Emanuele Virgilio prete integrale e vescovo di frontiera

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Emanuele Virgilio prete integrale e
                vescovo di frontiera
                        Vincenzo Leggieri

    Devo congratularmi col sindaco che ha trasformato la comme-
morazione sia pure solenne di mons. Virgilio in un vero e proprio
convegno di studio storico ed ecclesiale, quale in verità merita il
Personaggio per la sua dignità episcopale e per la sua statura
morale.
    È un vero successo quindi che a parlare della sua figura siano
stati stamane gli eccellentissimi vescovi ed un sacerdote, ciascu-
no vicino al Celebrato per la peculiare funzione; che, venuto
dall’Ogliastra, seconda patria di mons. Virgilio, si appresti ad
intervenire il suo biografo che ha studiato le opere e gli avveni-
menti dell’episcopato virgiliano, ma anche degli anni precedenti,
che ad inquadrare il Personaggio nel suo tempo ci sia uno stori-
co, il prof. Morano. Parrebbe non esserci utilità alcuna per altri
interventi; ma c’è chi ha ritenuto che sarebbe stato carente il
piano del convegno senza la voce di un cittadino comune, tra le
altre autorevoli, a ricordare quest’illustre figlio di Venosa (anche
mons. Talucci e don Felice sono concittadini di mons. Virgilio ma
per loro è prevalente essere suoi confratelli nell’episcopato e nel
sacerdozio).
    Quando mi fu chiesto quale titolo associare al mio nome nel
programma, dissi scrivete concittadino di mons. Virgilio, non sono
stato preso sul serio forse per l’accostamento giacobino dell’epiteto,
ma ritengo, oggi soprattutto, che solo questa condizione mi dà tito-
lo di parola, perché mons. Virgilio fu uomo illustre della nostra città
ma, fra i numerosi altri famosi con qualche titolo in più. Difatti quasi
tutti si sono limitati a nascere a Venosa, taluno anche per caso, ma
illustri sono diventati altrove ove li ha portati la loro storia.
    Non fu così per mons. Virgilio, il quale ha dedicato alla sua
città almeno la metà della sua vita operativa.

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    Perciò se autorevoli prelati lo hanno celebrato come vescovo
ed il suo biografo lo racconterà come fondatore dell’Ogliastra
moderna, lasciate a me l’onore di ricordarlo, così semplicemente,
come don Emanuele, che divenne prete all’età di 23 anni, il 22 mag-
gio del 1891, sette giorni dopo la pubblicazione della Rerum
Novarum; casuale coincidenza che di per sé non vuol dire nulla,
solo questo però che il giovane sacerdote non poteva essere indif-
ferente ad una enciclica che esortava i cattolici all’impegno sociale
anche nella vita pubblica. Non era ancora l’abrogazione del non expe-
dit ma lo annunciava.
    Perciò non si può ritenere che don Emanuele abbia seguito senza
interesse, se non politico almeno sociale, la svolta democratica che nel
1895 determinò a Venosa la cacciata del gruppo oligarchico che da un
terzo di secolo gestiva in forma autoritaria e sprezzante la cosa pubbli-
ca. A livello nazionale la sinistra al potere si leccava le ferite della di-
sastrosa impresa coloniale e degli scandali della Banca Romana. Credo
che il prof. Morano ci aiuterà a capire che tipo di sinistra e che tipo di
eventi alle soglie del ‘900. In questo contesto si svolgeva, arida, la vita
della comunità venosina, amministrata da una brigata di cosiddetti
galantuomini tenuti al potere da gruppi di usurai e latifondisti, i primi
impegnati a fornire sementi e concimi a prezzo di usura, gli altri ad
usurpare per pochi soldi fazzoletti di terra ai contadini, che avevano
bisogno di pagarsi il viaggio per le Americhe. Così narra malinconica-
mente la cronaca, cronaca di una città dal grande passato e dalla
modestissima attualità di quel tempo che pure ci appartiene e che ha
per noi valore di storia, la piccola storia che non possiamo rinnegare.
    Il leader politico del collegio Giustino Fortunato, illuminato conser-
vatore e profondo studioso della questione meridionale; era riuscito a
richiamare l’attenzione del Parlamento e dei Governi sul grave problema.
    Zanardelli se ne convinse ed annunciò il suo storico viaggio in
Basilicata da cui nacque la legge speciale del 1904, la quale “avrà la
silenziosa astensione di Fortunato”1.

