EPATITE C IN PRIGIONE. DALLA CURA DEL SINGOLO ALLA STRATEGIA DI ERADIC AZIONE: UN BENEFICIO PER LA COMUNITÀ

Pagina creata da Federico Pinna
 
CONTINUA A LEGGERE
EPATITE C IN PRIGIONE. DALLA CURA DEL SINGOLO ALLA STRATEGIA DI ERADIC AZIONE: UN BENEFICIO PER LA COMUNITÀ
Articolo
                                                                                                                                   originale

       Epatite C in prigione. Dalla cura del
       singolo alla strategia di eradicazione:
       un beneficio per la comunità
       Roberto Ranieri1, Ruggero Giuliani1, Teresa Sebastiani1, Elisabetta Freo1, Cinzia D’Angelo3,
       Domenica di Benedetto3, Cesare Lari4, Angelo Cospito5, Francesca Bai2, Anna De Bona2,
       Antonella D’Arminio Monforte2
       (1) Unità di Malattie Infettive – Case Correzionali – Milano
       (2) Clinica di Malattie Infettive – Ospedale Santi Paolo e Carlo – Università di Milano
       (3) Unità Farmacologica – Ospedale Santi Paolo e Carlo – Milano
       (4) Unità di Servizio Sanitario – Ospedale Santi Paolo e Carlo – Milano
       (5) Unità di Servizio Sanitario Penitenziario – Ospedale Santi Paolo e Carlo – Milano

       Autore di riferimento: Roberto Ranieri - roberto.ranieri@asst-santipaolocarlo.it

   Riassunto

   I detenuti sono noti avere specifiche caratteristiche che determinano un alto rischio di
   infezione da Epatite C (HCV) e allo stesso tempo hanno un ridotto accesso alle cure e ai
   trattamenti quando disponibili per la comunità.
   Grazie alla ampia disponibilità di antivirali ad azione diretta (DAAs), altamenti efficaci e
   ben tollerati, la prigione offre una opportunità unica per una capillare diagnosi e tratta-
   mento di tutti i pazienti HCV infetti.
   Nonostante l’alto costo dei DAAs e la possibilità di reinfezione, specialmente tra coloro
   che fanno uso di droghe iniettive (PIWDs), il trattamento dell’HCV nei detenuti si è rive-
   lato essere ancora costo-efficace.
   Presentiamo la nostra esperienza nelle case correzionali milanesi e i modelli associati svi-
   luppati nella cornice del Network Italiano di Medicina Penitenziaria.
   Dal Gennaio 2015 più di 130 trattamenti sono stati erogati implementando uno specifico
   approccio multidisciplinare che ci permette di raggiungere un responso virologico soste-
   nuto (SVR), oltre il 94%, equiparabile all’SVR raggiunto nella comunità.
   Garantire l’accesso al trattamento per l’HCV ai detenuti non solo risponde alla richiesta
   della Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) di curare le persone in grave condizione                                       Parole chiave:
   di necessità, ma risponde anche alle necessità pubbliche di tipo sanitario ed economico.                                        Epatite C; Prigione;
   Trascurare questi gruppi vulnerabili minerebbe gli sforzi per eradicare l’infezione da HCV nella                                Trattamento;
   popolazione generale e renderla una malattia rara, al contrario consentendo al virus di circolare                               Strategia di
   tra le persone non curate, favorendone la diffusione anche nella popolazione non a rischio.                                     eradicazione

Introduzione
Nel mondo la prevalenza del virus dell’epatite C (HCV) tra i detenuti è significativamente superiore rispetto alla popo-
lazione generale, con un range che va dal 3 al 40% [1]. I detenuti presentano svariati fattori di rischio per l’insorgenza di
infezioni trasmesse per via ematica, che spaziano da condizioni cliniche quali abuso di droghe o patologie psichiatriche
non trattate, fino a condizioni sociali e legali di vulnerabilità; per le medesime ragioni i detenuti una volta rilasciati spes-
so non sono in grado di accedere a cure adeguate [2]. Durante il periodo dell’Interferone, ancora una volta i medesimi
fattori di rischio hanno costituito un deterrente per il trattamento [3], a causa dei ben noti effetti collaterali e via di
somministrazione. Con l’alta disponibilità dei DAAs, altamente efficaci e tollerati, la prigione offre una nuova unica op-
portunità per una diagnosi sistemica e per il trattamento di tutti i pazienti HCV infetti, questo nonostante l’alto costo

