I trasferimenti Dublino verso l'Italia dopo il decreto sicurezza: tra "carenze sistemiche" e "previe garanzie individuali"

Pagina creata da Sara Bosio
 
CONTINUA A LEGGERE
ISSN 1826-3534

                    FOCUS HUMAN RIGHTS
                     28 DICEMBRE 2020

  I trasferimenti Dublino verso l’Italia
 dopo il decreto sicurezza: tra “carenze
      sistemiche” e “previe garanzie
               individuali”

                            di Dario Reginelli
Dottorando di ricerca in “Diritto e Istituzioni economico-sociali: profili normativi,
                         organizzativi e storico-evolutivi”
                  Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
I trasferimenti Dublino verso l’Italia dopo il
     decreto sicurezza: tra “carenze sistemiche” e
             “previe garanzie individuali”*
                                                di Dario Reginelli
     Dottorando di ricerca in “Diritto e Istituzioni economico-sociali: profili normativi,
                              organizzativi e storico-evolutivi”
                       Università degli Studi di Napoli “Parthenope”

Abstract [It]: Una sentenza del TAF svizzero del dicembre 2019 offre l’occasione per riflettere sullo “stato
dell’arte” dei trasferimenti Dublino e sulla sfiducia di molti giudici stranieri nei confronti della capacità italiana di
accogliere i migranti. La necessità di “previe garanzie individuali” lascia intendere che al deterioramento del sistema
italiano d’accoglienza dopo il decreto sicurezza si dovrà porre rimedio anche per riabilitare l’immagine dell’Italia in
Europa.

Abstract [En]: A December 2019 decision by the Swiss TAF provides the opportunity to reflect upon the current
state of Dublin transfers and upon the fact that many foreign judges mistrust the Italian capacity to welcome
migrants. The need of “prior individual guarantees” means that a remedy must be found for the deterioration of
Italian reception system after the decreto sicurezza, as well as to fix the image of Italy in Europe.

Sommario: 1. Cenni introduttivi. 2. Il “sistema Dublino” alla prova del principio di solidarietà tra gli Stati membri
dell’Unione europea. 3. I trasferimenti Dublino all’attenzione delle Corti sovranazionali. 3.1. La giurisprudenza
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. 3.2. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea. 4.
I trasferimenti Dublino verso l’Italia nella prospettiva delle giurisdizioni di altri Paesi del “sistema Dublino”. 5.
Una recente sentenza del Tribunale Amministrativo Federale svizzero. 5.1. Le argomentazioni del TAF: l’obbligo
di rassicurazioni specifiche. 6. Il sistema italiano di accoglienza dopo il decreto sicurezza: criticità e necessità di
riforma. 7. Considerazioni conclusive.

1. Cenni introduttivi
Sin dalla sua emanazione il Regolamento “Dublino III” ha stimolato un vivace dibattito nella dottrina
europeistica dentro e fuori il Vecchio Continente1. Tuttavia, risulta ancora oggi poco approfondito il
problema della “crisi di fiducia” che l’Italia sta sperimentando in quanto Paese ricevente dei c.d.

* Articolo sottoposto a referaggio.
1 Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i
meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide. Sul “Regolamento Dublino III”
cfr. ex multis C. FAVILLI, L’Unione che protegge e l’Unione che respinge. Progressi, contraddizioni e paradossi del sistema europeo di
asilo, in Questione Giustizia, n.2/2018, pp. 28 e ss., disponibile su http://questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2018-
2_04.pdf; A.B. ARMSTRONG, You Shall Not Pass! How the Dublin System Fueled Fortress Europe, in Chicago Journal of
International Law, Vol. 20, No. 2, Article 13, disponibile su https://chicagounbound.uchicago.edu/cjil/vol20/iss2/13; L.
MAANI, Refugees in the European Union: The Harsh Reality of the Dublin Regulation, in Notre Dame Journal of International &
Comparative Law, Vol. 8, Iss. 2, Article 7, 2018, disponibile su https://scholarship.law.nd.edu/ndjicl/vol8/iss2/7.

48                                                  federalismi.it - ISSN 1826-3534                                    |n. 35/2020
trasferimenti Dublino dinanzi alle giurisdizioni sovranazionali europee e alle giurisdizioni interne degli
altri Stati membri. L’occasione per una riflessione relativa a tale profilo è offerta da una sentenza del
Tribunale Amministrativo Federale della Svizzera avente ad oggetto il trasferimento di una richiedente
asilo in Italia dopo la riforma introdotta dal c.d. decreto sicurezza (d.l. n. 113/2018)2.
La trattazione prenderà le mosse dalla mancata attuazione del principio di solidarietà tra gli Stati membri
nel settore dell’asilo, per concentrarsi sulle più rilevanti pronunce della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo e della Corte di Giustizia dell’Unione europea sui trasferimenti Dublino (in particolar modo
verso l’Italia). Saranno analizzate poi alcune sentenze di giudici nazionali (ordinari e amministrativi) di
alcuni Paesi membri del “sistema Dublino”, i quali hanno formulato valutazioni piuttosto tranchant sul
sistema italiano di accoglienza.
Ne emergerà un quadro composito in cui, mancando un vero sistema comune in materia di asilo e
un’omogenea tutela dei diritti dei richiedenti asilo in tutti gli Stati membri3, nell’esecuzione dei
trasferimenti Dublino non si potrà prescindere da un approccio caso per caso e dalla necessità di
preventive garanzie individuali rese dallo Stato di destinazione.

2. Il “sistema Dublino” alla prova del principio di solidarietà tra gli Stati membri dell’Unione
europea
Il Regolamento “Dublino III” vincola tutti i Paesi membri dell’Unione europea, ad eccezione della
Danimarca, e, attraverso specifici accordi, anche i Paesi membri dell’Associazione europea di libero
scambio (Norvegia, Svizzera4, Islanda e Liechtenstein). Esso si pone come pietra miliare dell’attuale

