Editoriale tecnico - Cineas

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Editoriale tecnico

Da Cineas il prontuario del rischio incendio: principali definizioni dei fenomeni e rassegna di casi
pratici

Carlo Ortolani, Vicepresidente Vicario Cineas - Consorzio universitario non-profit fondato nel 1987
dal Politecnico di Milano e scuola di formazione manageriale sulla gestione del rischio e del sinistro-
sviluppa un utile prontuario sul rischio incendio. L’ingegner Ortolani è stato professore ordinario di
"Combustione e sicurezza" nella Facoltà di Ingegneria industriale del Politecnico di Milano,
Dipartimento di Energia.

Definizione di “flash point”
Il flash point (in italiano “punto di infiammabilità”, espresso in gradi centigradi) è la temperatura più
bassa alla quale il vapore sviluppato da un liquido combustibile forma con l'aria una miscela che si
infiamma (flash) per l'azione di una opportuna sorgente di accensione.

Casi esemplificativi. Il flash point della benzina commerciale è pari a – 40°C; quello del gasolio per
autotrazione pari a +55°C. Tutti i combustibili liquidi sono classificati in base al valore del flash point.
Per esempio la classificazione anglosassone distingue tra:
• liquidi “combustili”, con punto di infiammabilità superiore a 60°C;
• liquidi “infiammabili”, con punto di infiammabilità compreso fra 32°C e 60°C;
• liquidi “altamente infiammabili”, con punto di infiammabilità compreso fra 0°C e 32°C.

Risvolti pratici. Un tentativo di incendio doloso (con dolo dell’assicurato) attuato versando benzina in
un locale commerciale chiuso si è risolto in un’esplosione (e non in un semplice incendio). Infatti la
benzina (avente basso flash point) evapora molto facilmente a temperatura ambiente generando una
miscela combustibile aria/vapori di benzina che, accesa, in luogo chiuso causa un aumento di
pressione sicuramente incompatibile con la resistenza della struttura edilizia.

Definizione di temperatura-limite (inferiore e superiore)
In un serbatoio di liquido combustibile, se la temperatura è più bassa della cosiddetta temperatura-
limite inferiore, la concentrazione dei vapori di combustibile al di sopra del pelo libero è inferiore al
limite inferiore di infiammabilità (e quindi la miscela non può accendersi); se la temperatura è
superiore alla temperatura-limite superiore, invece, detta concentrazione è superiore al limite
superiore di infiammabilità (e quindi, ancora, la miscela non può accendersi).

Quindi al di sotto della temperatura- limite inferiore e al di sopra della temperatura- limite superiore
la miscela di aria e vapori di combustibile non può reagire perché si trova al di fuori dei limiti di
infiammabilità, cioè troppo povera o troppo ricca di combustibile.

Quest'ultimo, ad esempio, è il caso della comune benzina commerciale che, avendo una
temperatura-limite inferiore di -40°C ed una temperatura -limite superiore di -7°C (cioè inferiore alla
normale nostra temperatura ambiente e al livello del mare), può essere stoccata con sicurezza poiché
la miscela gassosa non è infiammabile al di sopra di un liquido la cui temperatura-limite superiore è
inferiore alla temperatura ambiente.

Qualora invece la temperatura ambiente scendesse al di sotto della temperatura di -7°C, lo
stoccaggio della benzina richiederebbe particolari cautele.

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Non vi è rischio di esplosione nei serbatoi di liquidi combustibili la cui temperatura-limite superiore è
sempre inferiore alla temperatura ambiente. Nel caso del benzene (C6H6) le temperature-limite
valgono:
    • inferiore: -12°C
    • superiore: +15°C

I limiti volumetrici di infiammabilità in aria (campo di infiammabilità) valgono:

   • 1,3% (inferiore)
   • ÷ 7,8% (superiore)

Quindi con temperatura ambiente compresa tra -12 e +15°C l'esplosione è possibile (naturalmente in
presenza di un adeguato innesco). L'energia di accensione in condizioni stechiometriche è molto
modesta: 0,55 mJ e l'energia minima di accensione vale addirittura: 0,21 ÷ 0,22 mJ.

