjerneborg, ambedue finanziati dal re
               Federico II di Danimarca. Prima di questo si ha notizia dell'osservatorio realizzato a
               Norimberga da Johannes Regiomontanus e da Bernard Walther nel 1471. Nella stessa epoca
               di Thyco, Guglielmo IV di Hesse tentò di far realizzare un osservatorio ai due astronomi
               Rothman e Byrge. Ed in quegli anni anche a Danzica si costruì un osservatorio ad opera di
               Johannes Hevelius. Nel 1637 fu poi iniziata la costruzione dell'osservatorio di Copenaghen.
               Insomma, si può dire che a partire dalla metà del XVII secolo vi fu una sorta di gara
               emulativa e di prestigio nella costruzione degli osservatori. Ma la storia degli osservatori
               moderni inizia con quello di Parigi, che fu messo in cantiere da Colbert nel 1666 (in

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ASTRONOMIA 4

               contemporanea con l'Accademia delle Scienze), reso funzionante nel 1672 e presto affidato
               all'astronomo italiano Gian Domenico Cassini(9). Qualche anno dopo, nel 1675, fu
               inaugurato l'Osservatorio di Londra, il Greenwich(10), perché costruito su Greenwich Hill,
               una collina di proprietà del Re Carlo II. Il primo direttore di esso fu Flamsteed.

                                                                      L'osservatorio di Parigi

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                                                            Telescopio dell'osservatorio di Parigi

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ASTRONOMIA 4

                                                     Sala della meridiana nell'osservatorio di Parigi

                                                                  L'osservatorio di Greenwich

                                  Sala ottagonale dell'osservatorio di Greenwich al tempo di Flamsteed
                                  (l'osservatorio fu bombardato dai tedeschi nella Seconda Guerra
                                  Mondiale).

                    Il proliferare di osservatori mostra come l'astronomia fosse diventata una scienza di
               prima grandezza sulla quale, per la sua utilità anche pratica si poteva investire ed anche
               molto. L'osservatorio era infatti il luogo dove si mettevano insieme gli strumenti più
               avanzati che la tecnica permetteva di produrre e dove ne venivano progettati continuamente,
               anche di grandi dimensioni. In tali laboratori potevano operare anche scienziati che non
               disponevano dei mezzi per procurarsi una qualche strumentazione. Si trattava di ampliare la
               base di coloro che dedicavano il loro ingegno alla scienza. Più avanti nel tempo gli
               osservatori furono aperti al pubblico. Tali iniziative tendevano a rendere i cittadini sempre
               più partecipi di ciò che si studiava e si faceva e la scienza uno strumento per

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ASTRONOMIA 4

               l'emancipazione dell'uomo dalla schiavitù di astrologia, magia e religione. Entravamo nel
               secolo dell'Illuminismo.

               LE COMETE

                     Nel 1680 comparve nel cielo una vistosa cometa che, naturalmente, attrasse l'attenzione
               di tutti gli astronomi tra cui Newton. Nel lungo periodo di permanenza nel cielo (da
               novembre 1680 al marzo 1681) essa fu studiata nelle posizioni, velocità e traiettoria (che
               riportò nei Principia) anche dallo stesso Newton. All'inizio ad occhio nudo, poi con il suo
               monocolo (era miope), quindi appassionatosi al fenomeno con un telescopio prima di tre
               piedi poi di sette piedi dotato di micrometro (fu qui che Newton apportò perfezionamenti al
               suo telescopio catottrico).

                                           La cometa del 1680 nelle osservazioni della traiettoria fatte
                                           da Flamsteed e corrette da Halley.