                                                                                                                                                     13
EPATITE C IN PRIGIONE. DALLA CURA DEL SINGOLO ALLA STRATEGIA DI ERADIC AZIONE: UN BENEFICIO PER LA COMUNITÀ
e il rischio di reinfezione specialmente tra i PIWDs [5]. Il trattamento dell’HCV nei detenuti si è rivelato costo-efficace
     [6], riducendo l’incidenza di patologie epatiche avanzate e il rischio di morte, così come il rischio di insorgenza di com-
     plicazioni extra-epatiche. I benefici vanno al di là del singolo e toccano tutta la comunità con una riduzione nel numero
     di infezioni [7]. Non trattare i detenuti, o altri gruppi vulnerabili, renderebbe vani gli sforzi per eradicare l’infezione da
     HCV nella popolazione generale e renderla una malattia rara, ma al contrario la circolazione del virus incrementerebbe
     il rischio di contaminazione nella popolazione non a rischio.

     Epidemiologia e fattori di rischio
     La prevalenza di HCV nella popolazione italiana si assesta tra il 2,5 e il 3,5% [8], mentre in prigione appare essere dalle
     17 alle100 volte superiore, in base ai differenti studi e setting geografici [9]. Una così alta prevalenza riflette l’alta incar-
     cerazione dei gruppi maggiormente interessati da questa problematica di salute, principalmente i consumatori di droghe
     iniettive. Altri fattori comuni nell’insorgenza dell’HCV tra i detenuti sono malattie psichiatriche non trattate, compor-
     tamenti sessuali a rischio e altre pratiche non sicure come applicazione di tatuaggi, cocaina, abuso di alcol, vulnerabilità
     sociale, mancanza di una fissa dimora, scarsa formazione culturale e ridotto accesso alle cure. Uno studio italiano tra-
     sversale che ha coinvolto più di15.000 prigionieri ha mostrato che il 38% di prevalenza di HCV è fortemente associato
     all’uso di droghe intravenose (OR: 10.5) [10,11]. Un più recente studio longitudinale condotto nel 2013 nella casa di
     reclusione di Milano - Opera ha riportato una più bassa prevalenza, pari al 22,4%, indicando una minor proporzione di
     consumatori di droghe e poche differenze nelle politiche di detenzione; gli italiani erano più soggetti a HCV positività
     rispetto agli stranieri (24,5% vs 14,5%), mentre la coinfezione da HIV è stata rilevata nel 38,5% dei detenuti HCV positivi.
     Tra i detenuti trovati HCV positivi, nell’ 86,5% è stato rilevato HCV – RNA [12].
     Nell’ultima analisi multicentro effettuata dal 2015, che ha coinvolto oltre 15.000 detenuti da 25 centri di detenzione, la
     positività a HCV è stata rilevata con una prevalenza del 30,9% [13]. La trasmissione di HCV in prigione è stata osser-
     vata ma di rado, ed è principalmente legata alla condivisione di siringhe per l’utilizzo di droghe, dallo 0,4 al 0,59% [14].
     Nessuno studio italiano ha specificamente investigato la prevalenza di HCV nelle donne detenute e negli adolescenti
     o minori. Tuttavia studi personali sembrano suggerire una più alta prevalenza nelle donne piuttosto che negli uomini
     [15] e una stabile prevalenza ridotta tra gli adolescenti. L’infezione da HCV risulta essere ancora piuttosto rara tra gli
     adolescenti nonostante i loro numerosi comportamenti a rischio e la sua incidenza comincia a crescere tra i giovani
     adulti col perdurare di comportamenti a rischio, soprattutto con l’inizio di abuso di droghe i.v. [16,17].