1. Cfr. L. SACCO, Giustino Fortunato e la Basilicata, in AA.VV., Giustino Fortunato, Laterza, Bari,
1984, p. 79.

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     Come accolse l’annuncio della visita di Zanardelli il giovane
prete, insegnante presso il locale seminario, raffinato oratore sacro,
stimato dal suo vescovo, benvoluto dalla comunità venosina.
     Leggiamolo sul «Quinto Orazio Flacco» del 16 settembre del 1902.
L’editoriale non firmato (ma è notorio che in quegli anni gli edito-
riali non firmati erano di sua mano o quantomeno da lui ispirati) è
intitolato con delicata ironia “L’esplorazione della Basilicata”. Non
posso ovviamente leggerlo tutto per rispetto del vostro tempo, mi
limito a farne una brevissima sintesi. “Zanardelli viene in Basilicata”,
scriveva, “per una breve escursione estivo-autunnale, per vedere e
scrutare le cose nostre e per conoscerci; così noi siamo un paese
sconosciuto e la grande avventura della nostra storia è che
Zanardelli viene da noi.
     Molti si preparano a banchetti con brindisi lirici e s’illudono che
la visita di un uomo di Governo ci libererà dai nostri mali. Ma
Zanardelli non ha letto i discorsi di Giustino Fortunato a Lavello ed
a Palazzo? Non sa del fallimento della legge sul credito agrario? Non
vogliamo essere pessimisti, venga pure tra noi Zanardelli, auguran-
doci che la sua visita rappresenti la fine delle nostre sventure”.
     E guardandosi intorno, don Emanuele si rese conto del degrado
sociale in cui viveva la povera gente, ritenne che qualcosa andava
fatta senza attendere le provvidenze governative. Guardò in partico-
lare al contadino venosino oppresso dall’usura, poiché anche le pic-
cole banche avevano chiuso la borsa del credito agrario. Non vedo
contadini in questa sala, forse non ve ne sono più nell’anagrafe di
questa città, forse hanno cambiato nome o sono diventati come don
Emanuele li voleva, piccoli ma liberi imprenditori della campagna.
     Nel tempo che stiamo raccontando i contadini erano i dannati
della terra, “la classe della fame”, ad essi più che ad altri fu diretto l’im-
pegno di riscatto del can. Virgilio. Bussò alla porta del suo vescovo
Lorenzo Antonelli, chiedendogli un autorevole appoggio nell’impresa;
Antonelli fu il primo sottoscrittore della Cassa Rurale di Prestiti San
Felice Martire. L’esempio del presule indusse altri sacerdoti ad inter-
venire e risvegliò la fiducia dei contadini che in massa si rivolsero alla

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Cassa per le sementi, per i concimi, per altri trattamenti della terra.
     I prestiti concessi erano tanti ma i depositi non coprivano le richie-
ste.
     Il ricorso ad alcune banche cattoliche del Nord non diede risulta-
ti, ma non si perse d’animo don Virgilio, si rivolse agli amici, Giustino
Fortunato e Francesco Saverio Nitti, i quali offrirono garanzie perso-
nali al Banco di Napoli che intervenne con la cospicua somma di lire
20.000.

             1.Cassa Depositi San Felice Martire in Venosa, rendiconto del mese di
             dicembre 1910.

