E la chiamano economia - FRANCESCO GESUALDI Prima la conosciamo, prima la cambiamo - Rivista Missioni Consolata
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Prima la conosciamo, prima la cambiamo FRANCESCO GESUALDI E la chiamano economia RIVISTA MISSIONI CONSOLATA Corso FerruCCi 14 - 10138 Torino (To) - Marzo 2019
Dalla rivista Missioni Consolata - 2018 i testi qui raccolti sono stati pubblicati come articoli mensili durante il 2018, sulla rivista Missioni Consolata, della Fondazione Missioni Consolata Onlus Corso Ferrucci 14 10138 - Torino (To). Bozzetto di copertina di Marco Francescato 2019 © Testi: Francesco Gesualdi Centro nuovo Modello di sviluppo - www.cnms.it edizione digitale in pdf, provvisoria e fuori commercio. marzo 2019
E la chiamano economia PRIMA LA CONOSCIAMO, PRIMA LA CAMBIAMO LA RUBRICA DI FRANCESCO GESUALDI Indice Il mercante e i suoi precetti .................................................................7 Dal protezionismo alle multinazionali.............................................11 Imprese Unite d’Europa.....................................................................16 Il dilemma della moneta....................................................................21 L’austerità neoliberista.......................................................................26 Prestiti e ricatti ....................................................................................31 La vera storia del debito italiano......................................................36 In un mondo di debiti, tra crescita e austerità................................41 Vento antieuropeista? Un’altra Europa è possibile .......................47 L’economia soffocata dalla finanza ..................................................51 E la chiamano economia - 3
Presentazione S e sul titolo di questa nuova rubrica abbiamo dibattuto a lungo, non così è stato per scegliere a chi affidarla. Abbiamo pensato subito a una sola persona: Francesco Gesualdi detto Francuccio. Nato nel 1949 nei pressi di Foggia, Francesco Gesualdi giunge a Barbiana (Firenze) nel 1956. Qui è allievo di don Lorenzo Milani fino al 1967, anno della sua morte. Assieme a lui partecipa alla stesura di «Lettera a una professo- ressa», probabilmente uno tra i più celebri libri di pedagogia. Dopo aver completato la formazione economica, fa l’insegnante e poi, per due anni, il volontario in Bangladesh. Nel 1982 pubblica «Economia: conoscere per scegliere», un testo di divulgazione econo- mica destinato agli esclusi dalla lettura. Nel 1983 si trasferisce a Vecchiano (Pisa) per vi- vere un’esperienza semicomunitaria con altre famiglie decise a praticare concretamente la solidarietà. All’interno di questa iniziativa nasce il «Centro nuovo modello di svi- luppo» (www.cnms.it). Francesco Gesualdi è autore di molti libri, tutti aventi l’obiettivo di smontare pezzo per pezzo il sistema economico attuale e proporre un’alternativa di vita non soltanto so- stenibile ma anche felice. Il filo conduttore degli articoli scritti nel 2018 riguarda i cambiamenti economici e poli- tici indotti dalla globalizzazione. La stessa Unione Europea nasce come risposta alle nuove esigenze delle imprese (ma non dei suoi cittadini). Per questo molti contributi par- lano dell'Europa e delle tante tematiche che ogni persona dovrebbe conoscere per poter scegliere, agire e votare in maniera consapevole. Paolo Moiola E la chiamano economia - 5
I LIBRI DI FRANCESCO GESUALDI F ra i numerosi testi pubblicati da Francesco Gesualdi e dal Centro nuovo mo- dello di sviluppo (Cnms) ricordiamo: Sobrietà (Gesualdi), L’altra via (Gesualdi), Le catene del debito (Gesualdi), Guida al consumo critico (Cnms), Lettera a un consumatore del Nord (Cnms), Manuale per un consumo responsabile (Gesualdi), Gratis è meglio (Gesualdi), Società del benessere comune (Gesualdi-Ferrara), Risorsa umana (Gesualdi). 6 - E la chiamano economia
Il mercante e i suoi precetti L’economia è come un carciofo: per conoscerla occorre saperla sfogliare. Partendo da un dato di fatto: essa non è una scienza «neutra». Nella prima puntata della sua È rubrica Francuccio Gesualdi ci parla di ricchezza, lavoro, mercato, natura e stato, in un’analisi motivata e molto critica. opinione diffusa che l’economia sia una materia difficile. in realtà è molto semplice: basta saperla sfogliare come si fa col carciofo. All’esterno ci sono le foglie dure, coriacee e spinose, ma all’interno c’è il nucleo tenero, facil- mente digeribile. Fuori di metafora, per capire l’economia bisogna liberarla da tutti gli aspetti specialistici caratterizzati da meccanismi rompicapo e da un lin- guaggio indecifrabile, per arrivare al nucleo centrale, ossia ai criteri chiave che ci ri- velano la sua impostazione ideologica. Perché l’economia non è una scienza neutra, come si sforzano di farci credere. L’economia è una «roba» terribilmente di parte che cambia totalmente fisionomia a seconda dei valori su cui si fonda, della classe sociale che vuole difendere, degli obiettivi che si propone. Dal che si capisce che di economia non ne esiste una sola, ma tante, tutte diverse in base alle visioni da cui sono animate. L’affermazione del mercante L’economia in cui ci troviamo nasce attorno al 1100 d.C. quando inizia ad emergere la figura del mercante. il capitalismo è il suo sistema, nato ed organizzato attorno alle sue convinzioni per permettergli di raggiungere i suoi obiettivi. nel tempo, la figura del mercante si è trasformata assumendo le sembianze delle moderne imprese, ma al di là dell’aspetto, nel suo petto pulsa sempre lo stesso cuore che si muove all’inse- gna di sette capisaldi ideologici: il denaro come fondamento della ricchezza, il pro- fitto come scopo immediato, l’accumulazione come obiettivo di fondo, il mercato come unico crocevia economico, la competizione come sola forma di rapporto con gli altri, la tecnologia e la crescita come massima espressione di progresso. L’elemento di principale novità introdotto dal mercante, in totale rottura col si- stema feudale, è la supremazia del denaro. se nel castello la ricchezza è rappresen- tata dalla terra, nel mondo mercantile è rappresentata dal denaro e non tollerando che la nobiltà se ne appropri in nome del titolo nobiliare, il mercante pone a fon- E la chiamano economia - 7