Nella stragrande maggioranza dei casi il comburente è costituito dall’ossigeno presente nell’aria.

Risvolti pratici. Il campo si infiammabilità del gas naturale (metano) in aria varia dal 5 (limite
inferiore) al 15% (limite superiore, entrambi in volume). Cioè in un ipotetico volume di 100 m3
bisogna introdurre almeno 5 m3 per raggiungere il limite (inferiore di infiammabilità). Attenzione: il
raggiungimento del limite inferiore di infiammabilità non è garanzia di sicurezza. Anche introducendo
solo 3 m3 di metano (meno di 5 m3) può esserci pericolo di esplosione perché in realtà la non
omogeneità del sistema reale (i fenomeni di diffusione fra gas sono lenti) comporta che in qualche
punto del volume possono realizzarsi rapporti di miscela localmente compresi nel campo di
infiammabilità (maggiori del 5% e minori del 15%).

Casi esemplificativi. In un serbatoio, durante operazioni quali la raccolta di un campione di liquido o
la misura del livello del liquido stesso mediante un'asta metallica graduata, può aversi un'esplosione.
E’ nota l'esplosione di un serbatoio di alcool etilico (temperature-limite rispettivamente di +11°C e
+41°C) durante la verifica del livello, all'atto dell'introduzione, attraverso l'apposita apertura, di un
decametro metallico flessibile. Durante le operazioni di svuotamento di un serbatoio l'inevitabile
entrata di aria nel serbatoio abbassa la concentrazione del vapore combustibile. Se il serbatoio
contiene un liquido molto volatile che - in equilibrio - crea un'atmosfera troppo ricca per poter
reagire, l'introduzione di aria può riportare il rapporto di miscela all'interno del campo di
infiammabilità con possibilità di esplosioni anche molto gravi (come noto sperimentalmente, per
esempio, nel caso dei serbatoi di benzina commerciale).

Concetto di energia di accensione
L'energia minima di accensione di una miscela combustibile gassosa è molto modesta, ma è
fortissima la variabilità dell'energia di accensione con il rapporto di miscela. Se la miscela diviene più
povera o più ricca del valore stechiometrico l'energia di accensione aumenta dapprima gradualmente
e poi bruscamente. In prossimità dei limiti di infiammabilità l'energia di accensione cresce anche di
diversi ordini di grandezza (10, 100 volte e più).

Risvolti pratici. Attorno alle condizioni stechiometriche, l’energia minima di accensione ha
normalmente valori estremamente bassi (dell’ordine addirittura dei millesimi di Joule, mJ). Ciò
significa che “basta pochissimo” per accendere una miscela gassosa: per esempio, una modesta
scintilla causata dall’urto di un utensile metallico, la modesta scarica elettrica (elettricità statica)

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dovuta allo sfregamento di un indumento di tessuto artificiale. E’ per questo motivo che in alcune
attività è richiesto l’impiego di attrezzi antiscintilla o l’impiego di indumenti di cotone (antistatici).

Definizioni: la distinzione fra «esplosione» e «scoppio»
Si parla di esplosione solo in presenza di fenomeni di combustione. Negli altri casi si parla di scoppio
(scoppio, cioè cedimento meccanico di una bombola contenente un gas in pressione).

Quando si fa il collaudo di una bombola (per verificare che resista ad una determinata pressione) la si
riempie di un liquido (normalmente acqua) e non di un gas, in quanto, essendo il liquido
incomprimibile se la bombola dovesse collassare (rompersi) non succede nulla. Se la bombola fosse
invece piena di gas si avrebbero pericolosi frammenti metallici lanciati in ogni direzione.