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    La vita della Cassa riprese, ebbe anche la sua bandiera, bandiera
di pace, di pace sociale.
    Forse è il caso di cercare di capire con quale spirito il canonico
Virgilio portava avanti la sua azione, nonostante i tempi. Basta leg-
gere lo statuto della Cassa redatto personalmente da lui. Per esem-
pio dove si richiede per i soci la professione di fede cattolica ma
dove si aggiunge, se dei protestanti hanno bisogno d’aiuto possono
rivolgersi alla Cassa perché saranno bene accetti. Se facciamo mente
locale ai rapporti tra cattolici e protestanti in quel momento storico
ed anche dopo (siamo in grande anticipo rispetto al Vaticano II), ci
rendiamo conto che il canonico Virgilio fu un precursore.
    Lo statuto consentiva diritto di partecipazione anche alle donne,
cosa rara per quel tempo e promuoveva la frequenza dei soci e dei
loro figli alla scuola serale istituita dalla stessa Cassa per combattere
l’analfabetismo ed aggiornare i contadini sulle nuove tecniche in
agricoltura. Non penso che in quegli anni altri istituti di credito atti-
vassero servizi collaterali di questo tipo.
    Così mons. Virgilio si adoperava per aiutare in concreto la povera
gente, mentre le istituzioni locali, ancora in fase di rodaggio dopo il
successo elettorale del 1902, si preparavano a ricevere con tutti gli
onori il Capo del Governo e a chiedergli vagamente alcune cose con-
crete tra le quali: la trasformazione del castello, appena acquistato dal
comune2, in carcere penitenziario e l’insediamento di una guarnigione.
Non erano queste le aspettative dei venosini né di mons. Virgilio.
    Don Emanuele, come familiarmente lo chiamava il popolo, era
convinto dell’importanza dell’informazione, non solo per informare,
ma per comunicare per istruire, per educare. Perciò fu promotore con
i canonici Martone e Di Ciesco di un organo di stampa periodico, del
quale abbiamo fatto cenno, intitolato al nome di «Quinto Orazio
Flacco»3, la cui diffusione varcò ben presto i confini di Venosa per

2. Archivio Storico Comune di Venosa (d’ora in poi A.S.C.V.), cart. 82, fasc. 482.
3. Per una più dettagliata ed organica ricostruzione della vita del periodico venosino, si rimanda
al saggio di Michele Finizio presente nel volume.

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diffondersi in tutta la Provincia ed oltre, raggiungendo i nostri emi-
grati nelle lontane Americhe.
     Il «Quinto Orazio Flacco» divenne palestra di partecipazione alla
vita cittadina, ma anche commento ed indirizzo nel dibattito politi-
co nazionale. Ancora oggi, nella pregevole ristampa anastatica
dell’Editrice Appia 2, rappresenta una miniera d’informazioni sulla
vita sociale e politica dei nostri paesi a cavallo dei due secoli. Un
giornale, che pur chiaramente impostato sul pensiero cattolico, non
rifiutava di ospitare scritti ispirati a culture diverse. Affrontò i proble-
mi di Venosa e del comprensorio, i temi dell’agricoltura, della casa
e della previdenza con intuizione illuminata. Diede spazio alla sati-
ra. Ebbe un ruolo decisivo nella realizzazione di un significativo
fatto economico-sociale, pilotato da mons. Virgilio, contrario lo stes-
so Giustino Fortunato; la quotizzazione della parte del demanio
comunale denominato Iatta4 che, con l’assegnazione della terra ai
contadini, apriva una stagione di nuova socialità, ancor prima che le
ideologie incombenti ne facessero il loro manifesto.
     Dal suo osservatorio mons. Virgilio non si limitava a se-
guire le questioni del mondo agricolo, ma individuava il bisogno
dovunque fosse, palese o nascosto. Fu così che, cercando di aiuta-
re due ragazze che chiedevano di farsi suore, ma della cui vocazio-
ne don Emanuele non era convinto, prese contatto con la superiora
delle Apostole del Sacro Cuore di Trobaso, in Provincia di Novara.
La Madre superiora assicurò, che qualora la vocazione non fosse
confermata, le ragazze potevano essere ospitate come collegiali o
avviate al lavoro in opifici diretti dalle stesse suore. Questa risposta
non solo rasserenò le due indecise, ma incoraggiò moltissime altre
coetanee a chiedere di seguirle, tale era l’ansia d’evasione, il biso-
gno di lavoro, la prospettiva di realizzare risparmi per farsi un cor-
redo. Ma la vicenda si complicò quando una delle ragazze fu espul-
sa dal collegio e, tornata a Venosa, cominciò a diffondere calunnie
nei riguardi delle suore, del trattamento inumano ed altri fatti che

