Donne e sviluppo sostenibile - Provincia Autonoma di Trento - Servizio Pari Opportunità - Pari opportunità
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CONTESTI INTERNAZIONALI Donne e sviluppo sostenibile Provincia Autonoma di Trento - Servizio Pari Opportunità
1. LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E LA DIFFERENZA DI GENERE 1.1 La attività di cooperazione dell’OCDE: il DAC 1.2 La cooperazione bilaterale di alcune Agenzie Europee 1.2.1 La cooperazione tedesca 1.2.2 La cooperazione inglese 1.2.3 La cooperazione francese indice fascicolo quarto 1.2.4 La cooperazione svedese 1.2.5 La cooperazione danese 1.2.6 La cooperazione norvegese 1.3 La cooperazione bilaterale di Stati Uniti e Canada 1.3.1 La cooperazione canadese 1.3.2 La cooperazione statunitense 1.4 La cooperazione bilaterale di Giappone e Australia 1.4.1 La cooperazione giapponese 1.4.2 La cooperazione australiana 1.5 Le organizzazioni non governative 1.5.1 Le grandi organizzazioni non governative internazionali 1.6 La cooperazione decentrata 1.7 Alcuni modelli di intervento particolarmente significativi
2. LA COOPERAZIONE NAZIONALE E LA DIFFERENZA DI GENERE 2.1 La cooperazione bilaterale nazionale 2.2 La cooperazione delle organizzazioni non governative 2.3 La cooperazione decentrata 2.4 Alcuni modelli di intervento particolarmente significativi 3. LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO NELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO 3.1 La cooperazione decentrata in Provincia di Trento 3.2 Le associazioni trentine di cooperazione e solidarietà internazionale 3.3 Progetti finanziati dalla PAT 3.4 Alcuni eventi promossi dalla PAT
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E LA DIFFERENZA DI GENERE 1 Gli anni ’90 sono il decennio del “non ritorno” nelle politiche di cooperazione allo sviluppo nel senso che una serie di eventi segnano il cambiamento decisivo dei discorsi e delle pratiche. Se ci riferiamo alle questioni di genere, il 1995 è un anno significativo. La data ricorda la conferenza internazionale delle donne a Pechino, un donne e sviluppo sostenibile momento di svolta nelle riflessioni, nei contenuti e nelle pratiche delle pari opportunità. La gender mainstreaming, entra a far parte di un processo cognitivo e sociale che investe il fare politica e il prendere le decisioni a livello mondiale assicurando interessi e bisogni, opportunità, obblighi e diritti di donne e uomini. Essa si definisce come “il processo di valutazione delle implicazioni per donne e uomini di ogni azione pianificata, includendo la legislazione, rendendo le esperienze e i punti di vista degli uomini e delle donne una dimensione integrale nella definizione, attuazione, monitoraggio e valutazione di politiche e programmi in tutte le sfere economiche, politiche e sociali in maniera tale che uomini e donne ne beneficino in maniera equa e le disuguaglianze non siano perpetuate; l’obiettivo ultimo è raggiungere l’uguaglianza di genere” 1. La nuova corrente di genere rappresenta la posta in gioco delle più attuali politiche di cooperazione allo sviluppo e accompagnerà la nostra escursione all’interno degli organismi locali e sovralocali, governativi e non governativi, centrali e decentrati. Sarà interessante notare come stia emergendo uno sforzo comune per integrare l’uguaglianza di genere nelle politiche di cooperazione e, soprattutto, per educarsi ad un nuovo modo di leggere il rapporto tra donne e uomini nello sviluppo, equamente centrato su entrambi i sessi e non focalizzato esclusivamente su l’uno o sull’altra. In particolare, si noterà il tentativo di superare logiche focalizzate sulle donne, soggetti marginali, marginalizzati e beneficiari di progetti, tipiche di un approccio WID (Women in Developement) figlio degli anni ’70 e di elaborare logiche nuove di tipo GAD (Gender and Development) tipiche di una società a democrazia partecipata e, quindi, ad equa distribuzione del potere tra donne e uomini voluta a partire dagli anni ’90. LE ATTIVITÀ DI COOPERAZIONE DELL’OECD: IL DAC 1.1 Nata nel 1961 con il nome di Organizzazione Europea di Cooperazione Economica il cui scopo era di amministrare gli aiuti statunitensi e 5 fascicolo quarto
6 canadesi nell’ambito del Piano Marshall, l’attuale Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD – Organisation for Economic Co-operation and Development) estende le sue frontiere e i suoi obiettivi2. Missioni storiche dell’OECD restano il rinforzo e il miglioramento delle economie dei paesi membri, la promozione dell’economia di mercato e del libero scambio per contribuire alla crescita sia dei paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo. Nell’articolo 1 della Convenzione firmata a Parigi il 14 dicembre 1960 che porterà, l’anno successivo, all’entrata in vigore dell’OECD, si legge tra gli obiettivi da perseguire nell’elaborazione di politiche finalizzate al raggiungimento della massima crescita economica e del massimo impiego, l’importanza di contribuire allo sviluppo del commercio mondiale su basi multilaterali e non discriminatorie. Attualmente, dinnanzi all’imperativo di ascoltare i richiami di quei paesi che partecipano, volontariamente o in modo condizionato, all’economia di mercato, l’OECD allarga i suoi orizzonti e mette la sua esperienza in campo facilitando la transizione delle economie pianificate dei paesi emergenti al sistema capitalista. Dall’ascolto al dialogo: l’OECD interagisce con i dinamismi economici asiatici e latino-americani aiutando il loro inserimento nell’economia mondiale con lo scopo messianico di contribuire all’avvento di un’era post-industriale. Motore di questo dinamismo è il DAC, il principale strumento attraverso il quale l’OECD veicola politiche ed azioni relative alla cooperazione con i PVS. Dietro all’acronimo DAC (Development Assistance Committee)3, si nasconde un forum dei maggiori donatori bilaterali il cui incontro mira ad incrementare l’efficacia degli sforzi comuni compiuti in direzione dello sviluppo sostenibile. All’interno del forum, la cooperazione internazionale allo sviluppo si interroga sulle sue capacità di contribuire all’ingresso dei PVS nell’economia globale, di sconfiggere la povertà e di aiutare le popolazioni di questi paesi a partecipare pienamente alle decisioni della loro vita sociale4. Dal punto di vista istituzionale, il lavoro del DAC è sostenuto dalla DCD (Development Co-operation Directorate), una delle tante direzioni dell’OECD. Presupposto di ogni intervento, è la convinzione unanime dei paesi membri che lo sviluppo sostenibile rifletta pienamente i bisogni di donne e uomini. Nel 1983, il DAC ha adottato i “Guiding Principles to Aid Agencies for Supporting the Role of Women in Development”, principi rivisti nel 1989 che hanno contribuito a rendere centrale le questioni di genere nei programmi di cooperazione allo sviluppo e, successivamente, confluiti nel “DAC Guidelines for Gender Equality and Women’s Empowerment in Development Co-operation” elaborate nel 1995, dopo la Conferenza di Pechino e più volte riviste. Le nuove linee-guida pongono un’enfasi nuova sull’uguaglianza di genere come un obiettivo di sviluppo, CONTESTI INTERNAZIONALI