                     Flamsteed, direttore dell'Osservatorio di Greenwich, espresse la sua opinione sul moto
               di questi corpi celesti che sarebbe stato originato dall'azione magnetica del Sole che le
               costringeva a farle ruotare intorno a sé. Newton era invece contrario alla natura magnetica
               dell'azione anche ammettendo la funzione attrattiva del Sole medesimo. Ed è di estremo
               interesse leggere la motivazione con la quale Newton respingeva la natura magnetica del
               Sole. Egli scrisse che il Sole è un corpo veementemente caldo ed i corpi magnetici, quando
               vengono arroventati, perdono la loro virtù. Ma Flamsteed aveva colto un aspetto nuovo
               riguardante le comete. Fino ad allora, a parte le fantastiche teorie degli aristotelici e le
               becere superstizioni, le comete erano pensate come corpi estranei al sistema solare che non
               seguivano le stesse leggi dei pianeti e satelliti perché non in grado di ripetersi all'infinito,
               come le orbite quasi circolari, mantenendo la stabilità dei cieli. La loro traiettoria era creduta
               rettilinea (anche se con velocità variabili) come Kepler aveva sostenuto. E Newton a
               quell'epoca propendeva per questa teoria (ma con moto uniforme). Flamsteed realizzò, su
               dati osservativi, una svolta radicale: le comete, in vicinanza del Sole, invertono la loro
               direzione di marcia risultando un poco meno effimere di come si ritenevano. Ma come era
               possibile che nessuno si fosse accorto che i versi del moto di una cometa si invertono in
               prossimità del Sole ? La risposta ce la fornisce il fatto che Newton sospettasse che le comete
               di novembre e dicembre, che il signor Flamsteed considera una e la stessa cometa, fossero
               due comete diverse. Insomma si aveva il sospetto che non di un cambiamento di direzione si
               trattasse ma di due oggetti diversi, in moto rettilineo in direzioni opposte circa parallele.
               Flamsteed pensò che per avere un sostegno alla sua idea doveva rivolgersi a Newton che
               aveva conosciuto 6 anni prima. I contatti epistolari furono ripresi tramite un amico, James

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ASTRONOMIA 4

               Crompton e furono di grande utilità per Newton che poté accedere a molti dati osservativi
               non solo della cometa che era in cielo. L'argomento divenne per lui di grande interesse tanto
               che vi dedicò molto tempo (informandosi di ogni osservazione anche nelle colonie
               d'America e leggendo tutta la letteratura disponibile) e molti studi almeno fino al 1690
               inserendolo nei Principia come argomento scientifico finale del terzo ed ultimo libro (dalla
               Proposizione XXXVIII, Problema XIX, Lemma IV, alla fine del libro terzo) ed anche come
               citazione all'interno dello Scolio Generale che conclude l'opera. La conversione di Newton
               all'idea di comete con moti curvilinei intorno al Sole sembra sia avvenuta intorno all'agosto
               1684, dopo aver ricevuto a Cambridge una visita da parte di un suo fervente ammiratore,
               Edmond Halley (1656-1742). In ogni caso questa nuova visione, prima di essere
               ampiamente trattata nei Principia, comparve nel suo De motu corporum in gyrum (Scolio al
               Problema 4) dello stesso 1684 dove egli semplicemente accennava al fatto che alcune
               comete potessero ritornare. Ciò fa intendere che Newton avesse in mente, oltre a traiettorie
               ellittiche con grandissima eccentricità, delle traiettorie paraboliche ed iperboliche per le
               comete che apparivano una volta sola. Questo poneva il problema del riconoscimento e, nel
               De motu, Newton affermava di sapere se la stessa cometa ritornava ripetutamente. Nei
               Principia Newton trattò ampiamente il problema fornendone una completa teoria, sia per
               comete periodiche che per quelle non periodiche. Il risultato fu una ulteriore
               generalizzazione della gravitazione universale che Newton mostrò valere anche per le
               comete ormai trattate come quasi-pianeti. Quella gravitazione si estendeva quindi anche al di
               fuori del sistema solare visibile, costringendo a tali enormi distanze il ritorno della cometa, e
               non c'era ormai motivo di dubitare della sua validità dovunque nello spazio.