4. A.S.C.V., cart 193, fasc. 1959.

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sarebbero accaduti durante la sua permanenza a Trobaso. Il panico
si diffuse tra le famiglie interessate, furono investite le autorità, una
commissione di padri di famiglia, con credenziali del Sindaco e del
Sottoprefetto si recò a Trobaso per verificare lo stato delle cose,
alcune ragazze rientrarono, anche se le maldicenze si dimostrarono
false. E’ facile immaginare i riverberi nell’opinione pubblica monta-
ta ad arte ed il ritorno speculativo nella vita politica. Alla selezione
del primo gruppo di venti ragazze, in assenza di don Emanuele,
aveva provveduto il can. Ninni, fratello del prof. Ninni, consigliere
provinciale e candidato alla Camera nelle elezioni del 1909. Nella
fase calda si corse il rischio di sommosse, venne mobilitato un
plotone di carabinieri, mons. Virgilio per riportare la calma tra la
gente, registrando la sua sconfitta, fece rientrare le ragazze da
Trobaso. Solo la testimonianza di queste ristabilì la verità ed acquie-
tò gli animi. La magistratura istruì un processo la cui sentenza fu di
condanna per i calunniatori.
    Dopo lunga malattia, il 13 luglio 1905, fa un secolo quest’anno,
moriva il vescovo Antonelli, ricadde quindi sul vicario generale, ora
vicario capitolare, la totale gestione della diocesi e del seminario
vescovile di cui era rettore.
    Fu una rivoluzione. A parte il rifacimento strutturale, pose mano
ad organizzare i corsi di studio secondo gli schemi della scuola pub-
blica, adottò i programmi ministeriali, comprese le materie scienti-
fiche e la lingua straniera, i libri di testo erano quelli del Liceo
Salvator Rosa di Potenza, ove gli allievi andavano a sostenere gli
esami di Stato. Aprì così la scuola superiore anche ai giovani non
orientati al sacerdozio, ma al ruolo di qualificati professionisti. È
vero che quasi tutti questi bravi cittadini portarono altrove la loro
professionalità, ma anche lontano dalla Patria si fecero onore gli
allievi di mons. Virgilio.
    E così per suo merito Venosa ebbe la scuola superiore. Qui è
stato quasi sempre così, ogni conquista sul piano sociale e culturale
ha richiesto intuizione e assunzione di responsabilità da parte di
pochi, fu così per la scuola media statale, dopo l’abbandono dei

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Salesiani, fu così per l’Ospedale che nacque per la caparbia volontà
di alcuni cittadini come casa di cura privata, per il Liceo fu neces-
sario addirittura uno sciopero generale. Quando abbiamo seguito la
via istituzionale c’è andata male, vedi la beffa dell’Istituto Tecnico
Industriale; altri esempi potrei citare se non incappassi palesemente
in un giudizio di “fuori tema”.
    Per concludere la prima fase della biografia di mons. Virgilio non
si può non ricordare l’impegno posto dal Nostro nella difesa della
sede vescovile di Venosa: correvano voci di modifiche dell’assetto
della Chiesa in Italia e la sede vescovile di Venosa era candidata alla
soppressione. Mons. Virgilio, preoccupato di questo, si adoperò
incessantemente al fine di affrettare la nomina del titolare, ed in tal
senso chiese udienza a Papa Pio X. Il Papa lo accolse e gli diede
una generica assicurazione. Ma il ritardo della nomina sembrava
avvalorasse le indiscrezioni della stampa nazionale, de «L’Avvenire»
soprattutto, sul pericolo ancora incombente della soppressione.