     Storia del trattamento
     Fino al Maggio 2013, l’unico trattamento disponibile per l’HCV in Italia era il doppio trattamento con Interferone
     Pegilato (P) e Ribavirina (R), con un tasso generale di risposta virologica sostenuta (SVR) variabile tra il 13 e il 52% e
     un tasso di interruzione fino al 74%. La principale causa di interruzione del trattamento era la detenzione di per se (ad
     esempio una inaspettata interruzione della pena, rilascio nella comunità, trasferimento in altro istituto correzionale)
     seguita dalla assenza di una precoce risposta virologica (EVR) e problematiche mediche o psichiatriche [15].
     Peraltro la ineleggibilità è stata anch’essa un problema: in uno studio di due anni condotto dal 2006 al 2008 dal nostro
     gruppo su 695 nuovi carcerati, solo il 26% dei 135 malati cronici di HCV sono risultati idonei al trattamento.
     Le principali ragioni di questa ineleggibilità erano non solo gravi controindicazioni di tipo clinico (ad esempio malattie
     mentali, cirrosi scompensata, malattie cardiache instabili, scarsa conta di cellule T CD4+ in soggetti HIV positivi), ma an-
     che un alto numero di pazienti in rifiuto della terapia a causa della paura di effetti collaterali e mancanza di informazioni
     corrette. Anche problematiche di tipo logistico hanno avuto un ruolo, con inaspettati trasferimenti ad altre strutture.
     Nonostante tutto ciò, il 43% dei pazienti trattati ha raggiunto l’SVR [12]. L’introduzione di una tripla terapia con PR più
     la prima generazione di DAAs e una eleggibilità estesa ai consumatori di droghe, ha modificato lo scenario aprendo
     la strada a nuove sfide, incluse nuove informazioni sulla infezione da HCV e le opzioni di trattamento, rafforzando la
     collaborazione con gli psichiatri per una miglior gestione delle problematiche psichiatriche, con un maggior coinvolgi-
     mento degli infermieri, del personale penitenziario e dei giudici. La introduzione di una seconda generazione di DAAs
     nel 2015 ha ulteriormente rafforzato lo scenario grazie all’alta efficacia per tutti i genotipi (più del 90%), breve durata
     del trattamento (8-24 settimane), somministrazione orale sicura e non invasiva [4].Attualmente le linee guida nazionali
     e internazionali raccomandano il trattamento per tutti i pazienti con infezione cronica da HCV al fine di ridurre la cir-
     colazione del virus nella popolazione generale, riducendo così le nuove infezioni per eradicare finalemente l’infezione a
     livello globale [18,19]. Fino ad ora le popolazioni vulnerabili come i detenuti, i tossicodipendenti, i senzatetto, sono stati
     trascurati in termini di trattamento, a causa delle preoccupazioni dei prescrittori in merito alle opportunità di tratta-
     mento e le possibilità di reinfezione, ma anche a causa di specifici limiti come la scarsa aderenza alle cure [5]. Come
     risultato, secondo le stime del 2016, negli istituti penitenziari italiani, solo lo 0,9% dei detenuti HCV positivi hanno avuto
     accesso al trattamento.Assicurare l’opportuno accesso alle cure per i detenuti, come per le altre categorie vulnerabili,

14
EPATITE C IN PRIGIONE. DALLA CURA DEL SINGOLO ALLA STRATEGIA DI ERADIC AZIONE: UN BENEFICIO PER LA COMUNITÀ
non solo rappresenta una risposta ai principi umanitari e alle raccomandazioni stabilite dalla WHO, ma è vincolante
e strumentale al raggiungimento dell’obiettivo dell’eradicazione. Come suggerito da Spaulding and Co. [20]. Svariate
lezioni maturate dall’esperienza con l’HIV potrebbero tornare utili per la cura dell’HCV, per affrontare problematiche
quali interventi sulla comunità, screening opt – out, collegamento alle cure, protocolli semplificati.