                                        La cometa di Halley del 1682, passata nel 1986, ritornerà nel 2061

                    Halley aveva seguito tutte le osservazioni della cometa ed aveva approfittato di un
               viaggio in Francia per arricchirle con altre fatte all'Osservatorio di Parigi. Seguace di
               Newton egli era convinto della correttezza della legge dell'inverso del quadrato (che
               conosceva dal De motu) e tentò l'applicazione di tale legge ai dati di cui disponeva. Riuscì a
               calcolarsi l'asse maggiore dell'orbita ellittica che si supponeva la cometa dovesse avere,
               l'angolo formato dal piano su cui giaceva tale orbita con il piano dell'eclittica e varie altre
               grandezze.

                    Nel 1682 comparve in cielo una nuova cometa (quella oggi nota come cometa di
               Halley) che fu subito studiata da Newton e da Halley. Quest'ultimo poi riprese vari dati
               osservativi di comete apparse negli anni precedenti e si soffermò in particolare su una

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ASTRONOMIA 4

               cometa le cui posizioni furono descritte da Kepler nel 1607. Halley si accorse che la cometa
               del 1682 sembrava avesse un'orbita identica a quella del 1607. Si chiese se la cometa del
               1682 era la stessa del 1687 che percorreva la sua orbita con un periodo di 75 anni. Se così
               fosse stato si sarebbero dovute trovare tracce di un avvistamento di cometa nel 1532.
               Cercando con cura egli scoprì delle osservazioni di una cometa che Petrus Apianus (1501-
               1552) aveva fatto ad Ingolstadt (Baviera) nel 1531 e sulla quale aveva pubblicato un libro,
               Practica (Landshut, 1532), nel quale tra l'altro per la prima volta veniva evidenziato che la
               coda di una cometa è diretta sempre in direzione opposta al Sole. Halley non ebbe più dubbi
               tanto che azzardò la previsione del successivo passaggio della cometa nel 1758. Purtroppo
               egli non riuscì a vederla ma effettivamente la cometa si ripresentò passando al perielio il 12
               marzo 1759 (ci si accorse poi che la cometa era stata vista anche nel 1456 e, risalendo
               indietro, vi erano molte notizie di suoi avvistamenti a partire dal 1066 quando la
               testimonianza della sua presenza proviene da un arazzo di Matilde di Bayeux illustrante la
               Conquista d'Inghilterra).

                                                     Particolare dell'arazzo in cui, in alto a destra,
                                                     è rappresentata la cometa di Halley (in basso
                                                     vi sono personaggi che la indicano ed in alto vi
                                                     è una scritta che dice questi stanno osservando
                                                     la stella).

                     La cometa pose dei problemi al suo studio perché, come oggi sappiamo, la sua massa è
               piccola. Ciò vuol dire che proprio la legge di gravitazione universale impone che non solo il
               Sole attragga i pianeti ma che anche i pianeti attraggano il Sole e si attraggano tra loro. Più
               in dettaglio una cometa sente molto l'attrazione dei pianeti, soprattutto di quelli grandi come
               Giove. L'effetto è che secondo a quale distanza la cometa passi da loro, la sua traiettoria
               risulti più o meno perturbata comportando ciò variazioni anche sensibili nel suo periodo. Dal
               punto di vista dei calcoli, essi possono solo essere ben approssimati dalla teoria delle
               perturbazioni, perché ancora oggi non siamo in grado di trattare in modo completo il
               problema dei tre corpi, non siamo cioè capaci di trattare con ogni dettaglio, ad esempio, le
               interazioni reciproche tra Sole, Terra e Luna. Figurarsi quando i corpi diventano molti.
               Riportando ciò ad una cometa, non siamo in grado di predire con estrema esattezza il
               momento in cui essa passerà al perielio della sua orbita (ma ci avviciniamo sempre più).
               Rispetto ai calcoli di Halley vi era stato un ritardo di 618 giorni. Un calcolo più preciso fu
               fatto dal matematico francese Clairaut che, proprio con la teoria delle perturbazioni, calcolò
               il passaggio per l'aprile del 1759 (con un errore di più o meno un mese).