2 Secondo C. CORSI, Il diritto di asilo tra impasse, inasprimenti della disciplina e prossime riforme, Focus Human Rights del 27
luglio 2020, in federalismi.it, il decreto sicurezza “già solo nel titolo ha ribadito quella forviante vulgata che accosta il tema
della condizione giuridica dello straniero con le questioni connesse alla sicurezza pubblica”.
3 Tale constatazione è stata più volte ripetuta in dottrina. Ad esempio, riferendosi all’armonizzazione europea nel settore

dell’asilo, C. FAVILLI, Il diritto dell’Unione europea e il fenomeno migratorio, in M. GIOVANNETTI - N. ZORZELLA (a
cura di), Ius migrandi. Trent’anni di politiche e legislazione sull’immigrazione in Italia, Milano, 2020, pp. 55-80, ha parlato di
“chimera”: “A dispetto dell’autoqualificazione del sistema europeo di asilo come comune, tutt’oggi esistono notevoli
differenze nei sistemi di asilo nazionali e l’armonizzazione rimane una chimera” (p. 76). In relazione alla legislazione
europea in materia A.L. VALVO, Nota alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, Tarakhel c. Svizzera, n. 29217 del 4
novembre 2014, in KorEuropa, n. 6, disponibile su https://unikore.it/media/k2/attachments/VALVO_Anna-1.pdf, ha
individuato una vera e propria “schizofrenia”: “la normativa europea in materia di asilo (oltre che di immigrazione più
in generale), è caratterizzata da una intrinseca contraddittorietà che si apparenta più con un sistema schizofrenico che
con un sistema che si autodefinisce garante dei diritti e delle libertà fondamentali della persona umana”.
4 Alla Svizzera, su cui ci si soffermerà più diffusamente infra nel par. 5, il Regolamento “Dublino III” si applica in virtù

di un accordo entrato in vigore il 1° marzo 2008 e concretamente applicato dal 12 dicembre 2008. Il relativo testo è
disponibile su https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/20042082/200803010000/0.142.392.68.pdf.

49                                                federalismi.it - ISSN 1826-3534                                  |n. 35/2020
Sistema Europeo Comune di Asilo (SECA), che è stato avviato nel 1999 ma è ormai sempre più oggetto
di critiche e, come si approfondirà in seguito, di continui tentativi di riforma5.
Nonostante le affermazioni di principio contenute negli articoli 67 e 80 TFUE, nel settore dell’asilo,
dell’immigrazione e del controllo delle frontiere esterne l’Unione europea è ben lontana dall’attuare
proficuamente il principio di solidarietà tra gli Stati membri6. Peraltro, com’è stato efficacemente
affermato in dottrina, la stessa ratio del Regolamento “Dublino III” è quella di contrastare il fenomeno
dell’asylum shopping, cioè la tendenza del richiedente a scegliersi lo Stato in cui formulare la propria
domanda di protezione internazionale, e di individuare almeno uno Stato membro competente all’esame
della stessa. In altre parole, il meccanismo concepito a Dublino non è finalizzato né a distribuire
equamente le responsabilità tra i Paesi membri né a valorizzare la volontà dei richiedenti ma soltanto a
garantire un rapido accesso alle procedure di qualificazione degli status. Ne deriva un impianto che
contraddice il principio di solidarietà, facendo gravare le maggiori responsabilità sugli Stati frontalieri7.

5 Per un’analisi del SECA, dei suoi limiti e dei tentativi per riformarlo cfr. C. FRATEA, Obblighi di solidarietà ed effettività
della tutela dei migranti: quale spazio per un ripensamento del sistema Dublino?, in Temi e questioni di diritto dell’Unione europea. Scritti
offerti a Claudia Morviducci, Bari, 2019, pp. 703-716, disponibile su https://www.aisdue.eu/p2s2_04-fratea/; L. RIZZA,
La riforma del sistema Dublino: laboratorio per esperimenti di solidarietà, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n.1/2018, disponibile
su        https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-1-2018-1/191-la-riforma-del-sistema-
dublino-laboratorio-per-esperimenti-di-solidarieta; C. DI STASIO, La crisi del 'Sistema Europeo Comune di Asilo' (SECA) fra
inefficienze del sistema Dublino e vacuità del principio di solidarietà, in Il Diritto dell’Unione europea, n.2/2017, p. 209 e ss., disponibile
su http://www.dirittounioneeuropea.eu/crisi-sistema-europeo-sistema-dublino-principio-solidarieta; F. MAIANI, The
reform of the Dublin system and the dystopia of ‘sharing people’, in Maastricht Journal of European and Comparative Law 2017, Vol.
24, Issue 5, 2017, pp. 622–645, disponibile su https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/1023263X17742815; M.
DEN HEIJER - J. RIJPMA - T. SPIJKERBOER, Coercion, prohibition and great expectations: the continuing failure of the Common
European Asylum System, in Common Market Law Review 53 (2016), pp. 607-642, 2016, disponibile su
https://www.statewatch.org/news/2016/sep/ceas-den-heijer-rijpma-spijkerboer-CMLR-def.pdf.
6 Sul principio di solidarietà nel diritto dell’Unione europea in generale cfr. P. HILPOLD, Understanding Solidarity within

EU Law: An Analysis of the 'Islands of Solidarity' with Particular Regard to Monetary Union, in Yearbook of European Law, Vol.
34, n.1/2015, pp. 257-285. Sul principio di solidarietà in relazione a situazioni emergenziali cfr. M.L. TUFANO - S.
PUGLIESE, L’intervento dell’UE in risposta alle emergenze: trade-off tra stabilità finanziaria e solidarietà?, in G. CAGGIANO (a
cura di), Integrazione europea e sovranazionalità, Bari, 2018, pp. 221-237. Infine, sul principio di solidarietà con particolare
riferimento alla materia migratoria cfr. G. MORGESE, La solidarietà tra gli Stati membri dell’Unione europea in materia di
immigrazione e asilo, Bari, 2018 e VILLANI Ugo, Immigrazione e principio di solidarietà, in Freedom, Security & Justice: European
Legal Studies, n.3/2017, pp. 1-4.
7 La riflessione è di C. FRATEA, Obblighi di solidarietà ed effettività della tutela dei migranti, op.cit., pp. 705-706: “Emerge come

questo impianto, che conferma quello alla base della convenzione di Dublino del 1990 e del regolamento Dublino II,
non sia concepito né per garantire una distribuzione sostenibile delle responsabilità tra gli Stati membri, né per
valorizzare la volontà dei richiedenti asilo, quanto piuttosto per garantire l’accesso rapido alle procedure per il
riconoscimento della protezione internazionale attraverso l’individuazione di un unico Stato membro competente,
evitando i c.d. movimenti secondari. Tuttavia, in presenza di acute crisi migratorie, tali regole non solo non hanno
prodotto un contenimento degli spostamenti verso altri paesi membri, ma hanno altresì comportato che le maggiori
responsabilità ricadessero sugli Stati frontalieri. Ciò in quanto il criterio dello Stato di primo ingresso, sebbene
formalmente residuale, è divenuto, anche a causa della difficoltà della prova dei legami familiari, quello di fatto principale,
caricando così gli Stati periferici dell’Unione di oneri sproporzionati rispetto agli altri paesi. Ne è conseguita l’incapacità
dei sistemi di asilo degli Stati coinvolti a far fronte all’alto numero di richieste e a garantire adeguate condizioni di
accoglienza”.