Raccomandazioni pratiche per la cura
individuale
Come già detto, le prigioni offrono una opportunità
unica per lo screening e il trattamento dell’HCV.
Infatti nel corso della detenzione i principali fattori
di rischio di una scarsa aderenza possono essere
controllati, consentendo di raggiungere in popola-
zioni difficili, una risposta al trattamento equipa-
rabile a quella della popolazione generale ( › 90%)
[4]. Data la difficoltà del setting, la prigione e la
complessità delle esigenze mediche, è indispensabi-
le un approccio strutturato e multidisciplinare che
comporta il coinvolgimento di differenti attori, cia-
scuno dei quali con specifiche competenze volte al
raggiungimento di un obiettivo di cura condiviso.
La Figura 1 descrive tutti i potenziali attori coinvolti
nel setting, non solo facenti parte del sistema sa-
nitario, ma anche del sistema penitenziario (come
organi giudicanti e guardie carcerarie). Nel 2016 la
Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria
                                                                                                                                                    Figura 1.
(SIMSPE) ha redatto delle raccomandazioni di tipo pratico riassunte in Tabella 1.
                                                                                                                                                    Possibili attori necessari
                                                                                                                                                    per assicurare una cura
Strategia per lo screening                                                                                                                          completa.
Uno screening opt – out per tutti i detenuti è raccomandato a prescindere dalla valutazione del rischio, a causa dell’alto
livello di inconsapevolezza [11]. Lo screening HCV incrementa il numero di diagnosi dei casi precedentemente scono-

      Screening        • Uno screening HCV è raccomandato per tutti i detenuti insieme a una appropriata visita al momento dell’ingresso nella struttura
                         correzionale.
                       • Se lo screening risulta positivo, devono essere effettuati ulteriori opportuni esami (HCV – RNA, genotipo, ecografia del fegato,
                         valutazione della fibrosi epatica tramite elastometria o biopsia, valutazione della presenza di comorbidità) per patologie epatiche.
                       • Consulto psicologico.

      Altre            • Si raccomanda un screening per coinfezioni (HIV, HAV, HBV e HDV se il soggetto è HBsAg positivo).
      valutazioni      • I detenuti negativi all’epatite A e B dovrebbero essere vaccinati.
                       • La valutazione epatica pre-trattamento standard dovrebbe includere una valutazione psichiatrica e di quello che è il background
                         tossicologico (alcol e sostanze psicoattive) usando strumenti dedicati.
                       • Programmi di trattamento e detossificazione dovrebbero essere presenti nei settings che rendono disponibili trattamenti anti-HCV.

      Trattamento      • Un approccio multidisciplinare dovrebbe essere adottato per tutti i detenuti HCV infetti.
                       • Il trattamento con DAAs dovrebbe essere iniziato il prima possibile in tutti i pazienti eleggibili con l’obiettivo di limitare la diffusione
                         della malattia all’interno dell’istituto penitenziario e allo stesso tempo ridurre il rischio di trasmissione di HCV nella comunità a seguito
                         della scarcerazione del detenuto.
                       • A questo scopo, strategie per la continuità terapeutica dopo il rilascio del detenuto, dovrebbero essere promosse.
                       • Terapie a base di oppiacei agonisti dovrebbero essere somministrate a coloro con dipendenza da oppiacei e infezione da epatite C per
                         ridurre il rischio di assunzione di droghe da iniezione e la conseguente trasmissione e/o reinfezione da HCV.
                       • Durante la detenzione dovrebbero essere svolte attività di educazione sanitaria, in particolare per le persone senza o con minima
                         precedente educazione in materia.
                       • Valutazioni periodiche di tipo psichiatrico e psicologico (se necessario con terapie, anche anti-depressive) dovrebbero essere svolte
                         durante e dopo il trattamento.

sciuti e riduce il numero di nuove infezioni fuori e dentro la prigione e indubbiamente riduce l’incidenza di avanzate                              Tabella 1.
patologie epatiche con un tempestivo trattamento. Lo screening dovrebbe essere effettuato all’ingresso nella struttura                              Raccomandazioni
penitenziaria per via dell’alto numero di rilasci e trasferimenti, specialmente in fase di custodia preventiva [21].                                pratiche SIMSPE.