                    2. Copia del frontespizio del Memoriale per
                    la conservazione della diocesi di Venosa.

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     Allora mons. Virgilio prese carta e penna e indirizzò al Papa un
memoriale che ognuno di noi dovrebbe leggere, nel quale dopo aver
ricordato la storia, il martirio e la gloria della Chiesa venosina, propose
l’ampliamento del suo territorio, scrisse del Seminario diocesano, del
corpo docente di alta qualità composto di sacerdoti venosini, tutti lau-
reati ed integrato da elementi laici di grande cultura, come l’insigne
latinista Cesare de Titta.
     Scrisse anche della millenaria storia di Venosa e dei suoi uomini
illustri, da Orazio ai viventi del tempo, il pittore Andrea Petroni e lo
scultore Nicola Di Chirico, artisti di cui si va perdendo la memoria.
     Non fu vanagloria né voglia di effimero prestigio, ciò non avreb-
be interessato mons. Virgilio, ma lui credeva, come noi crediamo,
nell’alta funzione apostolica e sociale del vescovo residente: quella
battaglia fu vinta, Venosa ebbe il suo vescovo nella persona di mons.
Felice Del Sordo.
     Chi, in tempi più recenti, ripropose le stesse ragioni, non ebbe,
né poteva avere, lo stesso ascolto, perché di Emanuele Virgilio ce
n’è stato uno solo.
     Quando la Santa Sede si pose il problema organizzativo delle
diocesi, per le qualità sacerdotali e per la fama di illuminato predi-
catore, per l’esperienza maturata nel vicariato generale della sede
venosina ma anche per la conoscenza personale e diretta a seguito
della ricordata udienza, Pio X aveva scelto don Emanuele per il dif-
ficile episcopato di una terra complessa. Aveva solo 39 anni. Il
vescovo Del Sordo chiese di trattenerlo per qualche tempo ancora,
ma dopo 2 anni l’Ogliastra non poteva più aspettare.
     La consacrazione avvenne il 22 maggio del 1910 nella cattedrale
di Venosa. I venosini esultarono, furono gratificati, soddisfatti, come
è naturale che fosse (anche noi in tempi più recenti abbiamo prova-
to questa emozione) ma forse i nostri padri non valutarono a pieno
cosa avrebbe significato per loro perdere don Emanuele. E per noi
di conseguenza.
     Se non avessi il deprecabile difetto di guardare all’indietro mi ren-
derei conto di quanto questa considerazione sia di corto respiro, lo

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confesso, ma non posso non confidarvi uno sfumato pensiero che mi
naviga nella mente: se don Emanuele fosse rimasto a Venosa le sorti
di questa Città sarebbero state diverse. Lui sapeva farsi ascoltare. Ce
ne renderemo conto seguendo la seconda fase della sua biografia,
quella ogliastrina.
    Inizia qui il secondo tempo della sua coraggiosa vita, ve ne par-
lerà don Pirarba, ma per dare un senso compiuto al mio discorso e

                    3. Minuta del volantino per la cerimonia di
                    consacrazione     episcopale    di   mons.
                    Emanuele Virgilio.

per concluderlo, mi limiterò a considerare cosa cambiò nella vita di
don Emanuele nel momento in cui attraversò il burrascoso mare (fu
veramente burrascosa la sua traversata). Mons. Virgilio sapeva che
stava inaugurando una stagione nuova del suo Ministero. Non è più
il prete della porta accanto cui ci si rivolge, anche fuori dell’esercizio