damento della sua società la «meritocrazia», il principio secondo il quale la ric- chezza va conquistata tramite l’intraprendenza, l’inventiva, l’arguzia, la scaltrezza. una nuova forma di saccheggio collettivo non più basato sul privilegio derivante dallo status nobiliare, ma dalla capacità di sapere organizzare gli affari anche se sconfinano nell’abuso, nel plagio, nel raggiro, nel furto, nello sfruttamento. Il lavoro (tra disoccupazione e sfruttamento) Le lotte popolari degli ultimi due secoli hanno introdotto il concetto di diritto come nuovo criterio di godimento della ricchezza pur non avendola prodotta, ma il mer- cante non è avvezzo a certe sottigliezze e continua a voler escludere chiunque non abbia dimostrato di «essersela guadagnata» anche se vecchio, inabile o bambino. Come un disco rotto continua a ripetere «che vinca il migliore», in una società delle cavallette in cui prevale la gara di tutti contro tutti per arrivare primi ad accu- mulare ricchezza in un crescendo senza fine. Perché il denaro, a differenza della © Paolo Moiola terra, non pone limiti di crescita. non a caso il Prodotto interno lordo (Pil) è diven- tato il nostro idolo. se il fine è l’accumulazione, la strategia è il profitto che il mercante ottiene creando una differenza fra costi e ricavi. Peccato che fra i costi sia compreso anche il lavoro, perché ciò è all’origine dello sfruttamento. Da quando il lavoro è stato degradato a costo, ha smesso di essere considerato la massima ricchezza a disposizione del- l’umanità per la sua elevazione e ha smesso di essere considerato il diritto/dovere riconosciuto ad ogni adulto per permettergli di prendere parte alla distribuzione della ricchezza. Al contrario è stato trasformato in una zavorra monetaria da ri- durre il più possibile. Da qui tutti i tentativi per eliminare il lavoro (disoccupazione) e pagarlo il meno possibile (sfruttamento). La natura (o merce o bene senza valore) nella logica del denaro, l’altro grande perdente è la natura che è stata spontanea- mente divisa in due grandi categorie: quella catturabile e quella non catturabile. La parte catturabile, costituita da terreni, foreste, minerali, acqua, è stata recintata e tra- sformata in merci su cui lucrare. in altre parole è passata da beni comuni a proprietà privata, da beni godibili gratuitamente a beni ottenibili solo a pagamento, da beni al servizio di tutti a beni per il profitto individuale. Come testimoniano le battaglie per l’acqua, le foreste, i parchi, le spiagge. Ancora oggi in molti punti del globo, le comu- nità sono in lotta con i mercanti per proteggere quel poco di beni comuni rimasti. Pur- troppo con scarsi risultati dal momento che i mercanti hanno dalla loro parte la forza degli stati. intanto sembra persa del tutto la battaglia per la parte di natura non recin- tabile. non essendo catturabile, è stata declassata da bene di tutti a bene di nessuno. non essendo vendibile, è stata degradata da bene non prezzabile a bene senza valore. Trascurata da tutti, è diventata un’enorme pattumiera in cui abbiamo riversato tutti i nostri avanzi: l’aria si è saturata di veleni, i fiumi sono stati inondati di sostanze chimi- che, i mari sono stati riempiti di plastica. Il mercato (e le sue regole) nello stesso tempo la logica dei costi e dei ricavi spiega perché viviamo in un sistema consumista. Dal momento che il guadagno del mercante dipende anche da quanto incassa, è logico che tenti di espandere il più possibile le sue vendite subissandoci di 8 - E la chiamano economia
pubblicità tramite un impegno monetario che, a livello mondiale, vale 500 miliardi di euro. Così siamo stati scaraventati in un si- stema materialista che propone alla gente come unico obiettivo quello di comprare, comprare e ancora comprare. non meno deleterie sono le con- seguenze del fatto che il mercante concepisce la compravendita come unica modalità a disposi- zione del genere umano per sod- disfare i propri bisogni. il mercato, dobbiamo ammetterlo, è una grande macchina, capace di ga- rantire di tutto: beni fondamentali e beni di lusso, oggetti comuni e oggetti rari, prodotti leciti e prodotti illegali, mezzi di pace e mezzi di guerra. Con le sue migliaia, milioni di imprese di ogni dimensione e settore, da un punto di vista dell’offerta è ineguagliabile. Ma ovunque ci sono regole, e anche il mercato ha le sue. La regola è che possiamo chiedergli di tutto, ma per ot- tenerlo bisogna pagare. Allora scopriamo che il mercato non è per tutti. il mercato è solo per chi ha soldi. Chi ha denaro da spendere è il grande accolto, il grande corteg- giato, il grande riverito. Chi non ne ha, è il grande rifiutato, il grande escluso, il grande disprezzato. Per dirla con papa Francesco è il grande scartato. Gli «scartati» e il ruolo dello stato Gli scartati sono i vecchi, gli inabili, i disoccupati, i nullatenenti, in una parola tutti coloro che non guadagnano abbastanza da poter pagare beni e servizi costosi. Per tutta questa gente, che poi sono i più, l’alternativa è che i servizi fondamentali come sanità, istruzione, alloggio, comunicazioni, siano erogati gratuitamente, ossia da parte della comunità, l’unico soggetto capace di fornire servizi non attraverso il meccanismo della compra-vendita, ma della solidarietà. Ma questa prospettiva dan- neggia grandemente il mercato, perché ogni servizio offerto dalla comunità è un’oc- casione di affari in meno per le imprese private. non a caso la classe mercantile ha sviluppato ed imposto la visione così detta neoliberista che nega alla comunità qual- siasi tipo di intervento in ambito economico per lasciare pieno spazio al mercato. il tentativo in atto è quello di confinare lo stato ad occuparsi solo di strade, anagrafe, mantenimento dell’ordine pubblico difesa dei confini, magistratura (purché si oc- cupi solo di ladri di polli e non tocchi i mafiosi e i corrotti). in fin dei conti si vuole li- mitare l’intervento dello stato ai soli servizi che fanno comodo anche alla classe dominante mentre si pretende che venga privatizzato tutto il resto: pensioni, sanità scuola, trasporti, comunicazioni. un progetto in totale controtendenza con la nostra Costituzione che vieta l’iniziativa privata in contrasto con l’utilità sociale e che asse- gna alla repubblica il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e so- ciale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Cerchiamo di farla rispettare. E la chiamano economia - 9