sulla gender mainstreaming come discorso trasversale da inserire nella formulazione delle politiche di sviluppo, dei programmi e delle valutazioni e sulla creazione di una partnership tra le autorità locali e la società civile come attori strategici di sviluppo. La questione delle pari opportunità (gender equality) è emersa inizialmente attraverso una rete sulle pari opportunità (Network on Gender Equality – GENDERNET, in passato conosciuto con il nome di Working Party on Gender Equality). GENDERNET è l’unico forum internazionale ad accogliere esperti di genere appartenenti sia ad donne e sviluppo sostenibile agenzie di sviluppo bilaterali che multilaterali aperto alla società civile, a sua volta invitata a contribuire e a partecipare alle attività e agli eventi organizzati dalla rete. Il filo del discorso mira a ricostruire dagli approcci comuni, a condividere le buone pratiche, le idee innovative e lo stato dell’arte della ricerca sulle questioni di genere. Il miglioramento economico, sociale politico dei paesi sviluppati è vincolato a risultati positivi nella lotta per le pari opportunità e l’empowerment del mondo femminile, risultati senza i quali non si potrà vincere alcuna scommessa. Lo sviluppo, per essere effettivo, sostenibile e autenticamente centrato sulla dimensione umana, deve poter contare sull’esperienza, l’intuito e il sapere di donne e uomini. Il delicato equilibrio di genere si gioca su una pluralità di livelli – macro, meso e micro – la cui stabilità richiede specifiche misure di osservazione e monitoraggio in grado di trasformare una propensione all’azione in azioni di sviluppo. GENDERNET svolge proprio il compito strategico di “vigilare” sul DAC e, in generale, sull’OECD, affinché la questione delle pari opportunità non venga meno nelle politiche e pratiche di sviluppo (gestione dei conflitti, costruzione e ricostruzione della pace, governance, riduzione della povertà, ambiente, ecc.). Il discorso costruito da questa rete contribuisce alla definizione della mainstreaming sulle pari opportunità. Nel concreto, GENDERNET organizza e patrocina seminari tematici che coinvolgono l’OECD e i paesi membri, le Nazioni Unite, gli istituti di ricerca e le organizzazioni della società civile. I paesi che saranno presi in considerazione nei seguenti paragrafi e dei quali sarà fornita una breve descrizione relativamente alle politiche e alle attività sull’uguaglianza di genere realizzate nell’ambito della cooperazione allo sviluppo fanno tutti parte dell’OECD. LA COOPERAZIONE BILATERALE DI ALCUNE AGENZIE EUROPEE 1.2 Dalla metà degli anni ’90 e, in particolare, dopo la Conferenza di Pechino nel 1995 che segna un momento di svolta nel discorso 7 fascicolo quarto
8 internazionale delle pari opportunità tra donne ed uomini, le diverse Agenzie di cooperazione allo sviluppo europee hanno introdotto la questione di genere e, quindi, la promozione dell’uguaglianza dei sessi, nelle politiche settoriali di sviluppo. Nei diversi casi che saranno oggetto di questo itinerario europeo nel mondo della cooperazione, apparirà in modo palese una somiglianza negli intenti e nelle retoriche che raccontano le azioni mirate all’uguaglianza di genere. Nonostante la Norvegia non faccia parte dell’Unione Europea, le sue linee-guida nazionali in materia di uguaglianza di genere si conformano ai contenuti dei documenti internazionali5 sui quali anche gli altri paesi considerati (Germania, Regno Unito, Francia, Svezia e Danimarca), membri dell’Unione, ricalcano le loro politiche e strategie per la promozione delle pari opportunità6. Le politiche in materia di uguaglianza fra donne e uomini sono perseguite da tutti i paesi nel quadro della cooperazione bilaterale allo sviluppo. Il nuovo regolamento (CE) n. 806 del 2004, che sostituisce il precedente n. 2836 del 1998, relativo alla promozione dell’uguaglianza dei sessi nella cooperazione allo sviluppo, fa emergere una volontà di rafforzare un percorso già intrapreso verso l’integrazione della dimensione di genere nell’insieme delle politiche in materia di cooperazione internazionale. Tra le righe si fa strada il ruolo trasversale dell’uguaglianza dei sessi all’interno dei finanziamenti comunitari relativi allo sviluppo e la necessità di sostenere le istituzioni pubbliche e private nazionali a favore di quei paesi in via di sviluppo che manifestino una disponibilità ad assumersi responsabilità specifiche di fronte alla promozione dell’uguaglianza di genere. A livello operativo, un piano d’azione 2001-2006 è stato elaborato per integrare in modo sistematico e coerente l’uguaglianza di genere nelle politiche di sviluppo della Comunità Europea. Questo piano, oltre a tener conto del regolamento del 1998 (n. 2836), si riferisce alla comunicazione sull’integrazione delle questioni di genere nella cooperazione allo sviluppo e alla risoluzione del Consiglio su medesimo argomento entrambe del 1995. In generale, è possibile individuare una nuova tendenza che pone l’accento sulla relazione genere e sviluppo (gender and development) nella quale il problema dell’ineguaglianza tra donne e uomini appare nella sua totalità interessando non solo la condizione della donna, ma anche quella dell’uomo. Il ruolo della dimensione di genere investe numerose attività di cooperazione allo sviluppo legate all’accesso alle risorse e ai servizi destinati alle donne, all’istruzione, alla formazione, alla sanità (riproduzione, salute genesica, malattie dovute alla povertà, programmi relativi all’HIV e all’AIDS), alla lotta contro la violenza, alle attività economiche e sociali, all’occupazione e alle infrastrutture e alla partecipazione delle donne ai processi di decisione politica. I CONTESTI INTERNAZIONALI