50                                                     federalismi.it - ISSN 1826-3534                                         |n. 35/2020
Più in generale, lo stesso approccio dell’Unione europea al fenomeno migratorio rivela contraddizioni e
iniquità. In dottrina è stato evidenziato come “il Consiglio europeo e la Commissione avevano inaugurato
il nuovo millennio tracciando le linee di sviluppo di entrambe le politiche di asilo e di immigrazione, con
la giusta dose di ambizione e pragmatismo”8, rafforzando il convincimento che il percorso di
armonizzazione delle legislazioni nazionali in questo settore sarebbe stato “sì complesso, ma tuttavia di
certa e progressiva evoluzione”9. Quello slancio purtroppo si è perso durante gli anni, trasformando quel
percorso in un “un labirinto dal quale l’Unione fatica ad uscire e che ne logora energie vitali per la sua
stessa esistenza”10.
Per porre rimedio a queste criticità il 4 maggio 2016 la Commissione europea ha formulato una proposta
di riforma del “sistema Dublino”11, mantenendo gli attuali criteri di determinazione dello Stato membro

8 C. FAVILLI, Il diritto dell’Unione europea e il fenomeno migratorio, op.cit., p. 55. L’Autrice allude al Consiglio europeo di
Tampere             del      15       e        16      ottobre         1999,      le       cui        conclusioni,          disponibili      su
https://www.europarl.europa.eu/summits/tam_it.htm, miravano alla creazione di “un autentico spazio di giustizia
europeo”.
9 C. FAVILLI, Il diritto dell’Unione europea e il fenomeno migratorio, ibidem.
10 C. FAVILLI, Il diritto dell’Unione europea e il fenomeno migratorio, ibidem. Secondo l’Autrice, l’Unione si è dimostrata

inidonea a fronteggiare la crisi migratoria per “l’ontologica inconciliabilità tra uno spazio di libera circolazione e le misure
volte a contrastare i movimenti secondari, soprattutto di chi è stato riconosciuto beneficiario di protezione
internazionale”. In altri termini, l’Unione si è maggiormente concentrata sul controllo delle frontiere esterne e dei dati
delle persone, lasciando alla competenza degli Stati membri le azioni di politica sociale ed economica che devono
necessariamente accompagnarsi alle politiche securitarie. In definitiva, l’Autrice imputa il fallimento dell’azione
dell’Unione in questo settore alla mancata elaborazione di una visione veramente europea del fenomeno, autonoma
rispetto a quella dei governi nazionali: “Non solo, dunque, l’Unione non ha adeguate competenze per governare in modo
adeguato l’immigrazione, ma essa risulta frenata nell’esercizio delle competenze attribuite, con ripetuti strappi anche a
regole procedurali e prerogative delle istituzioni derivanti dai Trattati. La questione centrale non è quanto potere attribuire
all’Unione o agli Stati, bensì accettare che sia l’Unione e non gli Stati a guidare la costruzione di queste politiche, facendo
sì che ogni istituzione possa svolgere il proprio ruolo e rinunciando al perseguimento dell’unanimità dei governi in seno
al Consiglio” (pp. 79-80).
11 Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di

determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in
uno degli Stati membri da un cittadino di paese terzo o da un apolide (rifusione) del 4 maggio 2016.
Per un’approfondita analisi di questa proposta B. MARCHETTI Barbara, Sviluppi recenti nell’amministrazione dell’Unione
europea: integrazione, disintegrazione o rigenerazione?, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, n.2/2018, p. 509 e ss., di cui si
riporta l’interessante considerazione:
“(…) la proposta di regolamento della Commissione del maggio 2016 non sembra intervenire efficacemente, limitandosi ad introdurre semplici
correttivi del sistema. In particolare, tre sono le modifiche proposte dalla Commissione: la prima è volta a contenere i movimenti secondari,
imponendo al richiedente asilo di presentare domanda di protezione internazionale nel Paese di primo ingresso illegale o in caso di legal stay,
nel Paese in cui può risiedere (art. 5 della proposta di regolamento).
La seconda riguarda la stabilizzazione dell'allocazione di responsabilità, e prevede che una volta che uno Stato membro abbia ricevuto la
domanda d'asilo, esso rimanga responsabile per ogni domanda futura presentata dal richiedente a prescindere dal fatto che quest'ultimo abbia
lasciato (o sia stato allontanato) dallo Stato in questione (art. 25).
La terza mira ad introdurre una maggiore condivisione di responsabilità e fissa una soglia del centocinquanta per cento della fair share of
asylum applications (fissata su base proporzionale) dello Stato interessato superata la quale le richieste d'asilo devono essere automaticamente
ricollocate in altri Paesi membri.
La proposta, salvi possibili interventi di modifica del Parlamento, è nel complesso conservatrice: fissando una soglia significativamente alta
per la ricollocazione automatica non perviene ad una revisione dei criteri di responsabilità. Essa inoltre non dedica la necessaria attenzione
alla protezione dei richiedenti asilo (48), per i quali sono anzi previste nuove obbligazioni e sanzioni; per quanto concerne le garanzie, per

51                                                      federalismi.it - ISSN 1826-3534                                         |n. 35/2020
competente ma integrandoli con “un meccanismo correttivo di solidarietà che sarà attivato
automaticamente non appena uno Stato membro si trovi ad affrontare un carico sproporzionato” 12. Il
progetto di riforma è però naufragato a causa di un’impasse istituzionale creatasi dopo la presentazione da
parte del Parlamento europeo di significativi emendamenti13, che erano assai migliorativi rispetto alla
proposta della Commissione sia perché introducevano un sistema di vera ripartizione di tutti i richiedenti
asilo tra gli Stati membri sia perché andavano incontro almeno in parte alle esigenze dei richiedenti asilo14.
Questi emendamenti non hanno trovato accoglimento nel Consiglio, impedendo in tal modo la
conclusione del processo legislativo entro il termine della legislatura 2014-2019.
Il fallimento della riforma Dublino non ha impedito alle Istituzioni europee di fronteggiare le pressioni
migratorie su determinati Paesi attraverso interventi di carattere emergenziale o finanziario, valorizzando
la previsione dell’art. 80 TFUE. Ad esempio, i quattro fondi riconducibili al programma generale SOLID
(Solidarietà e gestione dei flussi migratori) 2007/2013 sono confluiti, per il ciclo settennale di
programmazione 2014/2020, in due soli strumenti finanziari, snellendo così le procedure: il FAMI

esempio, pare insoddisfacente la previsione nell'art. 28 («Remedies») di un termine di soli sette giorni per la contestazione della decisione di
trasferimento in un altro Stato.
Essa soprattutto continua a guardare alle politiche migratorie come ad un settore in cui faticano ad affermarsi logiche unitarie e solidali in
luogo di scelte egoistiche e nazionaliste”.
12 V. pag. 4 della Proposta del 4 maggio 2016.
13 Questi emendamenti sono raccolti nella Relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del

Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una
domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un
apolide        (rifusione)        (COM(2016)0270           –   C8-0173/2016           –       2016/0133(COD),              disponibile       su
https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-8-2017-0345_IT.html. Per una sintesi v. L. RIZZA, La riforma
del sistema Dublino, op.cit., pp. 36-42: “La posizione votata dalla commissione LIBE il 19 ottobre 2017 e poi interamente
approvata dal Parlamento europeo in seduta plenaria è ambiziosa e innovativa, porta il segno di un approccio di rottura
con il passato e mostra in luce una nuova visione del futuro della politica europea in tema di asilo. In attesa del negoziato
con il Consiglio, non ancora iniziato, certamente rappresenta la più significativa proposta di cambiamento avanzata da
una delle istituzioni europee” (pp. 41-42). Il Parlamento europeo voleva valorizzare il criterio del “legame autentico”,
dato da legami familiari, culturali o sociali con uno Stato membro, prevedendosi in tali ipotesi una procedura più snella;
voleva superare il criterio del primo ingresso, consentendo deroghe al trasferimento se c’è un rischio effettivo di grave
violazione dei diritti fondamentali del richiedente nel Paese di destinazione, ciò a prescindere dalle carenze sistemiche;
voleva istituire un sistema di registrazione, verifica di sicurezza all’arrivo e verifica della probabilità dell’esito della
domanda di asilo, con costi coperti dall’Unione; prevedeva che l’inottemperanza al predetto sistema avrebbe impedito
il trasferimento del richiedente dal Paese inadempiente; circoscriveva l’ambito di applicazione delle procedure accelerate
solo ai richiedenti considerati come un pericolo per la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico dello Stato membro
o da questo precedentemente espulsi per i medesimi motivi; consentiva al migrante di poter richiedere l’attivazione della
c.d. “clausola di sovranità”, di poter esprimere la sua preferenza tra quattro Paesi dell’Unione in cui questo poteva essere
trasferito e che in quel momento avevano ricevuto pochi richiedenti, di poter domandare anche l’assegnazione per
gruppi di massimo 30 persone originarie della stessa città o conosciute durante il viaggio; mirava a rafforzare le garanzie
procedurali dei minori durante l’intervista; consentiva il trasferimento nel Paese membro in cui il richiedente asilo avesse
avuto una precedente residenza o in cui avesse conseguito un diploma. Il sistema, che secondo il Parlamento europeo
doveva attuarsi entro un periodo transitorio di tre anni, veniva rafforzato da una sanzione molto significativa: qualora
uno Stato membro si fosse rifiutato di ricevere il trasferimento, allora non avrebbe più potuto beneficiare dei fondi
strutturali europei.
14 L. RIZZA, La riforma del sistema Dublino, op.cit., p. 41: “L’idea del Parlamento europeo è quella di ideare un sistema che

vada incontro alle esigenze dei richiedenti asilo al fine di far sì che gli stessi siano più inclini a rispettarlo”.

52                                                      federalismi.it - ISSN 1826-3534                                         |n. 35/2020
(Fondo asilo, migrazione e integrazione) e il FSI (Fondo sicurezza interna). Tali misure, però, hanno
realizzato solo in parte il principio di solidarietà, tralasciando di affrontare lo spinoso problema dell’iniqua
ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri coinvolti nell’accoglienza dei migranti.
Per porre rimedio a questa distorsione nel 2015 il Consiglio ha emanato due decisioni15 volte alla
ricollocazione in altri Stati membri dei migranti siriani ed eritrei sbarcati in Italia e Grecia, cercando così
di declinare il principio di solidarietà sancito dall’art. 80 TFUE. Tuttavia, la dottrina ha evidenziato che
questo intervento non ha sortito l’effetto sperato. Infatti, pur prevedendo per la prima volta una
redistribuzione fondata su criteri oggettivi (popolazione, PIL, tasso di disoccupazione e numero medio
di domande d’asilo presentate nel periodo 2010-2014), le decisioni del 2015, nel ribadire l’obbligo di
identificazione dei migranti largamente disatteso in passato, hanno di fatto causato un aumento netto dei
richiedenti in Italia e Grecia16.
Peraltro, i Paesi del Gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) hanno
opposto una strenua resistenza alla definizione di quote obbligatorie, impugnando le decisioni del 2015
davanti alla Corte di Giustizia. Tale ricorso in annullamento, presentato in particolare da Slovacchia e
Ungheria, è stato respinto ma la pronuncia dei giudici del Kirchberg17 non è andata esente da critiche. La
Corte si è premurata più di rassicurare gli Stati membri sul fatto che i provvedimenti emanati dal Consiglio
ex art. 78, par. 3, TFUE costituiscono una deroga soltanto provvisoria al “sistema Dublino” che di
affrontare la questione del riconoscimento della solidarietà come valore fondamentale dell’Unione. Nelle
sue conclusioni, invece, l’Avvocato Generale Yves Bot aveva posto “l’accento sull’importanza della

15 V. decisioni (UE) 2015/1523 e 2015/1601. In dottrina sono state evidenziate le particolarità della procedura di
adozione di queste decisioni. Cfr. P. MORI, La decisione sulla ricollocazione delle persone bisognose di protezione internazionale: un
irrituale ricorso al metodo intergovernativo?, in Il Diritto dell’Unione europea, 2015, secondo cui il procedimento seguito avrebbe
aggirato il diritto primario perché sarebbe stato promosso e posto in essere, sul piano intergovernativo, da Stati agenti
non in quanto membri di un’Istituzione dell’Unione, come l’art. 78 TFUE avrebbe richiesto, ma in quanto soggetti
sovrani, nel silenzio sul punto del Capo 2 del Titolo V del TFUE.
16 La considerazione è di C. FRATEA, Obblighi di solidarietà ed effettività della tutela dei migranti, op.cit., p. 710: “Sebbene sia

apprezzabile che per la prima volta si prevedesse una redistribuzione fondata su criteri oggettivi, essendo le quote
nazionali stabilite sulla base di quattro parametri quali la popolazione, il PIL, il tasso di disoccupazione e il numero
medio di domande di asilo ricevute nel periodo 2010-2014, le decisione in questione, invece di alleviare l’onere
dell’accoglienza in Grecia e in Italia, hanno causato un aumento netto dei richiedenti asilo in tali paesi. Ciò in quanto
l’art. 7 di entrambe le decisioni imponeva ai due paesi interessati, come contropartita, il rispetto dell’obbligo di
identificazione dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo, già vigente ma largamente disatteso per la mancanza di
interesse a tracciarne il passaggio”.
C. FAVILLI, Il diritto dell’Unione europea e il fenomeno migratorio, op.cit., p. 66, nota 38, ha quantificato la mancata
collaborazione dell’Italia alla procedura di identificazione dei richiedenti asilo: “Si consideri che in Italia nel 2014 a fronte
dei circa 160.000 arrivi erano state identificate circa 90.000 persone, con un parallelo aumento dei flussi verso i Paesi del
Nord Europa. La Commissione aveva anche avviato il 10 dicembre 2015 la procedura d’infrazione n. 2015_2203 contro
l’Italia per la Non corretta attuazione del Regolamento (UE) 603/2013 EURODAC relativo alla rilevazione di impronte digitali, poi
chiusa alla luce delle rilevanti modifiche introdotte dal Governo”.
17 Corte di Giustizia, Grande Sezione, 6 settembre 2017, Slovacchia e Ungheria c. Consiglio, cause riunite C-643/15 e C-

647/15.