IL «CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO» Trasformare l’utopia in realtà Potremmo chiamarlo un «think tank» dell’economia alternativa e del pensiero nuovo. Di sicuro, pur partendo dal volontariato e da risorse sempre scarse, le sue ricerche e i suoi studi meritano una grande attenzione. I l «Centro nuovo modello di sviluppo» (Cnms) di Vecchiano (Pisa) è nato per af- frontare, da un punto di vista politico, i temi della povertà, della fame, del disagio nel Nord come nel Sud del mondo. Una sezione importante del Centro è dedicata ai rapporti internazionali per capire attraverso quali meccanismi produttivi, commerciali, finanziari e tecnologici il Nord provoca emarginazione, impoverimento e degrado ambientale nel Sud del mondo. Il Centro diffonde i risultati delle sue ricerche attraverso corsi per insegnanti, semi- nari popolari, articoli e libri. Oltre all’attività educativa e formativa, il Centro svolge anche un’attività di sensibi- lizzazione politica per indurre la gente del Nord a mobilitarsi a fianco della gente del Sud attraverso nuovi stili di vita e attuando varie forme di noncollaborazione e di pressione popolare di tipo nonviolento. • Individua attraverso quali gesti quotidiani la gente collabora, suo malgrado, con Da questo punto di vista l’attività del Centro si svolge in quattro direzioni: una macchina economica che sfrutta il lavoro del Sud, che rapina le sue risorse, che • Indica come indurre le imprese e i governi a comportamenti più equi attraverso distrugge il suo ambiente, che crea nullatenenti. nuove forme di democrazia e di partecipazione (intervento sui parlamentari, lettere di dissenso, controconferenze) e attraverso l’uso di spazi di potere ancora non utiliz- zati nell’ambito del consumo e del risparmio (il consumo critico, il consumo alterna- • Organizza campagne di pressione sulle imprese e sul potere politico a difesa dei tivo, il boicottaggio, il risparmio alternativo, l’investimento etico). diritti degli sfruttati e degli impoveriti. Tra le campagne passate più importanti pro- mosse dal Centro ricordiamo la campagna Chicco/Artsana per garantire un inden- nizzo alle 87 vittime dell’incendio alla Zhili, la campagna Chiquita concordata con i sindacati del Centro America per garantire i diritti sindacali ai lavoratori delle pian- tagioni di banana, la campagna «Acquisti trasparenti» per ottenere una legge che in- duca le imprese a rispettare i diritti dei lavoratori e la campagna Del Monte per richiedere l’aumento dei salari e l’abbandono di pesticidi pericolosi nella piantagione di ananas in Kenya. Dal 2000 gestisce la campagna «Abiti puliti», assieme ad altre realtà italiane, per la difesa dei diritti dei lavoratori globali del settore abbigliamento • Elabora proposte di sistema per passare da un’economia organizzata sulla cre- e calzaturiero. scita ad un’altra organizzata sul senso del limite, capace di garantire a tutti una vita dignitosa pur producendo di meno. Fonte: Centro Nuovo Modello di Sviluppo (www.cnms.it). 10 - E la chiamano economia
Dal protezionismo alle multinazionali Il capitalismo fece i suoi primi passi nel 1200 con la U comparsa - a Genova - dei banchieri. Si rafforzò con le grandi compagnie commerciali e con le macchine. Poi arrivarono le multinazionali che oggi dominano il mondo (insieme alle imprese finanziarie). na caratteristica del capitalismo è la sua dinamicità, la capacità cioè di cambiare continuamente strategia pur di raggiungere l’obiettivo prefisso, che al contrario rimane sempre lo stesso: il profitto. ed è proprio questa sua costante trasformazione organizzativa a renderlo poco afferrabile. A E la chiamano economia - 11
questo mondo non c’è però niente di indecifrabile se si trova la giusta chiave di let- tura. nel caso del capitalismo, la pista da seguire è l’evoluzione delle imprese: dimmi come cambiano le imprese e ti dirò come cambia il capitalismo. Banchieri, commercianti, imprenditori, finanzieri il capitalismo si struttura attraverso un processo lento che muove i primi passi con i banchieri genovesi del 1200. Ma la sua vera storia possiamo farla cominciare nel 1600, con la strutturazione delle grandi compagnie dedite al commercio interna- zionale, tra cui una delle prime è la «Compagnia delle indie orientali» (East India Company). il secolo successivo, l’avvento delle macchine nel processo produttivo fa entrare il capitalismo in una fase nuova, caratterizzata da un cambio di ruolo dei mercanti. se prima si limitavano a comprare e vendere prodotti già pronti, con l’av- vento delle macchine trovano più vantaggioso organizzare essi stessi la produ- zione. Così nasce la classe dei mercanti imprenditori che ottengono i loro prodotti all’interno di stabilimenti attrezzati di macchinari fatti funzionare da uno stuolo di lavoratori salariati. Per due secoli il capitalismo sarà dominato dalle imprese pro- duttive e, anche se oggi un nuovo tipo di impresa, quella finanziaria, sta allargando i propri tentacoli, il mondo in cui viviamo è ancora quello modellato da loro. Ciò è particolarmente vero per l’assetto internazionale. Le imprese, lo sappiamo, sono strutture organizzate per fare profitto attraverso la divaricazione fra costi e ricavi. La battaglia delle imprese avviene sul terreno della riduzione dei costi e dell’aumento delle vendite. e se la questione costi sta alla base di temi come il progresso tecnologico, il colonialismo, il conflitto sociale, la questione vendite sta alla base delle alleanze, delle ostilità e più in generale delle relazioni fra stati. Perché il libero scambio il sogno di ogni impresa è espandere le vendite in maniera infinita, per questo la crescita è un caposaldo del capitalismo. e poiché le possibilità di vendita sono tanto più ampie, quanto più vasto è il mercato, il capitalismo - almeno a parole - ha sempre fatto professione di fede nel libero scambio, nel mantenimento, cioè, di frontiere aperte per permettere a merci e servizi di fluire liberamente tra uno stato e l’altro. in realtà le imprese hanno sempre oscillato fra protezionismo e liberismo in base allo stadio evolutivo in cui si trovano. un’ambivalenza che appare più chiara se facciamo un paragone con i tori. Quando sono ancora vitelli si sentono più al sicuro in pascoli protetti da staccionate che impediscono ai tori, più forti di loro, di entrare. Crescendo, cominciano ad avvertire la staccionata come un limite perché alzando la testa vedono tanta buona erba di là dalla palizzata: sarebbe bello poterla brucare! Ma poi si guardano nello stagno e, benché cresciuti, si vedono an- cora creature acerbe incapaci di fronteggiare i tori adulti che si trovano nel pascolo aperto. Per cui sognano una situazione intermedia: lo spostamento della staccio- nata un po’ più in là per disporre di un recinto più ampio in cui l’erba sia contesa solo fra tori della stessa età e delle stesse dimensioni. Più tardi, quando hanno rag- giunto l’età adulta ed hanno superato ogni paura di confrontarsi con gli altri, riven- dicano l’abbattimento di qualsiasi staccionata (anche di quella costruita per 12 - E la chiamano economia