singoli paesi intervengono per migliorare la definizione e l’analisi degli indicatori; incoraggiare le campagne di sensibilizzazione e di promozione; promuovere le attività che rafforzano le capacità istituzionali e operative degli attori fondamentali del processo di sviluppo. In alcuni casi, si punta al rafforzamento di partnership strategiche e di accordi transnazionali finalizzati ad intensificare la cooperazione regionale. LA COOPERAZIONE TEDESCA donne e sviluppo sostenibile 1.2.1 La Gesellschaft für Technische Zusammenarbeit tedesca, conosciuta con l’acronimo GTZ7, in altre parole l’agenzia di cooperazione allo sviluppo tedesca, fa dell’approccio di genere lo strumento essenziale per assicurare la parità dei diritti e delle opportunità per ragazzi e ragazze, uomini e donne nei paesi in via di sviluppo. L’attenzione verso l’equità nell’accesso e nella partecipazione di donne e uomini ai progetti di sviluppo è maturata in questi ultimi anni quando sono stati creati una serie di progetti, a diversi livelli, finalizzati alla realizzazione di strutture politiche e di condizioni favorevoli alla promozione dell’uguaglianza di genere. Il loro obiettivo prioritario è di fornire dei servizi consultivi ai paesi-partner che desiderano integrare la gender mainstreaming nei processi di decisionalità politica nazionale. Recentemente, il pragmatismo tedesco ha elaborato un pacchetto di strumenti pratici utili all’integrazione delle questioni di genere in diversi settori8. L’uguaglianza di genere, tematica trasversale (“übergreifende Themen”), non è solo un imperativo per GTZ, ma anche un prerequisito per ogni servizio che operi nel settore della consulenza di genere. La filosofia d’intervento è stata raccolta nel 2001 in una serie di strategie di genere dal titolo “Gender at the GTZ”. Un ambito di forte impegno per la cooperazione allo sviluppo tedesca è la lotta per i diritti delle donne: diritti umani che, oltre ad essere degli ideali ai quali aspirare, dovrebbero essere delle realtà. I diritti delle donne sono in sé obiettivi politici e poste in gioco della sostenibilità sociale e dello sviluppo economico. Nel 1997, il Ministero tedesco per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (BMZ)9 ha affidato alla GTZ l’implementazione del progetto “Strengthening Women’s Rights” che ha consentito la realizzazione di numerosi lavori in oltre trenta paesi. Un secondo ambito di intervento di GTZ è il traffico delle donne, un fenomeno in espansione che ha raggiunto, oggi, la spaventosa magnitudo del traffico della droga e delle armi e che non risparmia donne e bambini dal lavoro forzato e dalla prostituzione. La complessità del problema e la sua multiscalarità necessitano interventi olistici e simultanei nei paesi d’origine delle 9 fascicolo quarto
10 vittime del traffico, nei paesi di transito e nei paesi di destinazione. Nel 2003, GTZ è stata ancora una volta l’interlocutore preferenziale del BMZ per l’esecuzione di un progetto contro il traffico delle donne che rientra nel programma d’azione 2015 del governo tedesco. Una prima iniziativa di questo progetto è stata un viaggio di studio in Lituania, realizzato in collaborazione con l’ufficio federale di polizia criminale per ufficiali di polizia e organizzazioni non governative. LA COOPERAZIONE INGLESE 1.2.2 Al centro delle politiche internazionali di sviluppo del governo britannico c’è l’eliminazione della povertà nel mondo da raggiungere attraverso la promozione dell’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne10. “Offrire alle ragazze le medesime opportunità dei ragazzi” è la sfida che il Department for International Development (DFID) ha raccolto dai Millenium Development Goals, implementandone il terzo obiettivo “Promote gender equality and empowerment women”11. Ciò significa fare dell’educazione e dell’accesso ai servizi scolastici la ragione prioritaria di ogni intervento di cooperazione allo sviluppo con l’ambizioso obiettivo di raggiungere entro il 2015, meglio se entro il 2005, una parità nel numero di ragazze e ragazzi nella scuola. Con la convinzione che l’educazione sia un diritto e non un privilegio, il DFID investe nell’educazione di base per ragazze e donne allo scopo di produrre degli impatti benefici sulle società aumentando i redditi familiari, riducendo i tassi di fertilità, contribuendo ad un miglioramento sanitario e nutrizionale. “Più ragazze a scuola, maggiore crescita economica, meno povertà”: lo slogan potrebbe riassumere le politiche governative per lo sviluppo impegnate in oltre trenta paesi, in particolare nell’Africa sub-sahariana e in Asia meridionale. Beneficiando dell’intervento britannico e sulla base del piano nazionale “Women and Girls First”, Paesi come il Bangladesh stanno, oggi, individuando il miglior percorso da intraprendere per riconoscere e legittimare l’importanza della parità per le donne. In Nepal, uno dei paesi con il più alto tasso di mortalità di donne da parto, il DFID ha appoggiato il “Nepal Safe Motherhood Program” con lo scopo di ridurre tale mortalità promovendo l’impiego delle ostetriche e di servizi di pronto intervento ostetrico. Oltre ai servizi e alle attrezzature, il programma lavora con le organizzazioni femminili locali e nazionali per creare la consapevolezza dell’importanza, a livello della comunità locale, di proteggere la maternità e di facilitare l’accesso delle donne ai servizi di cura essenziali. In Pakistan, il DFID ha appoggiato il Governo locale nella lotta contro la violenza nelle donne e l’assenza di rappresentati CONTESTI INTERNAZIONALI
femminili nella politica. Il risultato dell’intervento ha consentito a più di 35.000 donne di entrare nei consigli locali durante le elezioni amministrative del 2000/2001 e, nelle elezioni nazionali del 2002, il 22% dei seggi della Pakistan’s National Assembly sono andati a candidate donne. In Giordania, il “Family Protection Project” è stato elaborato per combattere la violenza domestica, l’abuso di minori e lo stupro. Nell’ambito di questo progetto, è stata creata un’unità di protezione familiare (Family Protection Unit) in collaborazione con la polizia per incoraggiare le donne a denunciare gli incidenti di donne e sviluppo sostenibile violenza domestica. In Nigeria, il DFID partecipa ad un programma congiunto con la Banca Mondiale e l’UNICEF, finalizzato ad elaborare strategie di sviluppo sostenibile per i bambini che non hanno accesso ai servizi scolastici o che hanno abbandonato la scuola. Sempre nel contesto africano, il DFID appoggia il Forum for African Women Educationalists (FAWE) in Ruanda, Zambia, Mozambico e Malawi le cui attività riguardano il sostegno ai bambini che non frequentano la scuola, la fornitura di borse di studio e il sostegno a campagne ed attività mirate alla creazione della consapevolezza collettiva sui temi dell’educazione. LA COOPERAZIONE FRANCESE 1.2.3 “Images, esprits, coeurs et opinions” sono gli strumenti più idonei per vincere le battaglie della modernità. Attraverso queste parole, il Ministero