Test orali di rapida esecuzione sono disponibili e semplificano la diagnosi di HCV incrementandone l’accettabilità e

                                                                                                                                                                          15
assicurando un tempestivo trattamento. Sarebbe bene effettuare lo screening per altri BBVs e offrire la vaccinazione
                        per HBV. Possono essere effettuate delle consulenze private in modo da incrementare la conoscenza e il consenso
                        da parte dei detenuti che rifiutano lo screening. I detenuti HCV Ab positivi debbono essere prontamente valutati in
                        merito al livello di replicazione virale tramite test HCV RNA, per poi procedere alla stadiazione della malattia.
                        Altre valutazioni estremamente importanti per il trattamento, come identificazione del genotipo e determinazione del
                        livello di fibrosi epatica tramite elastometria, possono essere implementati in prigione a seconda del setting e delle
                        risorse disponibili. Nella nostra esperienza [15], la strategia sopra menzionata ci ha portato a un livello di accettazione
                        pari al 90%: la Figura 2 ci mostra un indice di prevalenza dell’HCV pari al 7,1% (258 su più di 3588 test effettuati) con

                Screening HCV Ab                                                       Viremia HCV

 Figura 2.
                        presenza di infezione, a seguito del rilevamento di viremia da HCV in più della metà dei detenuti trovati HCV positivi
 Prevalenza e viremia
 per l’HCV.
                        (69%), 177 su 258.

                        Aderenza al trattamento: considerazioni speciali
                        CONSUMATORI DI SOSTANZE STUPEFACENTI. E’ risaputo che i PIWDs sono sproporzionatamente rappresentati in
                        prigione e spesso presentano una scarsa aderenza al trattamento e alle cure anche in comunità. Anche i dottori po-
                        trebbero nutrire preoccupazioni quando si tratta di PIWDs, per via dei già citati problemi di aderenza, per il rischio di
                        reinfezione dovuto al persistente uso di sostanze d’abuso e la scarsa considerazione nel trattamento di queste cate-
                        gorie di pazienti a causa di giudizi morali. Uno studio recente condotto a Philadelphia sulla reticenza al trattamento da
                        parte di PIWDs infetti ha mostrato che la paura di incontrare un medico troppo critico, rappresenta la seconda bar-
                        riera al trattamento, dopo la paura degli effetti collaterali, altre barriere sono rappresentate dal costo del trattamento e
                        il costo di trasporto, elementi non rilevanti nei penitenziari italiani [22].A parte questo, una terapia sostitutiva a base di
                        oppiacei (OST) è comunemente prescritta in tutti i penitenziari italiani e il concomitante abuso di alcol e droghe viene
                        minimizzato. Diversi studi hanno evidenziato che l’OST non compromette l’efficacia del trattamento con DAAs [4,23],
                        una volta che i DAAs sono somministrati con Metadone o Buprenorfina, anche se ulteriori studi sarebbero necessari
                        per meglio identificare le possibili interazione tra le due categorie di sostanze.
                        TRATTAMENTO PSICHIATRICO. I Pazienti psichiatrici possono presentare una cattiva aderenza ai trattamenti psichiatrici
                        e alle cure mediche se la patologia psichiatrica non è propriamente trattata. I DAAs sono molto più sicuri rispetto
                        all’Interferone per quanto riguarda gli effetti collaterali di tipo psichiatrico [24], ma possibili interazioni devono essere
                        valutate durante il concomitante utilizzo di farmaci psichiatrici come Fenobarbibal o Valproato, che sono di uso comu-
                        ne nel nostro setting. Inoltre una volta in prigione i pazienti psichiatrici possono beneficiare di frequenti follow-up e
                        visite di psicologi e psichiatri. Nella nostra esperienza sussiste una forte collaborazione con psichiatri, per la valutazione
                        di pazienti prima, durante e dopo il trattamento e per il passaggio ad altre terapie psichiatriche se necessario.
                        PROTOCOLLO INFERMIERISTICO. A causa della difficile tipologia di pazienti e il possibile rischio di manipolazioni legate
                        a problematiche di tipo legale e all’alto costo dei DAAs, il nostro gruppo ha istituito un protocollo infermieristico per
                        l’erogazione di DAAs al fine di ridurre le dosi smarrite, migliorare la gestione degli effetti collaterali ed assicurare la
                        tracciabilità e la documentazione. La documentazione è particolarmente utile nelle strutture ad alto turnover (sia in
                        caso di trasferimento in altra prigione o al rilascio nella comunità) per assicurare la continuità di trattamento e una
                        connessione alle cure. Il miglioramento del trattamento ha un impatto limitato sulla morbidità e mortalità dell’HCV