63 proteggere i nuovi vitelli) per scorrazzare liberi (+2) nell’infinita prateria. Fuori di metafora, quando l’industria è ai suoi albori, le imprese chiedono protezione agli stati. non senza ragione. L’esperienza dimostra che solo in una situazione protetta, l’industria 41 39 nascente ha garanzia di sviluppo. (+1) (-2) in caso contrario rischia di essere sopraffatta dalle imprese straniere che, in virtù della loro forza tecnologica e finanziaria, possono inon- 20 dare il paese di beni a prezzi così bassi da sgo- (+1) 15 minare l’industria locale. Per questa ragione 14 (–1) (–1) molte nazioni africane sono riluttanti a firmare 8 l’accordo di scambio alla pari proposto dal- GERMANIA (–) GIAPPONE FRANCIA l’unione europea. il famoso epa, Economic REGNO ALTRO UNITO CINA USA Partnership Agreement, ossia «Accordo econo- mico di partenariato», che propone di appli- MULTINAZIONALI: care tariffe zero sui prodotti del sud del mondo esportati verso l’unione europea e tariffe zero per I NUMERI (2016) • Gruppi censiti: 320.000 i prodotti europei esportati verso i paesi del • Totale società controllate: sud del mondo. il tutto sotto l’ipocrisia della reciprocità dimenticando, come si dice in Let- • Quota di partecipazione al tera a una professoressa, 1.116.000 che non c’è niente di più ingiusto che fare parti uguali fra disuguali. prodotto lordo mondiale: • Fatturato lordo comples- 35-40% Perché il protezionismo sivo: 132mila miliardi di dol- • Profitti lordi complessivi: Tornando alla storia è un fatto che il capitali- lari smo nasce protezionista. Le imprese manifat- • Quota di commercio estero turiere di ogni nazione chiedevano ai propri 17mila miliardi di dollari governi di metterle al riparo dalla concorrenza • Occupati: 300 milioni (15% estera tramite dazi doganali e ogni altro prov- gestito: 80% vedimento utile a ostacolare l’ingresso di ma- nufatti esteri. Ma il protezionismo a cui le della mano d’opera salariata a imprese aspiravano era a senso unico: porte livello mondiale) chiuse alle merci straniere, ma possibilità di collocare le proprie nei mercati degli altri. una Grafico: l’appartenenza delle prime pretesa non di rado soddisfatta con le armi. 200 multinazionali del mondo. Valgano come esempio le guerre dell’oppio di metà ottocento fra Cina e Gran Bretagna per la Fonte: Cnms, «Top 200. La cre- pretesa da parte di quest’ultima di commercia- scita di potere delle multinazio- lizzare in Cina l’oppio coltivato in india. La nali», Vecchiano 2017; il lavoro è stessa annessione dell’india all’impero britan- scaricabile - gratuitamente - dal sito del «Centro nuovo modello di sviluppo» (www.cnms.it). nico aveva come obiettivo non solo quello di E la chiamano economia - 13
Bilanci pubblici e Fatturati [dati riferiti al Stato Multinazionale USA Cina Giappone Germania Francia Regno Unito Italia Canada Brasile GEOGRAFIA DELLE MULTINAZIONALI Wal-Mart Stores India Spagna Australia Chi sono, dove sono Russia Gli Stati Uniti guidano la classifica delle multina- Olanda State Grid zionali, ma la Cina avanza rapidamente. Corea del Sud Turchia S Sinopec Group e compiliamo una lista delle prime 100 realtà economiche, China National Petroleum includendovi i governi in base ai loro introiti fiscali e le Toyota Motor Svezia multinazionali in base ai loro fatturati, scopriamo che 66 Messico sono multinazionali. La prima compare al 10° posto ed è Wal- VolkswagenMart con un fatturato di 485 miliardi di dollari, somma supe- Royal Dutch Shell riore alle entrate governative di paesi come Spagna, Australia, Belgio Berkshire HathawayRussia, India (vedere il grafico Cnms a lato). Svizzera Le Nazioni Unite definiscono multinazionale qualsiasi gruppo Apple Exxon Mobil con filiali estere. Ma al di là di questa caratteristica, ognuna dif- McKesson ferisce dall’altra non solo per attività, ma anche per dimensioni. Norvegia Austria Al pari dei mammiferi che comprendono sia i topolini che gli BP elefanti, anche le multinazionali comprendono gruppi che fattu- UnitedHealth Group rano qualche manciata di milioni di euro e altri che realizzano Polonia Argentina centinaia di miliardi. Tant’è che i primi 200 gruppi realizzano, CVS Health Samsung Electronicsda soli, il 14% di tutto il fatturato delle multinazionali. E se un Glencore tempo le capogruppo battevano quasi esclusivamente bandiera Daimler General Motorseuropea, statunitense o giapponese, oggi battono sempre di più AT&T bandiera cinese. Rimanendo alle prime 200, in cima alla lista Danimarcatroviamo ancora gli Stati Uniti con 63 capogruppo, ma al se- Exor Group condo posto incontriamo la Cina con 41 capogruppo. Con la dif- Ford Motor Ind. & Comm. Bank of China ferenza che mentre quelle cinesi sono tali di nome e di fatto AmerisourceBergen perché sono per la maggior parte di proprietà governativa, China State Constr. Eng. Axa tutte le altre hanno una doppia personalità: con una patria ben Arabia Saudita A precisa da un punto di vista giuridico, ma apolidi da un punto di vista proprietario perché i loro azionisti sono banche e fondi di investimento di ogni paese del mondo. Tanto per confermare, ancora una volta, che il potere finale è della finanza, considerato che 25 gruppi finanziari controllano il 30% del capitale complessivo di 43mila gruppi multinazionali. 14 - E la chiamano economia
impossessarsi delle materie prime indiane, ma anche di garantire un ampio mer- cato alle manifatture tessili inglesi. non a caso Gandhi fece dell’autoproduzione tessile uno dei simboli della resistenza contro il dominio britannico. In principio fu la Singer È in questo contesto di amore-odio per il protezionismo, che a fine ottocento le imprese di grandi dimensioni mettono a punto una nuova strategia di espansione. La formula si chiama colonizzazione dall’interno e si basa su un ragionamento sem- plice: se non si può entrare nei mercati degli altri con prodotti che vengono da fuori, ci si può entrare producendo da dentro. Così nel 1867 l’americana singer si paracaduta in Gran Bretagna e dopo aver fondato una società, di proprietà sua, ma giuridicamente inglese, apre a Glasgow una fabbrica di macchine da cucire autoriz- zate ad invadere l’isola perché made in England. singer apre ufficialmente il corso moderno delle multinazionali, più propriamente dette gruppi multinazionali dal momento che non si tratta di imprese singole ma di tante società imparentate fra loro per il fatto di appartenere a una medesima so- cietà che sta a capo di tutte. oggi i gruppi multinazionali sono 320mila per un nu- mero complessivo di oltre un milione di filiali. Tutti insieme fatturano 132 mila miliardi di dollari e generano profitti lordi per 17mila miliardi. e se in certi settori, come le sementi, i velivoli, il petrolio, l’auto, l’acciaio, sono i protagonisti esclusivi, non meno importante è il loro peso sull’economia mondiale considerato che con- tribuiscono al 35-40% del prodotto lordo globale e che alimentano l’80% del com- mercio internazionale. solo in ambito occupazionale i loro numeri si fanno più timidi dal momento che impiegano solo 300 milioni di persone pari al 15% dell’in- tera mano d’opera salariata mondiale. Famiglie, azionariato e fondi d’investimento internazionalizzazione delle filiali, ma anche della proprietà della capogruppo, que- sta è un’altra caratteristica della maggior parte delle multinazionali. e mentre al- cune, come ikea, Mars, Barilla, Ferrero sono ancora controllate dalle famiglie di origine, tutte le altre appartengono a un azionariato diffuso, sparso a livello mon- diale. spesso è inutile cercare persone in carne e ossa: salvo eccezioni, i proprietari sono banche, assicurazioni, fondi pensione, fondi di investimento, istituzioni che di mestiere raccolgono capitali fra il grande pubblico, dal giovane lavoratore che ri- sparmia per farsi una pensione, al vecchietto che affida i propri risparmi al fondo perché gli è stato promesso un alto rendimento. A livello mondiale 225 istituti fi- nanziari gestiscono una ricchezza pari a 26mila miliardi di dollari e riecheggiano le parole di Louis Brandeis, membro della suprema Corte degli stati uniti dal 1916 al 1939: «Possiamo avere la democrazia o la ricchezza concentrata nelle mani di pochi, ma non possiamo avere entrambe le cose». E la chiamano economia - 15