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sacramentale, per un aiuto, per un consiglio, per un conforto, ora
egli è il Vescovo dell’Ogliastra, di una magica terra, aspra come le
sue montagne, splendida come il suo mare, in quel tempo povera
come la sua gente, depressa come la sua economia. I problemi che
incontra sono gli stessi che ha lasciato a Venosa, siccità ed alluvioni,
la campagna in frantumi, la mancanza di strade e di altri servizi civili,
la prepotenza dei ricchi, la rassegnazione dei poveri. Ma la sua
responsabilità ora è diversa.
    Non si affronta questa complessa realtà senza un progetto.
Queste notizie a me derivano dagli studi di Pirarba e dalla viva voce
del prof. Pilìa ascoltata nella, per me, memorabile occasione della
inaugurazione in Arzana del monumento al fondatore dell’Ogliastra
moderna, come fu definito il Nostro in quella circostanza. Il vesco-
vo Virgilio costatò di persona queste realtà e subito alla sua nuova
gente fece una originale e suggestiva proposta: il popolo ha fame,
ha bisogno di pane, pane di grano e pane dello spirito. Vi offro
l’opportunità di imparare a produrre il pane della terra ma vi offro
anche una occasione di preghiera come alimento del vostro spirito.
    Nasce così ad Arzana il seminario agricolo del pane quotidiano.
Il binomio benedettino. Ora et Labora rivive nell’opera di mons.
Virgilio, per lui il lavoro è per se stesso preghiera. Un giornale
romano pubblicò un servizio sul vescovo dell’Ogliastra e titolò:
“Come in Sardegna si da la terra ai contadini”.
    E poi l’istruzione, la casa, la previdenza e la lotta alla malaria, alla
tbc, al tracoma di cui vi parlerà don Pirarba.
    Dissero ieri i detrattori e dicono oggi gli increduli: “Cos’era
quest’uomo, un vescovo, un manager, o un rivoluzionario?”
    La risposta è nei fatti: mons. Virgilio era soltanto un prete, un
prete che aveva capito che la fede dei poveri si esalta e si integra
con la promozione umana, con la solidarietà tra gli uomini, con le
opere sante dell’amore, (ripeto le parole del mio saluto in Arzana).
    È anche questo il prete. Certo non ci sfugge che queste opere si
avvalgono della grazia dello stato, per cui molti meriti appartengono
alla Provvidenza che dà una mano a chi opera il bene per il bene, ma

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mi sembra giusto ricordare che all’origine dell’opera c’è l’uomo che è
strumento intelligente e operatore prudente del progetto divino.
    Anche in Ogliastra mons. Virgilio ha dovuto misurarsi con la
malafede, con l’omertà, con la timidezza di alcuni elementi della sua
stessa parte. Non ha vinto tutte le battaglie ma tutte le ha affrontate
col suo vigore; l’uomo Virgilio è stato motore del suo tempo e dei suoi
luoghi a cavallo di due secoli, lo è stato in questa terra complessa che
gli fu cara per avergli dato i natali, ma soprattutto in quella
plaga meravigliosa della Sardegna che gli ha eretto un monumento.
    Non so altro dei suoi anni ogliastrini, vi sono pagine spente nella
sua storia; so soltanto che il 27 gennaio del 1923 improvvisamente,
inopinatamente a soli 55 anni il fondatore dell’Ogliastra moderna
muore.
    Non conosco le circostanze, non conosco le cause, conosco
soltanto i sospetti.
    Ma qualsivoglia fossero le circostanze, non si muore se Dio non
lo vuole. Questo ci rasserena e c’incoraggia a ripensare alla sua vita
che è luce per noi: è stato solidale con i poveri, ha offerto cultura
agli analfabeti, ha aiutato i giovani ad imparare e a trovare un
lavoro, ha contrastato la menzogna, ha subito la calunnia, ci ha
ricordato la parola dell’Apostolo Giacomo Minore: “La fede senza le
opere è morta”.
    Una domanda resta senza risposta: è un santo mons. Virgilio? Non
so, nessuno può entrare nel cuore dell’uomo. Ma se lo fosse, non fu
un mistico, ma un santo d’azione; non fu un santo dei miracoli ma
un santo per bisogni semplici, un santo che arriva a Dio servendo
l’uomo.

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