16
senza un concomitante miglioramento dell’orientamento/connessione alle cure. Ad esempio una volta che un consu-
matore di droghe i.v. ha completato il suo trattamento per l’HCV in prigione, al rilascio la persona deve essere indiriz-
zata e l’opportuna documentazione deve essere inviata al centro di riferimento per la comunità di tossicodipendenti
di modo che l’OST, il trattamento psichiatrico e il follow-up virologico possano proseguire e ulteriori strategie di cura
possano essere implementate.
INFORMAZIONE ED EDUCAZIONE DEL PAZIENTE. Il tasso di informazione è scarso tra i detenuti, specialmente per
quanto riguarda la salute. La stigmatizzazione, la paura della malattia e delle procedure mediche sono anch’esse comuni
[25]. Un rapporto di fiducia tra medico e paziente deve essere costruito, a partire dalla restituzione dei risultati del
test sierologico, sino alla condivisione dei piani diagnostici e terapeutici, tenendo in considerazione anche gli aspetti
giudiziari e la timeline. In una recente indagine condotta in una casa circondariale di Milano, più del 30% dei prigionieri
non aveva alcuna informazione sull’HCV, il 60%
non conosceva le vie di trasmissione, il 65%
non aveva mai eseguito un test. Un più ampio
accesso a opuscoli e materiale informativo su
                                                               Numeri di trattamenti iniziati e completati       100
problematiche di salute, così come gruppi di
                                                               Numero di trattamenti ancora in corso             30
discussione con pazienti esperti potrebbe es-                  Uomini                                            95%
sere utile.                                                    Età media                                         48 anni
ESPERIENZA PERSONALE. Implementando la                         Tossicodipendenti                                 68 %
strategia sopra menzionata, dal Febbraio 2015                  HIV coinfetti                                     23 %
a oggi, 130 detenuti nell’area di Milano, hanno                Genotipo  1                                       53% 1a= 45 1b= 24
                                                               Genotipo 3                                        35%
ricevuto un trattamento a base di DAAs per
                                                               Altri genotipi                                    12%
l’HCV. La Tabella 2 riassume le principali carat-              F1 + F2                                           43%
teristiche dei pazienti e dei risultati raggiunti.             F3 + F4                                           57%
La maggior parte sono adulti maschi, età me-                   EOTR                                              100% (100/100)
dia 48 anni: circa il 68% presentava un abuso di               SVR 12                                            94% (59/63)
                                                               Ricaduta                                          6% (4/63)
droghe come principale fattore di rischio.
                                                               Collegamenti alla cura durante il                 21%
Il genotipo 1 e 3 sono risultati i più comuni e                trattamento o il follow-up
più della metà dei soggetti (57%) sono risultati
cirrotici o in fase avanzata di malattia, il 23%
presentava una coinfezione da HIV ed ha rice-
vuto un trattamento HAART.
Alcune caratteristiche come l’età media e la progressione della malattia potrebbero cambiare nell’imminente futuro              Tabella 2.
come risposta alle nuove indicazioni e possibilmente alle nuove strategie incentrate sui PWIDs attivi.                          Trattamenti con DAAs
La risposta di fine trattamento (EOTR) è stata raggiunta in tutti i pazienti che lo hanno completato. Non si è verificato       nelle case correzionali
                                                                                                                                di Milano.
alcun drop out. Tra i pazienti che hanno raggiunto le 12 settimana di follow-up, il 94% ha mantenuto una costante
soppressione virologica (SVR12) e solo il 6% ha avuto ricadute; è interessante notare che tutti i pazienti HIV coinfetti
hanno raggiunto l’SVR12. Si fa presente che il 23% dei pazienti si sono interfacciati a strutture di cura esterne al mo-
mento del rilascio ed è stato possibile assicurare la continuazione delle cure e un follow-up virologico.