Un liquido (teoricamente incomprimibile) per effetto di differenze anche forti di pressione varia di
pochissimo il proprio volume. Un gas invece è fortemente comprimibile e quindi in genere associa
fortissime variazioni di volume specifico alle variazioni di pressione (compressioni o
decompressioni).

Definizioni: deflagrazione e detonazione
Non ha senso chiedersi se la miscela metano-aria reagisca per deflagrazione o per detonazione. Non
dipende dalla natura della miscela, ma dalle "condizioni al contorno". Tipica condizione al contorno è
la geometria: non si hanno detonazioni nelle geometrie sferiche, ma nei lunghi tubi, con lunghezza L
molto maggiore del diametro D. Questo è il motivo per cui non sono documentate detonazioni di
miscele gassose in edifici civili e/o industriali.

La detonazione, a differenza della deflagrazione, comporta sempre un forte aumento di pressione
(circa 20 volte nel caso di miscele gassose di idrocarburi), indipendentemente dalle condizioni di
confinamento.

Gli esplosivi solidi (dinamite, tritolo, ecc.), se opportunamente innescati (con un sistema detto
detonatore), reagiscono per detonazione con forte aumento di pressione e con violenza
dell'esplosione (aumento nel tempo della pressione) fortissima.

Casi esemplificativi. Il 21 settembre 1921 ad Oppau, in Germania, l'esplosione di 4500 t di una
miscela di solfato di ammonio (NH4)2SO4 e nitrato di ammonio NH4NO3, presso la Badische Anilin
und Soda Fabrik (B.A.S.F.) causò 430 morti e la distruzione di 1000 case. L'onda d'urto provocò danni
alla distanza di oltre 50 km.

Il 21 settembre 2001 nella fabbrica di concimi del gruppo TotalFinaElf (T.F.E.) a Tolosa, in Francia, si
ebbero 30 morti, 4500 feriti (di cui 34 gravi), 10.000 famiglie senza tetto per l'esplosione di un
quantitativo di nitrato di ammonio (NH4NO3), stoccato provvisoriamente in un deposito dello
stabilimento, equivalente a 70 t di tritolo. L'esplosione generò un cratere di 65x54 m. Il danno è stato
stimato in 1,8 miliardi di Euro.

Esplosioni da gas e da polveri
Poiché la combustione avviene sempre e in fase gassosa, quando parliamo di gas combustibili
comprendiamo anche i vapori dei liquidi combustibili (a bassa temperatura di flash point, come la
benzina commerciale).

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Un combustibile solido più o meno finemente suddiviso (polverizzato) si comporta come un gas e può
quindi provocare esplosioni (le cosiddette esplosioni da polvere) con conseguenze altrettanto gravi.
Per esempio: esplosioni da farina, da polverino di carbone, ecc.

Deflagrazione in volume chiuso o parzialmente confinato
Ogni fenomeno di combustione genera gas combusti (prodotti della combustione) ad elevatissima
temperatura che quindi debbono potersi espandere. Se tale espansione è possibile la pressione
rimane costante (combustione normale o deflagrazione).

Se invece l'espansione è in tutto o in parte contrastata (deflagrazione in volume chiuso o in volume
parzialmente confinato) la pressione aumenta (anche di 7 - 8 volte in volume chiuso) con
conseguenze spesso catastrofiche. Non interessa solo il valore massimo raggiunto dalla pressione,
ma anche la velocità con cui aumenta la pressione (velocità detta violenza dell'esplosione).

Le pressioni che si raggiungono in una deflagrazione in volume chiuso non sono mai compatibili con
le capacità di resistenza delle normali strutture edilizie civili e/o industriali. L’aumento di pressione
può portare al collasso le pareti di tamponamento e anche quelle portanti.