53                                                  federalismi.it - ISSN 1826-3534                                    |n. 35/2020
solidarietà quale valore di base ed esistenziale dell’Unione”18. In definitiva, mentre l’Avvocato Generale
Bot ha delineato un concetto di solidarietà che si pone come caratteristica intrinseca dell’ordinamento
dell’Unione, la Corte di Giustizia ha, in definitiva, degradato la solidarietà al rango di prescrizione
obbligatoria per le Istituzioni dell’Unione e per gli Stati membri, concependo tale principio come
meramente strumentale a fronteggiare l’“emergenza migranti”. Nelle considerazioni della Corte sarebbe,
quindi, prevalso un approccio emergenziale e non strutturale al fenomeno migratorio19.
Più di recente la Corte di Giustizia è tornata ad esprimersi sulla cogenza delle due decisioni del 2015,
stavolta non in sede di annullamento ma nell’ambito di un ricorso per inadempimento esperito dalla
Commissione nei confronti di Polonia, Ungheria e Repubblica ceca. Questi tre Paesi, per giustificare
l’inosservanza delle decisioni del 2015, non solo hanno valorizzato il disposto dell’art. 72 TFUE20, che
nello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia salvaguarda l’esercizio della potestà statale in materia
di ordine pubblico e di sicurezza interna, ma hanno anche eccepito un presunto malfunzionamento del
meccanismo di ricollocazione deciso dal Consiglio a beneficio di Italia e Grecia.
Nella sentenza del 2 aprile 2020 la Corte di Giustizia ha accertato l’inadempimento paventato dalla
Commissione, perché i tre Paesi non hanno indicato a intervalli regolari, e almeno ogni tre mesi, un
numero adeguato di richiedenti protezione internazionale che essi erano in grado di ricollocare
rapidamente nel loro rispettivo territorio, venendo meno agli obblighi di ricollocazione imposti dalle due
decisioni del Consiglio21. I loro ragionamenti difensivi sono stati considerati privi di pregio dai giudici di
Lussemburgo, i quali hanno sottolineato che la deroga prevista dall’art. 72 TFUE deve essere interpretata
restrittivamente: essa consente agli Stati di rifiutare la ricollocazione del solo richiedente asilo che
rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico in virtù di elementi concordanti,
oggettivi e precisi, che permettano di avvalorare i sospetti sul soggetto. Inoltre, per quanto concerne la
presunta inefficienza del meccanismo di ricollocazione, la Corte ha ricordato che le eventuali difficoltà di
ordine pratico non sono inerenti al meccanismo in sé ma sono dovute ad una scarsa collaborazione tra
gli Stati membri. Queste difficoltà “devono, se del caso, essere risolte nello spirito di cooperazione e di

18 V. le conclusioni dell’AG Ives Bot presentate il 26 luglio 2017 nelle cause riunite C-643/15 e C-647/15, punti 16-25.
19 Secondo C. FRATEA, Obblighi di solidarietà ed effettività della tutela dei migranti, op.cit., p. 713, “la Corte di giustizia,
qualificando la solidarietà come una prescrizione obbligatoria nei confronti delle istituzioni dell’Unione e degli Stati
membri secondo le condizioni e le modalità previste di volta in volta dalle singole disposizioni che ne danno una specifica
attuazione, non ha colto l’occasione, che difficilmente potrà ripetersi in questi termini, di elevarla a un principio
superiore”.
20 Art. 72 TFUE: “Il presente titolo non osta all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il

mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna”.
21 Corte di Giustizia, III Sez., 2 aprile 2020, Commissione c. Polonia, Ungheria e Repubblica ceca, cause riunite C-715/17,

C-718/17 e C-719/17.

54                                               federalismi.it - ISSN 1826-3534                                 |n. 35/2020
reciproca fiducia tra le autorità degli Stati membri beneficiari della ricollocazione e quelle degli Stati
membri di ricollocazione”22.
Tuttavia, come già accaduto in Slovacchia e Ungheria c. Consiglio, anche in questo caso la Corte di Giustizia
ha qualificato il principio di solidarietà non come principio generale del diritto dell’Unione ma come
obiettivo specificamente perseguito dagli articoli 78 ed 80 TFUE, laddove l’Avvocato Generale Eleanor
Sharpston si è mostrata molto più coraggiosa nel definirlo come vera e propria “linfa vitale del progetto
europeo”23.
Benché la resistenza del “blocco di Visegrad” rimanga sempre forte e impedisca un compromesso per la
gestione comune dei flussi a livello dell’Unione, nel giugno 2020 per la prima volta cinque Paesi
mediterranei di primo approdo (Italia, Spagna, Malta, Grecia e Cipro) hanno presentato una proposta di
riforma del Regolamento “Dublino III”, fondata sulla solidarietà e sull’equa ripartizione della
responsabilità fra gli Stati ai sensi dell’art. 80 TFUE24. La proposta, sostenuta anche dalla Germania, che
vorrebbe definire la riforma già entro fine anno, prevede la redistribuzione obbligatoria dei migranti che
sbarcano a seguito di operazioni SAR (Search and rescue); l’adozione di un sistema comune per i
rimpatri; linee guida per l’attività di ricerca e soccorso in mare da parte delle imbarcazioni private; il
superamento del criterio di responsabilità del Paese di primo ingresso, per il quale restano in vigore
soltanto le procedure di pre-screening sanitario e di sicurezza; l’adozione di un sistema di asilo che tuteli i
diritti prevenendo gli abusi; il rafforzamento delle politiche di collaborazione con i Paesi terzi, in
particolare con quelli del Nord Africa e del Medio Oriente.
Tuttavia, la recente proposta della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è
mostrata ben poco ambiziosa. Infatti, conclusosi il dibattito in seno alle Istituzioni europee sulla risposta
da dare alla crisi economica conseguente alla pandemia, il 23 settembre 2020 è stato presentato il New
Pact on Migration and Asylum, un documento dal valore politico e programmatico quinquennale che avrà
bisogno del vaglio del Parlamento europeo e dell’approvazione del Consiglio ma che ha già suscitato un