Benefici del trattamento per il singolo e per la comunità
I benefici individuali derivanti dalla cura dell’infezione da HCV sono numerosi, a prescindere dalla fase dell’infezione.
Tali benefici vanno dalla prevenzione dell’avanzamento della fibrosi e della cirrosi e/o carcinoma epatico, alla preven-
zione di episodi ricorrenti di scompensi epatici e morte dovuta a complicazioni epatiche, nonché una riduzione del
numero di trapianti epatici.Vi sono poi una serie di benefici extra-epatici, come la riduzione di casi di diabete, glome-
rulonefriti, problematiche reumatologiche e cardiovascolari. Il trattamento dei singoli ha importanti ripercussioni sulla
comunità, dalla riduzione di trasmissione dell’HCV e acquisizione di nuove infezioni, alla riduzione del numero di tra-
pianti. In Italia, la cirrosi da HCV è la prima causa di trapianto epatico. L’avvento dei DAAs ha reso possibile pensare alla
eradicazione dell’HCV. Persone vulnerabili come prigionieri, migranti e consumatori di droghe sono noti per essere a
maggior rischio e per aver minor accesso alla cura, agendo così da riserva per l’infezione. Studi recenti nei quali è stato
esteso il trattamento nelle prigioni, hanno dimostrato la costo-efficacia dei DAAs una volta che la continuità di cura è
assicurata [26 – 29]. L’implementazione di uno screening opt-out basato sul rischio potrebbe portare alla diagnosi di
un numero che va dai 41.900 ai 122.700 nuovi casi di HCV in prigione nei prossimi 30 anni: questo scenario potrebbe
prevenire dalle 5.500 alle 12.700 nuove infezioni da HCV, dove circa il 90% delle infezioni scongiurate si serebbe poi
verificata fuori dalle prigioni. Un potenziamento dei trattamenti HCV di breve durata è importante per ridurre la
prevalenza di HCV e prevenire la trasmissione tra coloro a rischio [30].

                                                                                                                                                     17
Riconoscimenti
     Vorremmo ringraziare tutte le unità e persone coinvolte nella gestione dell’HCV negli istituti penitenziari di Milano
     (psichiatri, psicologi, tecnici di laboratorio, infermieri, agenti penitenziari, responsabili di medicina penitenziaria) e
     le persone che hanno reso possibile il collegamento di queste attività con la comunità esterna, in particolare il
     Dott. Malnis.

                B i b l i o g r a f i a

           1.    Larney S, Kopinski H, Beckwith CG, et al. The incidence and prevalence of hepatitis C in prisons and other
                 closed settings: results of a systematic review and meta-analysis. Hepatology. 2013; 58:1215–1224. [Pub-
                 Med: 23504650].
           2.    Ranieri R, Starnini G, Carbonara S, et al. Management of HCV infection in the penitentiary setting in the
                 DAA Direct-Acting Antivirals era: practical recommendations from an expert panel.
           3.    Wansom T, Falade-Nwulia O, Sutcliffe C, Barriers to Hepatitis C Virus (HCV) Treatment Initiation in
                 patients with Human Immunodeficiency Virus/HCV Coinfection: Lessons From the Interferon era. Open
                 Forum infectious diseases. 2017.