                       Il ritorno della cometa nel 1759 era una conferma totale della teoria della gravitazione

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ASTRONOMIA 4

               universale di Newton ed uno splendido esempio della potenza della meccanica celeste.

               DALLA TERRA AL SOLE ED ALLE STELLE

                     Qua e là abbiamo visto il porsi del problema delle distanze di pianeti tra loro, con
               satelliti e dal Sole. Siamo quasi sempre rimasti al sistema solare con, fino a Copernico,
               quella sfera delle stelle fisse che chiudeva come in un guscio il sistema solare e di fatto
               limitava un universo finito. Le stelle si sapevano appunto fisse e nessuno poteva immaginare
               che fossero a distanze diverse dalla Terra. Quel guscio piano piano si è rotto verso un
               universo sempre sempre più grande, infinito. E' solo nel XVIII secolo che le stelle diventano
               partecipi degli sviluppi dell'astronomia.

                     Nella storia dell'astronomia la prima distanza che si tentò di calcolare fu quella della
               Terra dal Sole. Il metodo per farlo fu ideato da Ipparco di Nicea (185-127 a.C.) e, con alcuni
               aggiustamenti, fu utilizzato da Tolomeo, da Copernico, Tycho, quindi fino al XVII secolo. I
               risultati erano tutti molto sottostimati.

                     Il metodo della parallasse di Ipparco, già utilizzato da Aristarco, era il seguente. La
               Terra, illuminata dal Sole, proietta dietro di sé un cono d'ombra che, in alcune occasioni,
               risulta attraversato dalla Luna (eclisse). Si trattava di misurare le dimensioni di tale cono,
               attraverso il tempo impiegato dalla Luna nell'attraversarlo durante un'eclisse totale e la
               distanza della Terra dalla Luna, calcolabile con il metodo trigonometrico che permette di
               trovare la distanza esistente tra un dato punto ed un punto inaccessibile (occorre osservare il
               punto inaccessibile da due differenti punti e misurare la distanza tra i due punti
               d'osservazione e gli angoli sotto i quali il punto inaccessibile viene visto).

                                                   Da: www.racine.ra.it/planet/testi/Imm/figura_7.gif

                    Queste misure, soprattutto di angoli, sono estremamente delicate e praticamente
               impossibili da realizzare con la strumentazione disponibile fino al XVII secolo. Tolomeo,
               per la distanza Terra-Sole ricavò un valore pari a 1146 volte il raggio terrestre. Copernico
               trovò 1179. Tycho trovò 1150. Ed anche altre misure con tale metodo davano valori lontani
               dalla realtà. Era necessaria l'astronomia di precisione per riuscire nell'impresa e fu Gian
               Domenico Cassini(12) che riuscì a fornire il primo dato attendibile nel 1672.

                       Egli disponendo già di un apparato fisico matematico adeguato (terza legge di Kepler)

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ASTRONOMIA 4

               iniziò con il misurare la distanza della Terra da Marte servendosi del metodo riportato in
               nota 11 (l'ultimo, riferito in nota alla distanza Terra-Luna e da Cassini applicato alla distanza
               Terra-Marte). Conoscendo tale distanza, mediante la terza legge di Kepler si sarebbe potuti
               risalire a quella della Terra dal Sole.

                                  In figura compare l'unità di distanza astronomica AU che è la distanza
                                  tra Terra e Sole e vale 150 milioni di km (circa).

                     Per fare le sue misure della distanza di Marte dalla Terra, inviò a Cayenne, una città in
               Guyana francese, il suo collaboratore Jean Richer (1630?-1696) in modo da disporre di
               misure simultanee della posizione di marte da due punti di osservazione molto distanti. Si
               era in condizioni di Marte in opposizione e quindi di sua maggiore visibilità. La distanza
               calcolata era di circa 140 milioni di chilometri, con un errore di circa il 7% a quello da noi
               oggi accettato.