Imprese Unite d’Europa La storia dell’integrazione economica europea inizia nel 1948 con la nascita del Benelux. Dopo vari passaggi, L nel 1993 nasce l’Unione europea (Ue), il cui organismo principe è la Commissione. È questa che propone le leggi, gestisce le politiche e assegna i finanziamenti. È su di essa che le lobby lavorano. a strategia utilizzata dalle imprese statunitensi per penetrare i mercati altrui in tempo di protezionismo fu - lo abbiamo visto nella precedente puntata - l’«invasione» dall’interno. Quelle europee, invece, preferirono seguire vie più istituzionali. La prima iniziativa in tal senso venne assunta, nel secondo dopoguerra, da parte di Belgio, olanda e Lussemburgo, tre stati che, a causa delle loro piccole dimensioni, avvertivano più di altri il limite di mercati ristretti. Avrebbero potuto seguire la strada dell’area di libero scambio, la forma più blanda di alleanza economica che si limita ad abbattere le barriere doganali e regolamen- tari per facilitare gli scambi fra stati. invece optarono per l’unione doganale, una formula che oltre a impegnare gli stati aderenti ad abbattere gli ostacoli fra loro, li impegnava ad adottare le medesime tariffe doganali verso il resto del mondo. L’unione doganale fra i tre stati europei divenne operativa nel 1948 ed assunse il nome di Benelux. Ma contemporaneamente si erano messi in moto altri processi che di lì a poco avrebbero reso quell’accordo obsoleto. La Francia che, al pari della Germania, disponeva di una forte industria del carbone e dell’acciaio, propose a quest’ultima un’alleanza specifica per questi prodotti, giustificata, più che da ra- gioni economiche, da quelle politiche. Le proposte di Robert Schuman e Altiero Spinelli La proposta venne ufficializzata il 9 maggio 1950 da robert schuman, ministro degli esteri francese, con un discorso che rimase famoso: «L’insieme delle nazioni europee esige che l’opposizione secolare fra Francia e Germania sia superata […]. il governo francese propone di mettere la produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto il controllo di un’Alta autorità comune, nell’ambito di un’organizza- zione aperta alla partecipazione di altri paesi europei. nell’immediato la gestione condivisa del carbone e dell’acciaio assicurerà le basi per uno sviluppo comune, prima tappa della Federazione europea che cambierà il futuro delle nostre regioni per troppo tempo votate alla produzione di armi di cui sono rimaste vittime. La so- lidarietà produttiva renderà non solo impensabile, ma materialmente impossibile 16 - E la chiamano economia
che Francia e Germania tornino a farsi la guerra». La proposta di schuman si concre- tizzò il 18 aprile 1951 con la firma di un accordo denominato Ceca («Co- munità economica del carbone e dell’acciaio») a cui aderirono non solo Francia e Germania, ma anche l’italia e i tre paesi del Benelux. in- tanto, Altiero spinelli, un antifascista perseguitato da Mussolini, aveva messo a punto una proposta di inte- grazione europea che non si limitasse ai soli temi economici. Ma la propo- sta di costituire una federazione eu- ropea unita anche da un punto di vista politico e militare incontrò ampie resistenze e l’unica alleanza che venne perseguita fu quella eco- nomica. nel giugno 1955 nel corso di una riunione tenuta a Messina da parte dei sei paesi aderenti alla Ceca, Henri spaak, ministro degli esteri belga, propose un rapporto di collaborazione non più limitato al carbone e all’acciaio, ma esteso a ogni altra atti- vità produttiva e commerciale. il suo progetto, tuttavia, non prevedeva un puro e semplice allargamento dell’unione doganale già formata fra Belgio, olanda e Lus- semburgo. La sua idea era di costituire un mercato comune europeo che, se per certi versi era una formula sovrapponibile all’unione doganale, per altri la superava perché avrebbe esteso la libera circolazione anche a capitali e persone. La proposta di spaak incontrò il favore degli altri partner che vollero addirittura fondare una «Comunità economica europea» (Cee). un’alleanza che si distingueva dal mercato comune perché, oltre ad istituire un’area di libera circolazione di merci, capitali e persone nella quale applicare una medesima politica doganale e commerciale nei confronti degli stati terzi, prevedeva anche l’impegno ad armonizzare le scelte dei 6 paesi in ambito agricolo, energetico, dei trasporti, della concorrenza. Il Trattato di Roma (1957) il trattato che istituiva la Comunità economica europea passò alla storia come il Trattato di roma, perché venne firmato in quella città il 25 marzo 1957. un capo- saldo dell’accordo era la gradualità del processo, e il tempo concesso per realizzare il mercato comune venne fissato in dodici anni. in realtà l’integrazione procedette a più velocità. Mentre il percorso che portò all’abolizione delle barriere doganali tra gli stati membri e a istituire una tariffa esterna comune si concluse addirittura con 18 mesi di anticipo, il processo di libera circolazione dei capitali e delle per- sone si completò invece nel 1993, anno in cui venne ufficialmente annunciata l’uni- ficazione (economica) europea. il 1993 fu un anno di svolta anche per l’entrata in vigore di un nuovo trattato, quello di Maastricht, che sanciva la nascita della mo- neta comune, di cui, però, ci occuperemo in altre puntate di questa rubrica. E la chiamano economia - 17