Come difendersi da una deflagrazione
Le aperture di ventilazione, necessarie per limitare l'aumento di pressione, hanno dimensioni
notevoli (per es. per “proteggere” un volume cubico, serve un’apertura avente le dimensioni di
un'intera faccia del cubo). Le dimensioni delle aperture di ventilazione dipendono dalla violenza
dell'esplosione (che dipende dalla natura del gas combustibile e dal volume). A parità di miscela le
esplosioni più violente si verificano nei recipienti di minor volume. Con le aperture di ventilazione
non è MAI possibile difendersi dalle sovrappressioni generate da una detonazione!

Risvolti pratici. Già il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro
(in suppl. ord. alla G.U. n. 158 del 12 luglio 1955) all’art. 361 Valvole di esplosione nei locali pericolosi
(p. 40) richiedeva qualcosa di simile alle “aperture di ventilazione”. “Dette valvole possono essere
anche costituite da normali finestre o da intelaiature a vetri cieche fissate a cerniera ed apribili verso
l’esterno sotto l’azione di una limitata pressione”. Detto di D.P.R. è stato abrogato dal Decreto
legislativo 81 del 9 aprile 2008, che naturalmente mantiene l’obbligo delle “aperture di ventilazione”.
Non bisogna confondere le aperture di ventilazione antideflagranti con le aperture di ventilazione (di
superficie nettamente inferiori), imposte dalla norma italiana UNI-CIG 7129, necessarie per il
reintegro dell'aria comburente nei locali ove sono installate “caldaie murali” per riscaldamento
domestico aventi potenza inferiore o uguale a 30.000 kcal/h (35 kW).

Il comportamento del vetro negli incendi e nelle esplosioni
Come distinguere un incendio da un’esplosione? In un’esplosione i danni derivano soprattutto dal
repentino aumento di pressione; in un incendio soprattutto dal calore. L’esame delle superficie
vetrate (direttamente sul luogo dell’incidente o nelle vicinanze) può costituire un valido strumento di
indagine. Il tipo di rottura della lastra di vetro di una finestra è completamente differente nel caso di
esplosione o di incendio.

Nel caso di esplosione (aumento repentino di pressione) la rottura comporta un gran numero di
piccoli frammenti di vetro, mentre nel caso di incendio (produzione di calore) un piccolo numero di
frammenti di grandi dimensioni.

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Nel caso di incendio la superficie interna della lastra di vetro sarà anche annerita dal fumo (più o
meno, a seconda della durata dell’incendio e dei materiali bruciati).

La superficie vetrata può, in entrambi i casi (esplosione/incendio), rimanere, seppur lesionata, nella
propria intelaiatura oppure cadere a piè d’opera (incendio) o essere proiettata a distanza variabile
(esplosione).

Esplosione da gas o da esplosivo solido (bomba)?
Le conseguenze di “un’esplosione da gas” (miscela costituita da aria e gas combustibile) o da
“esplosivo solido” (dinamite, tritolo, ecc.) sono molto diverse e facilmente distinguibili. Nel caso di
“esplosioni da gas” la velocità di fiamma (deflagrazione) è modesta (qualche m/s) ed altrettanto è la
velocità di aumento della pressione (bar/s, bar al secondo). Poiché la velocità del suono (coincidente
con la velocità delle perturbazioni di pressione) è dell’ordine di centinaia di m/s la pressione tende ad
eguagliarsi molto rapidamente nel volume interessato.

Il danno strutturale (dovuto all’aumento di pressione) quindi è piuttosto uniforme e omnidirezionale.
Invece la velocità di combustione (detonazione) di un esplosivo solido è dell’ordine di migliaia di m/s
(tipicamente più di 7000 m/s).

Conseguentemente la pressione non si eguaglia nel volume interessato dall’esplosione, si generano
pressioni molto elevate nel punto esatto dov’era collocato l’esplosivo solido.

La pressione, e quindi il livello di danno, decade molto rapidamente con la distanza dal punto dov’era
collocata la “bomba”. Nel caso di esplosivi solidi la velocità di aumento della pressione (bar/s) è
molto più elevata (teoricamente tende all’infinito).

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