                    Fatta tale misura, Cassini passò a calcolarsi la parallasse del Sole calcolando l'angolo
               sotto il quale è visto il Sole a sei mesi di distanza. Tale angolo, misurato con il metodo di
               Tolomeo (quello di Ipparco ripreso da Tolomeo), portava ad un angolo di circa 2 minuti e 30
               secondi. Cassini trovò invece un valore estremamente più piccolo, solo 9 secondi. Con ciò il
               Sole si allontanava di un'enormità dalla Terra ed il sistema solare cresceva a dismisura.

                      Qualche anno più tardi, nel 1716, Halley suggerì di considerare la distanza della Terra
               da Venere, per la sua maggiore vicinanza alla Terra, sfruttando il suo transito sul Sole (che
               però avviene un paio di volte ogni cento anni) che sarebbe avvenuto nel 1761 ed anche nel
               1769 (anche Cassini sapeva che Venere era un pianeta più adatto per la minore distanza
               dalla Terra ma lo scartò perché quando esso si trovava più vicino alla Terra era nella
               posizione tra Terra e Sole, eventualità che ne rendeva molto difficile l'osservazione)(13).

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ASTRONOMIA 4

                                  I due punti d'osservazione di figura sono Parigi e l'Isola Rodrigues a circa
                                  500 km dalle Mauritius (Oceano Indiano).

               L'osservazione da due punti diversi avrebbe fornito la parallasse mediante le due traiettorie
               di Venere osservate (14).

               Se supponiamo un osservatore al punto P della seconda figura seguente, esso vedrà Venere
               percorrere la traiettoria AB (prima figura seguente). Un osservatore al punto P' vedrà invece
               la traiettoria A'B' (prima figura seguente). Le due traiettorie sono essenzialmente parallele e
               l'osservazione è preferibile si faccia da due punti posti al di sopra ed al di sotto dell'equatore
               terrestre. Se D è la distanza tra le due traiettorie, con semplici calcoli trigonometrici, siamo
               in grado di misurare la distanza PV tra l'osservatore e Venere. Ma le cose non sono così
               semplici perché le due traiettorie sono molto vicine tra loro e distinguibili con difficoltà.

               Halley capì che un'informazione equivalente al calcolo di D (attenzione che per semplicità
               parlo di lunghezze, in realtà si tratta di angoli sotto cui vediamo tali lunghezze) era quella

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ASTRONOMIA 4

               della misura dei tempi dei transiti di Venere sia nella traiettoria AB che in quella A'B'. Dalla
               differenza dei tempi di transito, più semplici da misurare, si può risalire a D (i tempi di
               transito sono dell'ordine di grandezza di ore mentre la differenza dei tempi di transito è
               dell'ordine di grandezza dei minuti)(15). La proposta di Halley ebbe un seguito sia nel 1761
               che nel 1769 quando Venere ebbe i suoi transiti sul Sole. Tali transiti non erano però visibili
               nell'Europa occidentale e per poterli misurare degli osservatori si recarono in Siberia, in
               California, altri ancora a Tahiti, alle Isole Madras, ... La cosa risultò molto complessa i
               risultati di varie spedizioni diversi per quantità troppo grandi e non se ne fece nulla
               decidendo di rimandare tutto ai transiti del secolo seguente. Ma lo stesso avvenne nei transiti
               del 1874 e 1882.