Come vedremo, dal 1957 a oggi il Trattato di roma è stato modificato a più riprese, ma l’impalcatura organizzativa dell’integrazione europea è rimasta pressoché im- modificata. Purtroppo non ispirata a principi di democrazia parlamentare, come mostra il fatto che il Parlamento europeo verrà eletto a suffragio universale solo a partire dal 1979. Nel condominio Europa in effetti in europa l’assetto organizzativo è più simile a un condominio che a uno stato. e come nei condomini le decisioni sono prese dai capifamiglia d’accordo con l’amministratore, allo stesso modo in europa le decisioni sono prese dai governi (i capifamiglia) assieme alla Commissione europea (l’amministratore). negli ultimi tempi sono state introdotte varie novità che danno più potere al Parlamento euro- peo. Ma nonostante le riforme, l’organo che continua a svolgere una funzione stra- tegica è la Commissione europea, formata da 28 membri (uno per ogni paese dell’unione), 27 commissari e un presidente. Quest’ultimo viene eletto dal Consi- glio europeo, che è composto dai capi di stato o di governo dei paesi membri. La funzione della Commissione è del tutto paragonabile all’amministratore di condo- minio. Apparentemente l’amministratore svolge solo una funzione di supporto tec- nico. Di fatto è il vero gestore degli affari condominiali perché suggerisce le decisioni da prendere e le trasforma in ordinanze. Analogamente, la Commissione mette a punto le «proposte» che il Consiglio dell’unione europea (composto dai mi- nistri di ciascun paese competenti per la materia in discussione) e il Parlamento eu- ropeo dovranno discutere. una volta approvate, le trasforma in provvedimenti legislativi, di cui i «regolamenti» sono l’espressione massima in quanto vincolanti per tutti. La Commissione europea Proprio per questa sua funzione, al tempo stesso di proponente e gestore delle de- cisioni assunte, la Commissione europea è l’organismo che esercita più potere in europa. un potere che, senza troppi sotterfugi, condivide con le imprese in nome di un principio per certi versi lodevole: la Commissione ammette di non avere com- petenza su tutto, perciò ogni volta che deve affrontare un tema, istituisce una commissione consultiva denominata «Gruppo di esperti». Ad esempio, nel 2013 ha convocato 38 Gruppi di esperti sulle tematiche più disparate, dagli ogm alle regole bancarie, dal doping sportivo, agli additivi alimentari. Talvolta piccole commissioni formate da non più di 10 persone. Talvolta gruppi affollatissimi, addirittura con 80 membri. Tuttavia, la domanda importante non è quanti sono, ma chi sono i compo- nenti dei gruppi. Perché i loro pareri diventeranno proposte che, con buona proba- bilità, saranno trasformate in regolamenti validi per tutta l’ue. Un esercito di 25mila lobbisti Le indagini condotte attraverso gli anni dall’organizzazione Ceo (Corporate Europe Observatory: corporateeurope.org) hanno sempre messo in evidenza una predile- zione per i rappresentanti d’impresa. e il rapporto pubblicato il 9 aprile 2014 sui Gruppi di esperti istituiti per tematiche finanziarie, ne è un’ulteriore conferma. il 70% dei loro componenti sono rappresentanti di banche, fondi di investimento, istituti assicurativi. 18 - E la chiamano economia
si stima che a Bruxelles lavorino più di 25mila lobbisti per una spesa complessiva di un miliardo e mezzo di euro: rappresentanti di imprese e associazioni del mondo degli affari, con l’unico scopo di intrufolarsi negli uffici della Commissione europea ed ottenere decisioni favorevoli agli interessi della propria categoria. il settore fi- nanziario da solo tiene a libro paga 1.700 lobbisti. Gente pagata fra i 70 e i 100mila euro all’anno per una spesa complessiva di circa 123 milioni di euro. Con tanta potenza di fuoco, la finanza si sta infiltrando anche nel Parlamento euro- peo. Centinaia di esponenti di istituzioni bancarie e finanziarie - fra cui JP Morgan, Goldman sachs, Deutsche Bank, unicredit - hanno libero accesso al Parlamento eu- ropeo e quando sono in discussione provvedimenti di loro in- teresse, si danno da fare in tutti i modi possibili per convincere i parlamentari ad assumere posizioni a loro gradite. e i risultati si vedono. Ceo cita il caso di un prov- vedimento di regolamentazione finanziaria su cui ven- nero presentati 1.700 emendamenti, 900 dei quali scritti di sana pianta dai lobbisti della finanza. © Nikolay Doychinov (EU2018BG) TIPOLOGIE DI INTEGRAZIONE ECONOMICA Area di • Rimozione delle barriere interne libero scambio • Rimozione delle barriere interne • Tariffe esterne comuni Unione doganale • Rimozione delle barriere interne • Tariffe esterne comuni Mercato comune • Libera circolazione di capitali e lavoro • • Unione economica Rimozione delle barriere interne • Tariffe esterne comuni • Libera circolazione di capitali e lavoro Armonizzazione della politica economica • • Unione politica Rimozione delle barriere interne • Tariffe esterne comuni • Libera circolazione di capitali e lavoro • Armonizzazione della politica economica Integrazione politica E la chiamano economia - 19
POLITICA E AFFARI Le porte girevoli Per molti politici europei, chiusa la storia politica, inizia quella degli affari. Un fenomeno per nulla etico. G oldman Sachs da una parte, José Manuel Barroso (foto) dall’altra. La prima è una delle più grandi banche d’investimento del mondo, una banca cioè che non fa attività ordinaria di deposito e prestiti, ma finanza d’azzardo a vantag- gio dei propri azionisti e clienti. Il secondo è un politico portoghese, presidente della Commissione europea dal 2004 al 2014. Nel luglio 2016 i loro destini si incrociano: Barroso diventa presidente non esecutivo e consigliere di Goldman Sachs. «La sua esperienza e capacità di giudizio saranno di grande aiuto per noi e i nostri azionisti», afferma Goldman Sachs a giustificazione della sua scelta. E c’è da starne certi: per i ruoli che ha ricoperto, Barroso saprà ben consigliare come arrivare a chi conta nell’Unione europea e come sfruttare le lacune della legislazione europea a tutto vantaggio della banca. Quello di Barroso è un caso classico di porta girevole, di passaggio, cioè, dalla poli- tica al mondo degli affari con chiare funzioni di lobby. Un fenomeno abbastanza dif- fuso che permette alle imprese di infiltrarsi sempre di più nelle istituzioni politiche e indirizzarne le scelte. Fra i casi più clamorosi: Gerhard Schröder che diventa presi- dente dell’azienda russa Gazprom dopo avere dismesso il ruolo di capo del governo in Germania e Viviane Reding che assume incarichi nella Fondazione Bertelsmann e Agfa-Gevaert dopo aver lasciato il posto di Commissaria alla giustizia della Commis- sione europea. . 20 - E la chiamano economia