22 Commissione c. Polonia, Ungheria e Repubblica ceca, par. 164.
23 V. le conclusioni dell’AG Eleanor Sharpston presentate il 31 ottobre 2019 nelle cause riunite C-715/17, C-718/17 e
C-719/17, par. 253. Pieralberto MENGOZZI, Note sul principio di solidarietà nel diritto comunitario, in Il Diritto dell’Unione
europea, n.1/2020, ha sottolineato il diverso tenore della sentenza della CGUE e delle conclusioni dell’AG Sharpston.
L’Autore ricorda inoltre che il caso non è affatto chiuso: “L’atteggiamento così chiaramente assunto dai giudici di
Lussemburgo non si può, però, considerare definitivo. Il caso vuole che il 10 settembre 2019, poco tempo prima delle
conclusioni dell’Avvocato generale, che datano 31 ottobre 2019, sia intervenuta, in senso ad esse conforme, una
pronuncia del Tribunale dell’Unione europea che è stata impugnata, con la conseguenza che la Corte di giustizia dovrà
tornare a pronunciarsi sull’argomento”.
24 La proposta dell’Italia e degli altri quattro Paesi mediterranei è stata pubblicata sul sito del Ministero dell’Interno nella

sua                versione                  finale              del               4                 giugno                2020
(https://www.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/documento_immigrazione_cipro_italia_grecia_malta_spagna.
pdf).

55                                               federalismi.it - ISSN 1826-3534                                 |n. 35/2020
certo scetticismo nei commentatori delle politiche dell’Unione, perché “pur di venire incontro alle
esigenze di tutti, non soddisfa nessuno. In un’Europa in cui manca solidarietà, l’unico punto su cui tutti
concordano è la riduzione degli arrivi irregolari. Con le buone (sviluppo) o le cattive (controlli e
rimpatri)”25.
Poche sono le novità apportate da questo nuovo patto europeo, anche se la contestuale pubblicazione
delle proposte di ben nove atti normativi apre subito il cammino delle riforme, la cui necessità è stata
dimostrata anche dai corposi “controlli di qualità” della legislazione in materia migratoria svolti dal
Parlamento europeo e dal Comitato delle Regioni26. In attesa di capire come il New Pact on Migration and
Asylum verrà tradotto in diritto dell’Unione, la dottrina ne ha già messo in risalto i (pochi) punti positivi
e i (molti) punti negativi27, nella speranza che questi ultimi possano essere stemperati durante le trattative
politiche che stanno per iniziare.

25 In questi termini M. VILLA, Europa: un nuovo vecchio Patto sulle Migrazioni, in ispionline.it, il quale sintetizza così la proposta

della Commissione europea: “i punti centrali della proposta sono il rafforzamento dei controlli alle frontiere, il
miglioramento dei programmi di rimpatrio, gli accordi con i Paesi di partenza e di transito e un ‘meccanismo di rimpatri
sponsorizzati’ che sostituisce il criterio delle ripartizioni obbligatorie, che tanto nessuno avrebbe mai approvato. Dalla
solidarietà per l’accoglienza a quella per i rimpatri? Il dubbio è legittimo e persino il vicepresidente della
Commissione, Margaritis Schinas, ammette: ‘Abbiamo dovuto trovare un compromesso’. Il nuovo patto sembra già
vecchio, lascia irrisolti i soliti nodi e stabilisce solo quello su cui tutti sono d’accordo: rafforzare i controlli e limitare gli
ingressi. E se stavolta la Commissione pensava di aver trovato la formula giusta per accontentare tutti, non è detto invece
che la proposta passi. Per essere approvata bisognerà convincere tutti i 27 Stati membri. Non sarà una passeggiata”.
26 C. FAVILLI, Il patto europeo sulla migrazione e l’asilo: “c’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico”, in Questione giustizia, 2 ottobre

2020, disponibile su https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-patto-europeo-sulla-migrazione-e-l-asilo-c-e-
qualcosa-di-nuovo-anzi-d-antico, allude allo studio del Parlamento europeo dal titolo The Cost of Non-Europe in the Area
of                          Legal                         Migration                         (disponibile                           su
https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2019/631736/EPRS_STU(2019)631736_EN.pdf ) e al
parere del Comitato delle Regioni avente ad oggetto I costi della non immigrazione e non integrazione (disponibile su
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52018IE2459&from=EN ).
27 Secondo C. FAVILLI, Il patto europeo sulla migrazione e l’asilo, op.ult.cit., il nuovo patto europeo si concentra

principalmente sui migranti in condizione irregolare. In questo senso, afferma l’Autrice, “gli strumenti individuati sono
solo in minima parte innovativi. Cooperazione con i Paesi terzi di origine e di transito per il contenimento delle partenze
e l’esecuzione dei rimpatri, rafforzamento della gestione delle frontiere esterne, intensificazione dell’azione sui rimpatri
e divieto dei movimenti secondari sono i cardini della politica europea di immigrazione e asilo di ieri, oggi e domani”.
Inoltre, il nuovo patto non colma l’assenza di una disciplina europea della migrazione legale; introduce una procedura
di “pre-ingresso” per tutti gli stranieri che arrivano o sono intercettati nel territorio dell’Unione in posizione irregolare,
al fine di dividere subito i richiedenti asilo dagli irregolari che non hanno diritto di accedere al territorio; estende
l’applicazione della procedura accelerata di frontiera, riducendo drasticamente le garanzie procedimentali e
giurisdizionali, come il diritto al ricorso in caso di diniego, concentrato in un sol grado di giudizio; prevede la contestualità
dei provvedimenti di diniego di protezione e di allontanamento, sia per velocizzare le procedure espulsive sia per
condensare in un unico ricorso le doglianze avverso entrambi gli atti amministrativi; infine, elimina formalmente il
Regolamento Dublino, ma le regole sulla determinazione dello Stato competente allo scrutinio della domanda d’asilo
saranno mantenute inalterate, compreso il tanto contestato criterio dello Stato di primo ingresso irregolare.
Di contro, l’Autrice esprime un giudizio positivo sulla valorizzazione dei legami familiari (preesistenti al viaggio o creatisi
durante il viaggio), sull’introduzione del criterio della titolarità di un diploma conseguito in uno Stato membro e sulla
possibile estensione della libertà di circolazione ai beneficiari di protezione internazionale.
Dubbi persistono sulla sponsorship dei rimpatri degli irregolari, che i Paesi “non volenterosi” potranno preferire in luogo
delle ricollocazioni sul proprio territorio: “L’auspicio della Commissione è che grazie ad una maggiore capacità di
programmazione e all’innovativo strumento della sponsorship sul rimpatrio, si stemperino le tensioni sul sistema Dublino