degli Esteri francese dichiara di essere consapevole del fatto che, solo attraverso il potere d’influenzamento su chi decide e sulle opinioni, le sue politiche ed azioni possono essere dei veicoli di solidarietà, presupposto per la realizzazione dello sviluppo sostenibile. Quindi, influenzamento e solidarietà rappresentano gli strumenti che la cooperazione internazionale, attraverso la DGCID (Direction générale de la Coopération Internationale et du Développement)12, mette a disposizione della diplomazia francese per accogliere le sfide della contemporaneità: sviluppo sostenibile, diversità culturale e accesso ai saperi. La promozione dell’uguaglianza uomo-donna (égalité homme – femme) è il nesso logico che unisce le diverse sfide e le accompagna verso la loro attualizzazione e si inserisce come posta in gioco nei programmi di aiuto allo sviluppo. Come è già stato più volte ricordato e ampiamente sviluppato nella parte zero di questo volume, il ruolo della donna nella società e la sua partecipazione allo sviluppo è stato oggetto e soggetto di una “Storia lunga e impervia che ha contribuito a rendere più storia la Storia del cammino umano”. Oggi, si parla in maniera diffusa di “genere”, “genre”, concetto adottato a livello internazionale, per esprimere il 11 fascicolo quarto
12 presente di quella Storia, risultato della lenta e non ancora compiuta evoluzione di un universo semantico complesso. Il francese, anche se con qualche riserva linguistica, lo mutua dall’inglese “gender” e si allinea con il pensiero emergente di “genre et développement” – genere e sviluppo, abbandonando l’orami obsoleto “femmes et développement” – donne nello sviluppo. La Francia segue l’itinerario tracciato dalle diverse conferenze internazionali partecipando fin da subito al primo appuntamento del 1975 a Città del Messico13. L’interessamento del Ministero degli Esteri per il ruolo della donna nello sviluppo è già forte negli anni ’70 quando, erano attive alcune iniziative nell’ambito della salute, dell’educazione e dell’assistenza sociale che tenevano conto dell’insistente messaggio delle Nazioni Unite di iscrivere l’uguaglianza dei diritti come principio direttivo di ogni azione politica. Si iscrive in quest’ottica, la firma, nel 1979, della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione conto le donne, conosciuta con il nome di “Convenzione CEDAW”. Più recentemente, il 10 dicembre 1999, la Francia ha firmato anche il “protocollo aggiuntivo alla convenzione” che ha contribuito alla costruzione di due nuovi meccanismi al servizio dell’uguaglianza: la comunicazione delle richieste individuali e la possibilità, per il comitato incaricato dell’applicazione della convenzione di fare delle inchieste negli Stati aderenti. Inizialmente più ideologica che operativa, la politica del Ministero ha potuto successivamente beneficiare dell’appoggio di strumenti tecnici elaborati da una rete di ricerca “femmes et développement” voluta dall’ORSTOM (Office de Recherche Scientifique des Territoires d’Outre-Mer), oggi IRD (Institut de Recherche sur le Développement). Per evidenti ragioni storiche, l’azione francese ha, da sempre, interessato principalmente gli ex territori coloniali dell’Africa subsahariana francofona, senza però dimenticare Haiti, altro partner privilegiato degli aiuti allo sviluppo. Recentemente, la politica estera ha conosciuto un periodo di grande apertura con un allargamento degli interessi e dei progetti ad altre aree geografiche. Questo nuovo atteggiamento ha permesso la costituzione di una Zona di solidarietà prioritaria (Zone de solidarité prioritaire – ZSP). La partecipazione dei diversi paesi a quest’area protetta è condizionata dalle decisioni del Comitato interministeriale per la cooperazione internazionale e lo sviluppo (CICID). La Zona di solidarietà prioritaria è coperta da un omonimo fondo, il FSP (Fonds de solidarité prioritaire), la versione aggiornata dell’ormai storico FAC (Fonds d’aide et de coopération). Il FSP finanzia dei progetti nazionali o internazionali, interessati a tematiche condivise da un insieme di paesi. Al suo interno, una linea di finanziamento prende il nome di FSD (Fonds social de développement) ed interessa dei progetti iniziati per due terzi dalla CONTESTI INTERNAZIONALI
società civile e per un terzo dagli Stati. Si tratta di un fondo “debole”, gestito a livello locale dai servizi della cooperazione e dell’azione culturale, in grado di rispondere in modo pertinente alle realtà locali e ad eventuali nuovi partner. I beneficiari partecipano al fondo sociale contribuendo con almeno il 30% del totale del finanziamento. Il sistema del fondo debole è stato adottato per numerosi progetti finanziati e sostenuti dalla cooperazione francese. Con questa logica, nel 1987, il FAC ha lanciato un progetto finalizzato all’integrazione delle donne nello sviluppo (intégration des femmes dans le donne e sviluppo sostenibile développement), promovendo delle azioni di sostegno alla partecipazione femminile in alcuni paesi africani (Mauritania, Niger, Camerun, Mali, Senegal, …) nell’ambito dell’accesso al credito, della gestione dei terroirs, dell’educazione, della salute, ecc.. Parallelamente, è stata condotta una riflessione per integrare la problematica “donne e sviluppo” in tutti i progetti settoriali che ha portato alla definizione di un “programme mobilisateur femmes et développement” avente come obiettivo l’accompagnamento delle donne francofone dell’Africa nella loro preparazione alla conferenza di Pechino del 199514. Un particolare sostegno scientifico e tecnico è stato dato agli incontri regionali che dovevano preparare la conferenza mondiale sopra nominata, come l’incontro di Nouakchott nel giugno del 1994 in cui le africane hanno lavorato per trovare un consenso sulle loro priorità di sviluppo. Nel 1997, la valutazione del programma “donne e sviluppo”, nonché l’analisi dell’aiuto francese realizzate dal DAC (Development Assistance Committee) dell’OECD, hanno facilitato l’adozione di un programma dal titolo “Mise en oeuvre du programme d’actions de Pékin (genre). Promotion du droit des femmes» avviato nel 1999. Per rendere chiaro il quadro all’interno del quale si muovono politiche ed azioni di questo programma, ne esplicitiamo i principali obiettivi. L’appoggio alla partecipazione delle donne dell’Africa francofona nei dibattitti internazionali; l’elaborazione dei rapporti nazionali dei gender budgetin15 (bilan des actions dans le domaine du genre); messa in rete, restituzione locale dei risultati delle grandi conferenze in vista della loro integrazione nelle politiche pubbliche; il rinforzo delle capacità dei ricercatori e degli operatori dello sviluppo dei paesi partner attraverso l’appoggio alle istituzioni di ricerca; aiuto alla formazione degli statisti ed economisti di genere; valorizzazione della produzione scientifica francofona attraverso l’organizzazione di seminari internazionali e l’identificazione dei bisogni con la ricerca-azione; il sostegno di una cooperazione Sud-Sud nell’ambito delle questioni di genere e appoggio alla società civile. Ma quali sono gli attori che agiscono per la realizzazione di questi obiettivi? Parigi è il centro geografico di riferimento, luogo di elaborazione dei programmi-quadro. La 13 fascicolo quarto