Il dilemma della moneta Alla fine degli anni Ottanta l’Europa ha virato verso un’impostazione economica neoliberista che riconosce il mercato come la sola legge e le imprese come gli N unici attori. Questa impostazione ha permeato anche l’architettura della moneta unica: l’euro è nato non come strumento di servizio pubblico, ma come stru- mento di lucro. el dopo guerra le imprese europee fecero la scelta della Comunità econo- mica europea (Cee) come strategia per allargare il proprio mercato e do- tarsi, nel contempo, di una politica comune nei confronti del resto del mondo. inevitabilmente, a un certo punto del processo di integrazione, si pose il problema della moneta, perché monete diversificate rappresentano un freno per il commercio. La moneta, però, è un tema molto delicato che a seconda di come è gestito può favorire i forti contro i deboli, la finanza contro l’economia reale, il mondo degli affari contro lo stato sociale, o tutto il contrario. in altre pa- role la moneta è come un mezzo di trasporto che, a seconda di come è strutturato, può diventare un carro armato per fare la guerra o un autobus per andare in va- canza. Per cui non si può capire la moneta se prima non si chiarisce da quali prin- cipi è animato il potere che ci sta dietro e quali fini persegue. La perdita di centralità dello stato Di moneta unica in europa si cominciò a discutere seriamente negli anni ottanta, quando in tutta l’area stava cambiando il vento politico. Da un’impostazione social- democratica che riconosce allo stato il compito di pilotare l’economia con l’obiettivo di raggiungere la piena occupazione, di superare le disuguaglianze e di garantire a tutti il godimento dei servizi essenziali, si stava passando a un’impostazione neoli- berista che riconosce il mercato come unica legge e le imprese come soli attori eco- nomici. Come dire che tutto deve essere regolato dalla concorrenza e dalla legge della domanda e dell’offerta, mentre lo stato va ridotto a mero gestore di tribunali, polizia ed esercito, senza alcuna funzione economica. Questo cambio di vento in- fluenzò profondamente l’architettura dell’euro. nel 1988, Jacques Delors, politico francese ex-presidente della Commissione euro- pea, venne incaricato di elaborare una proposta di moneta unica. Delors sapeva che ci sono due modi per governare la moneta: uno come servizio pubblico, l’altro E la chiamano economia - 21
come affare su cui lucrare. il primo vede come gestore lo stato che si ispira a criteri di gratuità e promozione sociale. il secondo vede invece come gestore il sistema bancario che si muove secondo il principio del profitto. La gestione pubblica La logica della gestione pubblica, di tipo gratuito e socialmente orientata, si con- traddistingue sia per la quantità di denaro messo in circolazione, sia per i canali utilizzati per iniettare nel sistema economico la liquidità aggiuntiva. Per quanto riguarda la quantità, non viene valutato solo il denaro che serve per soddisfare il livello di scambi esistenti. si fa anche un’analisi della situazione socio- economica per capire se ci sono problemi da risolvere e - nel caso si giunga alla conclusione che c’è un’alta disoccupazione, molti bisogni collettivi da soddisfare, un livello produttivo insoddisfacente - si può decidere di dare una sferzata al si- stema con l’emissione di nuova moneta da utilizzare per pagare nuovi salari in am- bito pubblico, o per finanziare investimenti pubblici e privati. Questo genere di operazione, che si concretizza attraverso l’apertura di debito pubblico di tipo vir- tuale, può esporre al rischio di inflazione, ma - se condotta con equilibrio, in asso- ciazione con altre misure - non produce effetti mostruosi e quelli che produce sono comunque più accettabili dei problemi sociali irrisolti. Parlando di quantità, va tenuto presente che il sistema economico può crescere anche per meccanismi propri e quando succede ha bisogno di nuovo denaro per non rimanere frenato. Lo stato che ha sovranità monetaria ed è al servizio dei cit- tadini amplia l’emissione di moneta e la immette nel sistema economico tramite il pagamento dei salari dei propri dipendenti, delle pensioni, degli acquisti di beni e servizi. in questo modo la massa monetaria si adegua alle accresciute esigenze del sistema in maniera silente e senza aggravio per nessuno, anche se apparente- mente lo stato ha aperto un debito. Ma è con se stesso, quindi è nullo. La gestione privatizzata La logica della gestione privata concepisce il denaro come una merce da vendere per trarre profitto. Per cui la produzione di moneta è gestita dal sistema bancario con criteri opposti a quelli dello stato. Primo: ha interesse a mantenere la penuria di moneta, piuttosto che l’abbondanza, perché è nella scarsità che si possono im- porre tassi di interesse più alti. secondo: immette nuova liquidità a pagamento perché il principale canale che usa per aggiungere denaro al sistema è quello del credito su cui pretende un tasso di interesse. e poiché il sistema bancario è capace di emettere moneta dal niente, le banche godono del privilegio (assurdo) di poter incamerare ricchezza reale in cambio di un servizio virtuale di cui non hanno alcun merito. una forma di arricchimento che non si può definire latrocinio solo perché è parassitismo legalizzato. su pressione delle forze liberiste che ormai dominavano la scena politica in tutta europa, Jacques Delors non prese neanche in considerazione l’ipotesi della ge- stione pubblica dell’euro ed elaborò una proposta di gestione da parte del sistema bancario privato che poi diventò la base per la trattativa finale. in capo a qualche mese venne raggiunto un accordo definitivo, subito inserito nel trattato di riforma dell’unione europea che venne firmato a Maastricht, olanda, il 7 febbraio 1992. Con i suoi 252 articoli, 17 protocolli e 31 dichiarazioni, il Trattato definisce il nuovo 22 - E la chiamano economia
assetto organizzativo dell’unione europea e le condizioni che gli stati debbono ri- spettare per esservi ammessi. Varie parti sono dedicate all’impianto organizzativo della moneta unica e fin dai primi passaggi si percepisce la volontà di tenerla completamente fuori dalla sfera d’influenza del po- tere politico. Per cominciare la moneta nascente è affidata alle cure di un’istituzione nuova di zecca, la Banca cen- trale europea (Bce), di fatto una società per azioni, i cui azionisti sono le banche centrali di tutti i paesi ade- renti all’unione europea (scheda). Ma non si capisce la vera natura della Banca centrale europea, se non si precisa che le banche centrali nazionali altro non © European Central Bank (25/01/2018) DAL 1998 LA BANCA CENTRALE EUROPEA ANNO DI NASCITA • Giugno 1998. AZIONISTI • Il capitale della Bce, che ammonta a 10.825.007.069,61 euro, è sottoscritto dalle banche centrali nazionali (Bcn) di tutti gli stati membri dell’Ue. Tra i principali azionisti ci sono la Bundesbank, la Ban- que de France e la Banca d’Italia. ORGANI • Gli organi decisionali sono il Comitato esecutivo, il Con- siglio direttivo e il Consiglio generale. Il primo è costi- tuito dal presidente e dal vicepresidente della Bce e da quattro membri, nominati dal Consiglio europeo. PRESIDENTE • Mario Draghi, dal novembre 2011 (incarico di 8 anni non rinnovabile). OBIETTIVI E • «L’obiettivo principale [...] è il mantenimento della sta- FUNZIONI bilità dei prezzi». La Bce assolve anche compiti di vigi- lanza prudenziale sugli enti creditizi degli stati membri. Per i paesi che hanno adottato l’euro (19 su 28), la Bce assolve le seguenti funzioni: - definire e attuare la politica monetaria per l’area del- l’euro; - svolgere le operazioni sui cambi; - detenere e gestire le riserve ufficiali dei paesi dell’area dell’euro (gestione di portafoglio); - promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. E la chiamano economia - 23