56                                                  federalismi.it - ISSN 1826-3534                                    |n. 35/2020
3. I trasferimenti Dublino all’attenzione delle Corti sovranazionali
Il funzionamento del “sistema Dublino” è stato oggetto di una copiosa produzione giurisprudenziale
sovranazionale che ne ha enucleato le criticità e ha cercato di richiamare gli Stati membri alle proprie
responsabilità in tema di trattamento degli stranieri28. Pertanto, nei due paragrafi seguenti sarà svolta
un’analisi della più rilevante giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte di
Giustizia dell’Unione europea in materia di trasferimenti di richiedenti asilo ai sensi del Regolamento
“Dublino III” a partire dal 2011, con un focus speciale sulle sentenze che direttamente o indirettamente
riguardano l’Italia.
Confrontando le pronunce dei due supremi organi giurisdizionali europei emergerà la differente ottica
assunta per decidere: mentre la Corte di Strasburgo si è maggiormente concentrata sulla tutela dei diritti
umani, la Corte di Lussemburgo, che verifica il rispetto dei diritti fondamentali soltanto in situazioni di
rilevanza comunitaria29, si è mostrata più incline a salvaguardare gli obiettivi dell’Unione e le prerogative
statali in questo settore30. Peraltro, in dottrina si è evidenziato che, mentre la Corte EDU procede a
verifiche più rigorose, la Corte di Giustizia assume come presupposto il principio della reciproca fiducia
tra gli Stati membri31, con risultati che spesso si allontanano dall’effettiva tutela dei diritti dei richiedenti

e questo possa finalmente funzionare in modo efficiente, senza più attriti tra gli Stati. È altamente improbabile che
questo accada, o che accada in ragione di queste proposte. Anche a questo riguardo, se vi è una possibilità che le tensioni
tra gli Stati si attenuino è perché vi sarà nel prossimo futuro una riduzione drastica degli arrivi grazie alle misure di
contenimento dei flussi. Con meno arrivi sarà più semplice trovare un accordo tra gli Stati membri, nell’accoglienza e
nel trasferimento delle persone. Ma se la forzata riduzione dei flussi non dovesse esser realizzata, l’intero progetto
potrebbe non ottenere i risultati perseguiti”.
28 V., per un’analisi sul trattamento degli stranieri in diritto internazionale, B. CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli,

2018, pp. 246-263 e A. SINAGRA – P. BARGIACCHI, Lezioni di diritto internazionale pubblico, Milano, 2019, pp. 671-
685.
29 B. NASCIMBENE – I. ANRO’, La tutela dei diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte di giustizia: nuove sfide, nuove

prospettive, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, n.2/2017, p. 323 e ss., specificano che “il controllo da parte
della Corte di giustizia del rispetto dei diritti fondamentali è esercitato nell’ambito della propria competenza, ovvero in
tre casi: a) nei confronti degli atti dell’Unione adottati dalle istituzioni nell’esercizio delle loro funzioni, b) degli atti
nazionali adottati per dare attuazione ad un atto comunitario, c) delle giustificazioni addotte da uno Stato membro
rispetto ad una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto comunitario”.
30 La considerazione è di L. PANELLA, La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e quella della Corte di Giustizia

dell’Unione europea in materia di immigrazione a confronto: un contrasto insanabile?, in Ordine internazionale e diritti umani, 2018, pp.
276-300: “Il confronto fra la recente giurisprudenza delle due Corti europee sottolinea in modo deciso la loro differenza
di approccio anche in materia di immigrazione: l’una con il compito fondamentale di proteggere i diritti umani, l’altra di
salvaguardare principalmente gli obiettivi dell’Unione e difendere le prerogative statali” (p. 299).
Meno tranchant appare l’opinione espressa da Paolo MENGOZZI, L’immigrazione e la giurisprudenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea, in Il Diritto dell’Unione europea, n.3/2016, il quale afferma che, pur nel contemperamento di opposti
interessi, “il contributo della Corte di giustizia alla tutela dei diritti fondamentali dei migranti resta, comunque,
importante, in particolare con riferimento alle procedure di asilo, perché i principi da essa affermati e i chiarimenti da
essa forniti in merito a singoli casi assumono efficacia erga omnes”.
31 B. NASCIMBENE – I. ANRO’, La tutela dei diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte di giustizia, op.cit., ricordano

che “la Corte EDU, che ha censurato l’Italia per gli allontanamenti (espulsioni collettive) verso la Grecia (che aveva
impedito l’accesso al procedimento di richiesta di asilo) e la Svizzera per quelli verso l’Italia, sembra richiedere verifiche
più rigorose rispetto alla Corte di giustizia. Questa, invero, assume come presupposto e punto di partenza la presunzione,

57                                                   federalismi.it - ISSN 1826-3534                                     |n. 35/2020
asilo. Tuttavia, per ragioni che si approfondiranno in seguito, la giurisprudenza della Corte di Giustizia a
partire dal 2017 appare maggiormente in linea con la giurisprudenza della Corte EDU.

3.1. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per prima si è pronunciata sulle carenze di alcuni sistemi d’asilo
nazionali32 ed è stata poi seguita dalla Corte di Giustizia, producendosi un dialogo fra corti 33 con accordi
e disaccordi34 che risentono del diverso ruolo attribuito alle due istanze giurisdizionali nell’ambito del
Consiglio d’Europa e dell’Unione europea.
Nel caso M.S.S. c. Belgio e Grecia35 per la prima volta la Grande Camera della Corte di Strasburgo ha
considerato le circostanze socioeconomiche e le carenze della procedura di asilo di un Paese membro

in base al principio di reciproca fiducia (principio generale e specifico del regolamento Dublino III), che il trattamento
«sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione di Ginevra e dalla CEDU». Una “minima” violazione
del diritto dell’Unione europea applicabile (direttive sull’accoglienza, sulla qualifica di rifugiato, sulle procedure, 2003/9,
2004/83, 2005/85) non può impedire il trasferimento verso uno Stato membro competente, salvo compromettere le
finalità del regolamento o “sistema” Dublino III”.
32 Per un excursus molto dettagliato della giurisprudenza della Corte EDU in materia di systemic flaws v. J. MITCHELL,