14 Direction générale de la coopération internationale et du développement (DGCID) segue, a livello dell’amministrazione centrale, tutti quei programmi che includono le problematiche di genere, mentre, a livello decentrato, sono i Servizi di cooperazione e di azione culturale (SCAC) di ogni ambasciata francese i principali interlocutori di quanti (poteri pubblici, collettività territoriali, ONG, ecc.) volessero implementare questi programmi. La DGCID contribuisce, attraverso il suo pensiero e le sue competenze in azione, alla formazione del concetto di gender mainstreaming che presuppone l’adozione della problematica di genere nel sistema della cooperazione internazionale. In questo momento, i cantieri aperti sono molteplici e lasciano spazio alla costruzione di pensieri ed azioni nuove capaci di incrociare i linguaggi delle conferenze delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, sulla popolazione e lo sviluppo sociale con i temi emersi a Pechino. A titolo d’esempio, ne elenchiamo alcuni, senza la pretesa, in queste brevi righe di esaurirne la descrizione. Un programma di scolarizzazione per ragazze, condotto dall’UNICEF, al quale partecipano sette paesi (“Initiative France- UNICEF”). Un programma sulla riproduzione, in corso in Costa d’Avorio e in Madagascar con il contributo del FNUAP/UNFPA (Fonds des Nations Unies pour les activités en matière de population/United Nation Found for Population Activities). Dei progetti realizzati dall’UNIFEM/UNDFW (Fonds de développement des Nations unies pour les femmes/United Nation Development Found for Women) in Africa; altri progetti sono in corso di elaborazione per la regione Maghreb-Machrek con il contributo volontario della Francia. La Commissione Economica per l’Africa (ECA/CEA) ha realizzato un sito internet sulle donne con l’aiuto del Ministero degli Affari Esteri. La protezione sociale delle donne costituisce il tema principale dell’accordo di collaborazione firmato, nel 1999, con l’ILO (International Labour Organisation). Prima di concludere, portiamo due esempi di come la cooperazione francese attualizzi il discorso di genere con un caso africano (Benin) e uno latino-americano (Colombia) in cui l’emancipazione economica della donna è vista come una componente essenziale per sfuggire alla povertà. Siamo a metà degli anni ’90, un periodo segnato dai processi di decentramento e democratizzazione in corso in molti paesi del Sud, vincoli imposti dalle grandi Agenzie internazionali e condizioni preliminari da raggiungere per l’ottenimento degli aiuti. Il programma “Système décentralisé de financement dans des quartiers défavorisés de Cotonou au Bénin” lanciato nel 1995, ha permesso di sostenere delle famiglie povere attraverso l’accesso al credito, presupposto per l’aumento dei redditi familiari e per la diversificazione delle filiere. Appoggiate dalla cooperazione francese, in collaborazione con l’ONG CONTESTI INTERNAZIONALI
“Initiative Développement”, le donne di Cotonou, molto spesso capi di famiglie numerose, associandosi, hanno potuto beneficiare di prestiti per le loro attività produttive e commerciali. Oltre a costituire delle associazioni di solidarietà femminile, l’attività delle donne ha contribuito all’apertura di Cooperative di risparmio e di credito (Coopératives d’épargne et de crédit - COOPEC) che concorrono al raggiungimento della sicurezza alimentare e al miglioramento della qualità della vita. Allo stesso modo, le donne hanno creato delle “tontines”16 in ambito sanitario ed educativo in molti casi donne e sviluppo sostenibile accompagnate dal sostegno dei poteri pubblici. L’altro progetto riguarda un centro di ascolto ed appoggio alle donne capi-famiglia di Medellin in Colombia, uno spazio di comunicazione collettiva avviato da ENDA-America con un finanziamento della Missione di cooperazione non governativa del Ministero degli Affari Esteri. L’idea è nato dalle donne del quartiere povero “Las independencias” come luogo di ascolto dei problemi di violenza familiare e civile, di riflessione comunitaria e di azione. Il centro d’ascolto è oggi in via di autonomizzazione e gode del riconoscimento locale. Non è un’enclave all’interno del sistema sociale, ma uno strumento aperto all’ambiente circostante: le donne, al di fuori del centro, svolgono le loro attività nei ristoranti popolari o nei giardini d’infanzia testimoniando il grande dinamismo che le lega alla loro comunità di appartenenza. LA COOPERAZIONE SVEDESE 1.2.4 Nel 2003, il Riksdag ha adottato il Government Bill per la cooperazione internazionale allo sviluppo: “Sweden Policy for Global Development”, un documento nel quale il governo svedese enuncia le responsabilità collettive in materia di sviluppo. Le politiche di assistenza allo sviluppo sono considerate parte integrante di tutte le attività governative, rette dal comune obiettivo di contribuire ad uno sviluppo globale equo e sostenibile17. Il documento affonda le sue radici nella convinzione che le persone sono “attori con la voglia di sviluppo; né recipienti, né vittime”. Principi fondamentali sono la democrazia, l’uguaglianza di genere e i diritti del bambino. Nell’elaborazione dei temi che compongono le politiche di sviluppo primeggia l’uguaglianza di genere. L’obiettivo non è un’esclusiva della cooperazione internazionale, ma rappresenta un impegno collettivo per tutti i settori della società sui quali ricade la responsabilità dell’analisi, del controllo e dell’implementazione del concetto di uguaglianza tra donne ed uomini nelle rispettive sfere d’influenza. Nell’ambito della cooperazione, seconda la SIDA (Swedish International Development Authority), le questioni di genere sono sempre state centrali 15 fascicolo quarto