                     Che accade invece per misurare la distanza delle stelle dalla Terra ? Qui il problema si
               fa molto più difficile. Con il Sole ed i pianeti il metodo geometrico, se sostenuto da misure
               sufficientemente precise fornisce dei buoni risultati. Osservando una stella qualunque, i
               raggi visivi diretti verso di essa, da qualunque parte della Terra si osservi, sono sempre
               paralleli tra loro. Osservando invece a sei mesi di distanza, in due punti diametralmente
               opposti dell'orbita terrestre, con strumentazione molto avanzata, i raggi visivi formeranno un
               angolo piccolissimo ma misurabile per le stelle più vicine (si creerà un triangolo con vertici
               nei due punti diametralmente opposti dell'orbita terrestre e nella stella e con base il diametro
               dell'orbita. L'angolo piccolissimo sarà l'angolo che insiste sul vertice-stella e si chiama
               angolo di parallasse).

                     Fu l'astronomo e matematico tedesco Friedrich Bessel (1784-1846) che, nel 1838,
               riuscì a determinare per la prima volta la parallasse stellare con una piccola stella della
               costellazione del Cigno (la numero 61). L'angolo di parallasse risultò di 0,314 secondi d'arco
               (intorno ad un terzo di un secondo) il che significava che quella stella aveva una distanza
               seicentomila volte superiore a quella della Terra dal Sole (alla velocità della luce un raggio
               luminoso emesso da quella stella impiega circa 10 anni a giungere sulla Terra). La strada era
               aperta e due anni dopo l'astronomo scozzese Thomas James Henderson (1798-1844)
               pubblicò i suoi risultati ottenuti prima di Bessel e non pubblicati per timore che fossero
               errati. Egli nel Capo di Buona Speranza (in Sud Africa, nell'altro emisfero) misurò la
               parallasse della brillante stella Alpha Centauri. La parallasse risultò di 0,97 secondi d'arco e
               ciò vuol dire che quella stella è più vicina alla Terra (la luce emessa da questa stella tarda
               solo 3 anni e 3 mesi per arrivare sulla Terra. Per fare un minimo confronto si pensi che la
               luce emessa dal Sole arriva sulla Terra dopo 8 minuti). Altra parallasse, quella di Vega
               (0,125 secondi d'arco), fu misurata in Russia nel medesimo periodo da Friedrich Georg
               Wilhelm von Struve (1763-1864). Tutto ciò vuol dire che le stelle sono fuori scala, sono
               incomparabili con le grandezze del sistema solare.

               FRIEDRICH WILHELM HERSCHEL, ASTRONOMO STELLARE

                     Una delle domande che nei primi anni del Settecento venne posta, sembra da Halley,
               era la seguente: se il Sole fosse altrettanto lontano di una stella, avrebbe la stessa
               luminosità ? Questa domanda implica l'ipotesi che il Sole non sia altro che una tra le tante
               stelle togliendo ulteriore centralità al sistema solare.

                    Per cogliere meglio il significato della domanda di Halley, seguiamo qualche sviluppo
               storico sullo studio delle stelle. Nell'antichità abbiamo notizia da Plinio che fu Ipparco il
               primo a redigere un catalogo di stelle e costellazioni (circa 130 a.C.). Il catalogo ci è stato