18
4.   Zeuzem S; Ghalib R; Reddy KR, et al, Grazoprevir–Elbasvir Combination Therapy for Treatment-Naïve
     Cirrhotic and Non cirrhotic Patients With Chronic Hepatitis C Virus Genotype 1, 4, or 6 Infection A Ran-
     domized Trial Ann Intern Med. 2015;163:1-13.
5.   Martin NK,Vickerman P, Grebely J et al, Hepatitis C Virus Treatment for Prevention Among People Who In-
     ject Drugs: Modeling Treatment Scale-Up in the Age of Direct-Acting Antivirals, Hepatology2013;58:1598-
     1609.
6.   Aspinall EJ, Corson S, Doyle J, et al. Treatment of Hepatitis C Virus Infection Among.
     People Who Are Actively Injecting Drugs: A Systematic Review and Meta-analysis               Clin Infect Dis.
     2013;57(suppl 2):S80-S89.
7.   Liu S, Watcha D, Holodniy M., Sofosbuvir-Based Treatment Regimens for Chronic, Genotype 1 Hepatitis
     C Virus Infection in U.S.Incarcerated Populations: A Cost-Effectiveness Analysis. Ann Intern Med. 2014
     October 2161(8): 546–553. doi:10.7326/M14-0602.
8.   http://www.epatitec.info/default.asp?id=743.Last accessed 30th October 2016.
9.   Müller J, Schmidt D., Kollan C. al. High variability of TB, HIV, hepatitis C treatment and opioid substitution
     therapy among prisoners in Germany BMC Public Health (2017) 17:843.
10. Babudieri S, Longo B, Sarmati L, et al. Correlates of HIV, HBV, and HCV infections in a prison inmate po-
    pulation: results from a multicentre study in Italy. J Med Virol. 2005;76:311-7.
11. Sagnelli E, Starnini G, Sagnelli C, et al; Simspe Group. Blood born viral infections, sexually transmitted di-
    seases and latent tuberculosis in italian prisons: a preliminary report of a large multicenter study. Eur Rev
    Med Pharmacol Sci 2012;16:2142-6.
12. Brandolini M, Novati S, De Silvestri A, et al. Prevalence and epidemiological correlates and treatment out-
    come of HCV infection in an Italian prison setting. BMC Public Health. 2013;13:981.
13. Monarca R, Madeddu G, Ranieri R, et al; SIMSPe–SIMIT Group. HIV treatment and Care among Italian
    inmates: a one-month point survey. BMC Infect Dis 2015;15:562.
14. Macalino G, Vlahov D, Sanford S et al; Prevalence and incidence of HIV HBV and HCV infections among
    males in RI prisons Am J Public health, 2004; 94: 1218-23.
15. Ranieri R, Foschi A, Casana M, et al; Oral presentation ICAR 2015 Rimini; The epidemiology of HIV, hepati-
    tis B and C infections, syphilis and tuberculosis in a major italian correctional house: a one year infectious
    diseases screening experience.
16. Sebastiani T, Screening dell’HCV nell’adolescente e giovane adulto congresso Simspe Roma 2017.
17. Rice J, Cervantes L, Lucey MR. Hepatitis C Viral Infection in Incarcerated Patients. Clinical Liver Disease
    2012; 1(3): 84 – 86.
18. Guidelines for the screening, care and treatment of persons with chronic hepatitis C infection, April 2016,
    WHO.
19. HCV Guidance: recommendations for testing, managing and treating Hepatitis, AASLD-IDSA, 2017.
20. HIV and HCV in US. Prisons and jails: the correctional facility as a bellwether over time for the communi-
    ty’s infection. Spaulding A, Anderson JE, Khan AM, at al AIDS Rev 2017, 19:134-147.
21. Kim AY, Nagami EH, Birch CE, et al. A simple strategy to identify acute hepatitis C virus infection among
    newly incarcerated injection drug users. Hepatology. 2013;57:944-52.
22. PR Allyn1, SM O’Malley2, J Ferguson3 at al. Attitudes and potential barriers towards hepatitis C treatment
    in patients with and without HIV co-infection, International Journal of STD & AIDS, 2017,0:1-7.
23. Recommendations for the management of hepatitis C virus infection among people who inject drugs.
    Grebely J, Robaeys G, Bruggmann P, et al. International Journal of Drug Policy, 2015,26:1029-1038.
24. Ranieri R, Manzone ML, A.Foschi, ICAR 2016 Milano. Psychiatric issues in treating HCV positive inmates
    with DAAs: a new challenge.
25. Feller S C AASLD 2013. Abstract 274.
26. Negro F,Forton D, Craxi A; Extrahepatic Morbidity and Mortality of Chronic Hepatitis, Gastroenterology
    2015;149:1345-1360.
27. Martin NK, Hickman M, Miners A, et al. Cost-effectiveness of HCV case-finding for people who inject drugs
    via dried blood spot testing in specialist addiction services and prisons. BMJ Open. 2013;3.
28. Martin NK, Vickerman P, Brew IF, et al. Is increased hepatitis C virus case-finding combined with current
    or 8-week to 12-week direct-acting antiviral therapy cost-effective in UK prisons? A prevention benefit
    analysis. Hepatology. 2016;63:1796-808.
29. He T, Li K, Roberts MS, et al. Prevention of Hepatitis C by Screening and Treatment in U.S. Prisons. Ann
    Intern Med. 2016;164:84-92.
30. Darke J, Cresswell T, McPherson S, Hamoodi A. Hepatitis C in a prison in the North East of England: what
    is the economic impact of the universal offer of testing and emergent medications? J Public Health (Oxf).
    2015; Epub ahead of print.

                                                                                                                      19
Puoi anche leggere