16 nell’elaborazione di politiche ed azioni d’intervento in cui la Svezia ha svolto un ruolo di leader nell’adozione del concetto di gender equality nell’agenda di tutte le principali conferenze delle Nazioni Unite, tra cui quella di Pechino nel 1995. Nel 1996, il Parlamento svedese dichiarò che l’uguaglianza di genere doveva diventare un obiettivo della cooperazione internazionale e, in particolare, permeare i rapporti con i paesi dell’Europa centrale e dell’est. A seguito dell’uscita delle linee-guida sull’uguaglianza di genere del DAC (Development Assistance Committee dell’OECD) nel 1997, il Ministero degli Affari Esteri ha pubblicato, nel 1998, un manuale “Gender Equality between Women and Men in Development Cooperation” con lo scopo di mostrare ciò che la Svezia stava facendo nell’ambito delle politiche di genere nella cooperazione allo sviluppo. Oltre ad essere un obiettivo in sé, l’uguaglianza di genere rappresenta uno strumento per rendere maggiormente efficace l’intervento di cooperazione. Il problema di partenza di ogni azione di assistenza allo sviluppo è la povertà, la fragilità della democrazia, la mancanza di investimento e spesso la violenza diffusa. Le donne sono la maggioranza dei poveri, non partecipano ai processi democratici e sono le vittime di favore della violenza. Queste situazioni trovano, chiaramente, declinazioni diverse a seconda dei fattori storici, sociali, culturali ed economici del paese al quale ci si riferisce. Ogni azione quindi deve svolgersi nella consapevolezza della diversità. Per questa ragione, la SIDA ha elaborato dei Country Gender Profiles18, uno per ogni paese-partner per analizzarne la situazione delle donne. Nel 1997, ha presentato un Action Programme for Equality nell’assistenza allo sviluppo per un periodo di cinque anni (1997-2001). La realizzazione del programma d’azione è condizionata all’esercizio della responsabilità da parte dei paesi destinatari, ma anche ad un rapporto di lavoro collettivo e collaborativo con la SIDA e la comunità civile. Sono stati selezionati cinque paesi sui quali focalizzare l’implementazione del programma e delle azioni di sviluppo dell’uguaglianza di genere: India, Tanzania, Namibia, Nicaragua ed Estonia. A titolo d’esempio, in Nicaragua, il programma è mirato a contrastare la violenza contro le donne. Gruppi di avvocati, poliziotti, lavoratori di diverse categorie, assistenti sociali, ecc. hanno ricevuto una formazione per riconoscere, prevenire ed occuparsi del problema della violenza sulle donne. Alcune stazioni di polizia sono state dotate di personale femminile in modo tale da facilitare il contatto e il dialogo con le donne vittime di violenza o stupro, mentre squadre di uomini sono impegnate nel tentativo di combattere questo fenomeno. In Namibia, invece, la SIDA sta accompagnando il paese nell’elaborazione di un’analisi dell’uguaglianza di genere nel budget nazionale (gender budgeting), un intervento che ha suscitato grande interesse, anche in Sudafrica. CONTESTI INTERNAZIONALI
LA COOPERAZIONE DANESE 1.2.5 “L’uguaglianza di genere tra uomini e donne non è né un abbellimento sociale né culturale, bensì una necessità economica, politica e democratica”. Così inizia il “Gender Equality in Danish Development Cooperation”, pubblicato da DANIDA (Danish International Development Agency) e dal Ministero degli Affari Esteri danese nel 200419. L’uguaglianza di genere è stata descritta dal governo come donne e sviluppo sostenibile una strategia in grado di massimizzare l’impatto dell’assistenza allo sviluppo sulla riduzione della povertà. Essa rappresenta la questione trasversale a tutte le priorità dello sviluppo: diritti umani, democratizzazione e buona governance, stabilità sicurezza e lotta al terrorismo, ambiente, sviluppo economico e sociale. Al centro delle politiche per lo sviluppo trova spazio la visione di una società capace di generare la dignità umana e la libertà dell’individuo, soggetto di responsabilità. La promozione dell’uguaglianza di genere è, quindi, un obbligo nazionale da rispettare attraverso la realizzazione strategica dell’uguaglianza di fronte alla legge, dell’uguaglianza nelle opportunità (di lavoro, di accesso al capitale o ad altre risorse produttive) e dell’uguaglianza in termini di influenzamento politico ed economico. Metodologicamente, due sono le risorse strategiche messe in azione: la gender mainstreaming che prende in considerazione nella creazione, implementazione, monitoraggio e valutazione delle politiche desideri, bisogni ed esperienze sia delle donne che degli uomini; e specifici interventi mirati a creare cambiamenti strutturali nelle istituzioni, nelle politiche, nelle legislazioni e nell’allocazione delle risorse per promuovere l’uguaglianza di genere tenuto conto dei bisogni e delle priorità dei singoli paesi-partner. Esempi di interenti specifici possono essere: l’assistenza per l’eliminazione delle discriminazioni, della violenza contro le donne in contesti di pace e di guerra, le mutilazioni genitali femminili, i diritti sessuali e riproduttivi, il traffico delle donne, ecc.; l’assistenza per lo sviluppo di statistiche disaggregate di genere e per il planning finanziario; l’assistenza per ratificare, implementare e rinforzare la legislazione relativa all’eredità e ai diritti di proprietà nel rispetto dei diritti umani; l’assistenza per incrementare il potere di accesso e di influenzamento delle donne nelle politiche locali e nazionali; l’assistenza per incrementare la consapevolezza dell’importanza dell’uguaglianza di genere e dell’educazione. L’assistenza danese si propone, quindi, di fornire un supporto al processo di sviluppo dell’uguaglianza di genere e alla creazione di politiche tenendo conto dei documenti internazionali (la CEDAW, la Conferenza di Pechino, i Millenium Development Goals) nell’apertura 17 fascicolo quarto
18 al dialogo con i governi e le istituzioni locali. In Uganda, per esempio, la cooperazione danese collabora con il governo di Kampala, la Banca Mondiale e altri finanziatori e le rappresentanze della società civile per incorporare l’uguaglianza di genere nell’analisi della povertà nazionale e nelle strategie di riduzione della povertà. Tre sono le tematiche sulle quali la cooperazione allo sviluppo danese si è concentrata per realizzare l’obiettivo dell’uguaglianza di genere: la violenza contro le donne; i diritti sessuali e riproduttivi in relazione alla salute, HIV e AIDS; l’accesso alle risorse attraverso la gender mainstreaming nelle strategie di riduzione della povertà. Nel 2002, il Benin, il Mozambico, il Ghana, la Tanzania e la Bolivia hanno beneficiato di fondi provenienti da un’allocazione speciale di 70 milioni di corone danesi20 stanziate per lo sviluppo di metodologie finalizzate alla riduzione della povertà e all’uguaglianza di genere. Questi fondi sono stati utilizzati per supportare le strategie nazionali di