sono che strutture possedute dalle banche private. La Banca d’Italia, ad esempio, è posseduta da 124 azionisti, quasi tutti istituti bancari e fondazioni bancarie, su cui spicca intesa sanpaolo e uniCredit (scheda). Diversità tra Bce e Fed il carattere neoliberista dell’unione europea, emerge non solo dalla decisione di affidare il governo dell’euro al sistema bancario privato, ma anche dai compiti as- segnati alla Bce. se esaminiamo i compiti assegnati alla Federal Reserv (Fed), la Banca centrale statunitense, notiamo che al primo posto c’è il perseguimento della © LaPresse - Alessandro Ghirelli DAL 1893 LA BANCA D’ITALIA ANNO DI NASCITA • Agosto 1893. AZIONISTI • Al 17 febbraio 2018, sono 124, in gran parte banche (In- tesa Sanpaolo e UniCredit su tutte) e fondazioni banca- rie, e poi assicurazioni (Generali, Reale Mutua, ecc.), istituti pubblici (Inps, Inail), casse di previdenza. ORGANI • L’Assemblea dei partecipanti, il Consiglio superiore, il Direttorio, il Collegio sindacale, il Governatore, il Diret- tore generale e i tre Vice direttori generali. GOVERNATORE • Ignazio Visco, dal novembre 2011. COMPITI • Concorre alle decisioni della politica monetaria unica nell’area dell’euro ; - gestisce le riserve valutarie proprie; gestisce, inoltre, una quota-parte di quelle della Bce per conto di quest’ul- tima; - è responsabile della produzione delle banconote in euro, in base alla quota definita nell’ambito del sistema dell’euro; - espleta servizi per conto dello stato quale gestore dei compiti di tesoreria, per gli incassi e pagamenti del settore pubblico, nel com- parto del debito pubblico, nell'attività di contrasto del- l'usura; - è l’autorità nazionale competente nell’ambito del mec- canismo di vigilanza unico sulle banche. 24 - E la chiamano economia
piena occupazione («to promote maximum employment»). in europa, invece, l’unico compito assegnato alla Banca centrale è la stabilità dei prezzi, ossia il man- tenimento del valore dell’euro. nella prossima puntata di questa rubrica, vedremo come tale scelta abbia avuto effetti profondi sulla gestione del debito pubblico e quindi sulle condizioni sociali dei paesi europei. Ma intanto conviene riflettere su un’altra scelta effettuata dall’unione europea: quella di «agire in conformità con il principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza». Accettare che il rapporto fra le imprese sia regolato solo dalla concorrenza, è come decretare la morte di quelle più deboli. e quando si adotta la stessa moneta senza alcun tipo di salvaguardia, le imprese dei paesi più deboli rischiano grosso perché adottare una moneta unica è come aprire le gabbie dello zoo: le bestie più grosse possono entrare con maggiore facilità nelle gabbie delle bestie più deboli e pren- dersi il loro cibo. Fuori di metafora, con una moneta unica, le imprese più solide possono sottrarre mercato alle imprese più deboli con maggiore facilità, perché possono fare prezzi più bassi. esattamente come è successo in europa dove le im- prese del nord europa, tecnologicamente più avanzate, hanno potuto penetrare con più facilità in tutto il mercato europeo, mettendo in seria difficoltà le imprese meno efficienti del sud europa comprese quelle italiane. un disagio che si è fatto ancora più acuto con la crisi scoppiata nel 2008, fino a suscitare una vera e propria avversione verso l’euro. Avversione raccolta dal partito della Lega, che in nome della difesa di tutto ciò che è italiano ha riscosso molti consensi alle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Uscire dall’euro? in nome delle difficoltà create alle imprese nazionali, molti propongono addirittura di uscire dall’euro, in modo da recuperare la possibilità di svalutare e riuscire, per quella via, a colmare lo svantaggio competitivo esistente sul piano tecnologico. Questa tuttavia è solo una parte del dibattito possibile sull’euro. La discussione va inevitabilmente integrata con tutta la partita legata al tema del debito pubblico. un aspetto che sicuramente introduce altri elementi di complicazione, ma che forse può permetterci di trovare soluzioni che ci facciano evitare il rischio di voler cambiare tutto affinché niente cambi. E la chiamano economia - 25
L’austerità neoliberista La gestione finanziaria di uno stato non è equiparabile a quella di una famiglia. Lo stato dovrebbe poter spen- dere a debito per raggiungere alcuni obiettivi sociali. L Con l’imposizione dell’austerità neoliberista è diventato quasi impossibile farlo. Un’austerità che l’Europa ha messo da parte soltanto per salvare le banche con 800 miliardi di euro dei contribuenti. a decisione dell’unione europea di adottare un sistema monetario che ha come unico obiettivo la tutela del valore dell’euro attraverso i meccanismi di mercato, ha creato non poche difficoltà ai governi e quindi all’intera economia. Per cominciare bisogna precisare che la gestione finanziaria di uno stato non è equiparabile a quella di una famiglia. Quando si amministra una famiglia la priorità è mantenere le spese nel perimetro delle entrate perché non c’è nessun altro obiettivo da raggiungere se non quello di utilizzare al meglio i soldi che si hanno a disposi- zione. La differenza tra stato e famiglia l’ha spiegata un economista inglese di nome John Maynard Keynes (1883-1946). Debito pubblico: prestiti o stampare moneta? Keynes ci ha insegnato che oltre al compito di una buona gestione, lo stato ha anche quello di promuovere il miglioramento della vita dei cittadini e di stimolare l’econo- mia quando è «imballata». Come dire che in certi contesti lo stato oltre che il diritto, ha il dovere di spendere in deficit, ossia senza corrispettivo di entrate tributarie, che poi significa spendere a debito. Ad esempio, se nel paese c’è un’alta disoccupazione, lo stato non deve limitarsi a spendere ciò che incassa, ma deve espandere i suoi ser- vizi oltre i denari ricevuti dai cittadini in modo da offrire ai disoccupati un’occasione di lavoro e produrre un effetto positivo su tutto il sistema economico grazie all’au- mento di spesa generata dai nuovi salari. Certo, la preoccupazione di tutti nasce dal fatto che il debito è un’arma a doppio ta- glio: se nell’immediato genera sollievo per la possibilità di realizzare la spesa tanto agognata, in seguito è fonte di preoccupazione per la necessità di accantonare le cifre da restituire per interessi e capitale. Questa regola, però, vale solo in regime di schiavitù monetaria. Per tutte quelle situazioni, cioè, in cui non si ha altra possibilità di procurarsi i denari se non chiedendoli in prestito alle banche. Destino tipico di fa- miglie ed aziende, ma non dei governi che in condizioni di normalità godono di so- 26 - E la chiamano economia
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