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               tramandato da Tolomeo e riporta 1022 stelle classificate per costellazioni e per ordine di
               grandezza (l'apparente luminosità). Inoltre Ipparco dette dei nomi alle stelle e nell'uso degli
               antichi le raggruppò in costellazioni con nomi di persone, animali o cose (tale uso è rimasto
               fino ad oggi). I nomi delle stelle che erano nelle costellazioni venivano dati con complicate
               perifrasi(16) mentre oggi è entrato l'uso della notazione di Johannes Bayer (1572-1625) che
               propose di chiamare in ogni costellazione le singole stelle con lettere greche, poi con lettere
               romane, quindi cifre. Il catalogo di Ipparco enumera 20 costellazioni boreali con 360 stelle
               in totale, 13 costellazioni zodiacali con 346 stelle (vi era Ofiuco oltre a quelle note), 15
               costellazioni australi con 316 stelle (in totale 48 costellazioni e, appunto, 1022 stelle).
               Ipparco quindi si fermò a catalogare solo le stelle più brillanti perché, ad occhio nodo si
               vedono oltre 7000 stelle (si osservi che nel fare questa catalogazione Ipparco confrontò i
               suoi dati con quelli dell'astronomo alessandrino Timorachis di circa 150 anni precedente e
               scoprì che ogni stella risultava spostata di circa 2 gradi sulla sfera celeste. A questo
               fenomeno Ipparco dette il nome di precessione degli equinozi). Il catalogo di Ipparco fu
               ripreso da Tolomeo (che aggiunse che esistevano altre stelle che egli chiamò informi, in
               quanto non appartenenti a costellazioni e che non elencava le ignote costellazioni
               dell'estremo sud) e quindi da Copernico, senza modifiche di rilievo. Thyco aggiunse la
               costellazione di Antinoo (già nota ai greci) e la Chioma di Berenice. Ma la prima
               introduzione metodica di nuove costellazioni è dovuta a Bayer che nel 1603 pubblicò
               Uranometria, un atlante celeste di grande pregio. In esso erano elencate 1277 stelle, quattro
               corpi indicati come nebulosi (due dei quali poi confermati come due nebulose) e figuravano
               12 nuove costellazioni nell'emisfero australe (utilizzate da tempo dai naviganti) delle quali
               una dell'estremo sud. Altre otto costellazioni furono aggiunte nel 1624 da Jakob Bartschius,
               genero di Kepler, ma solo tre di esse sono state mantenute.

                                                     La giraffa, una delle costellazioni introdotte e
                                                     mantenute da Jakob Bartschius.

                     A questo punto è inutile seguire perché gli atlanti di stelle e nuove costellazioni si
               susseguirono con ritmi sempre più stringenti, anche perché, dalla scoperta di Galileo che con
               il telescopio il cielo si ingrandiva, le stelle si moltiplicarono. E proprio con il
               perfezionamento dei telescopi il numero delle stelle visibili dalla Terra crebbe di molto
               rispetto a quanto precedentemente noto. Nel 1712 Flamsteed pubblicò Historia Coelestis
               Britannica (alla quale seguì postumo nel 1729 l'Atlas Coelestis, con tutte le ultime

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ASTRONOMIA 4

               osservazioni) un catalogo pieno di stupende tavole che illustrano le costellazioni e che
               permette di sapere quali costellazioni e stelle erano allora note. Leggo dal sito Atlas
               Coelestis:

                        Questo del Flamsteed può essere considerato il primo atlante moderno; riporta
                        circa 3300 stelle, il doppio di quello dell' Hevelius, e per la prima volta le stelle
                        vi vengono collocate attraverso le loro coordinate equatoriali: ascensione retta e
                        declinazione, il cui reticolo viene sovrapposto nelle tavole a quello polare
                        eclittico. Questa innovazione fu possibile attraverso l'introduzione
                        nell'osservazione dell'orologio a pendolo, che permetteva di risalire alla
                        differenza di ascensione retta partendo dalla differenza fra i tempi del passaggio
                        delle stelle al meridiano. Un secolo prima il Bayer inseriva nel suo atlante le due
                        Nubi di Magellano; ora Flamsteed, nella tavola dedicata ad Andromeda, alla
                        destra di Andromeda, disegna una stellina, la galassia M31, il primo oggetto non
                        stellare ad apparire in una carta celeste di un importante atlante.

                        La precisione delle posizioni degli astri è corretta entro il margine di 10" e ciò
                        fu ottenuto dall'autore grazie all'utilizzo di un enorme cerchio murale, munito di
                        cannocchiale, di due metri di raggio, i cui gradi riportavano suddivisioni di
                        cinque minuti primi.

                        Agevole diventa l'uso delle tavole che, riportando delle scale graduate le cui
                        tacche misurano il quarto di grado, permettono di apprezzare subito ad occhio la
                        posizione della stella.

                    Come esempio riporto una delle tavole, quella in cui compare un particolare della
               tavola dedicata alla costellazione del Toro:

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