riduzione della povertà, per migliorare i diritti umani delle donne, per combattere la violenza contro le donne; per assicurare il diritto delle donne a possedere ed ereditare la terra; per potenziare l’accesso ai servizi sanitari ed educativi; per facilitare l’accesso al microcredito, alla piccola impresa e al commercio. L’apertura al dialogo, che caratterizza il lavoro della cooperazione internazionale danese, ha contribuito all’introduzione del discorso sull’uguaglianza di genere nel mondo arabo attraverso la Danish Government’s Arab Initiative e nel NEPAD (New Partnership for African Development), un piano d’azione voluto dai governi africani per l’Africa, adottato nel 200121. Nel caso del mondo arabo, il mancato empowerment delle donne, l’ineguaglianza nei diritti e il basso livello di istruzione ed educazione delle donne sono considerati delle barriere allo sviluppo della regione. Il NEPAD, invece, è stato criticato per non aver incluso la società civile e per non aver dato sufficiente peso all’uguaglianza di genere nell’elaborazione degli obiettivi, delle strategie e delle risorse dello sviluppo. La cooperazione danese è impegnata nel dare risposte positive a queste mancanze. LA COOPERAZIONE NORVEGESE 1.2.6 “A changing world. Main elements of Norwegian policy towards developing countries” – “Un mondo in cambiamento”. Principali elementi della politica norvegese verso i paesi in via di sviluppo” è il titolo evocativo del Rapporto n. 19 del Governo norvegese (Storting) del 1995-1996. Il Rapporto si basa sul progressivo riconoscimento della necessità di rafforzare la posizione delle donne e di promuovere un’equa distribuzione dei diritti e delle opportunità CONTESTI INTERNAZIONALI
per donne e uomini. Il perseguimento di uno sviluppo sostenibile deve necessariamente essere accompagnato dalla piena partecipazione delle donne in tutti i momenti del processo favorendo la condivisione dei benefici raggiunti. Uno dei primi obiettivi della cooperazione allo sviluppo norvegese, contenuto nel Rapporto n. 19, è il rafforzamento della posizione delle donne e la promozione dell’uguaglianza di genere. Questo obiettivo ha condotto la cooperazione ad integrarne valori e strategie intensificando, nelle attività di assistenza ai paesi in via di sviluppo, l’impegno per il suo raggiungimento. L’interesse donne e sviluppo sostenibile per le questioni di genere emerge negli anni ’70. Nel Rapporto n. 94 del 1974-1975, relativo alle relazioni economiche con i paesi in via di sviluppo, l’enfasi posta sulla necessità dell’integrazione delle donne nella cooperazione faceva parte della retorica del linguaggio politico. Tra il 1984 e il 1985, la Norvegia, attraverso il Ministero per la Cooperazione allo Sviluppo, elaborò un piano di aiuto per le donne diventando uno dei primi paesi al mondo ad aver applicato tale strategia. All’inizio degli anni ’90, nel Rapporto n. 51 del 1991- 1992 sulle tendenze delle relazioni Nord-Sud e della cooperazione norvegese nei PVS, si ritrova una particolare attenzione per “donne e sviluppo” (Women and Development). La promozione dell’uguaglianza dei diritti e delle opportunità per donne e uomini in tutti gli ambiti della società è uno dei percorsi da intraprendere per portare a compimento l’obiettivo di migliorare le condizioni economiche, sociali e politiche dei PVS nel quadro dello sviluppo sostenibile. La ferma convinzione che non basti realizzare dei progetti mirati per le donne per raggiungere l’uguaglianza di genere, ha spinto la cooperazione norvegese a puntare sull’introduzione di una filosofia di intervento capace di integrare la parità dei diritti e delle opportunità nell’operato della cooperazione più che investire in specifici progetti. Chiaramente non si tratta di cambiare le attitudini e i comportamenti individuali delle donne e degli uomini, ma intraprendere un processo collettivo di trasformazione creativa in cui entrambe, donne e uomini, partecipano con la loro esperienza e il loro sapere ad un percorso a lungo termine che trova il suo inizio nei bisogni espressi dalla società. “L’uguaglianza di genere è un interesse nazionale, non un semplice diritto delle donne”22. L’affermazione non rappresenta un punto d’arrivo, ma il pensiero generante le politiche e le azioni della cooperazione bilaterale, multilaterale e dell’aiuto umanitario. In sintesi, le missions della cooperazione allo sviluppo norvegese sono: combattere la povertà; contribuire alla promozione della pace, della democrazia e dei diritti umani; promuovere la responsabilità nell’uso e nella gestione dell’ambiente e della biodiversità; contribuire alla prevenzione delle difficoltà ed alleviare i disagi dovuti a conflitti e a calamità naturali; contribuire alla promozione della parità dei 19 fascicolo quarto
20 diritti e delle opportunità per uomini e donne in tutti gli ambiti della società. Relativamente a quest’ultimo obiettivo, la convinzione internazionale che non possa esserci sviluppo né riduzione della povertà senza l’empowerment delle donne e l’uguaglianza di genere si ritrova nelle politiche norvegesi di aiuto allo sviluppo. L’interesse per la questione femminile e l’uguaglianza di genere fanno parte dei criteri-guida delle politiche e dei progetti sostenuti dal Ministero degli Affari Esteri e dalla NORAD (Norwegian Agency for Development Cooperation)23. A livello nazionale, l’uguaglianza di genere è una delle priorità della cooperazione allo sviluppo descritta nel documento del Ministero degli Esteri “Strategy for Women and Gender Equality in Development Cooperation, 1997-2005”. L’importanza di puntare sulle donne e sull’uguaglianza di genere per ridurre la povertà è definita in molti libri bianchi, strategie e piani d’azione tra cui anche il “Norwegian Government’s Action Plan for Combating Poverty in the South towards 2015”. Un interessante intervento della cooperazione in Nicaragua ha realizzato un progetto: “Sexual and Reproductive Health”, per un periodo compreso tra il 2001 e il 2004. Il progetto si propone di contribuire al miglioramento della qualità della vita delle donne attraverso l’incremento delle possibilità di accesso ai servizi sanitari e alle cure in materia di riproduzione e sessualità. Per portare a termine tale missione, la cooperazione ha investito sulla promozione della pianificazione familiare (sessuale e riproduttiva), sul miglioramento quantitativo e qualitativo dell’offerta dei servizi sanitari e sulla promozione del cambiamento nei comportamenti e nell’esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi24. E’ prassi ormai consolidata nella cooperazione bilaterale norvegese di intraprendere un