The Dublin Regulation and Systemic Flaws, in San Diego International Law Journal, Vol. 18, Issue 2, Spring 2017, pp. 302-317,
disponibile su https://digital.sandiego.edu/ilj/vol18/iss2/5. Cfr. anche G. CILIBERTO e A.M. ROŞU, Asilo e protezione
internazionale nella Cedu, in F. BUFFA – M.G. CIVININI (a cura di), La Corte di Strasburgo, numero speciale di Questione
Giustizia dell’aprile 2019, disponibile su https://www.questionegiustizia.it/speciale/articolo/asilo-e-protezione-
internazionale-nella-cedu_82.php, ove si analizza la prassi più rilevante della Corte EDU relativa alle garanzie da
assicurare ai richiedenti asilo sottoposti alla giurisdizione di un Paese parte della CEDU, al fine di evidenziare quali siano
i vincoli convenzionali alla discrezionalità delle autorità nazionali in materia di politiche migratorie.
33 Moderano l’eccessivo ottimismo nutrito nei confronti del “dialogo fra corti”: G.F. FERRARI, Rapporti tra giudici

costituzionali d’Europa e Corti europee: dialogo o duplice monologo?, in G.F. FERRARI (a cura di), Corti nazionali e Corti europee,
Napoli, 2006 e G. DE VERGOTTINI, Il dialogo transnazionale fra le Corti, Napoli, 2010.
In particolare, G. DE VERGOTTINI evidenzia che “il dialogo fra corti è diventato uno dei luoghi comuni più abusati del nostro
tempo (…) ma in cosa questo dialogo consista non è sempre chiaro. In prevalenza, si parla di dialogo ogni qual volta in una sentenza si
trovino richiami a disposizioni normative o a sentenze provenienti da un ordinamento diverso da quello in cui opera un determinato giudice e,
pertanto, esterni, rispetto all’ordinamento in cui la pronuncia deve spiegare la sua efficacia. Da tale constatazione si fa conseguire che il giudice
in questione sia ‘in dialogo’ con giudici da cui provengono originariamente tali elementi ‘importati’” (pp. 1-2). L’A., dopo aver marcato
le differenze tra l’“esistenza di uno spazio culturale comune” e il “dialogo fra corti”, afferma che “in un ordinamento internazionale
regionale si viene a presentare come inevitabile la ricerca di un equilibrio fra competenze di intervento affidate agli organi dell’entità interstatale
di nuova costituzione, basata su una convenzione, e organi degli stati componenti, basati su una costituzione. Nell’adottare le proprie pronunce
una corte internazionale deve tener conto delle attribuzioni residue degli organi statali e le corti statali devono tener conto di quanto è stato
devoluto agli organi della entità internazionale. Si stabiliscono inevitabilmente dei raccordi fra i due ordini di giudici. Vi è quindi una vera e
propria interazione fra corti. E l’esperienza delle Corti di Lussemburgo e Strasburgo, ma anche della Corte interamericana, lo conferma”
(pp. 12-13).
34 Per un tentativo di contemperamento tra la giurisprudenza della Corte EDU e quella della CGUE sul concetto di

systemic flaws, A. LÜBBE, ‘Systemic Flaws’ and Dublin Transfers: Incompatible Tests before the CJEU and the ECtHR?, in
International Journal of Refugee Law, 2015, Vol. 27, No. 1, pp. 135-140, la quale definisce il systemic flaw come “a structure in a
system - or a lack of a structure, a structural void - that, for cases passing through this part of the system, leads to an error”.
Per un confronto tra le produzioni giurisprudenziali delle due Corti in materia di immigrazione v. L. PANELLA, La
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e quella della Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di immigrazione a
confronto, op.cit.
35 Corte EDU, Grande Camera, ricorso n. 30696/09, M.S.S. c. Belgio e Grecia, 21 gennaio 2011. Per un’analisi dell’impatto

di questa pronuncia sulla successiva produzione giurisprudenziale della Corte EDU e sul dibattito per la riforma del

58                                                        federalismi.it - ISSN 1826-3534                                             |n. 35/2020
dell’Unione europea, la Grecia, per condannare un altro Paese membro, il Belgio, per avervi ivi
automaticamente trasferito un ricorrente afghano, nonostante svariati report delle ONG e dell’UNHCR
mettessero in guardia il governo belga sulle enormi carenze del sistema d’asilo ellenico. Pertanto, le
autorità belghe non avrebbero dovuto semplicemente presumere che il soggetto trasferito sarebbe stato
trattato in conformità con gli standard convenzionali, ma avrebbero dovuto verificare come le autorità
greche applicavano in concreto la normativa nazionale sul diritto d’asilo. Poiché questo case-by-case approach
non è stato condotto, la Corte ha accertato in capo al Belgio la violazione dell’art. 3 CEDU, che proibisce
ogni trattamento disumano e degradante, e la violazione dell’art. 13 CEDU congiuntamente all’art. 3
CEDU per l’assenza di un rimedio effettivo contro l’ordine di espulsione. In particolare, la Corte ha
notato che nel diritto belga l’impugnazione del provvedimento espulsivo dinanzi all’Aliens Appeals Board
non ne sospendeva l’esecuzione e quest’organo interno si limitava soltanto a verificare se i soggetti da
espellere avessero prodotto prove concrete circa la natura irreparabile del danno da potenziale violazione
dell’art. 3. Tale onere della prova, molto gravoso, finiva per ostacolare l’esame sul merito del presunto
rischio di violazione36.
Già questa prima pronuncia della Corte EDU ha rivelato come siano instabili i due pilastri su cui si fonda
il “sistema Dublino”, cioè il burden sharing tra gli Stati membri in uno spirito di solidarietà e la presunzione
di sicurezza di tutti gli Stati membri per i richiedenti asilo.
Nel caso Mohammed Hussein ed altri c. Paesi Bassi e Italia 37 il sistema italiano d’asilo è stato per la prima volta
sottoposto all’attenzione dei giudici di Strasburgo. La vicenda riguardava una cittadina sudanese che
temeva di finire vittima di un delitto d’onore in caso di ritorno in patria. Giunta in Italia dalla Libia,
ottenne la protezione internazionale dall’Italia, ma poi decise di spostarsi nei Paesi Bassi dove mise al
mondo i suoi due bambini. La Corte, nel dichiarare il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza,
ha concluso che nonostante alcune carenze non è dimostrato che in Italia come in Grecia sussista

SECA, v. M. DEN HEIJER, Life after M.S.S.: unfinished business, in Netherlands Quarterly of Human Rights, Vol. 31/3, pp.
236–240, 2013.
36 In questi termini M.S.S. c. Belgio e Grecia, par. 389: “However, the extremely urgent procedure leads precisely to that

result. The Government themselves explain that this procedure reduces the rights of the defence and the examination
of the case to a minimum. The judgments of which the Court is aware (see paragraphs 144 and 148 above) confirm that
the examination of the complaints under Article 3 carried out by certain divisions of the Aliens Appeals Board at the
time of the applicant’s expulsion was not thorough. They limited their examination to verifying whether the persons
concerned had produced concrete proof of the irreparable nature of the damage that might result from the alleged
potential violation of Article 3, thereby increasing the burden of proof to such an extent as to hinder the examination
on the merits of the alleged risk of a violation. Furthermore, even if the individuals concerned did attempt to add more
material to their files along these lines after their interviews with the Aliens Office, the Aliens Appeals Board did not
always take that material into account. The persons concerned were thus prevented from establishing the arguable nature
of their complaints under Article 3 of the Convention”.
37 Corte EDU, III Sez., ricorso n. 27725/10, Mohammed Hussein ed altri c. Paesi Bassi e Italia, 2 aprile 2013.

59                                             federalismi.it - ISSN 1826-3534                              |n. 35/2020
Puoi anche leggere