dialogo con le autorità nazionali e le organizzazioni di donne per promuovere l’integrazione di una prospettiva di genere nelle attività di sviluppo. La cooperazione rappresenta, quindi, uno strumento di influenzamento dei processi politici e di controllo per assicurare l’implementazione degli obiettivi di uguaglianza di genere. L’impegno maggiore della cooperazione non è il trasferimento finanziario, ma la costruzione di un itinerario di sviluppo in grado di salvaguardare gli interessi delle donne e di avere degli effetti positivi sulle relazioni di genere. Questo itinerario inizia con un processo di sviluppo delle istituzioni e delle organizzazioni, principali veicoli di cambiamento, ai quali poter affidare il compito di incrementare la responsabilizzazione delle donne nei processi decisionali che riguardano la vita sociale. Proprio il concetto di responsabilizzazione rappresenta il principio- guida fondamentale delle attività di cooperazione. Ciò significa che i paesi-partner sono i primi responsabili della pianificazione, implementazione e valutazione dei programmi nonché del loro successo, mentre la cooperazione svolge un ruolo di incoraggiamento e di sostegno di questa responsabilità. CONTESTI INTERNAZIONALI
LA COOPERAZIONE BILATERALE DI STATI UNITI E CANADA 1.3 Stati Uniti e Canada rappresentano due giganti della cooperazione allo sviluppo internazionale. Le due Agenzie governative, USAID (U.S. Agency for Interantional Development) e ACDI (Agence Canadienne de Développement International) sono il nucleo produttivo di idee e programmi capaci di influenzare non solo le politiche di cooperazione donne e sviluppo sostenibile dei due paesi, ma la mainstreaming internazionale. LA COOPERAZIONE CANADESE 1.3.1 L’avanguardia canadese in materia di parità tra donne e uomini gioca sicuramente a favore di un paese che ha fatto dell’uguaglianza di genere il suo cavallo di battaglia, sia nelle politiche interne che nei rapporti internazionali. Le prime linee-guida risalgono al 1976 e già nel 1984, il Canada vantava una politica innovativa sull’integrazione della donna nello sviluppo a cui è seguita, nel 1986, l’elaborazione di un piano quinquennale. Nel 1994 viene creata, all’interno della Direzione generale delle politiche, una Direzione dell’integrazione della donna nello sviluppo e dell’uguaglianza dei sessi. Nel 1995, esce “Politique de l’ACDI en matière d’intégration de la femme au développement e de l’égalité des sexes” in linea con la politica governativa in materia di diritti della persona, di democratizzazione e di buona governance che riconosce l’importanza dei diritti fondamentali della donna. La politica dell’ACDI (Agence Canadienne de Développement International)25 afferma la fondamentale importanza di continuare a rinforzare il potere delle donne. “Rinforzare il potere degli individui significa permettere alle donne e agli uomini di farsi carico della loro vita in modo tale che possano definire i loro obiettivi, acquisire le competenze di cui hanno bisogno, avere fiducia in se stessi, gestire i loro problemi ed imparare a diventare autonomi”26. In quello stesso anno, il 1995, che è anche quello della Conferenza di Pechino, il governo canadese, nel suo documento di politica estera “Le Canada dans le monde/Canada in the World”, ha sottolineato il suo impegno per lo sviluppo sostenibile e la riduzione della povertà attraverso la piena partecipazione delle donne come partner nell’uguaglianza allo sviluppo sostenibile delle loro società. Il concetto di uguaglianza di genere permea tutti i settori della politica, i programmi e i progetti. Esso è al centro della missione dell’ACDI che si fa promotrice di tre grandi obiettivi: far avanzare la partecipazione delle donne allo sviluppo sostenibile in qualità di decisori su un piano di uguaglianza 21 fascicolo quarto
22 con gli uomini; appoggiare le donne e le ragazze nel pieno esercizio dei loro diritti fondamentali; ridurre le ineguaglianze tra donne e uomini nell’accesso e nel controllo delle risorse e dei benefici dello sviluppo. Il raggiungimento dell’uguaglianza dei sessi presuppone la creazione di una partnership tra donne e uomini. La partecipazione di entrambe è necessaria al processo di cambiamento nei comportamenti, nei ruoli e nelle responsabilità: elemento costitutivo di un nuovo campo in cui le possibilità di scelta diventano molteplici. Secondo l’ACDI, l’avviamento del processo di cambiamento passa attraverso il “riconoscimento del fatto che i progetti di sviluppo sono realizzati all’interno di contesti sociali, culturali, economici, ambientali, istituzionali e politici propri di una collettività, di un paese, di una regione”27. La dimensione locale costituisce la base di partenza di ogni conoscenza finalizzata all’analisi comparativa tra i sessi28. Nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, l’ACDI appoggia le popolazioni dei paesi-partner non solo attraverso progetti o programmi, ma attraverso il dialogo sulle politiche e lo scambio di idee ed informazioni al fine di conseguire una conoscenza sulla natura e l’intensità delle disuguaglianze di genere. Nei quadri di programmazione, l’uguaglianza tra i sessi è considerata una questione trasversale da integrare in ogni ambito di intervento, come pure nei programmi d’aiuto dove le riforme economiche e settoriali tengono conto delle importanti ripercussioni che i cambiamenti economici possono avere sulla vita delle donne e degli uomini. Questi cambiamenti passano attraverso il rafforzamento delle competenze istituzionali, la promozione di un’immagine positiva delle donne e della loro partecipazione nei processi decisionali. In questo senso, i progetti e programmi bilaterali offrono numerose occasioni per promuovere l’uguaglianza di genere. Essi presuppongono la realizzazione di un’analisi comparativa tra i sessi i cui risultati dovrebbero costituire la loro base di partenza, la partecipazione del locale e in particolare delle donne nella programmazione ed implementazione, la valutazione delle ripercussioni sull’uguaglianza di genere e delle sue possibilità, l’identificazione delle capacità dei governi-partner e della società civile di realizzare dei programmi che favoriscano la parità e definire dei contratti o dei mandati per definire ruoli, responsabilità e obiettivi di ogni attore. LA COOPERAZIONE STATUNITENSE 1.3.2 “Women in Development” è un tema trasversale (cross-cutting) nella cooperazione internazionale praticata dagli Stati Uniti, che intende contribuire a rendere le donne attori chiave dello sviluppo economico, CONTESTI INTERNAZIONALI
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